Locatore (diritti)

Ladislao Kowalsky
14 Marzo 2018

Parlare dei diritti del locatore nel rapporto di locazione significa, in sostanza, individuare i doveri del conduttore. Andranno quindi delineati tali due speculari aspetti. La presente trattazione, pertanto, cercherà di elencare e analizzare quelli che sono i maggiori diritti del locatore nell'ambito del rapporto di locazione. Si tratterà, quindi, di quanto consegue all'utilizzo dell'immobile, al diritto al corrispettivo, alla restituzione, ai danni e al degrado sempre nell'ottica del diritto del locatore, del deposito cauzionale e del diritto agli eventuali danni anche per la ritardata restituzione.
Inquadramento

La materia delle locazioni ha avuto numerosi interventi legislativi nel corso degli anni, dato che l'investimento immobiliare è forse uno dei modi più tipici di tutela del risparmio. Vi è, quindi, forte interesse, di una vasta parte della società a una sua regolamentazione considerati gli altrettanto importanti aspetti sociali. Abbiamo assistito, come detto, dalla emanazione del codice civile (1942), a numerosi interventi legislativi.

Si pensi:

a) al regime di proroghe delle locazioni già vigente dagli anni 40;

b) alla l.n. 253/1950 che con i suoi 48 articoli costituì un tentativo, ancorché in regime di proroga, di disciplinare la materia;

c) si è poi arrivati (Cass. civ., sez. III, 15 aprile 1980, n. 2466) alla l. n. 392/1978. Tale legge, c.d. dell'equo canone, dettò una normativa organica dei rapporti sia abitativi che ad uso diverso. Fece cessare, inoltre, ancorché all'interno di un lungo periodo transitorio, il regime delle c.d. proroghe;

d) per l'abitativo, poi, vi fu ulteriore organico intervento a seguito della l. n. 431/1998, con l'intermezzo dell'art. 11 del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito in l. 8 agosto 1992 n. 359 che aveva introdotto i c.d. patti in deroga. Tali ultimi erano caratterizzati dalla possibilità, rinunciando alla disdetta per la prima scadenza contrattuale, di superare i vincoli dell'equo canone e concordare, quindi e liberamente, l'originario valore del canone di locazione. Al contrario, le locazioni ad uso diverso (industriali, artigianali, commerciali, professionali e quelle di cui all'art. 42), tutt'ora sono ancora, disciplinate dalla legge del 1978.

Tuttavia, le normative citate intervenute successivamente all'emanazione del codice civile, hanno inciso, perlopiù, su durata e canoni. Solo in parte, al contrario, hanno riguardato il contenuto dei rapporti e degli obblighi delle parti.

Conseguentemente il corpus normativo che, ancor oggi, dispone in ordine alla disciplina del contratto di locazione, è contenuto, principalmente, nel codice civile.

Gli aspetti principali che attengono al locatore sono previsti negli articoli da 1575 a 1586 c.c., quelli che attengono al conduttore negli articoli da 1587 a 1593 c.c. salvo ulteriori norme sui rapporti di sublocazione, fine locazione, rinnovazione tacita e altre disposizioni sostanzialmente superate o desuete. La presente trattazione, quindi, esaminerà gli aspetti di cui ai citati articoli dal punto di vista dei diritti in capo al locatore.

Diritti in relazione alla presa in consegna e diligenza nell'uso

Nella speculare considerazione dei diritti del locatore a fronte dei doveri del conduttore, possiamo considerare, in primis, quanto previsto all'art. 1587, n. 1), c.c. in tema di obbligazioni principali del conduttore, rispetto a quanto disposto dall'art. 1575, n. 1), c.c. in tema di obbligazioni principali del locatore.

In evidenza

Art. 1587, n. 1), c.c.: «Il conduttore deve: 1) prendere in consegna la cosa e osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l'uso determinato nel contratto o per l'uso che può altrimenti ….»

Art. 1575, n. 1), c.c.: «Il locatore deve: 1) consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione; …»

Queste disposizioni, come tutte quelle codicistiche che regolano la materia, hanno a valere per ogni tipo di locazione. Non si fa, quindi, distinzione, salvo le specifiche precisazioni (ad esempio, l'art. 1608 c.c.), tra abitazioni, ad uso diverso né con le locazioni soggette alle leggi speciali o quelle libere.

Tale primo e principale obbligo del conduttore corrisponde, quindi, al diritto che compete a parte locatrice. Lo stesso si concreta nella legittima pretesa di quest'ultima ad un comportamento del conduttore che rispetti un uso dell'immobile conforme al contratto.

Una prima considerazione, su tale aspetto, è inerente ad altro obbligo/diritto previsto dall'art. 1590 cc che prevede: «Il conduttore deve restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l'ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso della cosa in conformità del contratto. …».

  • Altra norma che incide sull'argomento è l'art. 1609 c.c.: «Le riparazioni di piccola manutenzione, che a norma dell'articolo 1576 devono essere eseguite dall'inquilino a sue spese, sono quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dall'uso, e non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito. Le suddette riparazioni, in mancanza di patto, sono determinate dagli usi locali».

In ordine alle due norme citate, artt. 1587 e 1590 c.c., va considerato che non vi è sovrapposizione tra le distinte disposizioni: il diritto del locatore ad un corretto uso dell'immobile ed alla restituzione in buono stato di manutenzione del medesimo.

Durante la locazione, infatti, il conduttore deve uniformarsi ad un utilizzo secondo l'uso pattuito. Inoltre, al rilascio, l'immobile deve trovarsi nelle originarie condizioni salvo il normale deperimento. Ciò rispettando gli obblighi di manutenzione ex art. 1609 c.c.

Quanto sopra ha una precisa portata in termine di conseguenze. Il locatore, infatti, potrà pretendere, in corso di locazione, che il conduttore si uniformi all'obbligo di corretto utilizzo dell'immobile. Lo stesso, pertanto, non potrà, quindi, essere rimesso al momento della restituzione e considerato nell'ambito, come detto, del «deperimento consentito».

Sulla specifica distinzione tra le due ipotesi, vi è orientamento conforme delle decisioni succedutesi sull'argomento (Trib. Salerno 11 aprile 2015; Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010, n. 11345; specificatamente in tema alberghiero, v. Cass. civ., sez. III 13 giugno 2013, n. 14850).

Circa tale aspetto si riporta, dalla motivazione della sentenza di Trib. Pisa 12 maggio 2016, un passo particolarmente chiaro in ordine all'aspetto che stiamo considerando: «In tema di locazione di immobili, l'obbligo del conduttore di osservare nell'uso della cosa locata la diligenza del buon padre di famiglia, ex art. 1587, n. 1), c.c., è sempre operante nel corso della locazione, indipendentemente dall'altro obbligo, sancito dall'art. 1590 c.c., di restituire, al locatore la cosa nello stato medesimo in cui l'ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso della cosa in conformità del contratto. Sicché il cattivo uso è quello non conforme al contratto, mentre il normale deterioramento conseguente all'uso conforme al contratto e non dà luogo al risarcimento, salvo l'obbligo del conduttore di provvedere alle riparazioni di piccola manutenzione».

Sempre in relazione al dovere di rispettare l'uso determinato in uno specifico caso, si è sentenziato:

In evidenza

Il comportamento del conduttore che consente l'esercizio del meretricio nella cosa locata, sebbene rivesta carattere di illecito penale, può assurgere a causa determinante la risoluzione del contratto nel caso in cui si concreti nella violazione dell'art. 1587 c.c. e, cioè, in un abuso della res locata che in qualche modo la pregiudichi: sicché, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento occorre verificare in concreto se il comportamento del conduttore abbia o meno incidenza sul valore locativo della cosa, senza che possa trarsi una presunzione in tal senso dalla circostanza che conduttore eserciti in esso l'attività di meretricio (Cass. civ., sez. III, 19 marzo 2015, n. 5473).

Si riporta di seguito la nota giurisprudenziale: Il caso concreto da cui prende le mosse la Corte può essere così brevemente descritto: benché avesse concluso un contratto di locazione ad uso diverso, per lo svolgimento di attività alberghiera, il conduttore ebbe a mutare la destinazione concreta dell'immobile per esercitarvi attività di meretricio; sennonché, non solo l'esercizio del meretricio è sanzionato dalla l. n. 75/1958, agli artt. 3, nn. 3) e 8), nonché 4, n. 7), secondo i quali, rispettivamente, «chiunque, essendo proprietario, gerente o preposto a un albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo, o loro annessi e dipendenze, o qualunque locale aperto al pubblico o utilizzato dal pubblico, vi tollera abitualmente la presenza di una o più persone che, all'interno del locale stesso, si danno alla prostituzione», e «chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui...è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire 100.000 a lire 4.000.000, salvo in ogni caso l'applicazione dell'articolo 240 c.p.», ma, nella specie, la Questura aveva finanche chiuso l'albergo per un certo tempo e la stampa aveva dato ampia notizia dei fatti. La parte locatrice, pertanto, aveva chiesto - e ottenuto - la risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore. Il Supremo Consesso è stato, dunque, investito della questione circa la valutazione da compiersi in merito alla gravità dell'inadempimento ascritto al conduttore e, confermando in toto la motivazione sottesa dalla Corte territoriale alla propria decisione, ha chiarito che:

a) l'uso di un immobile destinato ad attività alberghiera, da parte del conduttore, a casa di meretricio, ne stravolge la funzione sociale datagli dal locatore, che ben può opporsi all'arbitrario cambio di destinazione (soprattutto se, come nella specie, trattasi dello svolgimento di attività illecite);

b) la conservazione del valore locativo dell'immobile rappresenta uno degli obblighi del conduttore, fissato dall'articolo 1587 c.c., avendo egli altresì l'obbligo di osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsi della cosa secondo l'uso determinato nel contratto: in tal senso, la Corte precisa che, nella specie, anche tenuto conto del particolare risalto della notizia, la destinazione sui generis dell'immobile locato ha alterato l'equilibrio economico-giuridico del contratto in danno del locatore stesso, per il degrado morale ed economico dell'immobile, con conseguente gravità dell'inadempimento del conduttore in ordine al relativo obbligo e legittimità della declaratoria di risoluzione giudiziale del contratto locatizio (cfr., in termini, Cass. civ., sez. III, 14 novembre 2006, n. 24206).

Diritto al corrispettivo

Evidente che il canone costituisce uno degli aspetti più importanti tra i diritti del locatore. È sicuramente aspetto delicato atteso che al conduttore viene dato in consegna un bene sempre e, comunque, di valore consistente che, come abbiamo visto, deve essere:

a) utilizzato secondo quanto concordato. Fatto, quest'ultimo, che, come dalla citata giurisprudenza del punto precedente, non può essere preventivamente individuato per i singoli aspetti. In caso di conflitto, quindi, costringe, mancando l'accordo delle parti, ad accertamenti da parte del tecnico con valutazione sempre e comunque di tipo soggettivo (ad esempio, il pavimento rovinato in una locazione durata 18 anni per un locale ad uso esposizione di mobili, con il frequente spostamento dei singoli stand ad esposizione ….. è normale deperimento o uso non diligente …?);

b) rispettato, per quanto riguarda la manutenzione ordinaria, il disposto di cui all'art. 1609 c.c.;

c) restituito nei modi che vedremo, ai sensi dell'art. 1590 c.c.

Abbiamo trattato altrove del canone e della sua determinazione. Qui consideriamo le violazioni dell'obbligo di pagamento che si concretizzano nella morosità.

Tale aspetto, diversamente dagli altri, è in parte ricompreso dalla legge speciale e, particolarmente agli artt. 5 e 55 della l.n. 392/1978.

Nello specifico le disposizioni tra locazioni abitative e ad uso diverso si distinguono in ordine alla eventuale morosità.

Ai sensi della l.n. 431/1998, sulle abitazioni, la originaria e prima definizione del canone è, al pari delle locazioni ad uso diverso, liberamente contrattata fra le parti.

Diverso è il trattamento per la gravità dell'inadempimento e, quindi, per il caso il conduttore manchi a questo suo primario obbligo che corrisponde, come evidenziato, ad uno dei principali interessi e diritti del locatore (probabilmente non il più importante. Lo stesso infatti, sta, quantomeno alla pari, con l'altrettanto importante interesse/diritto del locatore, di un diligente corretto e ordinato uso dell'immobile. Evidente, infatti, che i danni da cattivo utilizzo del bene, a volte, riducono o addirittura azzerano il corrispettivo ottenuto).

Sul punto una breve premessa esplicativa.

Secondo ordinarie disposizioni, art. 1455 c.c.: «Il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza avuto riguardo all'interesse dell'altra»

Tuttavia, è prevista la clausola risolutiva espressa ai sensi dell'art. 1456 c.c.: «I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite. In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all'altra che intende valersi della clausola risolutiva».

Ne consegue, giusto il combinato disposto dei due citati articoli, che non sempre un inadempimento (mancato pagamento del canone …) comporta la risoluzione del contratto. Fermo, ovviamente, l'obbligo di pagamento.

Tuttavia, rispetto a tale generale principio, per le locazioni abitative vale la speciale disposizione di cui all'art. 5 della l. n. 392/1978: «Salvo quanto previsto dall'articolo 55, il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell'articolo 1455 del codice civile».

Pertanto, per le sole locazioni abitative (escluse, quindi, quelle ad uso diverso), il legislatore ha fissato, ex lege, il valore del grave inadempimento per la morosità locatizia, si ripete, abitativa.

Il locatore, quindi, avrà diritto di procedere con la richiesta di sfratto trascorsi venti giorni dalla data fissata per il pagamento del canone e nel caso di oneri condominiali quando gli stessi raggiungono il controvalore di due mensilità (va ricordato quanto all'art. 9 della l. n. 392/1978, in tema di richiesta di pagamento di detti oneri).

Il rigore di detta norma è tuttavia temperato dal disposto di cui all'art. 55 della l. n. 392/78. Lo stesso introduce il meccanismo del c.d. termine di grazia. Il conduttore abitativo, infatti, citato per la convalida dello sfratto (ma anche qualora l'azione sia proposta per le vie ordinarie salvo, nel caso, il preventivo obbligatorio procedimento di mediaconciliazione ex art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28), potrà sempre sanare il debito. L'adempimento potrà avvenire prima o all'udienza. In mancanza il conduttore potrà richiedere al giudice del procedimento un termine c.d. di grazia, per sanare la morosità.

Vale la pena il riportare il testo dell'art. 55 della l. n. 392/1978 «Termine per il pagamento dei canoni scaduti»:

La morosità del conduttore nel pagamento dei canoni o degli oneri di cui all'articolo 5 può essere sanata in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso di un quadriennio se il conduttore alla prima udienza versa l'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice.

Ove il pagamento non avvenga in udienza, il giudice, dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, può assegnare un termine non superiore a giorni novanta.

ln tal caso rinvia l'udienza a non oltre dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato.

La morosità può essere sanata, per non più di quattro volte complessivamente nel corso di un quadriennio, e il termine di cui al secondo comma è di centoventi giorni, se l'inadempienza, protrattasi per non oltre due mesi, è conseguente alle precarie condizioni economiche del conduttore, insorte dopo la stipulazione del contratto e dipendenti da disoccupazione, malattie o gravi, comprovate condizioni di difficoltà.

Il pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude la risoluzione del contratto.

Nel caso intervenga la sanatoria, gli effetti del ritardato pagamento si estinguono e la locazione procederà.

Come dicevamo, tuttavia, tale meccanismo non vale per le locazioni ad uso diverso (Cass. civ., sez.un., 28 aprile 1999, n. 272; Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2017, n. 1428). Per tali ultime vige il generale principio di gravità. Pertanto o le parti definiscono contrattualmente il limite della gravità (esempio, il mancato pagamento del canone entro la data …. oppure il mancato pagamento di 2 … mensilità, determinerà la risoluzione di diritto del contratto per grave inadempimento ….) oppure la stessa andrà, di volta in volta, valutata in sede giudiziale.

Circa il diritto del locatore a vedersi corrisposto il canone, devesi ricordare gli aspetti della autoriduzione o, addirittura, della totale sospensione nel pagamento, da parte del conduttore.

Diritto alla restituzione, degrado e danni

A fine locazione compete, ovviamente, al locatore il diritto alla restituzione dell'immobile. Già sopra abbiamo introdotto tale aspetto nel confronto con il diritto del locatore a vedere detenuto l'immobile secondo la sua destinazione ed uso.

Qui, al contrario, consideriamo il momento della cessazione del rapporto. Evidente, in ordine al contenuto della locazione come definito dall'art. 1571 c.c., secondo cui «La locazione è il contratto col quale una parte si obbliga a far godere all'altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo».

Peraltro, il godimento a fronte del corrispettivo comprende due distinte posizioni: l'utilizzo secondo accordi e destinazione dell'immobile; la “consumazione”, cioè il deperimento del medesimo a seguito dell'utilizzo.

Il principio è espresso dall'art. 1590 c.c.: «Il conduttore deve restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l'ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso della cosa in conformità del contratto. ln mancanza di descrizione, si presume che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione. Il conduttore non risponde del perimento o del deterioramento dovuti a vetustà. Le cose mobili si devono restituire nel luogo dove sono state consegnate».

Esemplificativamente sul punto - con la raccomandazione, tuttavia, che l'aspetto andrà valutato caso per caso - si può riportare la seguente massima: «L'inadempimento da parte del conduttore all'obbligo di esecuzione delle riparazioni ordinarie di piccola manutenzione e di quello di restituzione dell'immobile nello stesso stato in cui l'ha ricevuto non importa - come per l'inadempimento in generale delle obbligazioni - il sorgere automatico dell'obbligo di risarcimento dei danni se questi non sono provati. ln particolare, non sono risarcibili perché dovuti al deterioramento causato dall'uso normale dell'immobile, come previsto dall'art. 1590 c.c. - essendo connaturali al godimento del bene e non potendo pretendere il locatore che gli sia restituito l'immobile senza quel deterioramento che l'uso dello stesso normalmente comporta la presenza di fori e di tracce sui muri, il degrado della pitturazione, il deterioramento del vano scala e di alcune parti dell'intonaco del vano tecnico dell'ascensore (Trib. Bari 27 marzo 2012).

Più in generale, rispetto all'arresto di cui sopra, vale considerare il seguente orientamento: «qualora, in violazione dell'art. 1590 c.c., al momento della riconsegna l'immobile locato presenti danni eccedenti il degrado dovuto al normale uso del bene locato, incombe al conduttore l'obbligo di risarcire tali danni, consistenti non solo nel costo delle opere necessarie per la rimessione in pristino, ma anche nel canone dovuto per tutto il periodo necessario per l'esecuzione e il completamento di tali lavori, senza che, a quest'ultimo riguardo, il locatore sia tenuto a provare di aver ricevuto - da parte di terzi - richieste per la locazione non soddisfatte a causa dei lavori». (Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2011, n. 19202).

In ordine alla citata sentenza, va rilevato cheil principio di diritto che può considerarsi consolidato (in senso conforme, v. Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2010, n. 13222; Cass. civ., sez. III, 30 luglio 2004, n. 14608; Cass. civ., sez. III, 16 settembre 2008, n. 23721; Cass. civ., sez. III, 1luglio 1998 n. 6417. Sull'ammissibilità dell'accollo contrattuale al conduttore della manutenzione straordinaria dell'immobile locato in deroga agli art. 1590 e 1609 c.c. - oggetto del quesito del ricorrente in ordine alla possibile violazione dell'art. 1590, comma 1, nella parte in cui prevede che il conduttore non risponde dei deterioramenti e dei consumi risultanti dall'uso della cosa in conformità del contratto, con l'argomento che la conduttrice si era fata contrattualmente carico degli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria in deroga agli artt. 1576 e 1609 c.c. - v. Cass. civ., sez. III, 15 marzo 1989, n. 1303, secondo la quale: «con riguardo alle locazioni di immobili adibiti ad uso non abitativo, la pattuizione che, in deroga a quanto disposto dagli artt. 1576 e 1609 c.c., impone al conduttore l'obbligo sia della manutenzione ordinaria che di quella straordinaria relativa agli impianti ed alle attrezzature particolari (nella specie si trattava di locale ad uso autorimessa ed officina), restando a carico del locatore soltanto le riparazioni delle strutture murarie, non incorre nella sanzione di nullità stabilita dall'art. 79, comma 1, della l. n. 392/1978, atteso che la disciplina delle suddette locazioni non contempla anche l'art. 23 di tale legge in tema di riparazioni straordinarie, né la predeterminazione legale di limiti massimi del canone, suscettibili di superamento in caso di attribuzione convenzionale dell'onere economico delle spese di manutenzione».

Principio ribadito, successivamente, dai giudici di legittimità (Cass. civ., sez. III, 4 novembre 2002, n. 15388; Cass. civ., sez. III, 30 aprile 2005, n. 9019, Cass. civ.., sez. III, 12 luglio 2007 n. 15592), e condiviso anche dalla giurisprudenza di merito (Trib. Monza 20 ottobre 2004), ed esteso anche alle locazioni abitative soggette alla l. n. 431/1998 (Cass. civ., sez. III, 3 settembre 2007 n. 18510.

Più recentemente, Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2011, n. 8322 ha precisato che, «per la decisione sulla domanda di risarcimento del maggior danno per la ritardata restituzione di un immobile adibito ad uso diverso dall'abitazione è necessario, sotto il profilo del danno emergente, una specifica indagine tecnica condotta sulla base degli elementi acquisiti per accertare i costi di ripristino del bene nelle condizioni esistenti all'inizio della locazione, mentre, per il lucro cessante, la liquidazione equitativa deve essere fondata su ragioni congrue, anche se sommariamente indicate, tra le quali non possono comprendersi le decurtazioni per oneri fiscali, con la conseguenza che le riduzioni rispetto alla quantificazione dei ricavi lordi emergenti dal quadro probatorio acquisito agli atti, devono tener conto, con ragguaglio all'attualità, dei tagli di ingente entità e delle ragioni della complessiva decurtazione rispetto al valore locativo potenziale dell'immobile».

Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2007, n. 11189 sottolinea, inoltre, che «l'obbligazione di restituire la cosa locata secondo le condizioni stabilite dall'art. 1590, comma 1, c.c. pur avendo natura contrattuale, non ha carattere sinallagmatico, ma consegue alla natura propria della locazione (che si configura come contratto a termine), e nasce alla scadenza della locazione; corrispondentemente, anche la responsabilità de/ conduttore per la ritardata consegna della cosa o per la trasformazione o il deterioramento di essa non dovuto all'uso conforme agli accordi convenzionali assume natura contrattuale ed essa si estende ai danni che sono causalmente collegati alla condotta del medesimo conduttore con esclusione di quelli riconducibili unicamente alla condotta del locatore; da ciò si desume che è responsabile del danno consistente nella perdita di vantaggiose occasioni di vendita della cosa locata o nella risoluzione del contratto di vendita di essa il conduttore che, ritardando la riconsegna del bene o riconsegnandolo trasformato o deteriorato (oltre l'usura ordinaria), ponga in essere le condizioni della perdita di siffatte occasioni o per la determinazione dell'evento comportante lo scioglimento de/ contratto (anche solo preliminare) di vendita concluso dal locatore con terzi (nella specie, la Suprema Corte, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che non aveva ravvisato la sussistenza del nesso causale fra l'inadempimento del conduttore e quello dei locatori concernente il contratto preliminare di vendita intervenuto con terzi per il fatto che i locatori stessi si erano assunti l'obbligo di consegnare l'immobile alla promissaria acquirente sgombro prima ancora di ottenere la rimozione dei prefabbricati insistenti sul terreno oggetto del preliminare senza valutare se tale fatto fosse da solo idoneo a produrre l'evento dannoso, addossando, altresì, ai ricorrenti locatori un'attività straordinaria, consistente in un facere, alla quale, secondo lo sviluppo fisiologico delle reciproche obbligazioni del contratto locatizio, essi non erano tenuti, ritenendo erroneamente, peraltro, l'irrisarcibilità del danno nella fattispecie, siccome imprevedibile).

Nel confronto tra la decisione sopra riportata e quella precedente di merito, va evidenziata la diversa natura di due danni apparentemente simili. I canoni da risarcire di cui all'arresto di legittimità (Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2011, n. 19202) infatti, sono riferiti al «periodo necessario per la esecuzione e il completamento di tali lavori», mentre nell'altra decisione (Trib. Pisa 12 maggio 2016, n. 625) si chiedevano i canoni per il periodo di pendenza del giudizio. Per tutto quel tempo, infatti, il locatore aveva lasciato l'immobile nelle condizioni in cui si trovava al momento del rilascio. Evidente la diversità di contenuto e termini temporali dei due distinti aspetti.

Diritto alla restituzione e prova dello stato originario dell'immobile

Abbiamo cercato di delimitare la differenza tra danni all'immobile per il mancato corretto utilizzo secondo l'uso concordato e il normale degrado.

Altro argomento, frequentemente motivo di controversia, è lo stato dell'immobile nei confronti di come lo stesso si trovava all'atto iniziale della locazione. Evidente, infatti, che il confronto tra le due diverse situazioni è elemento primario da considerare al fine di accertare il degrado ordinario o i danni.

Sul punto con presunzione legale relativa (Trib. Massa 18 giugno 2015) il citato art. 1590 c.c. prevede che, mancando una descrizione si presuma l'originario buono stato dell'immobile. Ne consegue, quindi, che salva la descrizione o la diversa prova, il punto di partenza sarà sempre individuato.

La presunzione di buono stato originario, potrà essere vinta dalla prova contraria per la quale, tuttavia, la giurisprudenza richiede un accertamento rigoroso: invero, «la presunzione di cui all'art. 1590, comma 2, c.c., secondo la quale, in mancanza di descrizione delle condizioni dell'immobile alla data della consegna, si presume che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato locativo, può essere vinta solo attraverso una prova rigorosa. (ln applicazione del principio, la Suprema Corte ha escluso che potessero superare tale presunzione generici elementi indiziari, quali la verosimiglianza del deterioramento dovuto all'uso specifico del bene ed il prezzo della successiva aggiudicazione dello stesso, e ciò in presenza di una clausola contrattuale che, pur non contenendo la descrizione dell'immobile locato e non potendo pertanto assumere valore determinante, indicava, tuttavia, la idoneità del bene all'uso pattuito e risultava pertanto in grado di sterilizzare la già debole portata indiziaria di quegli elementi)» (Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2016, n. 15361; Cass. civ., sez. III, 19 settembre 2014, 19835).

Inoltre e a parte lo stato dell'immobile che risulti danneggiato, si darà corso al risarcimento solo qualora ne sia derivato al locatore un effettivo danno. Pertanto - in una ipotesi nella quale la restituzione era conseguente alla richiesta di rilascio per procedere alla ristrutturazione dell'immobile - non è stato riconosciuto, nonostante il deperimento, il rimborso dei canoni. I lavori di ripristino, infatti erano ricompresi in quelli di ristrutturazione (Cass. civ, sez. III, 14 agosto 2014, n. 17964).

Sullo specifico punto, merita svolgere la seguente considerazione.

Secondo orientamento giurisprudenziale conforme ed in corretta applicazione dell'art. 1590, comma 2, c.c. alla c.d. descrizione dell'immobile locato effettuata in contratto che viene anche considerata quale confessione, deve essere attribuito valore probatorio preminente.

La natura e contenuto di detto valore probatorio preminente sono stati attribuiti anche alle tipiche e frequenti dichiarazioni che i contratti solitamente contengono. Il testo letterale è normalmente «i locali concessi in locazione sono esenti da vizi ed in buono stato locativo» o clausola similare. La stessa era stata tacciata di mera clausola di stile. Pertanto priva di animus confitenti, cioè confessorio, e volta a esonerare il locatore da responsabilità per il difetto, revoca o diniego di autorizzazioni amministrative. Come tale, quindi, non riferita specificatamente allo stato dell'immobile come considerato dal citato art. 1590 c.c. Al contrario la stessa è stata considerata utile ai fini della c.d. descrizione con valore probatorio preminente.

Ne consegue, l'inammissibilità di qualsiasi prova contraria con il definitivo accertamento del buono stato originario di conservazione dell'immobile (Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2016, n. 15361 e Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2013 n. 26780).

Diritto all'utilizzo del deposito cauzionale

Con la restituzione al locatore dell'immobile andrà anche regolato il deposito cauzionale che è garanzia quasi sempre presente nei rapporti locativi tanto da essere stata assoggettata ad una espressa disposizione rappresentata dall'art. 11 della l. n. 392/1978.

Il deposito cauzionale, infatti, assolve la funzione di garantire, nel limite del suo valore e salvo il di più, il locatore per l'adempimento di tutti gli obblighi legali e convenzionali gravanti sul conduttore. Quindi non soltanto quello del pagamento del canone ma anche quello di risarcimento dei danni per omesso ripristino dei locali (Trib. Salerno11 febbraio 2015; Trib. Roma 12 gennaio 2015; Trib.Bari 27 aprile 2014; Cass. civ., sez. III, 21 aprile 2010 n. 9442).

La natura giuridica della garanzia è quella di «pegno irregolare» cioè di garanzia che passa in proprietà al locatore al momento della sua consegna.

L'operatività dell'istituto, tuttavia, non è immediata non operando la compensazione fra le rispettive pretese: quello del locatore di aver corrisposte le obbligazioni non assolte dal conduttore (canoni, danni, ecc.) e quella del conduttore di avere in restituzione l'oggetto (solitamente denaro) del deposito.

Pertanto alla scadenza del rapporto, avvenuto il rilascio, il locatore potrà trattenere il deposito qualora proponga domanda giudiziale di attribuzione in tutto o in parte del medesimo a copertura delle proprie pretese per gli adempimenti del conduttore. Ovviamente, la relativa domanda comporterà anche l'accertamento e la condanna dei danni di importo maggiore rispetto alla copertura del deposito cauzionale.

Da ricordare, inoltre, che trattandosi di obbligazioni ordinarie, il termine di prescrizione circa la possibilità di richiedere la restituzione è quello ordinario decennale.

Diritto ai danni da ritardato rilascio

Altro motivo di frequente contenzioso alla fine della locazione deriva dalla ritardata restituzione dell'immobile. Anche in questo caso sorgono diritti in capo al locatore sia per l'ulteriore detenzione che per gli eventuali danni conseguenti.

In ordine allo specifico evento dispone l'art. 1591 c.c.: «Il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l'obbligo di risarcire il maggior danno».

Ne consegue il diritto del conduttore ad ottenere l'equivalente importo pari al canone di locazione vigente in corso di rapporto.

In relazione a tale aspetto si deve distinguere la locazione abitativa da quella ad uso diverso.

Per tale ultima, infatti e per le ipotesi in cui vi sia diritto all'indennità, si verifica la contemporanea contrapposizione del diritto alla indicata indennità con l'obbligo alla restituzione.

Per quanto riguarda, quindi, le locazioni abitative e quelle ad uso diverso, per le quali non sia dovuta l'indennità di avviamento commerciale ex art. 34 della l. n. 392/78, non sorgono particolari problemi:

a) i locali devono essere restituiti;

b) per il ritardo è dovuto l'equivalente del canone a titolo di risarcimento quale liquidazione forfettaria minima del danno per ritardata restituzione (Cass. civ., sez. III, 11 luglio 2014, n. 15899);

c) sempre per il ritardo, se provato, è diritto del locatore di ottenere il maggior danno subito per la ritardata restituzione.

Tuttavia, l'ottenimento di tale ulteriore risarcimento è soggetto:

a) alla prova di una effettiva lesione del patrimonio del locatore;

b) ciò a seguito di non aver potuto utilizzare direttamente e tempestivamente il bene;

c) oppure nella perdita di occasioni di vendita ad un prezzo conveniente o in altre situazioni pregiudizievoli;

d) la prova di dette ipotesi incombe al locatore che è, quindi, tenuto a dimostrare l'esistenza di ben determinate proposte di locazione o di acquisto o di concreti propositi di utilizzazione. (Cass. civ, sez. III, 7 febbraio 2006, n. 2525).

L'ulteriore danno deve essere provato «con rigorosa dimostrazione che la ritardata restituzione dell'immobile ha concretamente pregiudicato la possibilità di locare» (così Cass. civ., sez. III, 11 luglio 2014, n.15899). Nel citato arresto, in motivazione, si precisa: «va escluso che tale maggior danno possa risultare provato sulla base della mera differenza fra il corrispettivo convenuto dalle parti ed il maggior canone di mercato giacché, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (ex plurimis, v. Cass. civ., sez. III, n. 2552/2011) la prova del danno deve essere fornita in modo rigoroso, in relazione a effettive - e perdute - possibilità del locatore di ricavare un maggior redito dall'immobile attraverso la nuova locazione (id est, altre forme di convenienza, ndr) dello stesso a un canone superiore, richiedendosi pertanto una prova che quand'anche si giovi di elementi presuntivi (v. Cass. civ., sez. III, n. 14624/2004) non può prescindere dal rigoroso accertamento della concreta compromissione della nuova e più remunerativa occasione locatizia».

Più complessa la situazione che si verifica per le locazioni ad uso diverso soggette, alla scadenza, all'obbligo di indennità di avviamento commerciale ex art. 34 della l. n. 392/1978.

In questo caso, infatti, l'obbligo della restituzione è soggetto al corrispettivo obbligo del locatore di versare l'indennità di avviamento. Nel caso pertanto valga il principio per cui, «nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali disciplinate dalla l. n. 392/1978, artt. 27 e 34, il conduttore che, alla scadenza del contratto, rifiuti la restituzione dell'immobile, in attesa che il locatore gli corrisponda la dovuta indennità di avviamento, è pur sempre obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto per la locazione, benché non anche al risarcimento del maggior danno, di talché, se la richiesta del locatore di riavere indietro l'immobile, non accompagnata dall'offerta dell'indennità, non vale a porre in mora la controparte, specularmente, l'offerta di restituzione del bene locato, a condizione che venga corrisposta l'indennità di avviamento, non esonera il conduttore dal pagamento del canone. ln sostanza, in casi siffatti, inapplicabile l'art. 1591 c.c., i rapporti tra le parti continuano a essere regolati puramente e semplicemente dal contratto» (Cass. civ., sez. III, 25 giugno 2013, n. 15876).

Il diritto del locatore ad avere corrisposto il maggior danno, pertanto, sarà limitato secondo quanto sopra.

Conclusioni

Abbiamo cercato di evidenziare, nella presente sintetica trattazione, alcuni degli aspetti più importanti del rapporto di locazione. Abbiamo, infatti, considerato il diritto del locatore ad un diligente e corretto utilizzo dell'immobile preso in consegna dal conduttore, alcuni aspetti relativi al pagamento del canone di locazione, alle considerazioni circa il diritto ai danni da abuso nell'utilizzo dell'immobile nonché a quelli che maturano all'atto della eventuale ritardata restituzione dell'immobile anche in relazione agli obblighi dell'indennità dell'avviamento e al diritto del locatore sul deposito cauzionale.

Guida all'approfondimento

Cuffaro - Padovini, Codice commentato degli immobili urbani, Torino, 2017, 177;

Carrato, Il conduttore rimane obbligato al pagamento del canone durante il tempo necessario per il restauro dell'immobile danneggiato, n Rass. loc. e cond., 1999, 649;

Piselli, Il locatore ha diritto al risarcimento se il deterioramento supera il normale uso, in Guida al diritto, 1998, fasc. 29, 28;

Piombo, Procedimento di sfratto per morosità e l. n. 392 del 1978, in Foro it., 1989, l, 1825;

Giove, Morosità, sanatoria, valutazione legale dell'inadempimento, in Nuova giur. civ. comm., 1989, l, 849.

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