Controlli e nuove tecnologie: dal caso "Amazon" indizi sulla logistica del futuroFonte: Reg. 27 aprile 2016 n. 679
08 Marzo 2018
Introduzione
E' ormai di pubblico dominio il deposito di due brevetti da parte di Amazon relativi ad una nuova tecnologia in grado di coordinare e monitorare l'attività svolta dai propri dipendenti all'interno dei locali magazzino. Più nello specifico, trattasi di un braccialetto elettronico che, grazie ad una rete di trasduttori a ultrasuoni, è capace di mappare ed indicare al singolo dipendente quali oggetti debba movimentare all'interno dei depositi di proprietà del colosso mondiale, e, quindi, al contempo, se quelli con cui quest'ultimo entri in contatto siano di sua competenza in termini logistici. A questa futuristica dotazione si attribuirebbero anche dei risvolti pratici in termini di sicurezza sul lavoro, posto che, lasciando libere le mani e gli occhi degli addetti al magazzino, aumenterebbe la capacità di attenzione di quest'ultimi verso l'ambiente circostante, permettendogli di rilevare con maggiore facilità la presenza di eventuali pericoli.
I costanti progressi delle tecnologie implementabili nei processi gestionali e produttivi delle imprese devono spingere verso una più profonda riflessione riguardante gli ormai labili confini che separano quelle forme di controllo preterintenzionale ricollegabili agli “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”, che l'art. 4, co. 2, dello Statuto dei Lavoratori (così come emendato dall'art. 23, D.Lgs. n. 151/2015) prevede siano effettuabili senza ricorso ad un preventivo accordo sindacale, da quelle diversamente ed unicamente sottese ad attività di videosorveglianza oppure di analisi della performance individuali dei prestatori di lavoro, che richiedono detto accordo o, in difetto, l'autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro. Quest'ultime due fattispecie, in particolare, pongono l'accento sulle ulteriori problematiche connesse agli obblighi scaturenti dalla normativa di riferimento per il trattamento dei dati sensibili. Le relazioni industriali e le intricate maglie della privacy
Odiernamente, il tema della privacy si sta progressivamente innestando nelle logiche imprenditoriali nostrane in previsione del 25 maggio 2018, data di entrata in vigore del Regolamento UE/2016/679, che, a titolo esemplificativo, all'art. 22 introduce il divieto alla cd. attività di “profilazione”, ovvero quella, tra le altre cose, mirata ad “analizzare o prevedere aspetti riguardanti il rendimento professionale”, qualora sia compiuta in assenza del consenso dell'interessato e di un'adeguata informativa sulle finalità e modalità di utilizzo dei dati raccolti. La profilazione della performance lavorativa è indubbiamente un tema caldo in ambito giuslavoristico, ma non è l'unico.
E' notorio che le modifiche apportate dalla denominata riforma “Jobs Act” all'art. 4 St.Lav. hanno determinato l'eliminazione dell'originario comma 1, che vietava “l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori”, e ciò ha determinato la nascita di nuovi scenari e tavoli di discussione, che non possono essere rifuggiti aprioristicamente per il solo fatto di essere potenzialmente capaci di determinare controlli più penetranti nei confronti dei lavoratori, potendo i controlli medesimi ricondursi ad una legittima quanto involontaria conseguenza dell'utilizzo dell'apparecchiatura in dotazione al personale in forza, o, in ogni caso, essere messi in atto nel rispetto dei principi di necessità, pertinenza e non eccedenza del trattamento dei dati personali così come sancito dagli artt. 3 e 11, co. 1, lett. d) ed e) del D.Lgs. n. 196/2003.
Il rischio concreto di un atteggiamento di eccessiva chiusura da parte delle OO.SS. è che gli operatori economici siano portati progressivamente a non considerarle un interlocutore effettivo quanto più un ostacolo burocratico, e, dando per presupposto il mancato raggiungimento di un accordo sindacale, finiscano con il concentrarsi esclusivamente sull'ottenimento dell'autorizzazione da parte dell'ITL competente per territorio. In un momento storico in cui i lavoratori, nei momenti di grande agitazione (si pensi ai casi dei referendum Almaviva ed Alitalia), hanno già dimostrato un principio di scollamento tra rappresentanti e rappresentati, questa non è un'opzione percorribile, in quanto la perdita del proprio ruolo da parte dei sindacati si risolverebbe nell'impossibilità di un costruttivo dialogo tra lavoratore e impresa.
Nonostante ciò, si ravvedono le premesse per incontrare fattivamente un simile detestabile scenario. Si pensi ad uno dei primi conflitti sorti in seguito alla riformulazione dell'art. 4 St. Lav., che riguardò FINCANTIERI e il possibile inserimento di un microchip in grado di segnalare lo stato di usura delle scarpe antinfortunistiche all'interno delle quali era preventivamente installato, nonché di rilevare l'esatta posizione degli operai all'interno dei cantieri navali in caso di incidente. Ne seguì un periodo di scioperi e d'importante raffreddamento delle relazioni intercorrenti tra le Parti Sociali, senza che fossero minimamente discussi i punti di forza e le criticità della predetta determinazione aziendale.
Nello stesso senso, in epoca più recente, ha ricevuto una grande visibilità l'istanza promossa dai sindacati avverso il sistema di gestione dell'attese di Poste Italiane (cd. Eliminacode), di cui il Garante della Privacy, con Provvedimento n. 479 del 16 novembre 2017, ha statuito l'illiceità sotto il profilo delle modalità del trattamento poiché, a detta di quest'ultimo, in grado di consentire, di fatto, anche il monitoraggio pervasivo e costante dei dipendenti, traducibile in un controllo datoriale a distanza effettuato per ragioni tali da imporre il preventivo accordo sindacale o l'autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro come sancito dalla normativa di riferimento.
In antitesi alla richiamata casistica, forse l'unico esempio delle positive relazioni che le Parti Sociali possono sviluppare nel reciproco interesse in tema di nuove tecnologie è riscontrabile con riguardo ai sistemi di geolocalizzazione nelle dotazioni dei lavoratori, laddove il Garante della Privacy ha già dato parere favorevole al loro impiego quando il trattamento dei relativi dati sensibili sia concordato preliminarmente con i sindacati (in quel caso era stato raggiunto l'accordo) e contemperi la possibilità di attivare o disattivare il sistema GPS ad opera degli stessi soggetti interessati (vedi Provvedimento n. 401 dell'11 settembre 2014).
Riportando il discorso su un piano generale, si comprende come la vera sfida debba essere individuata nel timore delle OO.SS. che un maggior controllo sui lavoratori possa servire al datore per individuare “i parametri per accertare che la prestazione sia eseguita con la diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratori” cosicché un eventuale “discostamento dai detti parametri (possa) costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione”(Cass. sez. lav., 9 luglio 2015, n. 14310; in senso conforme: Cass. sez. lav., 10 novembre 2017, n. 26676 – per un maggiore approfondimento a tal ultimo riguardo, si rinvia al recente articolo di M. Gatti, Licenziamento per scarso rendimento: i criteri di articolazione dell'onere probatorio, IlGiuslavorista, Giuffrè, Milano, 2018), e, dunque, consentire il licenziamento per cosiddetto “scarso rendimento” di elaborazione giurisprudenziale. Ed invero, ai sensi del co. 3 dell'art. 4 St. Lav. le “informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”, di talché le suddette informazioni potrebbero essere utilizzate anche con finalità di carattere disciplinare (compreso il recesso), ma è altrettanto vero che l'inciso finale pone a salvaguardia dei lavoratori il Codice della Privacy, e, dunque, l'obbligo di un'adeguata informativa verso gli interessati.
Ad avviso di chi scrive, la morale insita nel quadro poc'anzi illustrato è rinvenibile nella dannosità dalla cieca demonizzazione delle nuove tecnologie in ambito lavorativo, come per i wearable device, categoria all'interno della quale rientrano i braccialetti in esame, di cui non sappiamo praticamente nulla, e di cui forse mai nulla sapremo, ma che si potrebbero rivelare un mero strumento di efficientamento produttivo anziché di controllo, con implementati sistemi di conservazione dei dati in forma anonimizzata e/o crittografata non finalizzati all'attività di profilazione inerente ai prestatori di lavoro.
Prima di concludere, sotto un diverso ed ulteriore profilo, si evidenzia che, nel caso de quo, l'emissione continua di impulsi non dolorosi verso gli addetti al magazzino potrebbe comportare nei confronti del datore di lavoro l'obbligo ex art. 28 ss., D.Lgs. n. 81/2008, di effettuare una specifica valutazione dei rischi connessi agli stessi in termini di salute e sicurezza sul lavoro, anche in termini di stress correlato, ritenendosi opportuno prendere in considerazione gli effetti prodotti da frequenti stimolazioni riconducibili a dotazioni aziendali sullo stato psico-fisico dei dipendenti. In conclusione
Nella loro semplicità, le parole del Ministro Giuliano Poletti si rivelano la più efficace sintesi di questa vicenda: “Non ho visto nel dettaglio. Ma in Italia c'è una regolazione per legge degli strumenti che ipoteticamente consentono il controllo a distanza, quindi se un'azienda intende utilizzare strumenti del genere deve farlo nel rispetto della legge o in accordo con i sindacati o con l'autorizzazione del Ministero”.
Ciò che è certo è che il progresso non si può arrestare, soprattutto in un mercato in crisi, che grazie ad esso può risollevarsi e rafforzarsi, perciò agli attori coinvolti nel relativo contesto socio-economico non resta che la scelta su come affrontarlo per non soccombere di fronte ad esso. Agli operatori del diritto, d'altro canto, spetta ancora una volta l'arduo compito di rendersi interpreti e mediatori rispetto a quel contemperamento di interessi che muove i propri passi tra l'art. 36 e l'art. 41 della Costituzione, baluardi dei principi posti rispettivamente a tutela dei lavoratori e degli imprenditori. |