Questioni processuali in caso di scioglimento del condominio

08 Marzo 2018

Lo scioglimento del condominio fa sorgere interessanti questioni di carattere processuale; invero, una volta inquadrata correttamente la natura del relativo procedimento, si pone, innanzitutto, il problema di come debba essere calcolata, ai fini della legittimazione attiva, la quota di un terzo dei comproprietari di quella parte dell'edificio della quale si chiede la separazione; ci si è, poi, chiesto se l'amministratore sia legittimato passivamente in ordine all'azione di scioglimento del condominio, oppure debbano essere convenuti in giudizio tutti i condomini; il problema si complica, infine, considerando che lo scioglimento del condominio può essere disposto con una delibera assembleare non assunta con l'unanimità dei condomini.
Il quadro normativo

L'art. 61 disp. att. c.c. - non oggetto di modifica da parte della l. n. 220/2012 - prevede che, qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio possa essere sciolto ed i comproprietari di ciascuna parte possano costituirsi in condominio (comma 1), stabilendo, altresì, che tale scioglimento è deliberato dall'assemblea con la maggioranza prescritta dal comma 2 dell'art. 1136 c.c., ossia con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell'edificio, oppure è disposto dall'autorità giudiziaria «su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell'edificio della quale si chiede la separazione» (comma 2).

Dal canto suo, il successivo art. 62 - anch'esso immutato a seguito della Riforma del 2013 - statuisce che la disposizione del comma 1 dell'articolo precedente si applica anche se restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dall'art. 1117 c.c. (comma 1), precisando che, qualora la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose e occorrano opere per la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condomini, lo scioglimento del condominio deve essere deliberato dall'assemblea con la maggioranza prescritta dal comma 5 dell'art.1136 cit., e cioè con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio (comma 2).

La natura contenziosa del procedimento

A parte un'isolata opinione, che sostiene la riconducibilità dell'azione de qua nell'àmbito dei procedimenti di volontaria giurisdizione, precisando che la domanda debba essere introdotta con ricorso e che il Tribunale decide con decreto motivato in camera di consiglio, è convincimento generale, in dottrina ed in giurisprudenza, che l'azione per lo scioglimento del condominio abbia natura contenziosa (App. Venezia 25 ottobre 1960).

In effetti, la predetta domanda di scioglimento - sempre che l'immobile sia suscettibile di divisione in parti distinte, ciascuna con una sua autonomia strutturale - dà vita ad un ordinario giudizio contenzioso, essendo la decisione che lo conclude destinata ad incidere in modo definitivo sui diritti soggettivi dei singoli condomini.

In particolare, relativamente alla domanda ex art. 61, comma 2, disp. att. c.c. - proposta da almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell'edificio della quale si chiede la separazione - volta ad ottenere giudizialmente lo scioglimento del condominio, si deve, tuttavia, dare atto di un contrasto, sia in dottrina che in giurisprudenza, sull'individuazione della legittimazione attiva e passiva.

La legittimazione attiva

Preliminarmente, si pone il problema di come debba essere calcolata, ai fini della legittimazione attiva, la quota di un terzo dei comproprietari di quella parte dell'edificio della quale si chiede la separazione.

Per quanto concerne la legittimazione attiva, secondo alcuni, occorre attenersi alla lettera della norma e, quindi, far riferimento solo ad una percentuale numerica, senza prescrivere che coloro i quali invocano la divisione rappresentino anche un terzo del valore della porzione da separare; tale tesi ha ottenuto l'avallo di una pronuncia di legittimità (Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1974, n. 397), la quale ha ritenuto che, del valore delle quote, si dovrebbe fare a meno anche nell'ipotesi di scioglimento per delibera dell'assemblea: invero, quando quest'ultima statuisce lo scioglimento dell'originario condominio, si tratta di un atto di amministrazione, rispetto a cui il ricorso di un condomino qualunque o dei dissenzienti che non rappresentino almeno quel “terzo” di cui parla l'art. 61, comma 2, disp. att. c.c. non avrebbe alcun effetto, perché i poteri del giudice interveniente ex art. 1137 c.c. non vanno oltre il controllo di legittimità, sicché resta giustificato, al fine di stabilire il quorum necessario per la validità della delibera, il richiamo alla maggioranza stabilita dall'art. 1136, comma 2, c.c., la quale tiene conto sia del numero dei partecipanti sia del valore delle loro quote; qualora, invece, si verta nell'ipotesi dell'istanza giudiziale da parte di tale “terzo” dei condomini interessati allo scioglimento, si è fuori del campo dell'amministrazione condominiale, ossia si è in presenza di una disposizione eccezionale, cui non possono essere estesi i principi che governano il computo delle maggioranze ai fini delle attività proprie dell'assemblea.

Questa opzione interpretativa è stata oggetto di critica: invero, è apparsa poco persuasiva l'affermazione che, quando è l'assemblea a decidere lo scioglimento del condominio, le maggioranze in numero e valore delle quote sarebbero giustificate dalla natura della delibera (atto di “amministrazione”), mentre, quando è il giudice ad imporre lo scioglimento, la natura dell'atto muterebbe, rendendo superfluo l'elemento quantitativo (valore delle quote rappresentate dai condomini che invocano lo scioglimento), sostenendo che il concetto di “condomino” non può essere diverso da quello di “proprietario di piano o porzione di piano” (art. 1117 c.c.), essendo il “valore” di queste cose in “proprietà” a qualificare e quantificare il limite del diritto condominiale (art. 1118 c.c.); allorché il codice civile parla espressamente di “comproprietari di ciascuna parte” (art. 61, comma 1, disp. att. c.c.), riconoscendo ad essi la possibilità di “costituirsi in condominio separato”, non dice qualcosa di diverso da quando riconosce al “terzo” dei suddetti condomini il potere di rivolgersi al giudice per richiedere che esso, contro il volere dell'assemblea o nella sua inerzia, imponga lo scioglimento (art. 61, comma 2); si aggiunge, poi, che non si riuscirebbe a comprendere perché la legge disponga che i condomini, riuniti in assemblea, possano deliberare validamente solo in quanto si raggiunga una certa maggioranza numerica e per quote, e, poi, quando una tale maggioranza si sia raggiunta, ma per respingere l'istanza di divisione, questa delibera possa essere impugnata anche da un terzo (numerico) dei partecipanti, senza tenere conto alcuno del valore delle quote che essi rappresentano (peraltro, gli altri partecipanti potrebbero rendere di fatto inoperante la pronuncia di scioglimento del condominio da parte dell'autorità giudiziaria, in quanto, forti della maggioranza in numero e valore, potrebbero non costituire un nuovo condominio).

A tale tesi, se ne è affiancata una terza, secondo la quale la chiara lettera dell'art. 61 disp. att. c.c. induce a ritenere che la domanda giudiziale possa essere proposta da un terzo dei comproprietari, a prescindere dal valore delle loro quote, tuttavia, in un'ottica di maggior rispetto del sistema - che è generalmente orientato verso l'attribuzione dei diritti in relazione alla misura della quota di partecipazione, anche se, a taluni effetti, venga richiesto un concorrente numero di partecipanti - si suggerisce di considerare equivalente la domanda di un numero di proprietari inferiori al terzo, purché gli istanti rappresentino almeno un terzo della somma complessiva del valore.

La legittimazione passiva

Ci si è chiesto, poi, se l'amministratore di condominio sia legittimato passivamente in ordine all'azione di scioglimento del condominio.

In ordine alla legittimazione passiva, la giurisprudenza di merito, da un lato, ha affermato che la predetta azione debba essere proposta nei confronti dell'amministratore, in quanto legittimato passivo per tutte le controversie concernenti le parti comuni, escludendo espressamente l'applicabilità dell'art. 784 c.p.c. - il quale prevede che la domanda di scioglimento della comunione va proposta nei confronti di tutti i partecipanti - in quanto tale norma concerne soltanto la comunione ordinaria, caratterizzata dal fatto che si è in presenza di un'unica cosa oggetto di proprietà indivisa con estensione del diritto di ciascuno in ogni sua parte, pur se nell'àmbito della propria quota (Trib. Napoli 2 agosto 1974, il quale trae una riprova della legittimazione passiva dell'amministratore anche dal fatto che, altrimenti, non dovrebbe essere ammesso lo scioglimento con delibera assembleare non assunta con l'unanimità dei condomini; v. anche Trib. Roma 23 novembre 1968).

Dall'altro lato, gli stessi giudici di merito hanno sostenuto che tale domanda debba proporsi nei confronti di tutti i condomini interessati, in relazione ai principi generali in tema di azioni divisorie, che non potrebbero raggiungere il loro scopo - trasformare i diritti dei singoli comunisti su quote ideali in diritti di proprietà individuale ed esclusiva su singoli beni - se non sono promosse nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione; il riconoscere all'amministratore la legittimazione passiva anche in tale ipotesi “significherebbe attribuirgli un potere di disposizione della situazione soggettiva di un condomino di cui non è titolare neppure l'assemblea” (così Trib. Cagliari 27 febbraio 1974, a parere del quale il disposto dell'art. 1131, comma 2, c.c. va interpretato nel senso che lo stesso è passivamente legittimato per le domande che riguardano la mera gestione delle medesime parti comuni; cui adde App. Milano 2 ottobre 1987; Trib. Milano 7 novembre 1985).

Sul punto, è intervenuto il supremo organo decidente (Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2008, n. 1460; Cass. civ., sez. II, 8 maggio 1998, n. 4655), affermando che l'art. 784 c.p.c. è norma speciale rispetto all'art. 1131, comma 2, c.c. e, pertanto, malgrado quest'ultima disposizione conferisca all'amministratore la legittimazione passiva per qualunque azione, se un condomino chiede lo scioglimento della comunione su un bene comune e la conseguente modifica dell'uso di esso, è necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, onde tutelare più intensamente le loro ragioni nella trasformazione delle rispettive facoltà di godimento.

Nell'ipotesi inversa, ossia qualora si controverta sull'esistenza o meno, in ordine ad una serie di unità immobiliari integranti porzioni di un complesso edilizio, di un condominio unico e, quindi, sulla riconducibilità di talune delle strutture della costruzione di cui si tratta - nella specie, dei muri perimetrali - alla nozione di parti comuni dell'edificio condominiale di cui all'art. 1117 c.c., con conseguente ripartizione delle spese tra i proprietari delle varie unità, si è ritenuto (Cass. civ., sez. II, 1 aprile 1999, n. 3119) la necessità della partecipazione di tutti costoro a ciascuna delle fasi del giudizio, in una situazione di litisconsorzio necessario.

Il litisconsorzio necessario

Resta inteso - ad avviso di Cass. civ., sez. II, 30 novembre 1987, n. 8892 - che la qualità di litisconsorti necessari di tutti i condomini rispetto alla domanda di scioglimento del condominio permane in ogni grado del processo, indipendentemente dall'attività e dal comportamento di ciascuna parte, onde, se in fase di appello l'appellante non provveda alla citazione di uno o più condomini, il giudice di secondo grado è obbligato a disporre l'integrazione del contraddittorio in ottemperanza al precetto dell'art. 331 c.p.c., ancorché, già disposta in primo grado la divisione, debba soltanto pronunciare sulle spese, in quanto la causa accessoria sulle spese condivide il carattere di inscindibilità della causa principale.

In argomento, la dottrina ha rilevato che la legittimazione passiva dell'amministratore sia sempre limitata ai rapporti giuridici derivanti dall'esistenza di parti comuni dell'edificio e dall'inerenza della domanda a tali parti, con il conseguente insorgere di un interesse unitario dei condomini ad essere rappresentati, mentre, per effetto della divisione, al diritto comune su uno o più beni, si contrappone il diritto esclusivo di ciascun condomino, o di ciascun gruppo di condomini, ad ottenere un'assegnazione di parti comuni nella misura ritenuta più vantaggiosa, in eventuale contrasto con l'interesse di altri partecipanti all'originaria comunione.

In fondo, la separazione del condominio in più distinti condominii implica necessariamente la ridefinizione dei diritti di comproprietà spettanti ad ogni singolo condomino sulle parti comuni, incidendo su situazioni giuridiche soggettive, la cui tutela appare estranea alla sfera dei poteri rappresentativi dell'amministratore e, soprattutto, viene a determinare, nell'àmbito dell'originaria comunione, l'insorgere di centri di interesse differenziati e potenzialmente contrapposti, la cui rappresentanza non può logicamente essere demandata unitariamente al medesimo amministratore.

La modificazione delle cose comuni

Il problema si complica, però, tenendo presente che lo scioglimento del condominio può essere disposto con una delibera assembleare non assunta con l'unanimità dei condomini: invero, l'art. 61 disp. att. c.c. prescrive la maggioranza di cui al comma 2 dell'art. 1136 c.c., e cioè la metà del valore dell'edificio, mentre il successivo art. 62 richiama la maggioranza del comma 5, ossia quella dei due terzi, qualora la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose oppure occorrano opere per la diversa sistemazione dei locali o delle dipendenze tra i condomini, sicché ci si può chiedere - non tanto se al predetto giudizio di scioglimento sia necessario il contraddittorio con tutti i partecipanti, quanto piuttosto - se la partecipazione al giudizio debba essere realizzata citando personalmente i condomini che non hanno avuto l'iniziativa dello scioglimento, o se sia sufficiente convenire l'amministratore, trattandosi di azione concernente “le parti comuni” ex art. 1131, comma 2, c.c.

In senso, comunque, contrario alla legittimazione dell'amministratore, si è affermato che la domanda incide sui diritti dei singoli condomini, in quanto l'art. 62, comma 1, disp. att. c.c. prevede la possibilità che, per effetto dello scioglimento del condominio, alcune cose cessino di essere in comunione tra gli originari condomini, mentre altri partecipanti vedrebbero ampliato il loro diritto su cose prima comuni ad un maggior numero di persone; non si vede, poi, come si possa accertare, ai sensi del comma 2 del predetto art. 62, che la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose o che occorrono opere per la sistemazione diversa degli ambienti comuni, senza sentire i condomini interessati.

In conclusione

Ci si è posti, infine, anche il problema se il processo, intrapreso da o contro un complesso immobiliare costituito da un unico condominio, in seguito allo scioglimento del condominio originario ed alla costituzione dei condominii separati, debba essere proseguito da o nei confronti dei nuovi condominii risultanti da tale scioglimento, oppure se al giudizio, pena il difetto di integrità del contraddittorio, debbano prendere parte tutti i gruppi, vale a dire il condominio originario e quelli separati.

Sul presupposto che la delibera di scioglimento non ha efficacia traslativa, ma meramente ricognitiva, in quanto in nessun caso una decisione assembleare può consistere in un atto di disposizione con efficacia reale di diritti - che ai singoli condomini derivano soltanto dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni - sul piano sostanziale, allorché il condominio originario si scioglie, e le cose/servizi/impianti, formanti oggetto del diritto condominiale, non restano in comune tra tutti i partecipanti, nella contitolarità si sostituiscono i singoli condomini facenti capo ai condominii separati (milita in tal senso anche Cass. civ., sez. II, 7 agosto 1982, n. 4439); sul piano processuale, la parte in giudizio, cioè il condominio originario, “viene meno” ed è sostituito dai condominii separati, per cui il giudizio non può proseguire tra le parti originarie, sicché la fattispecie viene ad essere disciplinata dall'art. 110 c.p.c., in quanto, venuta meno la parte originaria, il processo deve proseguirsi da o nei confronti dei successori, ossia i condominii separati (Cass. civ., sez. II, 11 aprile 1995, n. 4156).

Se, invece, si considera che il condominio non ha personalità giuridica, per cui è da escludere che lo scioglimento comporti il venir meno di una parte per causa diversa dalla morte ai sensi del citato art. 110 c.p.c. - non scompare una persona (che non esiste), ma si verifica soltanto una concentrazione in capo a gruppi distinti di condomini dei diritti di cui in precedenza erano titolari tutti i condomini del condominio originario - e qualora si ponga l'accento sulla portata sostanzialmente traslativa della delibera di divisione - negli atti di trasferimento dei diritti tra vivi a titolo particolare, il giudizio continua nei confronti dell'alienante - nel caso di scioglimento del c.d. condominio complesso troverebbe applicazione diretta l'art. 111 c.p.c., conseguendone che il giudizio seguirà tra le parti originarie, ai sensi del comma 1, e la sentenza pronunciata formalmente contro il preesistente condominio sarà efficace anche nei confronti dei condomini del condominio semplice, che risulti successore a titolo particolare nel diritto controverso, come dispone l'ultimo comma (per utili spunti di riflessione, si rinvia a Cass. civ., sez. I, 17 giugno 1980, n. 3842).

Guida all'approfondimento

Terzago, Il condominio. Trattato teorico-pratico, Milano, 2015, 992;

De Tilla, La rappresentanza dell'amministratore non si estende all'azione di scioglimento, in Immob. & diritto, 2008, fasc. 8, 27;

Crescenzi, Le controversie condominiali, Padova, 1991, 67;

Basile, Divisione giudiziaria di area comune a due condomini e attribuzione all'amministratore della rappresentanza processuale attiva, in Nuova giur. civ. comm., 1988, I, 676;

Bianco, Condominio complesso, scioglimento di fatto, aspetti processuali, in Giur. merito, 1982, 1205;

Branca, Condominio negli edifici, in Commentario del codice civile, diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, 421;

Lo Monaco, Qualche considerazione a proposito di successione a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c., in Giust. civ., 1981, I, 145;

Salis, Scioglimento di condominio su domanda di un terzo dei condomini (art. 61 disp. att. c.c.), in Riv. giur. edil., 1975, I, 336;

Morozzo Della Rocca, Domanda di scioglimento di condominio e legittimazione dell'amministratore, in Giur. merito, 1969, 117;

Salis, Scioglimento del condominio e legittimazione passiva dell'amministratore, in Riv. giur. edil., 1969, I, 711;

Visco, Le case in condominio, Milano, 1967, 715;

Peretti Griva, Il condominio delle case divise in parti, Torino, 1960, 57.

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