L'azione revocatoria ordinaria nel fallimento

Gianfranco Di Marzio
05 Marzo 2018

Il singolo creditore può riassumere l'azione revocatoria ordinaria proposta, ai sensi dell'art. 66 legge fall., dal curatore fallimentare dopo l'interruzione determinata dalla perdita della capacità processuale dello stesso per intervenuta revoca del fallimento, giovandosi degli effetti sostanziali e processuali retroagenti alla data di notifica dell'atto di citazione originario.
Massima

Il singolo creditore può riassumere l'azione revocatoria ordinaria proposta, ai sensi dell'art. 66 l. fall., dal curatore fallimentare dopo l'interruzione determinata dalla perdita della capacità processuale dello stesso per intervenuta revoca del fallimento, giovandosi degli effetti sostanziali e processuali retroagenti alla data di notifica dell'atto di citazione originario.

Il caso

In seguito ad accoglimento di opposizione a sentenza dichiarativa di fallimento, la pronuncia fu revocata; cosicché il giudizio di revocatoria ordinaria già instaurato dal curatore fallimentare e sospeso ex art. 295 c.p.c. in attesa dell'esito di quello di opposizione, fu oggetto dapprima di riassunzione da parte di soggetto qualificatosi creditore del disponente e successivamente di intervento ai sensi dell'art. 105 c.p.c.

La domanda di revoca venne accolta in entrambi i primi due gradi di giudizio; seguì ricorso per cassazione da parte dei soccombenti, a sua volta accolto ma solo in punto di tardività dell'intervento processuale effettuato.

La questione

Oggetto di determinazione del giudice è innanzitutto la possibilità o meno di riattivazione, da parte dei singoli creditori dell'ex fallito, del giudizio di revoca già avviato dal curatore ai sensi degli artt. 66 l. fall. e 2901 c.c., sospeso ex art. 295 c.p.c. in seguito ad avvio del giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento e non proseguito dal curatore medesimo per intervenuta pronuncia di revoca di tale sentenza.

Vi è poi, tra le altre, la problematica circa il decorso o meno, per i creditori non più “tutelati” dalla domanda di revoca del curatore fallimentare, del termine di prescrizione delle loro singole domande di revoca durante il periodo di pendenza di quella proposta dal curatore medesimo.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ritiene che i singoli creditori - già rappresentati dal curatore nel giudizio di revocatoria ordinaria sospeso in attesa dell'esito di quello di opposizione alla pronuncia di fallimento - possano riattivare il processo in luogo del curatore medesimo allorquando quest'ultimo sia divenuto privo di capacità di stare in giudizio in seguito al venir meno della procedura concorsuale.

In particolare, a tale conclusione si giungerebbe considerando, nell'insieme, i principi secondo cui: - l'azione revocatoria ordinaria avviata dal curatore é la stessa azione che avrebbe potuto svolgere ogni creditore in mancanza di apertura della procedura concorsuale; - il singolo creditore non é ulteriormente legittimato all'esercizio dell'azione di cui trattasi durante la procedura fallimentare siccome in tale situazione risulta l'esigenza di tutela del globale interesse di tutti i creditori del fallito le cui pretese pecuniarie siano state ammesse al passivo, con conseguente legittimazione attiva unicamente del curatore.

In mancanza di possibilità di riassunzione, invece, i singoli creditori sarebbero pregiudicati dapprima, in pendenza della procedura concorsuale, dalla impossibilità di autonoma azione giudiziaria di revoca, e poi, in seguito al venir meno della procedura concorsuale, dalla eventualità della già verificatasi scadenza del termine di prescrizione dell'azione sancito dall'art. 2903 c.c.

Inoltre, la predetta soluzione costituirebbe “interpretazione costituzionalmente orientata dell'istituto” sia in quanto osservante del principio di ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, comma 7, Cost., privilegiando la sua riattivazione rispetto all'ipotesi di instaurazione di nuovo giudizio (ove ancora possibile per non intervenuta prescrizione), sia perché in caso opposto ogni creditore subirebbe “concreto pericolo di prescrizione dell'azione” e pertanto lesione del diritto di valersi del processo stabilito dall'art. 24 Cost.; mentre sarebbe certo il decorso del termine di prescrizione durante la pendenza della procedura concorsuale, trattandosi di impossibilità di agire dipendente dalla condizione soggettiva di creditore, già tutelata nella oggettiva azione del curatore, che è di “sintesi di tutte le azioni individuali”.

Precisa poi il Supremo Collegio che, in seguito alla cessazione della procedura fallimentare, “la domanda originaria nell'interesse della massa si scompone in una pluralità di domande scindibili, autonomamente proseguibili da ciascun creditore”; e la proseguibilità sarebbe assicurata dalla considerazione secondo cui “trattandosi di un'azione che poteva essere promossa prima dell'apertura del fallimento, il processo deve essere semplicemente interrotto per perdita della capacità processuale del curatore”.

Anche dal punto di vista del decorso della prescrizione, la riattivazione del giudizio gioverebbe al solo creditore agente; per gli altri infatti rileverebbe unicamente “l'effetto interruttivo della prescrizione previsto dall'art. 2945, comma terzo, cod. civ., ma non anche della sospensione del decorso della prescrizione previsto dal secondo comma della medesima disposizione, la cui verificazione é subordinata alla tempestiva riassunzione del processo”. Dunque, soltanto in seguito alla riassunzione si avrebbe la sospensione della prescrizione per l'intera durata del processo, ferma restando, in ogni caso, la sua interruzione invece dovuta alla notifica dell'atto di citazione da parte del curatore.

Né condurrebbe ad opinare diversamente il fatto che l'azione revocatoria proposta dal curatore fallimentare abbia quale unico convenuto l'accipiens, mentre in quella svolta fuori dalla procedura concorsuale siano litisconsorti necessari disponente ed accipiens: infatti “tale modificazione della struttura soggettiva dell'azione costituisce soltanto l'inevitabile adattamento dell'azione revocatoria ordinaria alla situazione peculiare del debitore fallito, che è privato della capacità di stare personalmente in giudizio”, come già esplicato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte.

Egualmente irrilevante sarebbe infine l'eventualità che il singolo creditore riassumente sia titolare di credito successivo all'atto di disposizione pur avendo il curatore avviato il giudizio valendosi invece di credito precedente all'atto medesimo: l'esigenza di adeguata difesa del debitore nei confronti della diversa posizione del creditore sopraggiunto sarebbe infatti salvaguardata dalla possibilità di regressione processuale mediante proposizione di istanza di rimessione in termini ai sensi dell'art. 153, comma 2, c.p.c.

Osservazioni

La pronuncia in commento - molto pregevole per chiarezza espositiva e nell'esplicazione dei principi giuridici in materia di azione revocatoria ordinaria nel fallimento - esordisce evidenziando che la questione da dirimere sia nuova in giurisprudenza e così priva di “precedenti specifici”, pur rilevando, al contempo, che le Sezioni Unite della Suprema Corte si siano già espresse su un caso per alcuni aspetti opposto.

Il riferimento è alla sentenza n. 29420/2008 inerente ad azione revocatoria ordinaria già intrapresa dal singolo creditore e poi proseguita dal curatore in seguito a dichiarazione di fallimento del debitore-disponente verificatasi nel corso del processo.

In quel caso, il principio di diritto espresso - in linea con l'esigenza di conservazione dell'attività processuale già svoltasi secondo osservanza del disposto dell'art. 111, comma 7, Cost. - è nel senso della perdita di legittimazione ed interesse ad agire dell'originario attore, con conseguente improcedibilità della sua domanda, in ragione del subentro del curatore nella stessa posizione processuale e per il vantaggio della intera massa dei creditori, attore originario compreso.

Da tale impostazione la pronuncia in commento pare abbia tratto spunto per l'argomentazione, posta a base della decisione, secondo cui “qualora il fallimento venga revocato, la domanda originaria nell'interesse della massa si scompone in una pluralità di domande scindibili, autonomamente proseguibili da ciascun creditore”.

Trattasi di argomentazione che, per quanto suggestiva, appare priva di fondamento giuridico ed anzi in possibile contrasto con qualche principio della disciplina del processo civile.

Le disposizioni normative di cui agli artt. 103, 105, 106 e 332 c.p.c. infatti, ineriscono a cause, non domande, scindibili. Ciò probabilmente perché la domanda giudiziale, per sé stessa considerata, costituisce semplice elemento od unità elementare della causa, che invece ingloba un intero thema decidendum e pertanto è suscettibile di separazione quale controversia completa ed autonoma rispetto ad ogni altra.

Del resto, la metafora della scomposizione di un'unica domanda in più domande appare poco plausibile laddove si consideri che ogni domanda ha un solo petitum ed una sola causa petendi, entrambi insuscettibili di frazionamento.

A ben vedere poi, la questione affrontata non è così nuova come considerata, risultando un precedente della Suprema Corte in relazione alla sorte di una azione revocatoria ordinaria intrapresa dal curatore successivamente decaduto dalla funzione, seppur nel diverso caso di fallimento chiuso per riparto finale di attivo nella pendenza del giudizio.

Tale pronuncia - precedente all'inserimento, da parte dell'art. 7 D. L. n. 83/2015 convertito con modifiche dalla L. n. 132/2015, del combinato disposto del quinto comma all'art. 120 l. fall. e degli ultimi sei periodi al secondo comma dell'art. 118 l. fall., che regola la prosecuzione dei giudizi ancora pendenti dopo la chiusura del fallimento per riparto finale di attivo - sulla base della premessa secondo cui alla chiusura del fallimento consegue “la decadenza del curatore dalla sua funzione” e perciò la sua sopravvenuta carenza di legittimazione ad agire nonché l'impossibilità di futura vendita fallimentare (ovvero a vantaggio di tutti i creditori ammessi al passivo) del bene oggetto dell'atto dispositivo censurato, giunge alla logica conclusione della esigenza di declaratoria, anche d'ufficio, di cessazione della materia del contendere; precisando che, in seguito alla sopravvenuta carenza di legittimazione ad agire, i creditori del fallito “riacquistano il libero esercizio delle azioni individualmente loro spettanti” ai sensi dell'art. 120 l. fall. “illo tempore” vigente ed ancor oggi, in tale parte, rimasto immutato.

La differenza tra le due fattispecie è unicamente nella causa di cessazione della procedura fallimentare: revoca della sentenza dichiarativa di fallimento nell'un caso, chiusura della procedura concorsuale nell'altro; ma pare trattarsi di una differenza priva di rilievo dal punto di vista considerato, siccome in entrambi i casi è la fine della procedura di fallimento che determina la carenza di legittimazione attiva del curatore, indipendentemente dalla situazione comportante tale esito.

Valendo l'orientamento della pronuncia richiamata, l'ipotesi di riassunzione del giudizio di revoca da parte dei singoli creditori sembrerebbe poi una volta di più implausibile, stante la irremovibilità dell'evento processuale di cessazione della materia del contendere dovuta al fatto che ormai il bene oggetto dell'atto dispositivo censurato non potrebbe più essere venduto dal curatore fallimentare.

Nemmeno poi pare sussistere, in mancanza dell'impostazione fornita dalla pronuncia in commento, pregiudizio per i singoli creditori da decorso della prescrizione delle azioni individuali durante lo svolgimento di quella avviata dal curatore fallimentare.

Invero, le Sezioni Unite della Suprema Corte, con le sentenze n. 29420/2008 ed immediatamente successiva, hanno, tra l'altro, evidenziato che il giudizio di revocatoria ordinaria non sia tra quelli sottoposti al divieto, stabilito dall'art. 51 l. fall., di avvio o prosecuzione in pendenza della procedura fallimentare. Trattasi infatti di processo né esecutivo e tanto meno cautelare, bensì di cognizione ordinaria (come immediatamente reso chiaro già dall'atto che lo introduce, cioè quello di citazione) ed inoltre inerente ad un negozio (l'atto dispositivo censurabile) avente ad oggetto un bene non compreso nel fallimento.

Dunque, non è l'apertura della procedura concorsuale per sé stessa considerata ad avere effetto preclusivo dell'azione revocatoria ordinaria del singolo creditore, bensì soltanto l'effettivo esercizio della medesima azione da parte del curatore fallimentare, tramite subentro in quella eventualmente già avviata dal singolo creditore ovvero introduzione di autonomo giudizio di cui si abbia notizia nel processo di revoca del singolo creditore.

Ne discende che il decorso del termine di prescrizione fino al giudizio di revoca da parte del curatore fallimentare sia giusto, potendo aversi, fino a quel momento, l'azione giudiziaria da parte del singolo creditore; e nemmeno pare che l'ingiustizia si abbia successivamente, in ragione dell'azione giudiziaria intrapresa dal curatore fallimentare: la preclusione processuale del singolo creditore non riguarda infatti il medesimo per vicende personali ed individuali, bensì come creditore in quanto tale, cioè appartenente ad una ben determinata categoria di soggetti globalmente impedita all'esercizio dell'azione giudiziaria, con la conseguenza della natura oggettiva dell'impedimento e perciò della prosecuzione del periodo di interruzione della prescrizione fino al passaggio in giudicato del provvedimento che - in seguito al riscontro della statuizione di revoca della sentenza dichiarativa di fallimento - dichiari la sopravvenuta cessazione della materia del contendere.

Recentemente, infatti, il Supremo Collegio ha confermato il noto e consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui manchi il decorso del termine di prescrizione allorquando l'esercizio del diritto sia impedito da “cause di natura giuridica”; tra le quali, può aggiungersi, sembra naturale ricomprendere l'avvio dell'azione revocatoria ordinaria da parte del curatore fallimentare per il vantaggio di tutti i creditori ammessi al passivo, precedentemente titolari della stessa prerogativa.

Infine, seppur per mera esigenza di completezza di trattazione, sembra di apprezzabile importanza il rilievo dell'orientamento giurisprudenziale secondo cui il decorso della prescrizione dell'azione si abbia non già dalla data dell'atto dispositivo censurabile - come sembra far intendere la lettera dell'art. 2903 c. c. - bensì da quella della sua pubblicità che, rendendolo conoscibile ai terzi, procura appunto una realistica ipotesi di iniziativa giudiziaria di censura; così nemmeno ponendosi una questione di prescrizione, in assenza di tale pubblicità.

Guida all'approfondimento

Probabilmente in ragione della (relativa) novità delle questioni affrontate dalla pronuncia commentata, non sono stati ravvisati scritti di dottrina in merito.

La giurisprudenza richiamata nel testo è di seguito indicata.

L'esito di declaratoria di cessazione della materia del contendere nel giudizio di revocatoria ordinaria avviato dal curatore successivamente decaduto dalla funzione per chiusura del fallimento è affermato in Cass. 6 ottobre 2005, n. 19443.

La pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte immediatamente successiva alla n. 29420/2008 richiamata nella sentenza commentata e che insieme a quest'ultima ha evidenziato l'inapplicabilità del divieto stabilito dall'art. 51 l. fall. al giudizio di revocatoria ordinaria è evidentemente Cass. S.U. 17 dicembre 2008, n. 29421.

La necessità di impedimenti oggettivi affinché non decorra termine di prescrizione è ribadita in Cass. 7 settembre 2017, n. 20907.

L'orientamento secondo cui il decorso della prescrizione dell'azione revocatoria ordinaria si abbia dalla data della pubblicità dell'atto dispositivo censurabile e non invece da quella dell'atto stesso, è confermato in Cass. 24 marzo 2016, n. 5889.

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