Non basta il modello 770 per fondare un giudizio di responsabilità per omesso versamento delle ritenute certificate
01 Marzo 2018
Massima
La valenza indiziaria della sola presentazione del modello 770, ai fini della prova del rilascio delle certificazioni, non solo non è sorretta da alcuna massima di esperienza e dall'id quod plerumque accidit, ma è anche implicitamente, e indiscutibilmente, esclusa dal legislatore, che altrimenti avrebbe molto più semplicemente punito con la sanzione penale l'omesso versamento (oltre una certa soglia) di ritenute risultanti dal modello 770 e non già di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti. Il caso
La Corte d'appello di Milano, in parziale accoglimento dell'appello proposto avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Lecco, applicava le circostanze generiche e rideterminava la pena principale, confermando la penale responsabilità dell'imputato per il reato di cui all'art. 10-bis, d.lgs. 74 del 2000. L'accusa, per il legale rappresentante della società Beton Villa S.p.a., era quella di non aver versato, nel termine previsto per la presentazione annuale di sostituto di imposta, le ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti, per un ammontare complessivo di euro 427.970,11. L'imputato proponeva ricorso per Cassazione, presentando nove motivi di ricorso. Per quanto qui di interesse, con il primo motivo il ricorrente deduceva l'erronea applicazione dell'art. 10-bis, d.lgs. 74 del 2000, nonché vizio di motivazione, per contraddittorietà e manifesta illogicità della stessa, perché, secondo il difensore, difettava la prova del rilascio delle certificazioni ai sostituiti. Prova che, ad avviso del ricorrente, non poteva essere surrogata dall'acquisizione delle schede di dati contenute nel modello 770. La questione
Il primo e dirimente motivo che affronta il Supremo Consesso afferisce al thema probandum del processo che vede imputato un soggetto per il reato di omesso versamento delle ritenute certificate. I giudici di legittimità si interrogano, nello specifico, sull'onere della prova che grava sulla pubblica accusa, ai fini dell'accertamento dell'integrazione del reato de quo. In particolare, affrontano il problema se la prova della commissione del reato di cui all'art. 10-bis d.lgs. 74 del 2000, possa essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione proveniente dal datore di lavoro, il cosiddetto modello 770, oppure se debba essere rappresentata dalla certificazione (Cud o Certificazione unica), rilasciata dal sostituto d'imposta ai propri dipendenti. Le soluzioni giuridche
La Corte Suprema muove i passi dalla constatazione che il reato in parola è istantaneo e presenta una componente omissiva nonché una duplice componente commissiva. La prima sarebbe costituita dal mancato versamento, nel termine previsto dalla legge, delle ritenute certificate, la seconda consistente in due distinte condotte, il versamento della retribuzione con effettuazione delle ritenute, da un lato, ed il rilascio delle certificazioni prima della scadenza del termine penalmente rilevante, dall'altro. Trattandosi di elementi costitutivi del reato, precisano i giudici di legittimità, appare evidente che l'onere della prova, in ordine alla sussistenza degli stessi, incomba sul pubblico ministero. Inoltre, afferma la Corte di cassazione, la prova del rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate, non può essere surrogata dal solo contenuto del modello 770, proveniente dal datore di lavoro. Infatti, i giudici di legittimità richiamano l'orientamento, già espresso dal Supremo Consesso, secondo cui il modello 770 e la certificazione rilasciata ai sostituiti non sono documenti equipollenti, essendo formalmente e sostanzialmente diversi, disciplinati da fonti distinte e rispondenti a finalità non coincidenti. Del resto, dai dati riportati nel modello 770 che presenta il datore di lavoro non sarebbe possibile desumere il concreto rilascio, ad uno o più sostituiti d'imposta, delle relative certificazioni. In definitiva, la presentazione del modello 770 può assumere valore di indizio unicamente del pagamento delle retribuzioni e della effettuazione delle ritenute ma non anche del rilascio delle certificazioni ai sostituiti, in quanto l'esistenza del modello 770 non esclude l'ipotesi in cui le certificazioni non siano mai state date ai dipendenti. Tali conclusioni, peraltro, trovano conferma, ad avviso dei giudici della Corte di legittimità, nella recente modifica apportata dal legislatore all'art. 10-bis, d.lgs. 74 del 2000, che ha esteso la fattispecie penale, ricomprendendo nell'area di punibilità anche le ipotesi di omesso versamento delle ritenute dovute sulla base della dichiarazione mod. 770». L'estensione appena citata andrebbe interpretata, a contrario, come dimostrazione che la precedente formulazione, non solo non contemplava la condotta tipica dell'omesso versamento della ritenute risultanti dal modello 770, ma escludeva altresì che, anche sotto il profilo probatorio, tale dato potesse essere sufficiente ai fini della prova del rilascio delle certificazioni ai sostituiti. Per tali ragioni, la Corte di cassazione annulla la sentenza impugnata, rinviando per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano. Osservazioni
Per comprendere appieno l'indirizzo interpretativo assunto dalla sentenza che qui si commenta occorre affrontare un tema che non è affatto nuovo nel panorama giurisprudenziale, quello che afferisce, cioè, all'onere probatorio che incombe sulla pubblica accusa, per poter ritenere configurato il reato di omesso versamento delle ritenute certificate. A ben vedere, il primo cambio di rotta, rispetto all'orientamento secondo cui il modello 770 poteva costituire la prova del reato di cui all'art. 10-bis, d.lgs. 74 del 2000, si ebbe già nel 2014, con la sentenza n. 40526. Da allora, si sono sviluppati due filoni ermeneutici contrapposti. Secondo un primo orientamento, il delitto in questione deve considerarsi un reato omissivo proprio, istantaneo e di mera condotta, rispetto al quale rilevano due presupposti di fatto di natura commissiva, segnatamente, l'effettivo versamento delle retribuzioni e il rilascio delle certificazioni ai sostituiti. Pertanto, alla luce di tali considerazioni, le attestazioni contenute nel modello 770 – in cui siano indicate le certificazioni rilasciate ai sostituiti – costituirebbero prova dell'illecito. Secondo il diverso e più recente orientamento, condiviso anche dalla Corte di cassazione nella sentenza in commento, il rilascio delle certificazioni ai sostituiti deve considerarsi un elemento costitutivo del reato e, quindi, non solo l'onere della prova su tale elemento ricade sull'organo dell'accusa ma tale onere non può ritenersi assolto attraverso l'acquisizione del mero contenuto del modello 770. L'indirizzo interpretativo qui argomentato, appare essere condiviso anche da una recentissima pronuncia del 23 gennaio 2018, la n. 2393, che ha escluso che il modello 770 potesse avere qualità di confessione stragiudiziale piena, ritenendo necessaria la prova del rilascio della certificazione ai sostituiti. La tendenza che invece non sembra essere oggetto di mutamento, è quella assunta dal Supremo Consesso in materia di misure cautelari reali. Invero, con la sentenza n. 46390, del 9 ottobre 2017, la Corte ha ribadito che la sussistenza del fumus commissi delicti del reato di omesso versamento di ritenute certificate, ai fini dell'applicazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, ben può essere desunto anche dalla dichiarazione proveniente dal datore di lavoro (c.d. modello 770), purché se ne fornisca adeguata motivazione. Tuttavia, deve osservarsi che il tema oggetto del presente contributo sarà argomento di dibattito ancora per poco tempo, e cioè fino a quando le condotte integrative dell'illecito in esame non saranno successive all'entrata in vigore della nuova norma, che è intervenuta modificando l'art. 10-bis, d.lgs. 74 del 2000. Infatti, come hanno ricordato i giudici di legittimità nella pronuncia in commento, l'attuale formulazione dell'art. 10-bis, d.lgs. 74 del 2000, come modificato, da ultimo, dall'art. 7, comma 1, lett. b), del d.lgs. 158 del 2015, punisce, con la reclusione da sei mesi a due anni, chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, quando viene superata la soglia di punibilità – ora triplicata – di 150.000 euro, per ciascun periodo di imposta. In vigenza della nuova norma, non ci sarà, dunque, più alcun dubbio su quali prove dovranno essere acquisite, affinché il giudice possa ritenere integrato, quantomeno sotto il profilo oggettivo, il reato in parola, essendo entrato a far parte del modello legale della norma anche il fatto tipico dell'omesso versamento delle ritenute risultanti dal modello 770. |