Condotte potenzialmente vessatorie e le responsabilità del datore di lavoro

La Redazione
01 Marzo 2018

Il giudice deve verificare se alcune condotte vessatorie subite e denunciate dal lavoratore, pur non avendo fine persecutorio, siano riconducibili a responsabilità per le quali il datore, nei limiti a lui imputabili, possa essere chiamato a risponderne.

La Corte di Appello di Bologna ha respinto la richiesta di risarcimento dei danni avanzata da una lavoratrice a seguito di condotte vessatorie subite dal 2000 al 2004 ad opera di diversi colleghi escludendo che si sia trattato di mobbing poiché le condotte asserite lesive erano state tenute da differenti soggetti, in un arco temporale molto ampio.

La lavorante, ricorrendo in Cassazione, ha lamentato il fatto che il giudice, una volta escluso l'intento persecutorio, non abbia accertato se i comportamenti denunciati singolarmente considerati, potessero essere fonte di responsabilità per il datore di lavoro.

La Corte, nell'accogliere il sopradetto motivo di dolenza, ribadisce il principio già sancito da precedenti pronunce (Cass. n. 28027/2017, Cass. n. 19180/2017, Cass. n. 8025/2016) per cui laddove <<il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psico-fisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di natura di natura asseritamente vessatoria, il giudice del merito, pur nell'accertata insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall'interessato e quindi della configurabilità di una condotta di mobbing, è tenuto a valutare se alcuni dei comportamenti denunciati, seppure non accomunati dal fine persecutorio, siano ascrivibili a responsabilità del datore di lavoro, che possa essere chiamato a risponderne, nei limiti dei danni a lui imputabili>>.

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