Parti comuni (presunzione e titolo contrario)

Luigi Salciarini
07 Marzo 2018

La fattispecie del condominio va riferita – secondo l'impostazione che ne dà il codice civile – ad un insieme di parti comuni (beni ed impianti) presenti all'interno dell'edificio. Il meccanismo legale di individuazione di tali cose è previsto dalla legge nell'art. 1117 c.c. che contiene un elenco che costituisce il vero e proprio criterio identificativo del patrimonio condominiale. La giurisprudenza ha ripetutamente analizzato la norma, giungendo a precisare che in essa agisce una presunzione relativa, superabile da un titolo contrario di natura contrattuale.
Inquadramento

Rispetto alla problematica dell'individuazione delle c.d. parti comuni assume particolare rilevanza il riferimento all'art. 1117 c.c. recentemente novellato dalla nota riforma della disciplina del condominio contenuta nella legge n. 220/2012 (in vigore dal 18 giugno 2013).

Il disposto di tale norma conferma che la fattispecie prevista dalla legge (cioè, il condominio negli edifici) si riferisce ad una parte del fabbricato, e che detta parte è costituita da un insieme di beni e di impianti che sono in comproprietà tra i titolari delle unità immobiliari esclusive.

Tale particolare complesso di cose ha la caratteristica di esser posto a servizio e/o ad ornamento di un'altra parte dell'edificio stesso, costituita, quest'ultima, da un secondo insieme di beni, di cui fanno parte le predette porzioni di piano private.

Tenendo presente tale presupposto (logico-giuridico), va evidenziato che l'esatto contenuto dell'insieme di parti comuni (cioè, i beni e gli impianti condominiali) è individuato (all'interno dell'edificio) dalla legge attraverso una sola norma (il richiamato art. 1117 c.c.), il cui funzionamento – solo apparentemente semplice – si rivela fondamentale per comprendere in cosa esattamente consista il condominio dal punto di vista materiale.

All'interno dell'art. 1117 c.c., viene prevista – come si vedrà – sia l'operatività di una presunzione di condominialità, sia la possibilità che una prova contraria alla presunzione medesima (che la norma individua, esclusivamente, in un titolo contrario), possa diversamente conformare il contenuto di quello che si può chiamare (seppur, in senso non propriamente giuridico) il patrimonio del condominio.

I due insiemi di beni dell'art. 1117 c.c.

All'interno dell'art. 1117 c.c. è contenuto – come visto – un elenco piuttosto nutrito di parti comuni.

Anche da una rapida lettura del relativo testo, risulta chiaramente che tale lista è strutturata in base a tre separati gruppi di cose, contraddistinti nei tre paragrafi 1), 2) e 3).

Tale ripartizione, tuttavia, non corrisponde esattamente alla tipologia dei beni/impianti considerati dalla norma in quanto tali differenti insiemi si distinguono tra loro in base a due differenti caratteristiche:

a) alcune parti dell'edificio (sostanzialmente quelle indicate al n. 2 dell'art. 1117 c.c.: locali per la portineria e per l'alloggio del portiere, ecc.) sono suscettibili di utilizzazione individuale ed eventuale;

b) altre parti dell'edificio (grosso modo quelle di cui ai nn. 1 e 3) danno luogo ad una modalità di godimento che si pone in termini di assoluta necessità.

Da ciò deriva l'affermazione per cui sussistono due distinte categorie di cose condominiali:

  • quelle necessariamente comuni;
  • e quelle eventualmente comuni.

In evidenza

Per le parti che sono solo eventualmente comuni, il vincolo che le lega alle proprietà esclusive non sarebbe insuperabile, e l'edificio potrebbe esistere (ed essere utilizzato) anche in loro mancanza.

L'elenco (di beni ed impianti) contenuto nell'art. 1117 c.c.

È fondamentale sottolineare che l'art. 1117 c.c. prevede – all'interno del suo testo – un elenco di beni ed impianti, che, in funzione di ciò, vengono qualificati come condominiali.

Relativamente a tale lista di cose, la giurisprudenza ha definitivamente chiarito che l'elenco di beni/impianti, contenuto nell'art. 1117 c.c., non è tassativo e ha funzione meramente esemplificativa (Cass. civ., sez. II, 5 marzo 2015, n. 4501; Cass. civ., sez. II, 5 marzo 2008, n. 6005).

A ben vedere, è la stessa norma ad evidenziare detta caratteristica di non esaustività: più volte, infatti, il suo testo evidenzia che il catalogo ivi contenuto può essere integrato/perfezionato (si pensi alle locuzioni ivi vergate: «tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune», «le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune»). In altri termini, è il medesimo art. 1117 c.c. che ci conferma (testualmente) che il complesso delle cose comuni contempli anche ulteriori beni o impianti ivi non citati.

Sul punto, viene precisato che l'art. 1117 c.c. può essere integrato dall' esterno, ovvero che detta norma contiene un'elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa, con la conseguenza che la disposizione in parola può essere integrata ab estrinseco se la cosa, per oggettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo meno, in questi casi, il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene prevale sull'attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario (Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2007, n. 4787).

Il meccanismo di individuazione

Da quanto sopra, è possibile compendiare nei seguenti passaggi quali sono le modalità di funzionamento del meccanismo di individuazione del patrimonio condominiale in base al sistema previsto dall'art. 1117 c.c.:

  • nell'edificio in condominio sono presenti due distinti insiemi di beni;
  • tali insiemi sono, da una parte, le unità immobiliari in proprietà esclusiva, e, dall'altra, il complesso delle cose condominiali;
  • i beni e gli impianti comuni sono posti a servizio, utilità o ornamento delle proprietà private;
  • l'esatto contenuto dell'insieme di cose condominiali è individuato dall'art. 1117 c.c.;
  • tale ultima norma contiene una lista di cose;
  • dall'inserimento di una cosa in tale elenco consegue la sua natura comune;
  • qualora una cosa non è menzionata in detto elenco, ma fornisce utilità comune (in forza della sua oggettiva destinazione funzionale), è da considerarsi ugualmente condominiale.
La presunzione ex art. 1117 c.c.

La giurisprudenza che ha analizzato il funzionamento di tali regole desumibili dal testo della norma, ha affermato che l'art. 1117 c.c., attraverso l'indicazione di un elenco di cose comuni, pone una presunzione giuridica, in forza della quale si presuppone, appunto, che un bene/impianto, incluso nella predetta lista , sia comune.

Va innanzitutto precisato che si tratta di una presunzione legale, in considerazione del fatto che la sua fonte si trova direttamente nella legge, e, segnatamente, nel predetto art. 1117 c.c. (che, attribuisce, al fatto dell'inclusione nell'elenco, il valore di prova dell'ulteriore fatto della natura condominiale).

In secondo luogo, tale presunzione è qualificata come relativa (altrimenti detta, iuris tantum), ammettendosi la possibilità che una, ulteriore e distinta, circostanza valga come prova contraria. In pratica, è consentito che un fatto diverso dall'inclusione nell'elenco dell'art. 1117 c.c. possa determinare la qualificazione del bene/impianto come esclusivo, anziché comune.

La qualificazione della natura giuridica del meccanismo previsto dall'art. 1117 c.c. in termini di presunzione relativa è largamente ripetuta nella giurisprudenza, e può dirsi consolidata, ricordando che, recentemente, la S.C. è tornata sull'argomento precisando (anche se indirettamente) che il richiamo all'istituto della presunzione è mal posto. Ha affermato che il funzionamento dell'art. 1117 c.c. va inteso più precisamente e che detta norma «contiene un'elencazione meramente esemplificativa dei beni, servizi ed impianti che si devono considerare di proprietà comune. La norma, quindi, non sancisce una presunzione di condominialità ma un vero e proprio diritto di condominio superabile solamente da differenti disposizioni pattizie» (Cass. civ., sez. II, 5 marzo 2015, n. 4501; nello stesso senso anche Cass. civ., sez. II, 4 giugno 2014, n. 12572).

La prova contraria: il titolo

Si è detto che l'art. 1117 c.c. pone una presunzione relativa di condominialità delle cose inserite nel suo elenco e che, stante tale natura relativa, una prova contraria può determinare effetti opposti (cioè, qualificare come non condominiale un determinato bene).

Si pone, quindi, la questione dell'individuazione di quale possa essere l'elemento, o il fatto, che, quale prova contraria rispetto alla presunzione dell'art. 1117 c.c., è in grado di impedire l'attribuzione del carattere di condominialità ad un bene o ad impianto che è comunque compreso nell'edificio.

In primo luogo, per espressa disposizione testuale è un titolo contrario (cfr., da ultima tra le molte conformi, Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2015, n. 16367).

Con tale termine si intende un accordo, contenuto in un documento, avente pacifica natura contrattuale, cioè approvato dall'unanimità dei consensi degli aventi diritto (tutti i condomini), in naturale ed ovvia conseguenza della stipulazione di un negozio che ha come finalità e contenuto quello di determinare effetti immobiliari.

È opinione pacifica che tale titolo contrario può essere contenuto:

  • nel rogito di acquisto delle singole porzioni di piano;
  • nel regolamento di condominio (quello c.d. contrattuale).

Oltre a ciò, è necessario che l'accordo contrario contenga una clausola che espressamente e inequivocabilmente dichiari non comuni talune parti dell'edificio.

In evidenza

Nulla esclude, peraltro, che un titolo contrario(cioè, detto accordo contrattuale) sia contenuto in una deliberazione assembleare. Occorre, però, che tale decisione, che normalmente viene assunta a maggioranza sia, in questo caso, adottata col consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio (c.d. assemblea totalitaria).

Per di più, in tutti i predetti casi, e in quest'ultimo della delibera totalitaria, è necessario che la decisione dell'assemblea sia rivestita dalla forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata, al fine di completare (anche nei confronti dei terzi: c.d. efficacia erga omnes) i voluti effetti immobiliari.

Considerando l'aspetto temporale, è prassi che il titolo contrario sia stipulato (approvato e sottoscritto) all'atto della c.d. costituzione del condominio (cioè, contemporaneamente alla prima vendita), potendo, in tal modo, essere facilmente assentito da tutti i condomini.

Come detto, il titolo contrario potrebbe anche essere stipulato successivamente, ma, a prescindere dall'unanimità che non può che essere sempre richiesta, gli effetti sarebbero diversi.

Si dice, infatti, che il superamento della presunzione contenuta nell'art. 1117 c.c., se avviene al momento della costituzione del condominio, non determina uno spostamento di titolarità da un soggetto a un altro; se avviene invece durante la vita dell'immobile (successivamente alla nascita del condominio), determinerà un effetto traslativo sulla proprietà del bene/impianto (che passerà da comproprietà condominiale, a proprietà esclusiva/separata di uno o più condomini).

Assodato quanto sopra, può allora comprendersi la motivazione per cui la giurisprudenza afferma che per stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di proprietà comune, bisogna far riferimento all'atto costitutivo del condominio, cioè al primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dall'originario unico proprietario a un altro soggetto, atto che, essendo fonte comune dei rispettivi diritti delle parti, ne determina l'estensione e i limiti; cosicché, ove in tale atto un bene, rientrante per legge fra quelli di proprietà comune, venga attribuito con univoca e chiara manifestazione di volontà, a uno dei contraenti, la presunzione di comunione viene definitivamente meno; e, al contrario, quando il bene nasce di proprietà comune non può più venir meno, per effetto del negozio con cui uno dei condomini intenda attribuire la proprietà a un terzo, salvo che mediante una delibera di natura contrattuale, con il consenso scritto di ciascun condomino, si attribuisca il bene comune in proprietà esclusiva a uno di essi oppure a un terzo.

CASISTICA

Titolo contrario: l'atto costitutivo del condominio

Al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione di cui all'articolo 1117 c.c., occorre fare riferimento all'atto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dell'originario proprietario ad altro soggetto. Pertanto, se in occasione della prima vendita la proprietà di un bene potenzialmente rientrante nell'ambito dei beni comuni risulti riservata a uso solo dei contraenti, deve escludersi che tale bene possa farsi rientrare nel novero di quelli comuni (Cass. civ., sez. II, 15 novembre 2016, n. 23257).

Atto successivo alla prima vendita

Al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c., occorre fare riferimento all'atto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dall'originario proprietario ad altro soggetto. Può, infatti, escludersi che un bene possa rientrare nel novero di quelli comuni solo nel caso in cui nel primo atto di vendita esso sia stato riservato in proprietà esclusiva a uno solo dei contraenti. Deriva da quanto precede, altresì, che il titolo di proprietà esclusiva del bene, in capo al singolo condomino non può essere costituito da un atto successivo alla costituzione del condominio (nella specie intervenuto, all'estremo, in corso di causa) (Cass. civ., sez. II, 6 marzo 2012, n. 3473).

Il regolamento assembleare

La disposizione di cui all'art. 1117 c.c. pone una presunzione di condominialità per i beni ivi indicati, la cui elencazione non è tassativa, che deriva sia dall'attitudine oggetti va del bene al godimento comune, sia dalla concreta destinazione del medesimo al servizio comune; ne consegue che non solo tale disposizione ha funzione ed efficacia integrativa del regolamento condominiale, ma altresì che la presunzione legale da essa posta può essere superata solo dalla prova di un titolo contrario, che si identifica nella dimostrazione della proprietà esclusiva del bene in capo ad un soggetto diverso. Tanto premesso, è evidente che tale prova non può essere data dalla clausola del regolamento condominiale che non menzioni detto bene tra le parti comuni dell'edificio, non costituendo tale atto un titolo idoneo a dimostrare la proprietà esclusiva del bene e quindi la sua sottrazione al regime della proprietà condominiale; il regolamento di condominio, infatti, non costituisce un titolo di proprietà, ma ha la funzione di disciplinare l'uso della cosa comune e la ripartizione delle spese (Cass. civ., sez. II, 26 giugno 2012, n. 13262).

Il regolamento contrattuale

L'art. 1117 c.c. non ha sancito una presunzione legale di comunione delle cose in esso elencate nei n. 1, 2 e 3, ma ha disposto che esse sono comuni a meno che non risultino di proprietà esclusiva in base a un titolo, che può essere costituito dal regolamento contrattuale, o dal complesso degli atti di acquisto delle singole unità immobiliari o anche dall'usucapione (App. Reggio Calabria, 13 luglio 2004).

La particolare destinazione oggettiva

Oltre al titolo contrario, però, l'interpretazione giurisprudenziale ha individuato un'ulteriore possibilità di superamento della presunzione consistente nella particolare destinazione oggettiva del bene/impianto.

L'opinione sul punto è ormai consolidata e consiste nell'affermazione per cui il diritto di condominio sulle parti comuni dell'edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l'esistenza dell'edificio stesso, ovvero siano permanentemente destinate all'uso o al godimento comune, sicché la presunzione di comproprietà posta dall'art. 1117 c.c., che contiene un'elencazione non tassativa, ma meramente esemplificativa dei beni da considerare oggetto di comunione, può essere superata se la cosa, per oggettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo meno, in questi casi, il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene prevale sull'attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario (Cass. civ., sez. II, 2 agosto 2010, n. 17993).

In pratica, accanto al titolo contrario espressamente previsto dalla legge, la giurisprudenza ha riconosciuto all'oggettiva destinazione del bene, la facoltà di ottenere l'effetto di superamento della condominialità della cosa.

Le due ipotesi (da una parte, il titolo contrario, e, dall'altra, la destinazione oggettiva del bene) sono del tutto equivalenti, e determinano il medesimo effetto di attribuzione della titolarità ad uno o più soggetti, che, però, non corrispondono all'intero complesso indistinto dei condomini.

In altri termini, o per titolo contrario, o per destinazione, il bene e/o l'impianto può essere escluso dal patrimonio del condominio.

Tenuto conto di tutto ciò, è quindi possibile ricostruire ogni eventuale ipotesi come segue:

  • il bene/impianto è incluso nell'elenco dell'art. 1117 c.c. e si presume condominiale;
  • il bene/impianto è incluso nell'elenco dell'art. 1117 c.c. ma un titolo contrario lo attribuisce in proprietà ad uno o ad alcuni condomini;
  • il bene/impianto pur essendo incluso nell'elenco dell'art. 1117 c.c. non è condominiale perché è (oggettivamente) destinato a servire una parte delle porzioni immobiliari (si pensi alle scale destinate ad una parte dell'edificio);
  • il bene/impianto non è incluso nell'elenco dell'art. 1117 c.c. ed è condominiale in base alla sua destinazione oggettiva;
  • il bene/impianto non è incluso nell'elenco dell'art. 1117 c.c. e sarebbe condominiale in base alla sua destinazione oggettiva, ma un titolo contrario lo attribuisce in proprietà ad uno o ad alcuni condomini.
L'esclusione del vincolo di accessorietà tra (alcune) parti comuni e le proprietà private: orientamenti a confronto

L'ESCLUSIONE DEL VINCOLO DI ACCESSORIETÀ TRA (ALCUNE) PARTI COMUNI E LE PROPRIETÀ PRIVATE: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

È possibile riservarsi la proprietà di una parte comune

Le parti comuni di un edificio in condominio, se legate da mera relazione spaziale e non anche da rapporto accessorio-principale, possono essere escluse dal contratto di compravendita di un'unità immobiliare ubicata nello stabile condominiale purché il venditore resti proprietario esclusivo di un'altra porzione di piano (Cass. civ., sez. VI, 26 ottobre /2011, n. 22361).

In tema di condominio di edifici le vicende traslative riguardanti i piani o le porzioni di piano di proprietà individuale non estendono i loro effetti alle cose legate all'edificio da mera relazione spaziale, costituenti beni ontologicamente diversi suscettibili di godimento fine a se stesso che si attua in modo indipendente da quello delle unità abitative (Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1993, n. 4931).

Nullità della clausola che esclude la condominialità

La clausola, contenuta nel contratto di vendita di un'unità immobiliare di un condominio, con la quale viene esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune delle parti comuni, è nulla, poiché con essa si intende attuare la rinuncia di un condomino alle predette parti, vietata dal capoverso dell'art 1118 c.c. (Cass., civ., sez. II, 29 gennaio 2015, n. 1680).

Il comma 2 dell'art. 1118 c.c., a norma del quale il condomino non può, rinunciando al diritto sulle parti comuni, sottrarsi al contributo sulle spese per la loro conservazione, esclude la validità della predetta rinuncia dato che le parti comuni necessarie per l'esistenza e l'uso dei piani o delle porzioni di piano ovvero destinate al loro uso e servizio continuerebbero a servire il condomino anche dopo, e nonostante, la rinuncia. È pertanto, nulla la clausola contenuta nel contratto di compravendita di un appartamento sorto in un edificio in condominio con cui viene esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune parti comuni dell'edificio comuni per legge o per volontà delle parti, avendo una siffatta clausola il contenuto e gli effetti di una rinuncia del condomino (acquirente) alle predette parti (Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1995, n. 6036). Conforme anche Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1977, n. 3309.

Guida all'approfondimento

Viterbo, La rinunzia del comproprietario al suo diritto, in Riv. dir. civ., 2016, 2, 387.

Cappai, Il condominio: la presunzione di comunione e le parti dell'edificio funzionalmente ibride,in Resp. civ. prev., 2014, 3, 733.

Musto, Contributo allo studio della riforma del condominio: temi e questioni di interesse notarile, in Studi e Materiali, 2014, 2, 263.

Cappai, La presunzione di comunione ex art. 1117 c.c.: ambito applicativo, titolo contrario e natura giuridica della regola, in Riv. giur. sarda, 2013, 3, 1, 560.

De Tilla, Presunzione di comunione e titolo contrario, in Arch. loc. cond., 2012, 3, 297.

Corona, Appunti sulla situazione soggettiva di condominio, in Riv. not., 2006, 3, 1, 633.

Ditta, In tema di pertinenze e di presunzione di comunione nel condomino negli edifici, in Riv. giur. ed., 2005, 1, 1, 63.

Izzo, Sulla proprietà di cose comuni nel condominio edilizio, in Giust. civ., 2005, 12, 1, 3083.

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