Manutenzione (azione di)
12 Marzo 2018
Inquadramento
Sul piano funzionale l'azione di manutenzione si distingue dall'azione di spoglio poiché la prima è connotata da una precipua e più accentuata finalità conservativa e, al contempo, preventiva. Infatti, l'azione di manutenzione mira, in primo luogo, a conservare una situazione possessoria in atto, assicurandone il pacifico godimento.
Per converso, l'azione di spoglio mira a reagire avverso una privazione illecita, totale o parziale, di una situazione possessoria e ha una spiccata finalità recuperatoria e di ripristino della medesima. La diversità delle funzioni perseguite dalle due azioni si riflette sulla relativa disciplina, di cui mutano i rispettivi presupposti e condizioni, con particolare riguardo alla tipologia delle situazioni possessorie tutelabili, alla qualificazione che tali situazioni debbono avere e alla forma di manifestazione delle lesioni a cui è dato reagire con lo specifico rimedio possessorio accordato. Nondimeno, i requisiti richiesti per invocare l'azione di manutenzione devono ricorrere qualora sia stato integrato uno spoglio semplice, ossia né violento né clandestino; in tal caso, infatti, l'ultimo comma dell'art. 1170 c.c. subordina la rimessione nel possesso (c.d. manutenzione recuperatoria) all'esistenza delle condizioni prescritte per l'azione di manutenzione. Le situazioni possessorie tutelabili
L'azione di manutenzione può essere esercitata esclusivamente a tutela del possesso, ma non della detenzione (Cass. civ., sez. II, 8 marzo 2006, n. 4917), come invece è previsto per l'azione di spoglio. Inoltre, non ogni forma di possesso può essere protetta attraverso il ricorso a tale azione possessoria, potendo esercitarsi l'azione di manutenzione soltanto con riferimento alla salvaguardia della signoria di fatto precipuamente qualificata in ordine all'oggetto, alla durata e alle sue manifestazioni esteriori. In primis, riceve tutela il solo possesso che abbia ad oggetto beni immobili o universalità di mobili; al contrario, non ricevono tutela le situazioni di possesso aventi ad oggetto beni mobili, poiché altrimenti vi sarebbe il fondato pericolo di ostacolare in modo grave la circolazione delle merci. Si ritiene che anche l'azienda, quale complesso dei beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, che deve essere considerata come un bene distinto dai singoli componenti, sia suscettibile di essere unitariamente posseduta (Cass. civ., Sez.Un., 5 marzo 2014, n. 5087), sicché, avverso la relativa turbativa, sarà spendibile l'azione di manutenzione (Cass. civ., sez. un., 3 dicembre 1984, n. 6339; contra, Cass. civ., sez. II, 31 marzo 1958, n. 1113). In base ad un indirizzo più restrittivo, la tutela possessoria dell'azienda postulerebbe che tutti i beni che la compongono siano soggetti ad un potere di fatto facente capo alla medesima persona e corrispondente allo stesso diritto reale. Ma in senso contrario, la tesi più estensiva riconosce l'esperibilità dell'azione di manutenzione anche se la turbativa riguardi un singolo bene facente parte dell'azienda, pure nell'ipotesi in cui il bene non sia oggetto di possesso, ma di detenzione. Si nega, invece, che l'azione di manutenzione possa essere esercitata avverso lo sviamento di clientela o la concorrenza sleale, atteso che non si tratta di beni suscettibili di possesso. Con riferimento al contenuto dell'attività possessoria, non è posto invece alcun limite, potendo il potere di fatto essere difeso mediante l'esperimento dell'azione di manutenzione sia quando esso si presenti ad immagine di un diritto di proprietà sia quando si manifesti a immagine di un diritto reale su cosa altrui, sia come ius possidendi sia come ius possessionis, come espressamente affermato dalla disposizione dedicata alla disciplina dell'istituto, sebbene con una formula non esente da improprietà giuridica: «possesso di un immobile, di un diritto reale sopra un immobile o di un'universalità di mobili». Ancora, il possesso deve durare da oltre un anno. Tale aspetto temporale rappresenta una condizione dell'azione, il cui difetto è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento. La previsione di tale durata è stata giustificata in virtù del ritenuto collegamento tra il decorso del tempo e il consolidamento della situazione di fatto. E ciò nel senso che quest'ultima, dopo un certo periodo, eventualmente anche a seguito dell'applicazione del principio della accessio possessionis, assumerebbe pubblicamente una sorta di apparenza di diritto, tale da rendere arbitraria ogni molestia e da costituire il fondamento essenziale di una sollecita tutela. Inoltre, il possesso tutelabile deve essere continuo e non interrotto e non deve essere stato acquistato violentemente o clandestinamente. Il requisito della continuità implica un esercizio costante e uniforme dei poteri sulla cosa, sebbene tale nozione debba essere rapportata alle modalità concrete della gestione, collegate alla destinazione economica del bene. Il requisito della non interruzione si distingue da quello della continuità poiché il primo dipenderebbe da un fatto del possessore mentre il secondo scaturirebbe da una perdita del possesso per il fatto di terzi o per cause oggettive. La norma precisa che la tutela possessoria è concessa anche a favore di chi abbia acquistato il possesso in modo violento o clandestino, qualora la situazione attualmente si presenti in modo tale da aver perso gli originali caratteri di violenza o clandestinità, per assumere, da oltre un anno, quelli di un possesso pacifico e pubblico. L'azione potrà essere esperita contro chiunque abbia posto in essere la molestia o turbativa, potendo la tutela possessoria essere disposta anche nei confronti di colui che abbia subito le illecite conseguenze dell'acquisto, in origine vizioso, del possesso da parte di altri.
Presupposto oggettivo: le molestie o turbative
La possibilità di avvalersi del rimedio possessorio dell'azione di manutenzione presuppone che la lesione del possesso si sia concretizzata in una molestia o turbativa. Così come per lo spoglio, anche l'art. 1170 c.c. non definisce il concetto di molestia, quale presupposto oggettivo per attivare la tutela giudiziale manutentiva, anche ai fini della distinzione dal presupposto oggettivo che giustifica il ricorso all'azione di reintegrazione. In base alle acquisizioni ormai consolidate di giurisprudenza e dottrina, si osserva che la molestia rende disagevole l'esercizio del possesso altrui, mentre lo spoglio esclude, in tutto in parte, tale possesso. Sicché lo spoglio implica una radicale perdita del bene posseduto e il passaggio del possesso ad altri mentre la molestia o turbativa importa la persistenza del possesso in capo al soggetto titolare e l'esercizio di un'attività di disturbo, di aggravamento, di diminuzione delle facoltà possessorie esercitabili dal titolare del potere di fatto sulla res. Nella pratica, tale differenza, che teoricamente sembra alquanto marcata, non è così evidente, atteso che si possono presentare delle situazioni che in concreto ricadono in una zona grigia, a cavallo tra lo spoglio e la molestia. Rientrano nel concetto di molestia o turbativa anche i fatti di mero pericolo, tali da rendere prevedibile una futura lesione del possesso. Tuttavia, l'astratto pericolo di pregiudizio al possesso è inidoneo a fondare la molestia possessoria, la quale, ove l'azione di manutenzione sia esercitata in via preventiva, postula, in ogni caso, un comportamento che ponga in serio e concreto pericolo il preesistente stato di fatto (Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 2016, n. 2291). Tale ipotesi ricorre, in specie, con riferimento alle molestie di diritto. Esse si distinguono dalle turbative materiali poiché non incidono sul concreto esercizio del potere di fatto del possessore, non implicando una immutatio loci, ma si manifestano attraverso una contestazione dell'altrui situazione. Ad esempio, ricorre molestia di diritto nel caso in cui vi sia un'intimazione, giudiziale o stragiudiziale, mediante la quale si pretenda che il possesso altrui venga modificato nella sua consistenza. Nondimeno, affinché la turbativa possa giustificare l'esperimento dell'azione di manutenzione, è necessario che essa sia apprezzabile, avuto riguardo all'interesse delle parti (Cass. civ., sez. VI 12 aprile 2011, n. 8275): in specie, dovrà aversi riferimento al vantaggio dell'autore della molestia ovvero al notevole disagio arrecato al possessore. Pertanto, pur potendosi la molestia possessoria realizzarsi anche senza tradursi in attività materiali, attraverso manifestazioni di volontà, esse devono - comunque - esprimere la ferma intenzione del dichiarante di tradurre in atto il suo proposito, mettendo in pericolo l'altrui possesso. Invece, se le manifestazioni di volontà - siano esse verbali o scritte - siano rivolte all'affermazione di un diritto proprio o alla negazione di un diritto altrui, senza far temere imminenti azioni materiali contrastanti con la situazione di possesso, non si è in presenza di molestia possessoria, bensì solo di espressioni intese ad evitare - se possibile - una controversia giudiziaria (Cass. civ., sez. II, 10 ottobre 2011, n. 20800). Non è invece richiesto, diversamente dallo spoglio, che la molestia sia integrata secondo modalità violente o in modo occulto. È comunque fisiologico al concetto stesso di lesione nel possesso che essa sia perpetrata contro la volontà, effettiva o ipotetica, del possessore. Con riferimento ai requisiti soggettivi, la condotta molestatrice deve essere supportata dall'animus turbandi dell'autore della turbativa. Esso si concreta nell'esecuzione della turbativa contro la volontà reale o presunta del possessore, sicché solo il consenso espresso o tacito del possessore, o comunque la sua acquiescenza ex post, tolgono al contegno altrui ogni carattere di illiceità. Secondo la giurisprudenza, l'elemento psicologico della molestia possessoria consiste nella volontarietà del fatto che determina la diminuzione del godimento del bene da parte del possessore e nella consapevolezza che esso è oggettivamente idoneo a modificarne o limitarne l'esercizio, senza che rilevi, in senso contrario, il perseguimento, da parte dell'agente, del fine specifico di molestare il soggetto passivo ovvero la mancata previsione delle concrete e ulteriori conseguenze della sua azione (Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 2016, n. 107). Tale elemento psicologico, inoltre, deve presumersi ogni volta che si dimostrino gli estremi della turbativa, restando irrilevante anche l'eventuale convincimento dell'autore del fatto di esercitare un proprio diritto (Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 2017, n. 3901). Legittimazione attiva
Con riferimento alla legittimazione attiva, essa - come detto - spetta esclusivamente al possessore che abbia i requisiti innanzi indicati. Sarà quindi legittimato il solo possessore di beni immobili o di universalità di mobili, a immagine del diritto di proprietà o di altro diritto reale minore, ove il possesso sia attuato in modo continuo, non interrotto, in maniera pacifica e pubblica da oltre un anno. Questi dovrà fornire la prova del possesso, rispetto alla quale l'esame dei titoli può essere consentito soltanto ad colorandam possessionem, cioè al solo fine di individuare il diritto al cui esercizio corrisponde il possesso o di determinare meglio i contorni del possesso già altrimenti dimostrato (Cass. civ., sez. II, 22 febbraio 2011, n. 4279). Secondo una tesi minoritaria, la legittimazione spetterebbe anche al conduttore, ai sensi dell'art. 1585, secondo comma, c.c., nell'ipotesi di molestie sul bene locato, arrecate da terzi, che non pretendono di avere diritti sulla cosa (cosiddette molestie di fatto), non essendovi in tal caso l'obbligo della garanzia a cura del locatore e potendo il conduttore agire in nome proprio verso il terzo che ha realizzato la molestia a scopo inibitorio. Tale lettura è assai discutibile; infatti, secondo la tesi maggioritaria, in tal caso non sarebbe comunque ammesso l'esercizio dell'azione di manutenzione, bensì sarebbe consentito l'esperimento di un'azione di tutela diretta, anche petitoria oltre che risarcitoria, a salvaguardia del diritto di godimento leso dal fatto ingiusto del terzo, volta a inibire le molestie poste in essere da terzi (Cass. civ., sez. II, 5 marzo 2007, n. 5029). Legittimazione passiva
Legittimato passivo è l'autore della molestia o il suo successore a titolo universale, indipendentemente dalla pretesa eventualmente addotta a giustificazione della turbativa medesima. Autore della molestia non è soltanto il soggetto che abbia compiuto il corrispondente atto materiale, ma anche colui che abbia dato incarico di provocare la molestia o che ne abbia consapevolmente profittato. Segnatamente, affinché un soggetto possa qualificarsi come autore morale della turbativa, occorre che egli, pur non avendo autorizzato la condotta illecita, ne abbia tratto vantaggio (criterio del cui prodest) e che sia consapevole dell'illiceità dell'atto di molestia compiuto da terzi (Cass. civ., sez. II, 29 luglio 2013, n. 18216). L'integrazione della molestia determina la responsabilità individuale dei singoli autori della stessa; ne segue che nel giudizio possessorio, quando il fatto lesivo del possesso sia riferibile a diversi soggetti, l'uno quale esecutore materiale e l'altro quale autore morale (ed è tale anche il soggetto che dell'atto lesivo si giovi), sussiste la legittimazione passiva di entrambi, ma non ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario, potendo la pretesa essere coltivata anche nei confronti di uno solo dei responsabili (Cass. civ., sez. VI, 5 aprile 2011, n. 7748). Con riferimento alla posizione del soggetto che sia nel possesso in virtù di un acquisto a titolo particolare, perfezionato con la conoscenza della precedente lesione, è esclusa la possibilità di applicazione dell'art. 1169 c.c., quale norma di stretta interpretazione che estende la legittimazione passiva al sub-acquirente, ma solo con riguardo all'ipotesi del sub-acquisto avvenuto con la conoscenza dell'integrato spoglio. Termine di decadenza
L'azione di manutenzione deve essere esercitata entro il termine di decadenza di un anno, che decorre, in ogni caso, dal perfezionamento della turbativa. Infatti, da un lato, la molestia incide, non già sulla privazione del bene posseduto, bensì sul pieno esercizio delle facoltà di godimento spettanti sul bene, la cui ricaduta in termini di aggravamento o scomodità è in via tendenziale immediatamente percepibile dal possessore, poiché l'esercizio della signoria di fatto potrà essere aggravata o resa scomoda o diminuita in quanto il relativo esercizio sia in corso al momento in cui la condotta lesiva è consumata; dall'altro, la turbativa non può avere ad oggetto singoli beni mobili ma solo beni immobili o universalità di mobili, beni rispetto ai quali la limitazione all'attuazione del pieno potere di fatto è più facilmente rinvenibile. Ne discende che non ha senso prospettare la natura occulta della molestia, con l'effetto che il termine di decadenza decorrerà sempre dal momento in cui essa è integrata. Tuttavia, non sempre il momento di consumazione della molestia è inequivoco, poiché, a volte, essa si perfeziona, non già attraverso il compimento di un unico e istantaneo atto lesivo, bensì attraverso una serie ripetuta di condotte, quantomeno potenzialmente pregiudizievoli. In tale evenienza, la molestia potrà ritenersi integrata, ai fini del decorso del termine di decadenza, con il compimento del primo atto, qualora quelli successivi siano meramente esecutivi di un aggravamento già determinato dal primo contegno lesivo, ovvero con il compimento dell'ultimo atto della serie, qualora solo attraverso questo possa dirsi ultimata la condotta lesiva del possesso (Cass. civ., sez. II, 23 maggio 2012, n. 8148; Cass. civ., sez. II, 10 marzo 2008, n. 6305; Cass. civ., sez. II, 19 luglio 2007, n. 16077). L'eccezione deve essere sollevata dal resistente e, all'esito, l'onere di dimostrare la tempestività della proposizione dell'azione ricadrà sul ricorrente. La tempestività deve essere verificata rispetto alla data di deposito del ricorso introduttivo del procedimento nella cancelleria del giudice adito. Le domande possessorie di merito proposte oltre il termine annuale fissato ex artt. 1168 e 1170 c.c. non sono soggette alla decadenza prevista da tali norme, alla duplice condizione che l'interessato, che abbia agito ai sensi degli artt. 1171 o 1172 c.c., abbia tempestivamente chiesto, in quella sede, l'adozione di provvedimenti provvisori e le successive domande possessorie concernano la medesima lesione del possesso trattata con la denuncia di nuova opera o con quella di danno temuto; tanto, ancorché il giudice, nel definire il solo procedimento nunciatorio, manchi di rinviare la causa per il merito possessorio e quest'ultimo costituisca oggetto di un procedimento successivamente introdotto ad iniziativa di chi lamenti lo spoglio o la turbativa del possesso (Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 2016, n. 21301). Aspetti processuali
Anche il procedimento possessorio di manutenzione segue lo stesso schema procedurale del procedimento di reintegrazione. Esso ha natura bifasica, succedendo solo in via eventuale alla fase sommaria e interinale la fase a cognizione piena del merito possessorio. Nella fase sommaria introdotta dal ricorso l'istruttoria sarà celere e deformalizzata, allo scopo di consentire la pronuncia, con ordinanza, sulla semplice notorietà del fatto e senza dilazione, in ordine all'accoglimento ovvero al rigetto della domanda spiegata. Il soggetto leso che invochi la tutela possessoria, ove intenda ottenere la condanna dell'autore dello spoglio o della turbativa anche al risarcimento dei danni, deve necessariamente richiedere al giudice, nel termine previsto dall'art. 703, comma 4, c.p.c., la fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, ovvero proporre un autonomo giudizio, in quanto le questioni inerenti alle pretese risarcitorie possono essere esaminate solo nel giudizio di cognizione piena. Ne consegue che, qualora il giudice adito con azione possessoria, esaurita la fase a cognizione sommaria, non si limiti a pronunciare sulla domanda di reintegrazione o di manutenzione, ma, travalicando i limiti del contenuto del provvedimento interdittale, decida altresì sulla domanda accessoria di risarcimento danni, il provvedimento adottato, anche se emesso nella forma dell'ordinanza, va qualificato come sentenza e, come tale, è impugnabile con appello (Cass. civ., sez. II, 30 settembre 2014, n. 20635). Per effetto della proposizione dell'azione possessoria è inibito il cumulo con l'azione petitoria, che potrà essere esperita solo dopo la conclusione del giudizio possessorio. L'attuazione delle misure interdittali avviene secondo il procedimento speciale regolato dall'art. 669-duodecies c.p.c. Per l'effetto, i provvedimenti interinali di reintegrazione o di manutenzione hanno il carattere della esecutività, ma non danno luogo a esecuzione forzata, atteso che, con essi, non si realizza a un'alternativa tra adempimento spontaneo ed esecuzione forzata, ma un fenomeno intrinsecamente coattivo di esecuzione che si svolge ex officio iudicis. Pertanto, la loro esecuzione deve avvenire omettendo l'osservanza delle formalità dell'ordinario processo di esecuzione e, quindi, senza preventiva notificazione del precetto, bastando, nei confronti dell'intimato, che il provvedimento sia notificato in forma esecutiva, con la conseguenza che le spese del precetto, ove intimato, non sono ripetibili (Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 2006, n. 407). Casistica
De Martino, Del possesso. Della denunzia di nuova opera e di danno temuto, in Commentario al codice civile a cura di Scialoja e Branca, III, Della proprietà, Bologna-Roma, 1984, 144; Gentile, il possesso, Torino, 1977, 289; Levoni, La tutela del possesso, I, L'oggetto della tutela e le azioni, Milano, 1979, 285; Montel, Il possesso, II, in Trattato di diritto civile italiano diretto da Vassalli, Torino, 1962, 542; Natoli, Il possesso, II, Milano, 1992, 168; Protettì, Le azioni possessorie, Milano, 2005, 479; Sacco, Possesso. Denuncia di nuova opera e danno temuto, Milano, 1960, 101. |