Passaggio da rito ordinario a rito speciale: questione di legittimità costituzionale inammissibile
05 Marzo 2018
Il caso. Nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo relativo a crediti in materia di locazione, irritualmente introdotto con atto di citazione poi tardivamente depositato in cancelleria di cui la controparte aveva per tal profilo eccepito l'inammissibilità, il tribunale di Verona ha ritenuto rilevante, e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., ed ha quindi sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 426 c.p.c. «nella parte in cui non prevede che, in caso di introduzione con rito ordinario di una causa soggetta al rito previsto dagli artt. 409 ss. c.p.c. e di conseguente mutamento del rito, gli effetti sostanziali e processuali si producano secondo le norme del rito ordinario, seguito fino al mutamento».
Esegesi dell'art. 426 c.p.c.. La giurisprudenza di legittimità, in sede di esegesi dell'art. 426 c.p.c., è ferma nel ritenere che in riferimento all'ipotesi in cui una causa di opposizione a decreto ingiuntivo concesso per crediti relativi a un rapporto di locazione – soggetta al rito speciale previsto per i rapporti di lavoro – sia stata erroneamente promossa con atto di citazione, nelle forme ordinarie, la citazione può produrre gli effetti del ricorso solo se depositata in cancelleria entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c..
Ridefinizione del passaggio da rito ordinario a rito speciale. Proprio in ragione di questo «vuoto normativo», il giudice rimettente ha sostenuto che il censurato art. 426 c.p.c. violerebbe l'art. 3 Cost. per irragionevolezza, e gli artt. 24 e 111 Cost., per il vulnus, che ne conseguirebbe, al diritto dell'effettività della tutela giurisdizionale e ad un giusto processo. Tali argomentazioni muovono nella direzione di una ridefinizione del «passaggio dal rito ordinario al rito speciale» su una linea di maggior coerenza con la disciplina dei nuovi riti speciali, nel senso che il mutamento del rito (rispondente ad un principio di conservazione dell'atto proposto in forma erronea) operi solo pro futuro, ossia ai fini del rito da seguire all'esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all'atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta.
La disciplina in esame non raggiunge quella soglia di manifesta irragionevolezza... Per i Giudici costituzionali, una tale auspicata riformulazione del meccanismo di conversione del rito ex art. 426 c.p.c. riflette una valutazione di opportunità, e di maggior coerenza di sistema, di una sanatoria piena, e non dimidiata, dell'atto irrituale, per raggiungimento dello scopo. Ma «non per questo risponde ad una esigenza di reductio ad legitimitatem della disciplina attuale, posto che tale disciplina non raggiunge quella soglia di manifesta irragionevolezza che consente il sindacato di legittimità costituzionale sulle norme processuali».
Inammissibilità della questione di legittimità costituzionale. A fronte, dunque, di un petitum implicante l'opzione per la modifica di una regola processuale – «opzione di per sé meritevole di considerazione, ma comunque rientrante nell'ambito delle scelte riservate alla discrezionalità del legislatore» – la Corte ha dichiarato la questione di legittimità costituzionale inammissibile. |