Trading on line e manipolazione del mercato

07 Marzo 2018

Il reato di manipolazione di mercato di cui all'art. 185 D.lgs. n. 58/1998 ha natura di illecito di mera condotta, essendo sufficiente per la sua integrazione che siano posti in essere comportamenti idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, senza che sia necessario il verificarsi di tale evento.
Massima

Il reato di manipolazione di mercato di cui all'art. 185 D.lgs. n. 58/1998 ha natura di illecito di mera condotta, essendo sufficiente per la sua integrazione che siano posti in essere comportamenti idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, senza che sia necessario il verificarsi di tale evento.

La condotta di uno “scalper”, che acquista e rivende un titolo in un brevissimo intervallo di tempo, può rappresentare l'artificio che integra una manipolazione del mercato, dovendo a tal proposito impiegarsi l'analisi delle variazioni del volume di scambio e del prezzo dei titoli nei giorni in cui ha operato il trader e in quelli in cui è stato fermo come uno dei criteri prognostici utili per valutare l'idoneità ex ante delle attività negoziali ad alterare sensibilmente il prezzo dei titoli finanziari quotati in borsa,senza peraltro utilizzarlo per individuare un evento di danno non previsto dalla fattispecie del reato.

Il caso

A seguito di una segnalazione di Borsa Italiana S.p.a., relativa ad operazioni “anomale” reputate in grado di determinare una variazione significativa del prezzo di alcune azioni, la Consob avviava indagini sulle attività di un trader on line.

In particolare, si sosteneva che questi ponesse in essere una complessa attività consistente nell'individuazione di un titolo cd. “sottile”, cioè caratterizzato da scarsa liquidità e da elevata volatilità di prezzo; nell'esecuzione di acquisti a prezzi crescenti su questo titolo nel corso di una seduta; nella realizzazione di operazioni incrociate, con sé stesso o anche con altri soggetti, tramite l'inserimento, pressoché simultaneo, di proposte di negoziazione in acquisto e in vendita dello strumento finanziario per pari quantità e prezzo e per quantitativi notevolmente superiori alla dimensione media degli scambi effettivi sul titolo interessato conclusi nella giornata; nella successiva chiusura della posizione tramite la vendita delle azioni acquistate a prezzi mediamente superiori a quelli di acquisto.

All'esito delle indagini, dopo l'adozione di un provvedimento cautelare ex art. 187-septies D.lgs. n. 58/1998, la Consob contestava al trader l'illecito di manipolazione del mercato azionario, irrogando una sanzione amministrativa ai sensi dell'art. 187-ter D.lgs. n. 58/1998, oltre alla confisca dei beni costituenti il profitto dell'illecito ed alla sanzione accessoria di cui all'art. 187-quater dello stesso decreto legislativo. Lo stesso trader, poi, veniva denunciato per il reato di cui all'art. 185 D.lgs. n. 58/1998.

Le sanzioni amministrative venivano impugnate (come si desume dalla sentenza della Cassazione, Sez. II civile, n. 6470/2015, che si è occupata della vicenda). La Corte d'appello di Genova, con sentenza del 29/5/2010, rigettava il reclamo del trader avverso dette sanzioni. A seguito di ricorso di quest'ultimo, la Corte di Cassazione, con la sentenza indicata, annullava con rinvio la decisione del collegio di merito. Con successiva sentenza del 30/11/2016, la Corte di appello di Genova annullava la delibera della Consob con la quale erano state irrogate le sanzioni (cfr. la sentenza della Corte di appello di Genova reperibile sul sito istituzionale della Consob).

Il Tribunale di Milano, competente sull'illecito penale, invece, assolveva l'imputato. La Corte di appello, su ricorso della parte civile Consob, ribaltava la decisione, dichiarando l'imputato responsabile, ancorché ai soli effetti civili, del reato di abuso di mercato, peraltro prescritto alla data della pronuncia della sentenza di appello. Egli, pertanto, veniva condannato al risarcimento del danno a favore della Consob, liquidato in via equitativa in € 50.000,00.

Avverso questa decisione, l'imputato proponeva ricorso per cassazione.

Il ricorrente, in estrema sintesi, lamentava che la Corte di appello avesse ritenuto dimostrata la connessione tra le operazioni di compra – vendita di titoli da egli eseguite e l'incremento del prezzo degli stessi titoli, che sarebbero stati scambiati fittiziamente, non tenendo conto, tra l'altro, dell'incidenza delle analoghe condotte poste in essere da altri operatori ovvero di altri fattori (ad esempio le informazioni sui titoli in crescita) anche riconducibili allo stesso mercato nonché del fatto che le stesse tabelle prodotte dalla Consob nel giudizio dimostravano che l'incremento dei prezzi di tali titoli iniziava prima dell'azione della sua attività.

Il ricorrente aggiungeva che l'ampia oscillazione di prezzi è una caratteristica naturale dei titoli cd. “sottili”, oggetto delle operazioni e non una conseguenza delle sue attività.

Egli era solito agire quale “scalper”, e cioè “come operatore che effettua compravendite mobiliari sul mercato telematico, acquistando un titolo e rivendendolo nel giro di un brevissimo intervallo di tempo, dell'ordine anche di qualche minuto, con margini di guadagno molto bassi”. Tale circostanza era desumibile dalla testimonianza dello stesso funzionario della Consob che aveva condotto le indagini. Questa condotta è consentita dalle regole del mercato e non integra una illecita manipolazione del prezzo dei titoli.

Le questioni

Nell'ambito del trading on line si definisce “scalping” l'apertura e la chiusura di posizioni su vari prodotti finanziari, in genere azioni, in un breve arco temporale. Lo “scalper” è un operatore che effettua compravendite mobiliari sul mercato telematico, acquistando un titolo e rivendendolo nel giro di un brevissimo intervallo di tempo, dell'ordine di qualche minuto, con margini di guadagno molto bassi.

Il termine deriva dall'inglese “scalp”, cuoio capelluto. Le antiche popolazioni americane ritenevano che il possesso dello scalpo del nemico ucciso in battaglia non solo dimostrasse il valore del guerriero, ma fosse anche un modo per impadronirsi delle doti della vittima. Lo “scalper”, ovviamente, non intende portare via lo scalpo ad alcuno, ma solo conseguire velocemente un piccolo profitto con operazioni in borsa, lucrando su minimi margini tra prezzo di acquisito e di vendita di titoli nell'arco della stessa giornata, approfittando anche di commissioni basse per chi si serve della negoziazione telematica.

Di scalping, invero, si parla anche in tema di abuso di informazioni privilegiate, con riferimento alla condotta di un giornalista economico o di un analista finanziario che speculi sugli effetti di un articolo o di un'analisi che egli stesso è in procinto di pubblicare, capace di influenzare i prezzi dei titoli analizzati (V. Napoleoni, Insider trading nel diritto penale, in Digesto penale 2008).

Questo genere di comportamenti può avere un'influenza sul prezzo dei titoli. Gli altri partecipanti al mercato, per esempio, possono essere ingannati dall'aumento del prezzo, provocato dal mero improvviso incremento della domanda del titolo, ed essere perciò indotti a compiere acquisti. Su questa reazione, anche minima, conta, verosimilmente il trader che ha già preventivato di cedere in giornata i titoli acquistati, conseguendo un basso guadagno, ma assumendo un basso rischio.

Il tema sotteso alla decisione in commento, pertanto, riguarda l'individuazione dei limiti entro cui simili condotte possono ritenersi lecite e della eventuale configurabilità in tale ipotesi di una forma di manipolazione del mercato.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando con rinvio la sentenza della Corte di appello.

Il reato di manipolazione del mercato di cui all'art. 185 T.U.F. è di mera condotta. Per la sua integrazione è sufficiente che siano posti in essere comportamenti diretti a cagionare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, senza che sia necessario il verificarsi di tale evento (Cass. n. 28932/2011; Cass. n. 25450/2014).

Trattandosi di un reato di pericolo concreto, tuttavia, è necessario che l'azione sia idonea a mettere in pericolo l'interesse protetto dalla norma, costituito dal corretto ed efficiente andamento del mercato al fine di garantire che il prezzo del titolo nelle relative transazioni rifletta il suo valore reale e non venga influenzato da atti o fatti artificiosi o fraudolenti (Cass. n. 45347/2015, in cui è stata ritenuta legittima la sentenza di merito che aveva escluso la sussistenza del reato sulla base di un giudizio controfattuale, all'esito del quale aveva concluso che una diversa condotta degli imputati non avrebbe comportato un differente atteggiarsi del prezzo del titolo).

L'indagine del giudice deve essere diretta all'accertamento della idoneità ex ante della condotta posta in essere a determinare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari. La verifica ex post dell'effettiva realizzazione di tale alterazione, infatti, costituisce solo un elemento sintomatico di tale idoneità in concreto (Cass. n. 4619/2014).

Nel caso di specie, il giudice di appello ha desunto la prova dell'incidenza delle condotte dell'imputato sul prezzo delle azioni da due elementi:

- la tipologia di titoli scambiati ed oggetto della contestazione (titoli cd. “sottili”, per i quali non si registra normalmente un grande volume di scambi, essendo a bassa capitalizzazione);

- la tipologia di operazioni “incrociate” attuate dall'imputato (vendite ed acquisti con se stesso, che avrebbero avuto come effetto l'incremento fittizio del volume degli scambi, grazie al cd. “effetto gregge” (herd effect) che si produce sul mercato azionario in conseguenza di un'improvvisa esplosione di interesse degli scambi su di un certo titolo senza che sia ben nota la causa).

Questi elementi, tuttavia, erano già stati considerati dal Tribunale, “senza superare, in quella sede, il vaglio di idoneità a costituire prova della sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di abuso di mercato da parte dell'imputato”.

La Corte di appello, pertanto, avrebbe dovuto fornire una motivazione più persuasiva.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, che sia caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio (Cass. n. 6817/2014, dep. 2015; Cass. n. 12273/2013, dep. 2014; Cass. n. 45203/2013; Cass. n. 46847/2012).

Occorre, in altri termini una “motivazione rafforzata”, come è stato evidenziato anche dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 33748/2005, secondo cui il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato).

Successivamente, sempre le Sezioni Unite della corte di Cassazione (Cass. S.U, n. 27620/2016, Dasgupta, Rv. 267489) hanno evidenziato come, per effetto del rilievo dato dal legislatore alla introduzione del canone “al di là di ogni ragionevole dubbio”, inserito nel comma 1 dell'art. 533 cod. proc. pen. ad opera della legge 20 febbraio 2006, n. 46, nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, occorrendo una "forza persuasiva superiore", tale da far venire meno, appunto, "ogni ragionevole dubbio”.

In relazione alla motivazione che doveva essere offerta, la decisione in esame ha precisato che è onere della pubblica accusa addurre la prova dell'artificiosità delle condotte di scambio azionario e della loro idoneità ad alterare sensibilmente il prezzo di strumenti finanziari quotati ai fini della configurabilità, a carico dell'autore di tali condotte, del reato di cui all'art. 185 D.lgs. n. 58/1998.

A tal proposito, la Corte ha reputato corretto il criterio adoperato dal tribunale, che era pervenuto ad una pronuncia assolutoria, consistente nell'analisi delle variazioni di volume di scambi e prezzi dei titoli realmente avvenute nelle giornate in contestazione in cui aveva operato l'imputato ed in quelle in cui questi era stato fermo. Trattasi di un “dato fattuale che può e deve essere considerato nella prognosi ex ante di idoneità delle condotte ad alterare sensibilmente il prezzo dei titoli finanziari quotati in borsa”. Del resto, “non si vede da cosa, se non da dati fattuali, sarebbe possibile desumere la prova di tale idoneità in concreto”, mentre altri aspetti, come il comportamento degli altri trader o l'agire di terzi sul mercato assumono solo un rilievo “di contorno”.

Osservazioni

Il trading on line, cioè la compravendita di strumenti finanziari tramite internet, come è noto, offre una serie di vantaggi all'investitore, come minori costi di commissione o la possibilità di adeguare le decisioni di acquisto o di vendita in tempo reale alle informazioni sull'andamento di un particolare titolo o della borsa in generale.

Questo tipo di pratica comprende vari modi di operare da parte degli investitori. In base all'orizzonte temporale, essa contempla anche lo scalping, le cui caratteristiche sono state illustrate dapprima.

Tale fenomeno può provocare effetti distorsivi nello svolgimento delle negoziazioni, potendo condurre a configurare anche il reato di manipolazione del mercato.

La sentenza in esame, infatti, non ha escluso che in astratto questo genere di condotte, che singolarmente considerate sono pienamente lecite, possa integrare il predetto illecito penale, rilevando piuttosto che, nel caso di specie, la sentenza di appello aveva ribaltato la pronuncia assolutoria di primo grado senza offrire una motivazione più persuasiva di quest'ultima.

Tale motivazione avrebbe dovuto riguardare, in primo luogo, l'elemento oggettivo del reato.

L'art. 185, comma 1, T.U.F., più in particolare, incrimina due condotte tipiche, tra loro alternative, che si sostanziano nella “diffusione di notizie false” (c.d. manipolazione informativa) ovvero nel porre in essere “operazioni simulate” o “altri artifici” su strumenti finanziari idonei ad provocare «una sensibile alterazione del prezzo» (c.d. manipolazione operativa).

Nel caso in esame viene in rilievo la seconda fattispecie.

La manipolazione operativa si sostanzia nel porre in essere “operazioni simulate” o “altri artifici” su strumenti finanziari idonei a provocarne una sensibile alterazione del prezzo.

L'individuazione del concetto di “operazioni simulate”, secondo una parte della dottrina, non può che avvenire attraverso il richiamo alle categorie civilistiche della simulazione, trattandosi di elemento normativo extrapenale.

Una diversa ricostruzione elabora una nozione penalistica di atti simulati, che identifica la simulazione come espressione tipica di una condotta fraudolenta. La condotta di simulazione, in tal modo, s'identifica con quella di atti artificiosi, oggettivamente idonei a trarre in inganno.

La formula “altri artifizi” individua tutte quelle condotte, in qualsiasi modo attuate, con le quali si forniscono al mercato false indicazioni o segnali su strumenti finanziari, concretamente idonei ad alterarne le quotazioni, per effetto dell'influenza sulle scelte di investimento dei risparmiatori.

Nel caso si specie, la Corte di appello avrebbe dovuto offrire un'adeguata motivazione in ordine alla riconducibilità della specifica attività di trading posta in essere dall'imputato al concetto di artificio idoneo ad alterare i prezzi dei titoli (ovvero di atto simulato, ove di ampli tale concetto fino a ricomprendere in asso anche condotte di natura fraudolenta).

A tal proposito, occorre seguire in ogni caso criteri probabilistici circa l'incidenza sul prezzo, prescindendo dai risultati poi concretamente prodotti. Questi ultimi semmai, come è stato precisato in sentenza, costituiscono un “elemento sintomatico di tale idoneità”.

Il reato, infatti, come è stato precisato, è di pericolo concreto. L'evento di pericolo descritto dalla norma incriminatrice è la “sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari”. Questo evento deve essere verificato attraverso il criterio della prognosi postuma, secondo una valutazione ex ante in rapporto ad una figura di investitore ragionevole.

In ogni caso, la prova dell'artificiosità delle condotte di scambio azionario e della loro idoneità ad alterare sensibilmente il prezzo di strumenti finanziari quotati ai fini della configurabilità deve essere offerta dalla pubblica accusa.

In questa prospettiva, l'analisi delle variazioni di volume di scambi e prezzi dei titoli realmente avvenute nelle giornate in cui ha operato l'imputato ed in quelle in cui questi era stato fermo assume un notevole significato, ma non per individuare un evento di danno non previsto dalla norma, quanto per ottenere una conferma alla validità della prognosi ex ante di idoneità delle condotte ad alterare sensibilmente il prezzo dei titoli finanziari quotati in borsa.

Questo criterio, peraltro, va valutato in un contesto più ampio, in cui assumono rilievo anche altri elementi, tra i quali quelli che la decisione definisce “di contorno”, come il comportamento degli altri trader o l'agire di terzi sul mercato, nonché le informazioni diffuse nelle giornate in cui ha operato lo scalper, il volume effettivo delle operazioni da questi poste in essere poste, ogni altro elemento fattuale che può avere orientato il suo agire e finanche il complessivo andamento del mercato in quelle giornate.

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