Le Sezioni Unite fanno il punto sui procedimenti esperibili per la liquidazione dei compensi degli avvocati
12 Marzo 2018
Massima
La controversia di cui all'art. 28 della l. n. 794/1942, tanto se introdotta con sommario cd. speciale, quanto se introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo ha ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell'avvocato tanto se prima della lite vi sia una contestazione sull'an debeatur quanto se non vi sia e, una volta introdotta, resta soggetta al rito indicato dall'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 anche quando il cliente dell'avvocato non si limiti a sollevare contestazioni sulla quantificazione del credito alla stregua della tariffa, ma sollevi contestazioni in ordine all'esistenza del rapporto, alle prestazioni eseguite ed in genere riguardo all'an debeatur. Il caso
A seguito del mancato pagamento dei compensi per l'attività professionale svolta, un avvocato, avvalendosi del rito sommario di cognizione cd. ordinario di cui all'art. 702-bis c.p.c., adiva il tribunale di Civitavecchia per ottenere la condanna della propria assistita al pagamento del saldo delle competenze professionali a lui spettanti per prestazioni giudiziali. Sollevate dalla convenuta contestazioni attinenti non solo al quantum, ma anche all'an della pretesa (segnatamente sia l'eccezione di pagamento che quella di prescrizione del debito), il tribunale adito dichiarava l'inammissibilità del ricorso, osservando che il procedimento di liquidazione dei compensi di cui all'art. 14 d.lgs. n. 150/2011 non trova applicazione laddove, a seguito delle difese di controparte, venga esteso il thema decidendum all'an debeatur; inoltre, con la medesima ordinanza, rilevato che dagli atti di causa risultava che le prestazioni professionali di cui si lamentava il mancato pagamento erano state tutte svolte presso gli uffici giudiziari di Roma, dichiarava il proprio difetto di competenza, in virtù del secondo comma dell'art. 14 d.lgs. n. 150/2011, secondo cui competente per la controversia è l'ufficio giudiziario adito per il processo nel quale l'avvocato ha prestato la propria opera. Avverso l'ordinanza del tribunale di Civitavecchia di inammissibilità della domanda proposta, veniva proposto regolamento di competenza, in particolare osservandosi come nel caso di specie l'art. 14 non fosse invocabile, giacché il processo era stato instaurato seguendo (anziché il rito sommario di cognizione di cui all'art. 14 cit.) le regole di cui agli artt. 702-bis e ss.. Il ricorrente, inoltre, sottolineava che, in conseguenza delle eccezioni sollevate dalla controparte, era stato ampliato il thema decidendum, per cui il giudice, anziché dichiarare la propria incompetenza, avrebbe dovuto, ex art. 702-ter, comma 3, tramutare il rito da sommario in ordinario. La Sesta Sezione-2, con ordinanza del 25 maggio 2017, n. 13272, ravvisata l'esistenza di un contrasto in dottrina ed in giurisprudenza sul tema, rimetteva il procedimento al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite. La questione
Investite del ricorso, le Sezioni Unite, (ri)qualificato il provvedimento del tribunale di Civitavecchia come un provvedimento sulla competenza e, per l'effetto, dichiarato ammissibile il regolamento di competenza proposto, esaminano innanzitutto la questione concernente l'incidenza o meno delle innovazioni legislativeintrodotte dagli artt. 14 e 34 d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 sulla quadripartizione degli strumenti di tutela del credito dell'avvocato (rito ordinario, rito sommario “ordinario”, rito sommario “speciale”, procedimento monitorio) chiedendosi, in particolare, se siano tuttora percorribili, oltre al rito sommario speciale ed al procedimento monitorio espressamente previsti dall'art. 14 cit., anche gli ulteriori procedimenti previsti in passato dall'ordinamento. Le soluzioni giuridiche
Per le Sezioni Unite, la previsione contenuta nell'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 determina l'impossibilità di introdurre la causa con il rito ordinario o con quello sommario di cognizione cd. generale di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c.. L'art. 14, infatti, prevede per il difensore che intenda chiedere il pagamento dei compensi professionali solo le due strade, alternativamente eleggibili, del rito monitorio e del rito sommario cd. necessario di cognizione. Questa interpretazione restrittiva, ad avviso del Supremo Collegio, non contrasta con il criterio di delega (di cui all'art. 54, l. n. 69/2009) della cosiddetta “invarianza della competenza”, giacché escludere la possibilità di agire con il rito ordinario a cognizione piena non determina l'eliminazione di alcun criterio di competenza previgente, in quanto i preesistenti criteri di competenza in base ai quali il difensore poteva individuare il giudice da adire con il processo ordinario di cognizione restano in vita per effetto del rinvio che l'art. 637 c.p.c. in tema di competenza monitoria compie alla competenza ordinaria; stesso discorso può ripetersi per quanto riguarda l'introduzione della lite nelle forme di cui al rito sommario cd. generale, in quanto «le cause che si sarebbero potute introdurre con quel rito restano comunque deducibili davanti al tribunale in composizione monocratica ancora una volta con il rito monitorio». L'esclusività del rito sommario cd. necessario o speciale, d'altronde, troverebbe conferma nella circostanza che il procedimento sommario, a differenza dell'”antico procedimento camerale” di cui agli artt. 737 c.p.c. e 28 della l. n. 792/1942, presenta una struttura sostanzialmente compatibile con le garanzie del modello ordinario del processo di cognizione. Questa conclusione spinge perciò le Sezioni Unite ad affermare che, laddove la controversia venga introdotta con un ricorso per ingiunzione, la successiva fase di opposizione dovrà introdursi con le regole del procedimento sommario di cognizione ed in particolare con quelle di cui agli artt. 702-bis e ss., fatti salvi gli adattamenti del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (artt. 648, 649, 653 e 654), «fermo che la decisione d[ovrà] avvenire con l'ordinanza inappellabile di cui all'ultimo comma dell'art. 14». Risolta tale questione, le Sezioni Unite prendono altresì posizione sull'ulteriore problema relativo al contenuto delle controversie di cui all'art. 28, l. 794/1942, riguardanti onorari, diritti o spese spettanti agli avvocati per prestazioni giudiziali, oggi regolate, per effetto dell'art. 14, dal rito sommario “speciale” o necessario. Per la Cassazione, dalla lettera della legge si deve desumere che le controversie soggette al rito sommario cd. necessario non hanno semplicemente ad oggetto la liquidazione del compenso, ma possono riguardare anche l'an del diritto. Difatti, sebbene la rubrica dell'art. 14 discorra di controversie in materia di “liquidazione” degli onorari e dei diritti di avvocato, nel corpo dello stesso articolo si parla più genericamente di onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati, senza fare alcun riferimento al termine “liquidazione”: ciò allora lascia intendere che è possibile proporre una domanda che involga non solo il profilo più strettamente liquidatorio, ma anche quello, a monte, relativo all'esistenza del rapporto professionale e dell'an debeatur. Né in senso contrario può addursi la circostanza che nel giudizio di merito riguardante onorari, spese e diritti di avvocato le parti possano stare in giudizio personalmente, giacché l'art. 14 prevede la difesa personale come mera facoltà e non come obbligo. Osserva inoltre la Corte che la scelta di imporre l'applicazione del rito sommario per tutte le prestazioni volte al pagamento del compenso professionale è conforme all'esigenza di semplificazione, dovendosi considerare che il rapporto di prestazione d'opera si presta naturalmente ad accertamenti rispetto ai quali il rito sommario risulta più che adeguato. Qualora la difesa del convenuto abbia invece dato luogo all'allargamento del giudizio tramite la proposizione di una domanda riconvenzionale o di accertamento incidentale, allora, occorre distinguere: se la domanda proposta non esorbita dalla competenza del giudice adito, in virtù del rinvio operato dall'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 150/2011, al procedimento di cui all'art. 14 si applica il comma 4 dell'art. 702-ter, con la conseguenza che il giudice adito potrà vagliare se la domanda del convenuto richieda un'attività istruttoria semplificata. Laddove la risposta sia positiva entrambe le domande potranno essere trattate con il rito sommario. Qualora invece la domanda riconvenzionale meriti un'istruttoria non sommaria, allora bisognerà trattare quest'ultima con il rito ordinario a cognizione piena, previa separazione delle cause, con la precisazione che se la decisione sulla domanda separata rivesta carattere pregiudiziale rispetto alla domanda di pagamento degli onorari, spetterà al giudice di quest'ultima disporre la sospensione ai sensi dell'art. 295 c.p.c.. Potrebbe tuttavia accadere che la domanda introdotta in via riconvenzionale (o in via di accertamento incidentale) ad opera del convenuto non appartenga alla competenza del giudice adito: in tal caso, dovranno applicarsi le norme sulla modificazione della competenza per ragioni di connessione (artt. 34-36 c.p.c.) che eventualmente comporteranno lo spostamento della competenza sulla domanda ai sensi dell'art. 14; ove dette norme non siano invocabili, non resterà al giudice adito disporre la separazione della domanda riconvenzionale. Osservazioni
Come è noto, fino alla decisione in commento, gli strumenti a disposizione dell'avvocato per ottenere il pagamento dei propri compensi erano i seguenti: a) il procedimento ordinario di cognizione; b) il procedimento speciale d'ingiunzione (artt. 633 ss. c.p.c.); c) (a decorrere dal 4 luglio 2009) il procedimento sommario di cognizione (art. 702-bis c.p.c.); d) il procedimento sommario cd. necessario di cui all'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011. Nel caso portato all'attenzione della Sezione VI e poi delle Sezioni Unite, l'avvocato che aveva domandato la liquidazione delle proprie competenze professionali si era avvalso del procedimento sommario cd. codicistico ex art. 702-bis c.p.c., ma, come già rilevato, la convenuta aveva contestato l'esistenza del rapporto professionale, mettendo così in dubbio l'esistenza dell'an debeatur. Le Sezioni Unite erano state dunque chiamate a decidere sull'ambito di operatività del rito per la liquidazione dei compensi agli avvocati, avendo le sezioni semplici osservato l'esistenza di un contrasto in seno alla stessa Corte di cassazione. Per un verso, si era assunto che le controversie per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti dell'avvocato nei confronti del proprio cliente previste dall'art. 28 della l. n. 794/1942 - come risultante all'esito delle modifiche apportate dall'art. 34 del d.lgs. n. 150/2011 e dell'abrogazione degli artt. 29 e 30 della medesima l. n. 794/1942 - dovessero essere trattate con la procedura prevista dall'art. 14 del suddetto d.lgs. n. 150/2011, anche nell'ipotesi in cui la domanda avesse riguardato l'an della pretesa, senza possibilità per il giudice adito di trasformare il rito sommario in rito ordinario o di dichiarare l'inammissibilità della domanda (Cass. civ., 29 febbraio 2016, n. 4002; Cass. civ., 15 febbraio 2017, n. 3993, in motivazione). Per altro verso, si era affermato, in linea di continuità con l'indirizzo giurisprudenziale correlato all'assetto normativo previgente, che «l'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 ha inciso solo sul rito. Più esattamente devesi opinare nel senso che alla procedura di cui all'art. 28 della l. n. 794/1942 (...), ora assoggettata al rito sommario di cognizione (...), potrà farsi ricorso allorché si controverta unicamente in ordine al quantum del compenso spettante al professionista e non già allorché si controverta anche in ordine all'an della pretesa» (così, in motivazione, Cass. civ., 24 giugno 2016, n. 13175; Trib. Mantova, 16 dicembre 2014). Chiamate a decidere unicamente su detta questione, le Sezioni Unite, allo scopo di meglio chiarire la cornice normativa in cui l'operatore pratico è chiamato ad operare, pongono in essere una premessa non priva di rilevanti implicazioni pratiche: escludono l'utilizzabilità sia del rito ordinario a cognizione piena, sia di quello sommario codicistico ex art. 702-bis, in ossequio alla ratio, sottesa all'art. 54 della legge delega n. 69/09, di ridurre i procedimenti civili di cognizione. Pertanto, a mente del Supremo Consesso, la controversia di cui all'art. 28 della l. n. 794/1942, come sostituito dal citato d.lgs., può essere introdotta solo con un ricorso sommario “speciale” disciplinato dagli artt. 3, 4 e 14 d.lgs. n. 150/2011 o con il procedimento per decreto ingiuntivo ex artt. 633 ss. c.p.c., la cui fase di opposizione va introdotta con rito sommario di cognizione, salvi gli adattamenti previsti dal codice agli artt. 648, 649, 653 e 654. Tale richiamo tuttavia determina il sorgere un dubbio in ordine alla composizione dell'organo giudiziale deputato a decidere le controversie in questione, giacché se il rinvio operato al procedimento sommario “speciale”, di cui all'art. 14, determina senza alcun dubbio l'applicazione della seconda parte del suo secondo comma («Il tribunale decide in composizione collegiale»), le Sezioni Unite, con riferimento al procedimento monitorio, affermano che «le cause che si sarebbero potute introdurre con quel rito [i.e. con il rito sommario codicistico] restano comunque deducibili davanti al tribunale in composizione monocratica ancora una volta con il rito monitorio». L'affermazione, presa letteralmente, lascia pensare che laddove il difensore intenda ottenere la liquidazione dei propri compensi con il rito monitorio dovrà adire il tribunale o il giudice di pace, a seconda del valore della domanda, e che la successiva fase di opposizione vada attribuita al giudice che ha deciso il procedimento monitorio e, dunque, al giudice in composizione monocratica. La soluzione proposta pare tuttavia in contrasto con la lettera dell'art. 14 che, nel prevedere la facoltà di scelta tra il rito sommario cd. necessario e il procedimento monitorio, non distingue quanto alla competenza tra i due procedimenti alternativi, affidandola in entrambi i casi al tribunale in composizione collegiale. Minori perplessità suscita la decisione in commento nella parte attinente alla scelta di non distinguere tra liquidazione e accertamento; sottolinea giustamente il Collegio che anche la mera liquidazione di un credito presuppone che lo stesso venga previamente accertato mediante un titolo convenzionale (stragiudiziale pregresso) o giudiziale, per cui non pare dubbio che la domanda di liquidazione implichi normalmente anche quella di accertamento dell'esistenza del credito. D'altronde, opinare il contrario significherebbe far dipendere l'individuazione del rito (e, quindi, la concreta praticabilità del procedimento) dall'atteggiamento processuale del convenuto, in contrasto con i principi costituzionali di difesa e di parità delle armi. Sennonché, per le Sezioni Unite, nel caso di proposizione ad opera del cliente convenuto di domanda riconvenzionale o di accertamento incidentale, l'esistenza del combinato disposto degli artt. 3, comma 1, d.lgs. n. 150/11 (che esclude l'applicabilità, nelle controversie disciplinate dal Capo III – tra le quali rientrano quelle di cui all'art. 14 -, del secondo e del terzo comma dell'art. 702-ter c.p.c.) e 702-ter, comma 4, (per il quale, quando la causa relativa alla domanda riconvenzionale richiede un'istruzione non sommaria, il giudice ne dispone la separazione) lascia desumere l'inapplicabilità dell'art. 40 c.p.c., prevalendo su tale norma quelle speciali appena riportate. Ora, però, ritenere impossibile l'unitaria trattazione delle cause fa sì che, in presenza di domande legate da un nesso di pregiudizialità-dipendenza, il giudice sia obbligato a disporre la separazione delle cause e la conseguente sospensione della causa sulla liquidazione dei compensi in attesa della decisione – con sentenza passata in giudicato – sulla domanda riconvenzionale ai sensi degli artt. 295 e 297 c.p.c., con grave pregiudizio del principio di economia processuale e di ragionevole durata dei processi, di cui all'art. 111, comma 2, Cost.; ciò senza considerare che proprio il dato costituzionale appena riportato impone di interpretare la norma di cui all'art. 295 c.p.c. nella maniera più restrittiva (sul punto e sulla rilevanza del principio di ragionevole durata sia consentito rinviare per più ampie osservazioni a Olivieri, La “ragionevole durata” del processo di cognizione (qualche considerazione sull'art. 111, 2° comma, Cost.), in Foro it., 2000, V, 251 ss., in part. 259).
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