Pegno e usufrutto di partecipazioni sociali ed esercizio del diritto di voto

Daniele Fico
06 Marzo 2018

Il soggetto titolare di un pegno/usufrutto su partecipazioni sociali può ostacolare un tentativo di risanamento della società? E come potrebbe tutelarsi il socio pignorato/nudo proprietario (che non si sia riservato il diritto di voto o che non abbia pattuito un'apposita convenzione sull'esercizio dello stesso diritto)?

Il soggetto titolare di un pegno/usufrutto su partecipazioni sociali può ostacolare un tentativo di risanamento della società? E come potrebbe tutelarsi il socio pignorato/nudo proprietario (che non si sia riservato il diritto di voto o che non abbia pattuito un'apposita convenzione sull'esercizio dello stesso diritto)?

Pegno e usufrutto su partecipazioni – L'art. 2471-bis, c.c. dopo aver stabilito che la partecipazione in una società a responsabilità limitata può essere oggetto di pegno e usufrutto, oltre che di sequestro, rinvia per la relativa disciplina a quanto disposto per le società per azioni dall'art. 2352 c.c.

Con specifico riferimento al diritto di voto, il primo comma di tale articolo chiarisce che il medesimo spetta, salvo diversa convenzione, al creditore pignoratizio o all'usufruttuario. L'interpretazione dominante di tale disposizione ha portato ad attribuire al creditore pignoratizio o all'usufruttuario una posizione autonoma rispetto a quella del socio, con la conseguenza che né il creditore pignoratizio, né l'usufruttuario, possono considerarsi dei rappresentanti del medesimo le cui quote sono oggetto di pegno o di usufrutto, competendo agli stessi sia l'esercizio, che la titolarità del diritto di voto.

Da quanto affermato consegue, altresì, che, in termini generali, le limitazioni al diritto di voto dovute a circostanze ed a condizioni soggettive che riguardano la figura del socio non si applicano al creditore pignoratizio o all'usufruttuario. Tale assunto trova, peraltro, conforto, in primo luogo, nell'elemento letterale del verbo “spettare” utilizzato dal legislatore al primo comma dell'art. 2352, c.c., la cui adozione pare avere significato di attribuzione al creditore pignoratizio o all'usufruttuario di un diritto di voto iure proprio. In secondo luogo, se si ha riguardo all'assetto dei plurimi interessi presenti nell'ipotesi di pegno o di usufrutto di azioni o di quote, se ne deduce che nell'esercizio del diritto di voto il creditore pignoratizio e l'usufruttuario possono tenere conto, non solo dell'interesse del socio, ma anche del loro proprio interesse, individuato, per il creditore pignoratizio, nella conservazione del valore patrimoniale delle quote, per l'usufruttuario, nell'interesse al godimento delle azioni o quote. L'unico limite è rappresentato dal divieto di esercitare il diritto di voto in maniera tale da arrecare pregiudizio al socio, rectius agli interessi tipici del socio, risultando, invece, ininfluente la violazione di interessi atipici, cioè di interessi propri del socio, non come tale, bensì come terzo.

Il creditore pignoratizio o l'usufruttuario nell'esercitare il diritto di voto devono, quindi, “ispirarsi ai principi della buona amministrazione societaria ed attenersi al perseguimento dell'interesse sociale, senza coltivare, pertanto, interessi egoistici ovvero in contrasto con quelli della società” (Cass. 10 marzo 1999, n. 2053); mentre “per quelle deliberazioni che esorbitano dalla tutela del loro interesse”, devono “votare secondo le istruzioni impartite dal socio o astenersi”.

Giova precisare che nell'ipotesi patologica in cui il creditore pignoratizio o l'usufruttuario esercitino il diritto di voto arrecando un pregiudizio al socio, tale violazione genera ripercussioni esclusivamente nei rapporti tra creditore pignoratizio o usufruttuario e socio, esponendo il responsabile all'azione risarcitoria del proprietario leso, non potendo, al contrario, “riflettersi sulla validità del voto espresso in assemblea, né, conseguentemente, sulla validità della deliberazione che l'assemblea abbia adottato, anche se quel voto sia risultato determinante” (Cass. 19 agosto 1996, n. 7614).

L'art. 2352, comma 1, c.c. consente, tuttavia, in relazione al diritto di voto la possibilità di una convenzione contraria. E' dunque ammissibile un accordo tra le parti che attribuisca sempre comunque l'esercizio del diritto di voto al socio le cui quote sono oggetto di pegno o usufrutto, oppure che lo assegni ora allo stesso, ora al titolare del diritto frazionario (così, ad esempio, nelle assemblea ordinarie al creditore pignoratizio o all'usufruttuario e nelle straordinaria al socio).

Non è comunque opponibile alla società una convenzione fra creditore pignoratizio o usufruttuario e socio che preveda la possibilità di intervenire all'assemblea e di partecipare alla discussione pure per quello, dei due soggetti, a cui non è attribuito il diritto di voto, a condizione che, ovviamente, non si pregiudichi la speditezza del procedimento assembleare.

Soluzione – Alla luce di quanto sopra, pertanto, ove non sia stata espressamente pattuita un'apposita convenzione in ordine all'esercizio del diritto di voto, tale diritto compete esclusivamente al creditore pignoratizio o all'usufruttuario i quali, comunque, nell'esercizio dello stesso devono perseguire l'interesse sociale, salvaguardando altresì il valore della partecipazione oggetto di pegno o usufrutto e, conseguentemente, non devono arrecare alcun pregiudizio al socio. In caso contrario, il socio pignorato/nudo proprietario avrà quale unico rimedio un'azione risarcitoria nei confronti del soggetto che ha esercitato il diritto di voto in violazione dei principi anzidetti.

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