La circolazione mortis causa di partecipazioni nelle società di capitali e le clausole di predisposizione successoria

12 Marzo 2018

A differenza delle società di persone, le partecipazioni in società di capitali sono, di regola, liberamente trasferibili ai successori a causa di morte del socio premorto, a meno che vengano inserite a statuto specifiche previsioni, che, in deroga alla regola legale (dispositiva) della trasferibilità, introducano limiti e condizioni all'ingresso nella compagine sociale degli eredi o legatari di un socio premorto, compatibilmente con la disciplina, da un lato, societaria (art. 2355-bis c.c. per le s.p.a. e le s.a.p.a.; art. 2469 c.c. per le s.r.l.), dall'altro, successoria (divieto dei patti successori ex art. 458 c.c.).
Introduzione

Si è già accennato in un precedente contributo (La circolazione a causa di morte delle quote di società di persone e le clausole di predisposizione successoria, in questo portale) alla diversa posizione che assumono i successori a causa di morte (eredi o legatari) di un socio che premuoia agli altri, a seconda che ci si trovi dinnanzi a una società di persone o di capitali.

Le presenti note si concentreranno unicamente sulle clausole di c.d. “predisposizione successoria” nelle società di capitali (s.p.a., s.a.p.a. e s.r.l.).

Il principio di libera trasferibilità (anche) successoria delle partecipazioni sociali e le relative modalità di acquisto nelle s.p.a. (o s.a.p.a.) e nelle s.r.l.

Diversamente dalle società di persone, nelle società di capitali, caratterizzate dalla (tendenziale) irrilevanza delle qualità e requisiti personali dei singoli soci, la circolazione mortis causa - sia a titolo di eredità (in caso di successione per legge o per testamento) sia a titolo di legato (successione testamentaria) - delle partecipazioni sociali si informa al principio della libera trasferibilità.

Per quanto riguarda le società azionarie (s.p.a. e s.a.p.a., giusta il rinvio dell'art. 2454 c.c.) con emissione di azioni cartolari nominative (e si ricorda che la nominatività è obbligatoria per legge in base al r.d.l. 25 ottobre 1941, n. 1148, potendo le azioni al portatore esser emesse solamente come azioni di risparmio o di SICAV o SICAF), il principio della libera trasmissibilità delle azioni, inter vivos e mortis causa, trova implicita espressione nell'art. 2355-bis, comma 1, c.c., secondo cui: “Nel caso di azioni nominative ed in quello di mancata emissione dei titoli azionari, lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il loro trasferimento e può, per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto, vietarne il trasferimento.”.

Con particolare riferimento alla circolazione mortis causa, norma di rilievo è anche l'art. 7, comma 1, r.d. 29 marzo 1942, n. 239, che recita così: “Nel caso di morte dell'azionista, la società emittente, se non vi è opposizione, addiviene alla dichiarazione del cambiamento di proprietà sui titoli azionari e nel libro dei soci, su presentazione del certificato di morte, di copia del testamento se esista e di un atto di notorietà giudiziale o notarile, attestante la qualità di erede o di legatario dei titoli. La società trattiene detti documenti.”. Come noto, tali formalità di mutamento della c.d. “doppia intestazione” dell'azionista sul titolo e nel libro dei soci – secondo l'orientamento che tende ormai a prevalere – sono richieste a meri fini di acquisto della sola legittimazione all'esercizio dei diritti sociali da parte del neo-azionista, non anche della titolarità delle azioni, per la quale opera il generale principio del consenso traslativo per gli acquisti inter vivos (art. 1376 c.c.) e gli ordinari principi di diritto delle successioni per gli acquisti mortis causa.

Per quanto riguarda la trasferibilità (anche) mortis causa delle quote di s.r.l., la norma di riferimento è l'art. 2469, comma 1, c.c. che sancisce, anche in maniera più pregnante delle società azionarie, il principio della libera trasferibilità delle quote, nel modo seguente: “Le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell'atto costitutivo.”. Dal punto di vista delle formalità per la trasmissione mortis causa di quote liberamente trasferibili (rectius, per l'efficacia nei confronti della società dell'acquisto iure hereditario), è richiesto anche il deposito presso il registro delle imprese (sostitutivo dell'iscrizione nell'ormai abolito libro dei soci), il quale “è effettuato a richiesta dell'erede o del legatario verso presentazione della documentazione richiesta per l'annotazione nel libro dei soci dei corrispondenti trasferimenti in materia di società per azioni” (art. 2470, comma 2 seconda parte, c.c.): vale a dire la documentazione prevista dal citato art. 7, comma 1, r.d. 29 marzo 1942, n. 239. Anche per la s.r.l., come ribadito recentemente dal Tribunale di Milano, vale la stessa regola dell'acquisto iure hereditario di partecipazioni vista per la s.p.a.: ossia che tale acquisto interviene sulla base degli ordinari principi di diritto delle successioni sulla trasmissione mortis causa di diritti e che la formalità di deposito presso il registro delle imprese ex art. 2470, comma 2 seconda parte, c.c. rileva solo sul piano dell'acquisto della legittimazione all'esercizio dei diritti sociali da parte dell'erede o del legatario di quota.

In base ai citati artt. 2355-bis e 2469 c.c., la regola generale di legge della libera trasferibilità può essere, però, derogata dall'autonomia statutaria, che s'indirizzerà quindi in una direzione opposta a quella valevole per le società di persone (che è tesa invece a consentire una trasmissibilità mortis causa delle quote legalmente intrasmissibili): ossia mediante l'inserimento di apposite clausole statutarie atte a vietare il trasferimento o a introdurre limiti alla circolazione mortis causa della partecipazione.

In sostanza, a seguito dell'apertura della successione di un socio di società di capitali, andrà innanzitutto verificata l'eventuale esistenza di clausole statutarie limitative della circolazione mortis causa; in mancanza, l'erede (previa accettazione dell'eredità) o il legatario (direttamente, in virtù del principio di acquisto automatico del legato, salvo rinunzia: art. 649 c.c.) diventeranno titolari delle partecipazioni, acquistando peraltro la legittimazione all'esercizio dei diritti sociali solo a seguito dell'adempimento delle suindicate formalità prescritte dalla legge, con le differenti modalità per s.p.a. (o s.a.p.a.) e s.r.l. viste sopra.

Ambiti e limiti di operatività delle clausole statutarie di deroga al principio di libera trasferibilità successoria delle partecipazioni sociali

Nel caso, opposto, di esercizio dell'autonomia statutaria mediante introduzione di limiti statutari volti a escludere o condizionare la trasmissione mortis causa di partecipazioni in società di capitali, al fine di mantenere inalterata la compagine sociale in occasione della premorienza di un socio, la riforma del 2003, in primo luogo, ne ha disciplinato i relativi ambiti e limiti di operatività; in secondo luogo, si è preoccupata di preservare in ogni caso l'interesse dei successori mortis causa del socio premorto a non vedersi “espropriato” dai soci superstiti il valore della partecipazione del socio premorto. Lo strumento di tutela di tale interesse è costituito dalla necessità che ai vincoli statutari alla trasmissione mortis causa di partecipazioni si accompagnino congegni di conseguimento, da parte degli eredi o legatari del socio premorto, del valore monetario delle partecipazioni sociali di quest'ultimo, sia pur pervenendo, peraltro, a scelte di natura diversa, nella s.p.a. (o s.a.p.a.) e s.r.l., degli strumenti di tutela e dei meccanismi sanzionatori per l'ipotesi di non conformità delle previsioni statutarie mortis causa alla disciplina legale.

Quest'ultima si articola nel modo seguente:

(i) a proposito delle s.p.a. (o s.a.p.a.), l'art. 2355-bis prevede che le “clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni al mero gradimento di organi sociali o di altri soci sono inefficaci se non prevedono, a carico della società o degli altri soci, un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell'alienante; resta ferma l'applicazione dell'articolo 2357. Il corrispettivo dell'acquisto o rispettivamente la quota di liquidazione sono determinati secondo le modalità e nella misura previste dall'articolo 2437-ter.” (comma 2); specificando, poi, che tale “disposizione si applica in ogni ipotesi di clausole che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento a causa di morte delle azioni, salvo che sia previsto il gradimento e questo sia concesso” (comma 3);

(ii) a proposito delle s.r.l., l'art. 2469, comma 2, c.c., dispone che qualora “l'atto costitutivo preveda l'intrasferibilità delle partecipazioni o ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, o ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte, il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso ai sensi dell'articolo 2473. In tali casi l'atto costitutivo può stabilire un termine, non superiore a due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione, prima del quale il recesso non può essere esercitato”.

Pur non eccellendo per chiarezza, limpidità e coerenza sistematica, i testi normativi suindicati delineano un meccanismo di exit societario del successore mortis causa del socio premorto (erede o legatario), che si articola:

(i) nelle s.p.a. (e s.a.p.a.), nella doppia alternativa del diritto di farsi acquistare le azioni dalla stessa società emittente o dai soci superstiti oppure del diritto di recesso di natura statutaria (art. 2437, comma 4, c.c.), verso un controvalore delle azioni che sia almeno pari al valore di recesso previsto dall'art. 2437-ter c.c., secondo cui, in termini generali, il relativo calcolo va operato “tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni” (art. 2437-ter, comma 2, c.c.), anche se lo “statuto può stabilire criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione, indicando gli elementi dell'attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonché altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione” (art. 2437-ter, comma 4, c.c.);

(ii) nelle s.r.l., viceversa, nel solo diritto di recesso, tenuto conto dell'incapacità in tale tipo societario dell'acquisto di partecipazioni proprie (art. 2474 c.c.); detto diritto di recesso avrà però natura (non già statutaria, come per le società azionarie, bensì) legale, discendendo direttamente dal citato art. 2469, comma 2, c.c. e non da apposita clausola dello statuto, da ritenere quindi in ogni caso valida ed efficace, a differenza delle analoghe previsioni della s.p.a., pur in assenza della previsione del diritto alla liquidazione in capo ai successori mortis causa del socio premorto.

Analogamente, sono pure divergenti le discipline delle società di capitali in punto di meccanismi sanzionatori delle previsioni statutarie mortis causa difformi dalla disciplina legale (ossia, non prevedenti i correttivi del diritto di exit a favore dei successori mortis causa del socio premorto, nell'ipotesi di preclusione del loro ingresso in società): infatti, le previsioni degli statuti di s.p.a. (o s.a.p.a.) difformi dall'art. 2355-bis sono valide ma inefficaci, con il conseguente pieno diritto dei successori mortis causa del socio premorto di subentrargli nella titolarità delle azioni e di essere iscritti nel libro dei soci; mentre nelle s.r.l. le previsioni statutarie impeditive della trasmissione mortis causa di quote restano efficaci, precludendo quindi l'ingresso in società dell'erede o legatario del socio premorto, salvo il citato diritto legale al recesso e alla conseguente liquidazione della quota, a loro beneficio.

Peraltro, il diritto di recesso in esame si connota, tanto nelle s.p.a. (o s.a.p.a.) quanto nelle s.r.l., per una certa estravaganza: infatti, il successore mortis causa del socio premorto, in primo luogo, dovrebbe recedere da una società, della quale non dovrebbe esser entrato far parte, proprio in virtù dell'operatività di clausole statutarie impeditive o limitative della trasmissione mortis causa delle partecipazioni sociali; in secondo luogo, se di vero e proprio recesso si trattasse, potrebbe anche non recedere, data la natura di diritto potestativo: quid iuris, allora, qualora l'erede o il legatario non eserciti formalmente il recesso? Ecco perciò che, probabilmente, la premorienza di un socio di società di capitali con statuto contenente clausole impeditive della trasmissione mortis causa di quote determina – analogamente a quanto previsto nelle società di persone dall'art. 2284 c.c. – l'immediato e automatico scioglimento del rapporto sociale e il conseguente acquisto, da parte dei suoi successori mortis causa, del diritto di credito alla liquidazione della partecipazione, secondo la disciplina legale del recesso (artt. 2437-2437-quinquies c.c., per la s.p.a. e s.a.p.a.; 2473 c.c. per la s.r.l.). A meno di voler ricorrere ad ardite (ri)qualificazioni delle partecipazioni sociali del socio premorto, intrasmissibili mortis causa nella loro interezza e pienezza, in termini di partecipazioni comunque acquistate da un suo erede o legatario, sia pure in via affievolita e quiescente: ossia con preclusione dell'esercizio dei diritti sociali e con diritto alla sola liquidazione del relativo controvalore.

Le tipologie di clausole statutarie limitative del trasferimento mortis causa di partecipazioni in società di capitali

Dopo aver inquadrato la disciplina generale per le s.p.a. (o s.a.p.a.) ed s.r.l. applicabile a tutte le clausole di predisposizione successoria limitative del trasferimento mortis causa delle partecipazioni sociali in società di capitali, qui di seguito ne verranno sinteticamente tratteggiate le varie tipologie, come tipizzate dallo stesso legislatore oppure dalla prassi statutaria.

i) Clausola d'intrasferibilità

Le clausole d'intrasferibilità mortis causa delle partecipazioni non permettono, in via automatica, assoluta ed incondizionata, agli eredi o legatari di entrare a far parte della compagine sociale di cui faceva parte il loro defunto dante causa.

Nel caso di s.p.a. (o s.a.p.a.), ferma la necessaria presenza in statuto, a pena d'inefficacia, dei suindicati correttivi di garanzia del diritto di exit (i.e., diritto all'acquisto o di recesso), tali clausole non possono avere, comunque, un periodo di durata superiore a cinque anni, dimodoché precludono effettivamente l'acquisto mortis causa delle azioni solamente se il passaggio a miglior vita del socio si verifichi in pendenza del termine non ultra-quinquennale d'intrasferibilità, decorso il quale l'erede o legatario potrà acquistare tranquillamente le azioni di un socio.

Nel caso di s.r.l., invece, non è previsto il limite quinquennale di durata, cosicché potrà aversi anche una durata ultra-quinquennale, se non anche sine die, della intrasferibilità mortis causa di quote, fatto salvo però in ogni caso, ossia anche per i divieti infra-quinquennali, il diritto legale di recesso ex art. 2469 c.c.

In entrambi i tipi societari capitalistici l'intrasferibilità non potrà mai atteggiarsi in termini di clausola di c.d. “accrescimento” (o “consolidazione pura” o “concentrazione”) delle partecipazioni del socio premorto a favore dei soci superstiti, con esclusione del diritto alla liquidazione di esse dei suoi successori mortis causa, per violazione tanto della disciplina in parte qua (artt. 2355-bis e 2437 c.c. per le s.p.a. o s.a.p.a.; artt. 2469 e 2473 c.c. per le s.r.l.), quanto del principio del divieto dei patti successori. Nel caso in esame si tratterebbe, precisamente, di un patto successorio a carattere istitutivo (art. 458, comma 1, c.c.), dato che la clausola in esame sembrerebbe costituire un legato contrattuale di partecipazione sociale disposto per statuto dal socio premorto a favore dei soci superstiti, con esclusione di ogni diritto dei successori mortis causa del primo. Nella prassi statutaria, la clausola di intrasferibilità configura un'intrasferibilità relativa (e non assoluta) sul piano soggettivo: ad es., come divieto del trasferimento mortis causa delle partecipazioni sociali a soggetti diversi dal coniuge e dai discendenti in linea retta dei soci fondatori; tale clausola, è stata recentemente reputata valida dalla giurisprudenza di legittimità, sull'assunto che essa non impingerebbe nel divieto dei patti successori.

ii) Clausola di gradimento

La clausola di gradimento mortis causa rappresenta il patto statutario a mezzo del quale il trasferimento a eredi o legatari di partecipazioni societarie è subordinato al gradimento (a) degli organi sociali (ossia il c.d.a., il comitato esecutivo o, più raramente, l'assemblea), (b) di uno o più soci o, addirittura, (c) di terzi non soci (anche se quest'ultima ipotesi di gradimento del terzo è espressamente prevista solo nella s.r.l. ex art. 2469 e non anche nella s.p.a. o s.a.p.a. ex art. 2355-bis).

La prassi societaria presenta due modelli di clausola di gradimento: (i) le clausole di gradimento in senso stretto (c.d. clausole di mero gradimento) e (ii) le clausole di gradimento improprie o rigide (c.d. clausole di gradimento non mero). Il trasferimento mortis causa delle azioni o quote è subordinato, nelle prime, al consenso discrezionale del titolare del potere di placet; nelle seconde, invece, a determinate condizioni o requisiti, a carattere oggettivo o soggettivo, che devono sussistere in capo all'erede o legatario del socio premorto (ed essere specificamente previsti ex ante nello statuto). Gli eredi o legatari avranno così la possibilità di divenire soci di una società di capitali, una volta ottenuto il placet dal titolare del relativo potere o una volta accertati i requisiti richiesti ex ante dallo statuto.

Sul piano disciplinare, nelle s.p.a. (o s.a.p.a.) non si distingue, a differenza del trattamento delle clausole di gradimento limitative della circolazione inter vivos, tra gradimento mero e non mero: in entrambe le ipotesi, le relative clausole statutarie mortis causa sono da considerare inefficaci, salvo che siano previsti i soliti correttivi di exit visti sopra per il caso che il placet venisse negato o che viceversa il placet venisse concesso, pur in mancanza dei citati correttivi. Dall'inefficacia di una clausola statutaria di gradimento mortis causa non “corretta” discende che l'erede o il legatario può subentrare al socio premorto nella titolarità delle azioni, con diritto all'iscrizione nel libro dei soci.

Nella disciplina legale della s.r.l., la connotazione del gradimento come mero e non mero acquista, invece, rilievo per l'erede o legatario di quota: nella prima ipotesi gli spetta il diritto di recesso; nella seconda, tale diritto non gli spetta, a meno che siano posti “condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte” (art. 2469, comma 2, c.c.).

iii) Clausola di prelazione

Discorso leggermente più complicato vale per la prelazione mortis causa. Nel senso che un tale congegno potrebbe, in prima battuta, ritenersi inammissibile in ambito successorio. Ciò in quanto, come noto, la prelazione societaria presuppone la volontà di un socio di fuoriuscire dalla compagine sociale e si caratterizza - per definizione – per la preferenza riconosciuta al titolare del diritto di prelazione, in ordine all'acquisto della partecipazione sociale del cedente rispetto ai terzi potenziali acquirenti, che mancherebbero, invece, del tutto nella fattispecie della trasmissione successoria dal socio premorto ai suoi successori mortis causa.

Cionondimeno, si tende a ritenere ammissibile anche la prelazione mortis causa, pur con alcune peculiarità rispetto a quella inter vivos. La prima consisterebbe nel porre a carico dei successori mortis causa del socio premorto (quali soggetti passivi) l'obbligazione di indirizzare ai soci superstiti (quali soggetti attivi, c.d. “prelazionari”) l'offerta in prelazione (c.d. “denuntiatio”, quale vera e propria proposta contrattuale), il cui inadempimento (entro un determinato termine successivo all'apertura della successione del socio premorto) oppure adempimento (con successivo esercizio del diritto di prelazione, entro il termine fissato a statuto) precluderebbe l'ingresso nella compagine sociale; la seconda, si sostanzierebbe nella necessaria determinazione del prezzo di acquisto da parte dei prelazionari delle partecipazioni sociali già del socio premorto, sulla base del loro valore di liquidazione secondo la disciplina del recesso, in base – come abbiamo visto – al combinato disposto dell'art. 2355-bis, comma 3, e 2437-ter c.c.

iv) Clausola di opzione o di riscatto

La clausola di opzione o di riscatto mortis causa costituisce la variante evolutiva della clausola di prelazione mortis causa: infatti, laddove, nella prima ipotesi, i successori mortis causa del socio premorto sono soggetti passivi di una semplice obbligazione di far pervenire l'offerta in prelazione ai soci superstiti; nella seconda ipotesi, essi lo sono rispetto al diritto potestativo di questi ultimi di acquistare le azioni o le quote del socio defunto, secondo le condizioni previste ex ante dallo statuto, prescindendo totalmente da una preventiva “denuntiatio”. Diversamente dalle precedenti clausole di predisposizione successoria, le clausole in esame non evitano (ed anzi presuppongono essenzialmente) la trasmissione iure successionis delle azioni o quote in favore degli eredi o legatari del socio premorto, ma li vincolano a subire l'eventuale esercizio dell'opzione o riscatto degli altri soci.

Le clausole di opzione o riscatto mortis causa sono così equiparabili sostanzialmente a un patto di opzione ai sensi dell'art. 1331 c.c., nel quale però l'acquisto del diritto d'opzione è sospensivamente condizionato alla premorienza di uno dei soci rispetto agli altri. Una sorta, quindi, di opzione in incertam personam, nella quale cioè tanto il soggetto titolare (o i soggetti titolari) del diritto d'opzione o riscatto, quanto gli stessi soggetti vincolati dal diritto d'opzione o riscatto non sono determinati a priori, ma solo in base all'evento della premorienza. Proprio la rilevanza causale dell'evento morte di un socio, ai fini dell'acquisto del diritto d'opzione o riscatto in capo agli altri soci, ha fatto nascere il dubbio circa la invalidità delle clausole in oggetto per violazione del divieto dei patti successori (art. 458 c.c.). Ma per ben due volte la Cassazione le ha reputate valide, in quanto il vincolo d'opzione o riscatto a carico dei successori mortis causa del socio premorto non preclude la trasmissione in loro favore delle quote o azioni del socio premorto medesimo, secondo le ordinarie regole della delazione ereditaria, testamentaria o legittima (art. 457 c.c.), e senza dar luogo ad alcuna delazione ereditaria contrattuale (o patto successorio istitutivo di legato) di partecipazioni sociali.

Analogamente alle altre clausole di predisposizione successoria, affinché la clausola di opzione o riscatto mortis causa sia efficace (nella s.p.a. o s.a.p.a.) o preclusiva del diritto di recesso legale dei successori mortis causa del socio premorto (nella s.r.l.), è però necessario che questi ultimi conseguano un corrispettivo di opzione o riscatto almeno pari al valore di liquidazione calcolato ai sensi dell'art. 2437-ter, c.c. (s.p.a. o s.a.p.a.) o dell'art. 2473 c.c. (s.r.l.).

Sul piano della concreta tecnica redazionale, nella s.r.l., il diritto d'opzione o riscatto mortis causa può essere configurato come un diritto particolare ex art. 2468, comma 3, c.c., eventualmente attribuito selettivamente ad alcuni soci soltanto; mentre nella s.p.a. (o s.a.p.a.), il vincolo d'opzione o riscatto mortis causa può essere incorporato nella categoria speciale delle azioni riscattabili (art. 2437-sexies c.c.), da parte non solo degli altri soci superstiti, ma anche dalla società (cui è invece precluso nella s.r.l.), nei limiti previsti dalla disciplina dell'acquisto azioni proprie (art. 2357 c.c.).

Guida all'approfondimento

G. Vacchiano. Brevi note in tema di trasferimento mortis causa della partecipazione in una s.r.l., in Nuovo. dir. soc., 2016, n. 21, 24 ss.

M. Nagar, Gli effetti della morte del socio: una questione ancora aperta, in Le Società, 2016, 220 ss.

N. Lipari, Prospettive della libertà di disposizione ereditaria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, 799 ss.

C.M. Bianca, Diritto civile. 2.2. Le successioni, Giuffrè, 2015

S.P. Cerri, Negozi successori e trasmissione dell'impresa, Padova, 2013

E. Cristiano – O. Ferraro, Il passaggio generazionale nella impresa familiare, Milano, 2013

AA. VV., L'impresa familiare: modelli e prospettive, Giuffrè, 2012

G. Zanchi, Trasmissione inter-generazionale della ricchezza d'impresa e autonomia privata, Padova, 2011

F. Scaglione, Clausole societarie di successione familiare, in Contr. impr., 2009, 943 ss.

P. Bassilana – F. Nobili, Imprese di famiglia e passaggio generazionale, Egea, 2008

M. Palazzo, La circolazione delle partecipazioni e la governance nelle società familiari in prospettiva successoria, in Riv. not., 2007, 1375 ss.

M. Ieva, Le clausole limitative della circolazione delle partecipazioni societarie: profili generali e clausole di predisposizione successoria, in Riv. not., 2003, 1361.

M. D'Auria, Clausole di consolidazione societaria e patti successori, in Riv. not., 2003,657 ss.

F. Scaglione, Successioni anomale e contratto di società, ESI, 1998.

G.C.M. Rivolta, Clausole societarie e predisposizione successoria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1995

In giurisprudenza:

Cass., Sez. I, 29 dicembre 2011, n. 30020.

Cass., Sez. I, 12 febbraio 2010, n. 3345.

Cass., Sez. II, 16 aprile 1994, n. 3609.

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