Riduzione dei costi professionali e disciplina della prededuzione

Marco Terenghi
09 Marzo 2018

Come noto, uno dei principi ispiratori generali della legge delega n. 155/2017 è quello c.d. di “economicità delle procedure”, inteso come l'obiettivo di evitare la lievitazione dei costi e l'eccessiva espansione dell'area della prededucibilità, onde consentire il miglior soddisfacimento dei creditori concorsuali senza compromettere fin da subito le possibilità di sopravvivenza dell'impresa in crisi.
Premessa

Come noto, uno dei principi ispiratori generali della legge delega n. 155/2017 è quello c.d. di "economicità delle procedure", inteso come l'obiettivo di evitare la lievitazione dei costi e l'eccessiva espansione dell'area della prededucibilità, onde consentire il miglior soddisfacimento dei creditori concorsuali senza compromettere fin da subito le possibilità di sopravvivenza dell'impresa in crisi.

Il principio ha trovato la propria collocazione specifica nell'art. 2, lett. l, della legge delega, che invita il Governo a ridurre la durata ed i costi delle procedure concorsuali “anche attraverso misure di responsabilizzazione degli organi di gestione e di contenimento delle ipotesi di prededuzione, con riguardo altresì ai compensi dei professionisti, al fine di evitare che il pagamento dei crediti prededucibili assorba in misura rilevante l'attivo delle procedure”.

Lo schema di decreto legislativo che costituisce la bozza del "Codice della crisi e dell'insolvenza" dedica quindi grande attenzione al tema, tanto da riservargli l'intera Sezione II dei “Principi Generali” di cui al Capo II, denominata appunto “Economicità delle procedure” e composta dagli artt. 8-9. Prima ancora, peraltro, il “Codice” chiarisce, all'art. 6, punto b), della Sezione I (“Obblighi dei soggetti che partecipano alla regolazione della crisi o dell'insolvenza”), che i professionisti di nomina privata o pubblica hanno il dovere di “contenere in modo ragionevole e proporzionato la durata ed il costo delle prestazioni rese”.

Ora, viene istintivo immaginare che il perseguimento dell'economicità di una procedura postuli una serie di strumenti contenitivi, dissuasivi ma se del caso anche premiali, diretti ad incidere ad ampio raggio sulle varie componenti di spesa normalmente ricorrenti in situazioni del genere (contratti pendenti che proseguono, oneri che maturano, e così via). Invece, esaminando il testo dei citati artt. 8-9, ci si avvede che il primo è interamente dedicato ai soli “costi professionali e di consulenza”, mentre il secondo, nominalmente destinato a definire il concetto di “prededucibilità” creditizia, introduce a sua volta una serie di limitazioni e restrizioni all'attribuzione della prededuzione ai crediti professionali. Evidentemente, quindi, agli occhi del legislatore delegante e di quello delegato il problema dell'economicità delle procedure può risolversi con la semplice riduzione “a tappeto” dei soli compensi prededotti per i professionisti (gli unici a subire un taglio percentuale), ai quali ultimi va altrettanto evidentemente attribuita in via pressoché esclusiva (sempre nella mente del legislatore) la responsabilità per gli scarsi risultati raggiunti in questi anni dalle procedure concorsuali in termini di soddisfacimento dei creditori.

Troppo facile, viene da dire, ma anche prospetticamente pericoloso, perché, come quasi sempre accade, il focalizzarsi su di un unico aspetto che diventa quasi ossessivo (calmierare i costi professionali che erodono l'attivo concorsuale) finisce per offuscare la visuale sul fenomeno nel suo complesso. Una simile visione asimmetrica, tutto sommato perdonabile in un contesto di legiferazione emergenziale o settoriale, appare però tanto più grave laddove presente in una vera e propria riforma globale ed epocale della Legge Fallimentare, quale quella rappresentata dallo sforzo (certamente notevole) profuso nella novella in commento.

Vediamo di esemplificare in concreto l'osservazione di cui sopra. Come è stato autorevolmente notato (S. Bonfatti, La natura giuridica dei “piani di risanamento attestati” e degli “accordi di ristrutturazione”, in Il caso, 2018) , la bozza di “Codice” esordisce (art. 2) elencando ben 25 “definizioni” aventi ad oggetto istituti o concetti-chiave della nuova disciplina dell'insolvenza, ma nessuna di esse precisa cosa si debba intendere per “procedura concorsuale”. Chi scrive ignora se si sia trattato di una scelta voluta o di una dimenticanza, ma in entrambi i casi l'omissione appare clamorosa, poiché è francamente impensabile che la rivisitazione normativa dell'intera materia concorsuale eviti di prendere posizione su di un aspetto così fondamentale come i connotati o i requisiti che una procedura deve presentare per poter essere definita “concorsuale”.

Ora, la mancanza di quest'ultima definizione non rileva unicamente sotto il profilo dogmatico o definitorio, ma rischia di incidere anche sul prioritario tema dei costi delle procedure, e quindi della loro economicità. Pensiamo all'accordo di ristrutturazione dei debiti, la cui natura di vera e propria procedura concorsuale viene in genere negata (citazioni), ma che in un recentissima pronuncia di legittimità è stato riconosciuto come “istituto del diritto concorsuale” idoneo a generare compensi professionali prededucibili nel successivo fallimento, laddove omologato (Cass., Sez. I, 25 gennaio 2018, n. 1896). Nella disciplina della bozza di “Codice”, pur non essendo qualificato come “procedura”, l'a.d.r. presenta tratti di proceduralizzazione assai accentuati, tanto da essere avvicinato in modo ormai evidente al concordato preventivo (si vedano, in particolare, la possibilità di nomina di un commissario nella fase di omologa, l'introduzione di una fase preliminare di ammissione, lo spossessamento attenuato in capo al debitore). Tuttavia, nel tratteggiare la prededuzione, l'art. 9 menziona espressamente l'a.d.r. solo in relazione ai crediti professionali (comma 1., lett. c), mentre utilizza il termine “procedure concorsuali” con riferimento ai crediti sorti per la gestione del patrimonio del debitore, la prosecuzione dell'esercizio dell'impresa, il compenso degli organi preposti. Non è difficile immaginare, in questa situazione, l'insorgere di un vasto contenzioso avente ad oggetto la prededucibilità di crediti non-professionali sorti durante lo svolgimento di un a.d.r. o di un altro “istituto del diritto concorsuale” (il pensiero va al piano attestato di risanamento), per il solo fatto che l'art. 9 considera prededotti, riducendoli in modo significativo, solo quelli professionali (Bonfatti, La natura giuridica, cit.): contenzioso destinato, ovviamente, a generare a propria volta costi (di difesa, di consulenza) anche in capo alle singole procedure, che avrebbero potuto venire evitati stabilendo a priori cosa è “procedura concorsuale” e cosa invece non é.

Gli interventi sui costi professionali e di consulenza

L'art. 8, al cui testo si rinvia, interviene sui compensi professionali e consulenziali maturati dai soggetti incaricati dal debitore per prestazioni rese in funzione o in occasione delle “procedure concorsuali disciplinate dal presente codice” (senza peraltro definirle, come già visto).

Le aree di intervento sono molteplici:

  • vengono stabilite delle soglie percentuali calcolate sull'attivo, al di sotto delle quali il compenso pattuito non è soggetto ad iniziative lato sensu recuperatorie da parte delle procedure di riferimento;
  • in caso di compensi superiori alle soglie di cui sopra, viene prevista la ripetibilità dell'eccedenza all'interno delle procedure medesime e la sua revocabilità nell'ambito della liquidazione giudiziale eventualmente aperta in seguito;
  • i compensi così “calmierati” possono formare oggetto di acconti prima del deposito della domanda introduttiva solo entro il limite del 25%; i pagamenti effettuati per la parte eccedente sono revocabili (sempre in sede di successiva liquidazione giudiziale, viene da aggiungere).

Osservazioni. Si è già evidenziata, al punto precedente, l'opinabile scelta normativa di condensare in modo quasi esclusivo il principio di economicità delle procedure concorsuali nella falcidia dei compensi professionali.

Preso atto di una simile impostazione, da ritenere quindi come una sorta di dato acquisito nella mente del legislatore, è peraltro doveroso porre in rilievo alcune disarmonie della riforma così come attualmente strutturata, pur nel rispetto della cornice di fondo cui essa, volenti o nolenti, si ispira.

a) Desta perplessità, anzitutto, il criterio di determinazione dei compensi previsto dall'art. 8 con esclusivo riferimento a scaglioni decrescenti dell'attivo attestato da un professionista indipendente (all'interno del quale non viene nemmeno espressamente inclusa la c.d. “finanza esterna” tipica dei concordati), e senza alcun accenno all'elemento concorrente e perequativo (oggi in vigore) costituito da una quota di compenso espressa in percentuale su scaglioni altrettanto decrescenti del passivo.

Se, da un lato, può comprendersi la ratio sottesa ad una simile previsione, ravvisabile nell'intento, esplicitato dalla legge-delega, di contenere i costi professionali maturati soprattutto durante il momento prodromico rispetto all'ingresso nella procedura concorsuale vera e propria (talvolta lievitati in modo spropositato a danno delle prospettive di soddisfacimento dei creditori concorsuali), dall'altro sembra onesto riconoscere che l'opera di accertamento e riconciliazione del passivo in previsione di un concordato preventivo, di un a.d.r. o nell'ambito di un fallimento assorbe energie umane e risorse finanziarie non indifferenti, di norma assai più consistenti rispetto a quelle necessarie per la valutazione dell'attivo (che tra l'altro in sede normativa non viene nemmeno in rilievo nella sua espressione “contabile”, bensì in quella assai più rigorosa di “attivo attestato”). La completa pretermissione di una simile attività in termini di remunerazione del professionista, dunque, appare scelta troppo drastica ed in contrasto con l'esigenza, altrettanto fondamentale, di assicurare comunque a tutti i soggetti coinvolti nella crisi/insolvenza il supporto di figure professionali adeguatamente preparate, esperte e motivate.

Ciò induce una riflessione più generale sulle modalità di raggiungimento dell'obiettivo di ridurre i costi delle/nelle procedure, che tanto la legge-delega quanto la bozza di decreto attuativo, come detto, declinano in via pressoché esclusiva attraverso un contingentamento quasi draconiano dei compensi professionali, come se gli scarsi risultati registrati nel soddisfacimento del ceto creditorio dipendessero in gran parte dall'incidenza di tali compensi sul bilancio delle procedure.

E' di tutta evidenza, infatti, che la scelta di ridurre in modo drastico e “lineare” (per usare un termine caro ai teorici del taglio alla spesa pubblica) l'emolumento professionale, tanto da ingenerare negli interessati un possibile dubbio circa la sua antieconomicità di fondo rispetto all'impegno richiesto, apre la porta a possibili (se non probabili) dinamiche di disaffezione nei soggetti più qualificati e maggiormente skilled (sia consentito l'anglicismo), che hanno pagato un comprensibile prezzo in termini di impegno e sacrificio anche economico per l'acquisizione dell'indispensabile specializzazione, e che potrebbero ritrovarsi disincentivati a proseguire nel percorso intrapreso.

Ciò avrebbe quale inevitabile contropartita l'insorgere di fenomeni tra loro diversi, ma assimilabili sotto il profilo dell'impatto negativo sul raggiungimento dell'obiettivo perseguito dallo stesso legislatore, ossia garantire ai creditori la migliore soddisfazione nel minor tempo possibile. Da un lato, infatti, è prevedibile l'emersione di operatori tecnici improvvisati e privi di specifica preparazione concorsuale (un po' come accadde subito dopo la “privatizzazione” del concordato preventivo introdotta dalla riforma del 2007), in potenziale contrasto con lo stesso art. 6, comma 1, della bozza di decreto attuativo, secondo cui i professionisti devono “svolgere il loro mandato con professionalità, diligenza, correttezza e prudenza”. Dall'altro, sembra altrettanto plausibile ipotizzare uno scenario dove la riduzione dei compensi possa essere sostenuta, sotto il profilo economico, solo da realtà societarie o associative particolarmente strutturate e sorrette da solidi finanziatori esterni anche di natura istituzionale, la cui indipendenza rispetto ai vari soggetti coinvolti nella procedura di regolazione andrebbe verificata con estrema prudenza in ossequio al disposto sia dell'art. 2, n. 15, della bozza di decreto attuativo, sia dell'art. 17 delle disposizioni di attuazione, il quale consente espressamente l'iscrizione all'albo anche a soggetti costituiti in forma societaria. Nello stesso senso sembra deporre la previsione dell'art. 8, comma 2, che limita al 25% gli acconti sul compenso percepibile dai professionisti del debitore prima del deposito della domanda relativa alla procedura prescelta: anche in questo caso appare concreto il rischio che gli incarichi consulenziali e di assistenza vengano tendenzialmente monopolizzati da realtà societarie o associative particolarmente strutturate e finanziariamente in grado di assorbire acconti particolarmente contenuti, le quali potranno ricorrere alla collaborazione dei singoli professionisti specializzati riconoscendo loro compensi non in linea con la complessità tecnica delle prestazioni loro richieste.

b) L'art. 8, nel fissare le percentuali di riferimento per la determinazione dei compensi spettanti ai professionisti ed ai consulenti incaricati dal debitore in funzione o in occasione delle procedure regolate, ha cura di precisare che gli importi pattuiti e pagati in misura eccedente rispetto a quella consentita sono proporzionalmente ripetibili nell'ambito delle procedure medesime, oltreché revocabili in sede di eventuale liquidazione giudiziale successiva.

La ripetibilità evoca il concetto di pagamento indebito ex art. 2033 c.c. e rappresenta una sostanziale novità in materia, poiché consente all'imprenditore di chiedere ai professionisti la restituzione di quanto da essi percepito in eccedenza rispetto alla soglia di legge, pur nel rispetto dell'accordo pattizio. Quest'ultimo non viene direttamente sanzionato di invalidità o di inefficacia parziali ex lege, ed il debitore rimane pur sempre libero di esercitare o meno il diritto di ripetizione, soprattutto laddove gli importi corrisposti in esubero non mettano a rischio i conti concordatari. Peraltro, il già citato riferimento normativo all'attivo “attestato”, e non a quello contabile, lascia prevedere possibili situazioni in cui l'imprenditore conferisce inizialmente una pluralità di incarichi confidando in disponibilità attive successivamente ridimensionate dalle valutazioni prudenziali degli stimatori, trovandosi così in difficoltà a posteriori, per avere esaurito l'ideale plafond a disposizione, di fronte alla sopravvenuta necessità di ricorrere ad altri consulenti o esperti in una fase ulteriore della procedura: da qui il probabile ricorso allo strumento della ripetizione nei confronti dei professionisti già pagati in eccedenza.

c) Prevedere la revocabilità degli acconti corrisposti in eccesso rispetto al limite del 25% nella fase pre-domanda può portare a conseguenze disarmoniche nel nuovo sistema delineato dalla bozza di decreto attuativo. Laddove, infatti, il compenso complessivamente pattuito tra professionista e debitore sia rispettoso del limite percentuale previsto dal comma 1 dell'art. 8, e nel contempo ricorrano anche le condizioni previste dal successivo art. 9 per attribuirgli la prededuzione (sia nella procedura concorsuale minore, sia nella liquidazione giudiziale eventualmente successiva), ci troveremmo di fronte ad un credito prededucibile ma al tempo stesso revocabile: situazione, questa, giudicata come contraddittoria da più di un interprete (Costa, Esenzione dall'azione revocatoria e prededuzione nelle procedure stragiudiziali di risanamento delle imprese, in Dir. fall., 2010; Bonfatti, La natura giuridica, cit.).

La prededucibilità dei crediti professionali

Il testo dell'art. 9 precisa anzitutto, alle lett. c) e d), che sono prededucibili i crediti professionali sorti “in funzione” della domanda di omologazione degli a.d.r. (e per la richiesta delle misure protettive) e della presentazione della domanda di concordato nonché del deposito della proposta e del piano, a condizione che l'accordo sia omologato e che la procedura di c.p. sia aperta ai sensi dell'art. 51 del codice.

Ai sensi della lett. e), inoltre, sono prededotti i crediti sorti “durante le procedure concorsuali per la gestione del patrimonio del debitore, la continuazione dell'esercizio dell'impresa, il compenso degli organi preposti e le prestazioni professionali necessarie per legge o richieste dagli organi medesimi”.

I) Con riferimento al primo gruppo [lett. c) e d)], i requisiti di prededucibilità dei crediti professionali sono dunque i seguenti:

a) la “funzionalità”, vale a dire il fatto che le prestazioni da cui detti crediti traggono origine siano state rese allo specifico fine di presentare la domanda di omologazione dell'a.d.r., la domanda (anche pre-domanda) di c.p. nonché la proposta di c.p. vera e propria insieme con il piano;

b) il “buon fine”, almeno iniziale, delle prestazioni, nel senso che l'omologazione dell'a.d.r. e l'apertura del c.p. (inteso come concordato “pieno”, e non quindi la mera ammissione al pre-concordato) rappresentano veri e propri elementi costitutivi della prededuzione, in mancanza dei quali quest'ultima non può venire riconosciuta;

c) il contenimento della prededucibilità entro la soglia percentuale massima del 75% del valore nominale dei crediti, con la conseguenza per cui il restante 25% viene trattato come credito concorsuale, privilegiato o chirografario secondo i casi.

Osservazioni. Appare evidente la codificazione del principio giurisprudenziale ormai consolidato a livello di legittimità, secondo cui i crediti del professionista derivanti dall'attività di consulenza ed assistenza prestata al debitore per la redazione e la presentazione della relativa domanda di concordato preventivo o di omologazione dell'a.d.r., sono prededucibili nel fallimento consecutivo ai sensi dell'art. 111, secondo comma, l.fall., laddove vi sia stata ammissione alla procedura od omologazione dell'accordo (Cass., Sez. I, 5.12.2016, n. 24791; Cass., Sez. I, 4.11.2015, n. 22450; Cass., Sez. VI (ord.), 21.11.2017, n. 27694; Cass., Sez. I, 25.1.2018, n. 1896). Lo schema di decreto non richiede quindi, per attribuire la prededuzione, l'accertata (a posteriori) “utilità” della prestazione postulata invece da diverse decisioni di merito, ma non si accontenta nemmeno di una funzionalità astratta ex ante, ponendo quale vera e propria condizione l'ammissione al c.p. o l'omologazione dell'accordo. Può parlarsi di “utilità minima oggettivizzata” o di “funzionalità in concreto”, ma il risultato rimane comunque quello di introdurre il chiaro principio in base al quale il credito viene prededotto per il fatto stesso che il debitore sia ammesso al c.p.c. o l'accordo sia omologato, senza che abbiano rilievo le successive vicende della procedura.

Subordinare sempre e comunque la prededuzione all'apertura della procedura può tuttavia generare situazioni inique, tra cui le più emblematiche sono rappresentate dalla relazione negativa rilasciata dall'attestatore incaricato dal debitore in previsione del deposito della proposta concordataria, o dal parere altrettanto negativo di fattibilità giuridica del piano rassegnato dall'advisor legale. In entrambi i casi, negare la prededucibilità nella successiva liquidazione giudiziale a due prestazioni professionali ineccepibili sotto il profilo tecnico (validate a posteriori, tra l'altro, proprio dal sopravvenuto epilogo fallimentare) e fonte di sicuro risparmio di costi per la massa dei creditori (tutti quelli relativi alla procedura concordataria mai venuta in essere) appare un risultato distonico rispetto alla filosofia che pervade la bozza del decreto attuativo.

Il tenore letterale delle lett. c) e d), dove si parla di crediti “sorti in funzione della domanda di omologazione … della presentazione della domanda”, presuppone ovviamente che il fatto generatore di tali crediti (cioè l'incarico da parte del debitore) sia anteriore all'esecuzione delle prestazioni ed all'apertura delle procedure di riferimento. E' peraltro normale che il mandato conferito a determinate categorie di professionisti (in particolare gli advisors legale ed aziendale) preveda l'esecuzione di prestazioni anche per il periodo successivo all'ammissione al c.p., ossia fino all'omologa ma a volte anche oltre (relazioni periodiche, istanze al G.D., memorie). Escludere tali prestazioni dal raggio d'applicazione delle lett. c) e d) a causa del semplice dato cronologico della loro esecuzione non pare sostenibile, posto che il contratto da cui traggono origine è comunque anteriore alla procedura e continua ad avere esecuzione anche in costanza di quest'ultima, in quanto rapporto pendente al momento della sua apertura. Diversamente, i crediti in questione finirebbero per rientrare nell'ambito della lett. e), che pone ai professionisti condizioni ancora più restrittive per beneficiare della prededuzione.

II) In relazione al secondo gruppo (lett. e) la bozza di Codice utilizza, anziché l'espressione “in occasione” di cui al vigente art. 111 l.fall., l'avverbio “durante”, precisando che sono prededotti anche i crediti sorti “durante le procedure concorsuali per la gestione del patrimonio del debitore, la continuazione dell'esercizio dell'impresa, il compenso degli organi preposti e le prestazioni professionali necessarie per legge o richieste dagli organi medesimi”.

Per quanto strettamente attiene ai crediti professionali, dunque, la prededucibilità può derivare unicamente dal loro carattere “necessario per legge” o dal fatto di essere richieste dagli organi preposti alle procedure concorsuali.

La norma impone di distinguere, quindi,tra le prestazioni richieste dagli organi della procedura e quelle di cui si avvale il debitore. Nel primo caso esse sono sempre prededucibili, senza alcun limite in relazione al loro contenuto ed alla loro natura; nel secondo caso, lo divengono solo laddove necessarie per legge. Pertanto, tutti i professionisti nominati dal commissario giudiziale o dal curatore (avvocati, periti stimatori, notai, consulenti in genere) beneficiano della prededuzione, mentre i crediti vantati da quelli di nomina “privata” sono prededotti solo nella misura in cui le relative prestazioni siano necessitate ex lege.

Ancora una volta, la norma esprime chiaramente l'intento di contenere i costi di procedura escludendo la prededuzione in presenza di prestazioni professionali ritenute ridondanti o comunque non indispensabili, e limitandola dunque a quelle “necessarie per legge”. Tra queste ultime rientrano, ovviamente, quelle degli eventuali attestatori chiamati ad operare in corso di procedura e del difensore tecnico nominato dal debitore nell'ambito dei vari giudizi che normalmente accompagnano la realtà concorsuale (recuperi del credito, opposizioni a decreto ingiuntivo, cognizioni ordinarie relative all'esistenza ed al rango di crediti di terzi), ma non anche, ad esempio, quelle dell'esperto tributarista incaricato di gestire stragiudizialmente determinate posizioni con l'Erario, o del giuslavorista designato per elaborare riduzioni o razionalizzazioni del personale in aziende di grandi dimensioni, o per condurre trattative con le organizzazioni sindacali. Allo stesso modo, non pare possano essere considerati prededucibili i crediti per le prestazioni svolte dai nuovi professionisti e consulenti prescelti dal debitore per riorganizzare o ristrutturare l'azienda che continua ad operare in costanza di procedura, nel segno di quella necessaria “discontinuità” rispetto al passato che dovrebbe sempre caratterizzare la gestione della regolazione della crisi.

Di conseguenza, una previsione restrittiva come quella dell'art. 9, comma 1., lett. e), può rivelarsi incongrua, poiché si pone in contrasto con il principio della “specializzazione” che necessariamente presiede all'analisi ed all'affronto della crisi aziendale, e che a ben vedere costituisce esso stesso una fonte di produzione e difesa del valore patrimoniale dell'impresa, in quanto consente di beneficiare di quelle competenze specifiche idonee a generare attivo o limitare il passivo di cui il consulente “generico” non sempre è portatore in modo completo ed adeguato, e per le quali l'interessato preferisce attribuire la responsabilità a soggetti particolarmente qualificati.

L'art. 9, comma 3, esclude poi espressamente la prededucibilità dei compensi maturati dai professionisti nominati dal debitore durante le procedure di allerta e di composizione negoziata della crisi. Ora, è sicuramente vero, in linea di principio, che tali procedure non possono definirsi “concorsuali”, e non rientrano quindi nemmeno concettualmente tra quelle che il legislatore sembra avere ritenuto in astratto meritevoli di prededucibilità. Sotto il profilo pratico, tuttavia, è inevitabile osservare che il mancato riconoscimento della prededuzione ponga l'imprenditore assoggettato ad un'iniziativa di allerta nell'estrema difficoltà di reperire difensori e professionisti disposti a prestare la propria opera per tutelarne la posizione, laddove non disponga di garanzie o di liquidità “collaterali”.

In conclusione

Lo sforzo compiuto dalla Commissione per redigere, perdippiù in tempi estremamente ristretti, lo schema di decreto delegato è stato notevole ed ha prodotto un risultato qualitativamente encomiabile sotto molti aspetti, i cui contenuti pongono finalmente la normativa interna in linea con i tempi e con i principali criteri di regolazione della crisi e dell'insolvenza delineati anche in sede sovranazionale. L'auspicio, peraltro, è che in previsione della formulazione definitiva del testo venga adeguatamente tenuto conto del fatto che anche la prestazione professionale resa da un soggetto specializzato, qualificato ed esperto deve considerarsi produttiva di quel “valore d'impresa” la cui difesa e conservazione rappresentano l'obiettivo fondamentale della riforma.

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