Ai medici in formazione specialistica è stata riconosciuta - a livello europeo - una situazione giuridica soggettiva perfetta, ma dal punto di vista interno, sono state eluse le norme del Trattato UE che impongono agli Stati membri di garantire l'effettività delle situazioni giuridiche riconosciute dal diritto comunitario, nonché le norme direttamente introdotte per i medici specializzandi dalle direttive n.75/362/CEE, n.75/363/CEE, n.82/76/CEE, n.93/16/CEE, n.98/21/CE, n.98/63/CE e n.2001/19/CE.Sul tema si sono pronunciate di recente sia la Corte di giustizia che la Cassazione.
La Direttiva n. 82/76/CEE e il diritto ad una adeguata remunerazione per gli specializzandi in medicina
La prima direttiva in materia di riconoscimento reciproco dei diplomi, certificati ed altri titoli di medico è stata emanata dal Consiglio europeo il 16 giugno 1975, Direttiva 75/362/CEE (c.d. Direttiva "riconoscimento"), al fine di agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.
Con la successiva Direttiva 75/363/CEE (c.d. Direttiva "coordinamento"), il Consiglio ha imposto agli Stati membri di provvedere al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative attinenti alle attività di medico.
Entrambe le Direttive sono state poi modificate dalla Direttiva 82/76/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1982. In particolare, l'art. 2, n. 1, della Direttiva “coordinamento”, come modificato dall'art. 9 della Direttiva 82/1976, dispone che la formazione che permette il conseguimento di un diploma, certificato o altro titolo di medico specialista deve soddisfare le condizioni ivi menzionate.
Vi si richiede, in particolare, alla lett. c), che la formazione si svolga “a tempo pieno e sotto il controllo delle autorità o degli enti competenti, conformemente al punto 1 dell'allegato”.
L'allegato alla Direttiva «coordinamento», aggiunto dall'art. 13 della direttiva 82/1976 e intitolato “Caratteristiche della formazione a tempo pieno e della formazione a tempo ridotto dei medici specialisti”, dispone che la formazione a tempo pieno dei medici specialisti si effettua in posti di formazione specifici riconosciuti dalle autorità competenti: «Essa implica la partecipazione alla totalità delle attività mediche del servizio nel quale si effettua la formazione, comprese le guardie, in modo che lo specialista in via di formazione dedichi a tale formazione pratica e teorica tutta la sua attività professionale per l'intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la durata dell'anno, secondo le modalità fissate dalle autorità competenti. Tale formazione forma pertanto oggetto di una adeguata rimunerazione.».
Ai sensi dell'art. 16 della direttiva 82/1976 gli Stati membri avrebbero dovuto mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro e non oltre il 31 dicembre 1982, informandone immediatamente la Commissione. Tale termine non è stato rispettato dallo Stato italiano così come non è stato successivamente rispettato il termine del 1° gennaio 1995, entro il quale recepire la Direttiva 93/16/CEE.
L'attuazione della legislazione comunitaria nell'ordinamento italiano
Con la sentenza 7 luglio 1987, causa 49/86, Commissione/Italia, la Corte di Giustizia Europea ha dichiarato che la Repubblica italiana, non avendo adottato nel termine prescritto le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva 82/1976, era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato CEE.
A seguito di tale sentenza, la direttiva 82/1976 è stata trasposta nell'ordinamento italiano conD. Lgs. n. 257/1991, intitolato «Attuazione della direttiva n. 82/76/CEE del Consiglio del 26 gennaio 1982, recante modifica di precedenti direttive in tema di formazione dei medici specialisti, a norma dell'art. 6 della legge 29 dicembre 1990, n. 428».
L'art. 4, D. Lgs. n. 257/1991 ha determinato i diritti e i doveri dei medici specializzandi e il suo art. 6 ha istituito una borsa di studio in loro favore: «Agli ammessi alle scuole di specializzazione (...) in relazione all'attuazione dell'impegno a tempo pieno per la loro formazione, è corrisposta, per tutta la durata del corso, ad esclusione dei periodi di sospensione della formazione specialistica, una borsa di studio determinata per l'anno 1991 in lire 21.500,00. Tale importo viene annualmente, a partire dal 1° gennaio 1992, incrementato dal tasso programmato di inflazione ed è rideterminato ogni triennio, con decreto del Ministro della Sanità (...) in funzione del miglioramento stipendiale tabellare minimo previsto dalla contrattazione relativa al personale medico dipendente dal Servizio sanitario nazionale».
Tuttavia, l'art. 8, co. 2, dello stesso decreto ha precisato che le sue disposizioni si applicavano a decorrere dall'anno accademico 1991/1992.
In pratica, la norma interna è in contrasto con la normativa comunitaria proprio perché l'ha recepita in ritardo senza giustificato motivo, come rilevato anche dalla Corte di Giustizia “la direttiva n. 82/76/CEE non è stata correttamente recepita nell'ordinamento nazionale” (Corte CE 10 luglio 1997, cause riunite C-94/95 e C-95/95, Bonifaci e a.).
Il contrasto è ancora più evidente nella misura in cui il D. Lgs. n. 257/1991 ha escluso dai benefici i medici che hanno conseguito la specializzazione prima di quella data.
Il D. Lgs. n. 257/1991 è stato successivamente sostituito dal D. Lgs. n. 368/1999, intitolato «Attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle Direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CEE». Ancora una volta, lo Stato italiano, rispetto al termine di attuazione previsto (1° gennaio 1995), ha recepito parzialmente e tardivamente la nuova direttiva n.93/16/CEE.
Infatti, la prima, ma incompleta, attuazione della direttiva 82/1976, per quanto riguarda la remunerazione adeguata, è avvenuta attraverso il riconoscimento di una borsa di studio (art. 6, n. 1 D. Lgs. n. 257/1991) il cui importo è rimasto invariato nonostante lo stesso decreto legislativo prevedesse un meccanismo di rivalutazione e di rideterminazione della borsa in funzione del miglioramento stipendiale tabellare minimo previsto dalla contrattazione relativa al personale medico dipendente dal Servizio sanitario nazionale.
La disciplina contenuta nel D. Lgs. n.257/1991 è stata mantenuta anche dopo l'emanazione del D. Lgs. n. 368/1999 che mirava a dare una prima, seppur incompleta, attuazione alle nuove direttive comunitarie. In particolare, la direttiva 93/16/CEE prevede per i medici iscritti alle scuole di specializzazione:
il diritto a sottoscrivere uno specifico contratto annuale di formazione-lavoro,
il diritto ad un trattamento economico annuo onnicomprensivo,
il diritto ad un trattamento contributivo e previdenziale,
il dovere di seguire il programma di formazione,
il dovere di astenersi dall'esercizio della libera professione,
un impegno pari a quello previsto per il personale medico del Servizio sanitario nazionale a tempo pieno.
In base alle disposizioni nel Titolo VI del D.Lgs. n. 368/1999 ai medici ammessi alle scuole di specializzazione in medicina e chirurgia è riconosciuto lo status di lavoratori in formazione a tempo pieno (artt. 34, 37). Infatti, “all'atto dell'iscrizione alle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, il medico stipula uno specifico contratto annuale di formazione-lavoro” (art.37). Con la sottoscrizione del contratto, ai sensi dell'art.38, “il medico in formazione specialistica si impegna a seguire, con profitto, il programma di formazione svolgendo le attività teoriche e pratiche previste dagli ordinamenti e regolamenti didattici” e per la durata della formazione a tempo pieno, ai sensi dell'art. 40, “al medico è inibito l'esercizio di attività libero-professionale all'esterno delle strutture assistenziali in cui si effettua la formazione ed ogni rapporto convenzionale o precario con il servizio sanitario nazionale o enti e istituzioni pubbliche e private” (co. 1), mentre “l'impegno richiesto per la formazione specialistica è pari a quello previsto per il personale medico del Servizio sanitario nazionale a tempo pieno” (co. 2).
L'art. 39 riconosce al medico in formazione specialistica, per tutta la durata legale del corso, un trattamento economico annuo onnicomprensivo. Tale trattamento economico “è costituito da una parte fissa, uguale per tutte le specializzazioni e per tutta la durata del corso di specializzazione, e da una parte variabile, differenziata per tipologie di specializzazioni, per la loro durata e per anno di corso”. Inoltre viene previsto che “il trattamento economico è corrisposto mensilmente dalle università presso cui operano le scuole di specializzazione” mentre l'art. 41 stabilisce che “ai fini previdenziali ed assistenziali, la contribuzione dovuta dal datore di lavoro è pari al 75 per cento di quella ordinaria per il settore sanitario, rideterminabile con decreti del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanità, del tesoro, bilancio e programmazione economica e dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, in relazione all'evoluzione del trattamento previdenziale dei contratti di formazione lavoro”.
Rimane, invece, a carico dell'azienda sanitaria, presso la quale il medico in formazione specialistica svolge l'attività formativa, la copertura assicurativa per i rischi professionali, per la responsabilità civile contro terzi e gli infortuni connessi all'attività assistenziale svolta dal medico in formazione nelle proprie strutture, alle stesse condizioni del proprio personale.
Nonostante tali previsioni, hanno trovato piena attuazione solo quelle norme relative ai doveri dei medici specializzandi, mentre le norme che riconoscevano i diritti sono rimaste del tutto disapplicate in forza dell'art.8, co. 3, D. Lgs. n. 517/1999 che ha sostituito l'art. 46, co. 2, D. Lgs. n. 368/1999 subordinando l'entrata in vigore degli artt.37-42, D.Lgs. n. 368/1999 ad un apposito provvedimento legislativo.
Siffatta previsione legislativa, quindi, ha reso inoperante il riconoscimento della posizione giuridica assunta dai medici specializzandi, pregiudicando le situazioni giuridiche soggettive ed i diritti già riconosciuti dalle direttive comunitarie così vanificandone ed eludendone il contenuto precettivo.
A ciò si aggiunga che la portata della normativa comunitaria non consentiva, vigente la disciplina del D.Lgs. n. 257/1991, al giudice nazionale di identificare il debitore tenuto a versare la remunerazione adeguata, né l'importo della stessa. Tale ostacolo alla piena operatività del diritto in questione è venuto meno con il D.Lgs. n. 368/1999, individuando all'art. 37 i soggetti tenuti ad adempiere all'obbligo retributivo “all'atto dell'iscrizione alle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, il medico stipula uno specifico contratto annuale di formazione-lavoro...con l'università, ove ha sede la scuola di specializzazione, e con la regione nel cui territorio hanno sede le aziende sanitarie le cui strutture sono parte prevalente della rete formativa della scuola di specializzazione”.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea
Ai fini dell'interpretazione della normativa in vigore, alla luce dei principi comunitari e del dettato della Carta costituzionale, assume particolare rilevanza l'esame della giurisprudenza comunitaria formatasi sulle direttive 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e 93/16/CEE.
Preliminarmente, va ricordato che la direttiva, secondo l'art. 288 TFUE “vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi”. L'elemento qualificante della direttiva è costituito dalla natura dell'obbligo imposto agli Stati che è un obbligo di risultato e consiste nell'adottare tutte le misure necessarie per realizzare il risultato voluto dalla direttiva. Si tratta di un obbligo cogente che investe tutti gli organi dello Stato, compresi quelli giurisdizionali, e la sua portata vincolante investe anche il termine fissato per l'entrata in vigore delle misure interne.
La Corte di Giustizia ha precisato i doveri degli Stati membri nel periodo tra l'entrata in vigore della direttiva e la scadenza del termine per l'attuazione, chiarendo che su di essi grava un obbligo di standstill, che è il tradizionale obbligo di buona fede. Ciò significa che gli Stati devono astenersi dall'adottare disposizioni che possano compromettere gravemente il risultato prescritto dalla direttiva, come è stato chiarito in più occasioni dalla stessa Corte (Corte CE,18 dicembre 1997, causa C-129/96, Inter-Environnement Wallonie “l'attuazione deve soddisfare in ogni caso l'esigenza di chiarezza e certezza delle situazioni giuridiche volute dalla direttiva”; Corte CE, 11 giugno 1991, causa C-307/89, Commissione c. Francia “il mantenimento di una normativa nazionale che sia come tale incompatibile con il diritto comunitario, anche se lo Stato interessato agisca in conformità con tale diritto, determina una situazione di fatto ambigua, mantenendo per gli interessati uno stato di incertezza circa la possibilità di fare appello al diritto comunitario”; Corte CE, 6 maggio 1980, causa C-102/79, Commissione c. Belgio è “in contrasto con il diritto comunitario, per esigenze di certezza del diritto, la normativa nazionale strutturata in modo tale da far sussistere nei soggetti cui si applica uno stato di incertezza sui diritti loro conferiti dal diritto comunitario”; Corte CE, 3 marzo 1988, causa C-116/86, Commissione c. Italia; Corte CE, 13 marzo 1997, causa C-197/96, Commissione c. Francia).
E' ormai principio consolidato che “l'obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva di conseguire il risultato da questa contemplato, come pure l'obbligo loro imposto dall' art. 10 del CE (oggi art. 4, co. 3, TUE), di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l'adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell'ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali.
Infatti spetta in particolare ai giudici nazionali assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale derivante dalle norme del diritto dell'Unione europea e garantirne la piena efficacia” (Corte CE, 10 aprile 1984, causa C-14/83 Von Colson et Kamann; Corte CE, 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing; Corte CE, 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori; Corte CE, 23 febbraio 1999, causa C-63/97, BMW; Corte CE, 27 giugno 2000, cause riunite C-240/98 C-244/98, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores; Corte CE, 23 ottobre 2003, causa C-408/01, Adidas Salomon e Adidas Benelux; Corte CE, 09 dicembre 2003, causa C-129/00, Commissione c. Rep.italiana; Corte CE, 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01 Pfeiffer).
Tuttavia, prima di decretare la disapplicazione di una norma interna per contrasto con una disposizione comunitaria vigente, il giudice nazionale deve verificare che non risulti possibile alcuna interpretazione conforme della medesima (Corte CE, 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori). Tale responsabilità può essere esclusa quando, nonostante l'inadempimento del legislatore nazionale, il giudice interno sia riuscito, grazie all'interpretazione, ad adeguare il diritto interno agli obblighi derivanti dalla direttiva non attuata (Corte CE, 25 febbraio 1999, causa C-131/97, Carbonari).
L'interpretazione conforme, quindi, è lo strumento con cui il Giudice nazionale dà immediata attuazione al Trattato garantendo che le norme comunitarie abbiano piena efficacia nella soluzione delle controversie a lui sottoposte, ciò al fine di assicurare il continuo adeguamento del diritto interno agli obiettivi dell'Unione Europea: costituisce una specificazione della cd. interpretazione teleologica, in quanto consente di attribuire ad una norma un significato diverso, o ulteriore, da quello risultante dalla lettera del testo facendo leva sulla volontà e gli scopi, seppure non esplicitati, non solo del legislatore nazionale ma anche di quello comunitario.
L'obbligo di interpretazione conforme è generale nel senso che sussiste non solo per le norme interne, emanate specificatamente per recepire norme comunitarie (come ad esempio le norme di attuazione delle direttive), ma per tutto il diritto nazionale, sia precedente che successivo l'adozione della norma comunitaria di riferimento, come codificato in un esaustivo passaggio della sentenza 23 aprile 2009, C-378/07, Angelidaki “Siffatto obbligo d'interpretazione conforme riguarda l'insieme delle disposizioni del diritto nazionale, sia anteriori che posteriori alla direttiva di cui trattasi”.
Il vincolo di interpretazione sorge sin dal momento in cui l'atto comunitario entra in vigore; tanto vale anche per le direttive, sebbene non sia decorso il termine fissato per la sua attuazione, in quanto i giudici nazionali “devono astenersi per quanto possibile dall'interpretare il diritto interno in un modo che rischierebbe di compromettere gravemente, dopo la scadenza del termine di attuazione, la realizzazione del risultato perseguito” da una direttiva (Corte CE, 4 luglio 2006, causa C-212/04, Adelener; Corte CE, 8 settembre 2011, causa C-177/10, Rosado Santana).
Ebbene, successivamente all'entrata in vigore del D. Lgs. n. 257/1991, che ha riconosciuto la borsa di studio per gli specializzandi solo a partire dall'anno accademico 1991/1992, numerosi sono stati i ricorsi presentati dai medici che avevano già conseguito la specializzazione.
Di fronte a tale rivendicazione la Corte di Giustizia Europea (Corte CE, 3 ottobre 2000, causa C-371/1997, Gozza e a.; Corte CE, 25 febbraio 1999, causa C-131/97, Carbonari e a.) ha chiarito che: “L'obbligo di retribuire in maniera adeguata i periodi di formazione dei medici specialisti è incondizionato e sufficientemente preciso nella parte in cui richiede [...] che la sua formazione si svolga a tempo pieno e sia retribuita. Il detto obbligo non consente tuttavia, di per sé, al giudice nazionale di identificare il debitore tenuto a versare la remunerazione adeguata, né l'importo della stessa. Il giudice nazionale è tenuto tuttavia, allorché applica disposizioni di diritto nazionale precedenti o successive ad una direttiva, ad interpretarle, quanto più possibile, alla luce della lettera e dello spirito della direttiva stessa”.
Quindi, nel caso in cui il risultato prescritto dalle direttive, non possa essere conseguito mediante interpretazione conforme, per la Corte di Giustizia Europea l'applicazione retroattiva e completa delle misure di attuazione della Direttiva 82/1976 - criterio applicabile per analogia alla Direttiva 93/16/CEE - consentirebbe di rimediare alle conseguenze pregiudizievoli della tardiva attuazione della direttiva, da parte dello Stato italiano, tenuto a risarcire i danni causati ai singoli.
La prescrizione del diritto in caso di mancato o tardivo recepimento della direttiva comunitaria
Sebbene la Corte di Giustizia abbia da tempo chiarito che “fino al momento della trasposizione corretta della direttiva, lo Stato membro inadempiente non può eccepire la tardività di un'azione giudiziaria avviata nei suoi confronti da un singolo al fine della tutela dei diritti che ad esso riconoscono le disposizioni della direttiva e che un termine di ricorso di diritto nazionale può cominciare a decorrere solo da tale momento” (Corte CE, 25 luglio 1991, causa C-208/90,Emmott), sul tema della prescrizione si sono registrate le posizioni della giurisprudenza interna.
Tra le più significative si segnalano:
Cassazione S.U., 17 aprile 2009, n. 9147: “in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto dalle direttive comunitarie (nella specie, le Direttive n.75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi), sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto - anche a prescindere dall'esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria - allo schema della responsabilità per l'inadempimento dell'obbligazione “ex lege” dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell'ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell'ordinamento interno. Ne consegue che il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non è subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall'ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un'idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all'adempimento di una obbligazione “ex lege” riconducibile all'area della responsabilità contrattuale, all'ordinario termine decennale di prescrizione”;
Cassazione Civile, Sez. Lav., 3 giugno 2009, n. 12814: “Il termine di prescrizione per l'azione di risarcimento del danno derivante da ritardo nell'attuazione di una direttiva europea inizia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere. Tale momento non coincide con l'emanazione della direttiva, se la stessa non è immediatamente applicabile; né con il termine assegnato agli stati per la trasposizione della fonte comunitaria nel diritto interno, perché anche in questo momento il soggetto privato non è in condizioni di conoscere quale sia il contenuto del diritto che gli viene negato e l'ammontare del relativo risarcimento. Può invece individuarsi nel momento in cui entra in vigore la normativa di attuazione interna della direttiva: è questo il momento in cui il soggetto può far valere il diritto al risarcimento del danno, perché è in questo contesto che egli viene a conoscere il contenuto del diritto attribuito ed i limiti temporali della corresponsione (in applicazione del suesposto principio, la Corte ha respinto, perché prescritto, il ricorso di alcuni medici specializzandi che avevano richiesto i danni da ritardata attuazione della fonti comunitarie che prevedevano un compenso in favore degli stessi per l'attività lavorativa prestatata)”;
Cassazione civile, sez. III, 31 agosto 2011, n. 17868: “Il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle Direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, insorto a favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica negli anni dal 1 gennaio 1983 all'anno accademico 1990-1991, in condizioni tali che, se detta direttiva fosse stata adempiuta, avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di 10 anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore dell'art. 11, L. n. 370/1999 ”.
La corretta trasposizione delle direttive in questione, cioè la loro integrale applicazione, non si è mai verificata nell'ordinamento italiano, nel senso che la situazione di obbligo dello Stato italiano di adempiere le direttive, dopo la scadenza del termine, perdurò a livello dell'ordinamento comunitario e, quindi, di riflesso, con riguardo all'ordinamento interno fino al 2007.
La permanenza della condotta dello Stato italiano di omissione dell'adempimento delle direttive è stata tale, in sostanza, da determinare continuamente la permanenza dell'obbligo risarcitorio e, quindi, in definitiva del danno. La situazione di danno non è qualificabile come un effetto ormai prodotto, ma come un effetto continuativamente determinato dalla condotta statuale. Poiché, di fronte all'inadempimento della Direttiva da parte dello Stato ed alla permanenza della condotta di inadempimento, il diritto all'eliminazione della situazione dannosa dal punto di vista del singolo è soltanto quello al risarcimento del danno per equivalente, originato dalla situazione di inadempienza, e non quello all'adempimento specifico della Direttiva (che, comunque, continua a connotare la situazione statuale come di obbligo), in questo caso il diritto al risarcimento del danno per equivalente si ricollega de die in die alla permanenza della condotta di inadempimento. Quindi, i soggetti interessati legittimamente si trovano in una situazione di attesa e conservano il loro diritto risarcitorio.
Anche in considerazione della condotta dello Stato italiano, la Corte Giustizia, sentenza 19 maggio 2011, causa C‑452/09, è ritornata sull'argomento, specificando che “il diritto dell'Unione deve essere interpretato dichiarando che non osta a che uno Stato membro eccepisca la scadenza di un termine di prescrizione ragionevole a fronte di un'azione giurisdizionale proposta da un singolo per ottenere la tutela dei diritti conferiti da una Direttiva, anche qualora tale Stato non l'abbia correttamente trasposta, a condizione che, con il suo comportamento, esso non sia stato all'origine della tardività del ricorso. L'accertamento da parte della Corte della violazione del diritto dell'Unione è ininfluente sul dies a quo del termine di prescrizione, allorché detta violazione è fuori dubbio”.
In tal senso, la giurisprudenza interna ha confermato il suo orientamento in argomento: “Lo Stato Italiano, dunque, dopo il 31 dicembre 1982 si venne a trovare nella duplice condizione di obbligato sul piano comunitario ad un adempimento tardivo delle direttive e, mano a mano che per i medici maturavano le condizioni che in presenza di un'attuazione delle direttive avrebbero dato luogo a loro favore ai diritti previsti dalla Direttiva e segnatamente quello all'adeguata remunerazione e quello a vedersi riconoscere l'idoneità del titolo di specializzazione negli altri paesi comunitari, di obbligato - in conseguenza - al risarcimento dei danni verso tali soggetti per la mancata consecuzione da parte loro di tali benefici. Tale obbligo, peraltro, sarebbe potuto venir meno se lo Stato avesse adempiuto le Direttive con la previsione degli effetti retroattivi idonei ad attribuire a detti soggetti quei benefici, nonché a coprire eventuali danni da ritardo... E' da rilevare che la situazione di obbligo dello Stato Italiano di adempiere le direttive dopo la scadenza del termine del 31 dicembre 1982 perdurò a livello dell'ordinamento comunitario e, quindi, di riflesso con riguardo all'ordinamento interno fino al 20 ottobre 2007” (Cass.civ., Sez. III, 18 agosto 2011 n. 17350).
La domanda risarcitoria degli specializzandi dev'essere inquadrata come inadempimento di un'obbligazione ex lege di natura contrattuale, essendo la materia riconducibile all'area della responsabilità contrattuale dello Stato italiano, pertanto, la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni causati dal relativo inadempimento all'obbligo di tempestiva trasposizione in Italia della Direttiva è quella ordinaria decennale e nessuna influenza può avere la sopravvenuta disposizione di cui all'art. 4, co. 43, L. n. 183/2011, secondo cui la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da mancato recepimento di direttive comunitarie soggiace alla disciplina dell'art.2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la Direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato, trattandosi di norma che spiega la sua efficacia rispetto a fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore (1° gennaio 2012).
Il risarcimento del danno per gli specializzandi 1982-1991
Lo Stato italiano, dopo il 31 dicembre 1982, si venne a trovare nella duplice condizione di obbligato, sul piano comunitario, ad un adempimento tardivo delle Direttive e, mano a mano che per i medici maturavano le condizioni che in presenza di un'attuazione delle direttive avrebbero dato luogo a loro favore ai diritti previsti dalla Direttiva, di obbligato al risarcimento dei danni verso tali soggetti.
Tale obbligo sarebbe potuto venir meno se lo Stato avesse adempiuto la Direttiva con la previsione degli effetti retroattivi idonei ad attribuire a detti soggetti quei benefici, nonchè a coprire eventuali danni da ritardo. Così non è stato: infatti, lo Stato italiano, pur avendo provveduto a recepire le Direttive 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, con il D. Lgs. n. 257/1991, ha limitato l'operatività delle disposizioni soltanto ai corsi di specializzazione decorrenti dall'entrata in vigore del decreto di attuazione, quindi escludendo i medici che hanno frequentato corsi di specializzazione nel periodo compreso tra l'anno accademico 1982/1983 e 1990/1991.
La situazione di obbligo dello Stato Italiano di adempiere le direttive, dopo la scadenza del termine del 31 dicembre 1982, perdurò a livello dell'ordinamento comunitario e, quindi, di riflesso con riguardo all'ordinamento interno, fino al 20 ottobre 2007. La permanenza della condotta dello Stato italiano di omissione dell'adempimento delle direttive era tale, in sostanza, da determinare continuativamente la permanenza dell'obbligo risarcitorio e, quindi, in definitiva del danno.
Secondo la Corte di Giustizia il danno per la tardiva e incompleta attuazione della Direttiva europea può essere risarcito anche attraverso l'applicazione retroattiva e completa delle misure di attuazione della Direttiva 82/76/CEE (e della Direttiva 93/16/CEE) a condizione che la Direttiva stessa sia stata regolarmente recepita. Tuttavia, spetta al giudice nazionale far sì che il risarcimento del danno subito dai beneficiari sia adeguato; in tal senso, quindi, un'applicazione retroattiva, regolare e completa delle misure di attuazione integrale delle direttive, sarà a tal fine sufficiente, a meno che i beneficiari non dimostrino l'esistenza di danni ulteriori eventualmente subiti per non aver potuto fruire a suo tempo dei vantaggi pecuniari garantiti da detta Direttiva e che dovrebbero quindi essere anch'essi risarciti.
La Corte di Cassazione ha, quindi, riconosciuto in favore degli specializzandi 1982-1991 il risarcimento dei danni, statuendo che “L'omessa o inesatta attuazione di una Direttiva comunitaria deve configurarsi come violazione, da parte dello Stato membro, degli obblighi derivanti dal Trattato (artt. 5 e 189) e, quindi, come condotta illecita, fonte di obbligazione risarcitoria in presenza delle condizioni indicate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Ne consegue che, in favore dei medici specializzandi (nella specie, in un periodo compreso tra il 1983 ed il 1991) i quali, a causa della tardiva trasposizione nell'ordinamento interno delle direttive n. 75/363/CEE e n. 82/76/CEE (intervenuta soltanto con il D. Lgs. n.257/1991), non hanno potuto godere del diritto ad una adeguata remunerazione per il periodo di frequenza della scuola di specializzazione, quale beneficio previsto dalle puntuali e precise disposizioni sovranazionali (nei termini precisati dalla sentenza della Corte di Giustizia, 25 febbraio 1999, in C-131/97), deve essere riconosciuto il risarcimento del danno immediatamente e direttamente correlato alla predetta mancata tempestiva attuazione delle citate Direttive nell'ordinamento interno” (Cass. civ, sez. III, 12 febbraio 2008, n. 3283) eprecisando altresì che“La mancata trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle Direttive comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE – non autoesecutive in quanto, pur prevedendo lo specifico obbligo di retribuire adeguatamente la formazione del medico specializzando, non ne consentivano la quantificazione – fa sorgere, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento del danno cagionato per il ritardato adempimento, consistente nella perdita della “chance” di ottenere i benefici – essenziali per consentire un percorso formativo scevro, almeno in parte, da preoccupazioni esistenziali – resi possibili da una tempestiva attuazione delle direttive medesime” (Cass. civ, sez. lav., 11 marzo 2008, n. 6427).
Di recente, la Corte di Giustizia, con la sentenza resa nelle cause riunite C-616/16 e C-617/16, del 24 gennaio 2018, dopo aver chiarito che l'obbligo di procedere alla remunerazione dei periodi di formazione relativi alle specializzazioni mediche, è, come tale, incondizionato e sufficientemente preciso, ha preso atto che la Direttiva non reca alcuna definizione né per quanto riguarda la remunerazione da considerarsi adeguata né in merito ai metodi di fissazione di tale remunerazione, trattandosi di definizioni che rientrano, in linea di principio, nella competenza degli Stati membri, i quali devono, in questo settore, adottare misure di attuazione particolari.
Ciò che è certo, secondo un costante orientamento della Corte, è che l'obbligo degli Stati membri, risultante da una Direttiva, di raggiungere il risultato previsto da quest'ultima, nonché il loro dovere di adottare qualsiasi misura a carattere generale o particolare idonea ad assicurare l'esecuzione di tale obbligo, si impone a tutte le autorità degli Stati membri, ivi comprese, nell'ambito delle loro competenze, le autorità giurisdizionali.
La Corte ha così enunciato il seguente principio: “l'esistenza dell'obbligo, per uno Stato membro, di prevedere una remunerazione adeguata, per qualsiasi formazione a tempo pieno o a tempo ridotto come medico specialista iniziata nel corso dell'anno 1982 e proseguita fino all'anno 1990 non dipende dall'adozione, da parte di tale Stato, di misure di trasposizione della Direttiva 82/1976. Il giudice nazionale è tenuto, quando applica disposizioni di diritto nazionale, precedenti o successive ad una Direttiva, ad interpretarle, quanto più possibile, alla luce del tenore letterale e della finalità di queste direttive. Nel caso in cui, a motivo dell'assenza di misure nazionali di trasposizione della Direttiva 82/1976, il risultato prescritto da quest'ultima non possa essere raggiunto per via interpretativa prendendo in considerazione il diritto interno nella sua globalità e applicando i metodi di interpretazione da questo riconosciuti, il diritto dell'Unione impone allo Stato membro in questione di risarcire i danni che esso abbia causato ai singoli in ragione della mancata trasposizione della Direttiva sopra citata. Spetta al giudice del rinvio verificare se l'insieme delle condizioni enunciate in proposito dalla giurisprudenza della Corte sia soddisfatto affinché, in forza del diritto dell'Unione, sorga la responsabilità di tale Stato membro”.
Indubbiamente, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, a partire dalla data di entrata in vigore di una Direttiva, le autorità degli Stati membri e i giudici nazionali devono astenersi dall'interpretare il diritto nazionale in un modo che rischi di compromettere seriamente, dopo la scadenza del termine di trasposizione di tale Direttiva, la realizzazione dell'obiettivo da questa perseguito.
La rideterminazione della borsa di studio percepita dagli specializzandi 1994-2006 e il diritto al risarcimento del danno da inadempimento dell'obbligo di recepimento della Direttiva n. 93/16/CEE
L'ammontare della borsa, determinato - ai sensi dell'art. 6, n.1, D.Lgs. n. 257/1991 - in Lire 21.500.000, pari ad €. 11.103,82, a partire dal 1° gennaio 1992, avrebbe dovuto essere “annualmente incrementato del tasso programmato d'inflazione” e “rideterminato, ogni triennio, con decreto del Ministro della Sanità, di concerto con i Ministri dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica e del Tesoro, in funzione del miglioramento stipendiale tabellare minimo previsto dalla contrattazione relativa al personale medico dipendente del Servizio sanitario nazionale”.
Nonostante la suddetta previsione, per effetto delle disposizioni contenute nelle leggi finanziarie che si sono succedute negli anni, l'ammontare della borsa di studio è rimasto consolidato nell'importo previsto dall'art. 32, co. 12, L. n. 449/1997 né si è proceduto alla rideterminazione triennale ed alla indicizzazione annuale. Infatti, l'importo della borsa di studio di originari €. 11.103,82 è stato aumentato solo una volta a €. 11.598,33 ed è poi rimasto invariato.
Gli specializzandi 1994-2006 hanno, quindi, il diritto ad ottenere il riconoscimento delle differenze che avrebbero dovuto percepire per effetto della rideterminazione triennale della borsa di studio prevista dall'art. 6 D.Lgs. n. 257/1991, come riconosciuto nel tempo sia dalla giurisprudenza di merito sia da quella di legittimità.
Infatti, il blocco disposto “in via eccezionale”, in realtà, è divenuto la regola, e l'adeguamento, avvenuto una volta sola nel 1992, si è rivelato l'eccezione, considerato che il ristretto arco temporale è durato dal 1991 al 2006 e le dinamiche affidate alla contrattazione collettiva non hanno operato.
Deve, quindi, ritenersi che la previsione relativa all'incremento annuale, in quanto intesa ad assorbire gli effetti negativi della svalutazione monetaria e del conseguente depauperamento del potere di acquisto della moneta, costituisse elemento imprescindibile integrante il concetto di adeguata remunerazione, laddove invece la rideterminazione triennale appariva più che altro funzionale ad agganciare la remunerazione degli specializzandi agli incrementi contrattuali conseguiti dal personale medico dipendente per evidenti ragioni di parità di trattamento, stante anche la oggettiva analogia delle mansioni svolte.
Sul punto, tra le prime sentenze che hanno riconosciuto la rideterminazione della borsa di studio per gli specializzandi 1994-2006, si segnala Tribunale Perugia, sez. II, 11 gennaio 2010 “Essendo in contrasto con le Direttive Ce relative al trattamento economico dei medici specializzandi - e, in particolare, con il principio dell'adeguata remunerazione - i provvedimenti normativi che avevano “congelato” "l'incremento annuale della borsa di studio prevista dall'art. 6, comma 1, d.lgs. 8 agosto 1991 n. 257 nella misura del tasso programmato di inflazione, va accolta la domanda avanzata dagli specializzandi di condanna dello Stato Italiano al risarcimento del danno da quantificarsi in ragione di tale incremento per ogni anno di mancato adeguamento”.
Numerose sono state, negli ultimi anni, le sentenze emesse nei Tribunali e nelle Corti d'Appello che hanno accolto le domande proposte dai medici ex specializzandi condannando le Amministrazioni convenute al pagamento di cospicue somme di denaro a titolo di risarcimento danni e/o adeguamento della borsa di studio percepita. Tra le tante, la Corte d'Appello di Milano (Sezione Lavoro,24 luglio 2013, n.4832) ha accertato il diritto alla rideterminazione triennale della borsa di studio e condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare i medici specializzandi nel periodo 1994-2006, così confermando quanto precedentemente deciso dalla stessa Corte con sentenza n.961/2013 in merito alla rideterminazione triennale della borsa di studio: “di conseguenza, sussiste il diritto degli appellanti alla rideterminazione della borsa di studio in conseguenza degli incrementi contrattuali per il personale medico dipendente dal servizio sanitario nazionale, dal momento che la domanda si riferisce per tutti a periodi successivi e le università appellate devono essere condannate al pagamento delle relative differenze con quanto percepito, oltre interessi legali dal dovuto al saldo”.
Nei contenziosi promossi dagli specializzandi, come accertato da Tribunale di Ancona n. 1150 del 13 agosto 2013, si assiste allacondanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri, solidalmente agli altri enti convenuti, a corrispondere ai medici, in applicazione retroattiva degli artt. 39 e 41 D.Lgs. 368/1999, e con disapplicazione del previsto limite di decorrenza dall'a.a. 2006/2007, le differenze retributive oltre interessi, con applicazione del previsto meccanismo di indicizzazione sugli emolumenti percepiti e trattamento fiscale dei borsisti.
A ciò si aggiunga che ai medici specializzati nel periodo tra il 1994 e il 2006 non è stata garantita, dallo Stato italiano, l' “adeguata remunerazione” sancita dalla Direttiva 93/16/CE che doveva essere attuata entro il 1° gennaio 1995. Il decreto legislativo n. 368/1999, infatti, è stato espressamente introdotto dal legislatore italiano al fine di dare attuazione alla Direttiva 93/16 con la conseguenza che tutti gli organi dello Stato, quindi anche il giudice, erano chiamati ad applicare la predetta normativa di recepimento interpretandola "quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della Direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest'ultima". Oltretutto, lo Stato, con gli articoli da 37 a 39 del decreto legislativo 368/99, ha stabilito proprio quella misura di compenso adeguato, la determinazione del quale gli era stata demandata dalla Direttiva. Con la conseguenza che lo Stato non poteva, da un lato, rendere concretamente operante per gli specializzandi la previsione delle fonti europee in tema di diritto ad un compenso adeguato e, dall'altro, differire (esclusivamente per ragioni di compatibilità finanziaria, rese palesi dall'articolo 46 del menzionato D. Lgs. n. 368/1999) l'attribuzione del relativo trattamento. In altri termini, quindi, lo Stato, il quale ha attuato e reso operante il precetto dell'adeguatezza del compenso, non poteva con la stessa legge, all'articolo 46, nonché con i successivi interventi, differire la corresponsione del compenso adeguato per proprie ragioni di compatibilità finanziaria. In definitiva, lo Stato italiano ha mancato di adempiere, sino all'anno accademico 2006/2007, agli obblighi che derivavano dalla Direttiva 93/16, così come definiti proprio dal D. Lgs. n. 368/1999.
In tal senso, la Corte d'appello di Roma, sezione Lavoro, 18 febbraio 2014, ha riconosciuto il diritto dei medici ex specializzandi alla rideterminazione triennale delle borse di studio percepite, parametrata all'incremento di trattamento economico previsto dal CCNL dei medici del SSN, oltre interessi, e ha condannato al pagamento di tali somme l'Università. La Corte ha, inoltre, riconosciuto il diritto al risarcimento del danno da inadempimento dell'obbligo di recepimento della Direttiva n. 93/2016 condannando il MIUR al risarcimento del danno, liquidato in misura pari alla differenza, per ciascuno degli anni accademici, tra il trattamento percepito, incrementato della rideterminazione triennale e quello dovuto in base ai DPCM 7 marzo, 6 luglio e 2 novembre 2007, oltre interessi. La giustificazione di tale condanna è stata così argomentata: “La sussistenza di un diritto, in capo agli appellanti, al risarcimento del danno da inadempimento della Direttiva 93/2016, peraltro, trova conforto nell'orientamento giurisprudenziale di legittimità formatosi con riguardo all'ambito dei partecipanti ai corsi di specializzazione frequentati negli anni compresi tra il 1983 e il 1991, ovvero in epoca precedente a quella nella quale si sono svolti i fatti di causa. La richiamata sentenza della Suprema Corte n. 23358/2011, infatti, ha chiarito che: "”Il diritto al risarcimento dei danni per omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) va ricondotto allo schema della responsabilità contrattuale per inadempimento dell'obbligazione "”ex lege" dello Stato, di natura indennitaria"; in tale occasione la Corte di legittimità ha superato espressamente l'argomento, invece richiamato dalla giurisprudenza di merito che questo Collegio non condivide, della mancanza di una determinazione, nelle direttive in materia, del compenso adeguato, mancanza che comporta, per il Supremo Collegio, soltanto la non “autoesecutività" delle direttive, senza che, però, se ne possa trarre la conclusione dell'esonero da responsabilità dello Stato per il mancato recepimento (alle stesse conclusioni sono giunte, tra le altre: Cassazione, sentenze n. 9071 del 15 aprile 2013 e n. 1917 del 9 febbraio 2012)”.
Quanto poi al termine di prescrizione del diritto azionato, avente ad oggetto l'inadempimento all'obbligo di recepire la Direttiva 93/2016, ossia un illecito permanente per tutta la durata dell'inadempienza, la Corte ha chiarito che “non ha iniziato a correre se non dal momento in cui la Repubblica Italiana, finalmente riconoscendo agli specializzandi il compenso di cui al D. Lgs. n. 368/1999 (attuativo della predetta Direttiva), ha interrotto la permanenza dell'illecito. Deve, quindi, ritenersi che il termine di prescrizione della pretesa risarcitoria azionata nel presente giudizio non abbia cominciato a decorrere se non dall'emanazione dei DPCM. 7 marzo, 6 luglio e 2 novembre 2007”.
Più recentemente, tuttavia, la Cass. sez. lav.,23 febbraio 2018, n. 4449 ha chiarito che “non sussiste irragionevole disparità di trattamento tra gli specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione a decorrere dall'anno 2006/2007 e quelli frequentanti i corsi nei precedenti periodi accademici, ben potendo il legislatore differire nel tempo gli effetti di una riforma, senza che, per ciò solo, ne possa derivare una disparità di trattamento tra soggetti che, in ragione dell'applicazione differente nel tempo della normativa in questione, ricevano trattamenti diversi”.
Il contratto di formazione-lavoro specialistica disciplinato dai DPCM del 2007
In materia di formazione specialistica e adeguata remunerazione si è giunti ad una completa ed effettiva attuazione dei principi comunitari, sanciti nelle varie Direttive, solo a partire dall'anno accademico 2006 – 2007, nonostante i precedenti specializzandi si trovassero nella stessa identica situazione di quelli a cui si sarebbe dovuta applicare la nuova normativa di attuazione.
In forza della nuova normativa contenuta nel DPCM. del 7 marzo 2007, emanato, con estremo ritardo, in attuazione del D. Lgs. 368/1999, adottato a sua volta in attuazione della Direttiva 93/16/CEE, il Governo italiano ha definito lo schema tipo del contratto di formazione specialistica dei medici.
Sostanzialmente, l'attuazione del nuovo status di medico specializzando è stata condizionata all'emanazione di un Decreto Ministeriale (DPCM del 07 marzo 2007 recante “Costo contratto formazione specialistica dei medici”) che ha determinato il trattamento annuo onnicomprensivo da corrispondere allo specializzando e definito lo schema tipo di contratto di formazione specialistica dei medici (DPCM del 06 luglio 2007 recante “Definizione schema tipo del contratto di formazione specialistica dei medici”).
Con il DPCM del 7 marzo 2007 è stato stabilito che “a decorrere dall'anno accademico 2006-07 il trattamento economico relativo al contratto di formazione specialistica dei medici è costituito da una parte fissa lorda eguale per tutte le specializzazioni e per tutta la durata del corso e da una parte variabile lorda. La parte fissa annua lorda è determinata in euro 22.700,00, per ciascun anno di formazione specialistica. La parte variabile annua lorda, calcolata in modo che non ecceda il 15% di quella fissa, è determinata in euro 2.300 per ciascuno dei primi due anni di formazione specialistica, mentre per ciascuno dei successivi anni di formazione specialistica la stessa è determinata in euro 3.300 annui lordi”.
In tal modo il rapporto tra i medici e le scuole di specializzazione è stato regolarizzato e trasformato in contratto di formazione lavoro, con tutti i benefici contributivi ed economici che da tale inquadramento discendono.
Con il DPCM del 6 luglio 2007 è stato approvato lo schema tipo del contratto di formazione specialistica, previsto dall'art.37, c.2, D. Lgs. n. 368/1999. Tale riconoscimento ha consentito agli specializzandi - a partire dall'a.a. 2006/07 - quel trattamento economico adeguato e comprensivo di tutti gli oneri contributivi (per 2/3 a carico dell'università e per 1/3 a carico del medico in formazione specialistica) con iscrizione ai fini previdenziali alla gestione separata di cui all'art.2, co. 26, n. 335/1995 ed esenzione del trattamento economico dall'imposta sul reddito delle persone fisiche, nonché assunzione a carico dell'Azienda Sanitaria presso la quale il medico in formazione specialistica svolge attività formativa, alle stesse condizioni del proprio personale, degli oneri inerenti la copertura assicurativa dei rischi professionali, per la responsabilità civile contro terzi e gli infortuni connessi all'attività assistenziale svolta dal medico nelle proprie strutture.
Indubbiamente, lo stesso Stato Italiano, con l'ultima normativa citata, in tardiva ma più aderente applicazione delle norme comunitarie, ha riconosciuto implicitamente il suo inadempimento per quanto riguardava l'adeguata remunerazione per gli specializzandi dato che i compiti di questi ultimi rimanevano immutati.
La proposta di rimborsi forfettari nel D.D.L. n. 2400
Al fine di arginare l'imponente contenzioso nei confronti dello Stato italiano, promosso da migliaia di medici, a causa della mancata e tardiva attuazione delle Direttive europee in tema di adeguata remunerazione, è stato predisposto il disegno di Legge recante “Disposizioni relative alla corresponsione di borsa di studio ai medici specializzandi ammessi alle scuole di specializzazione dal 1978, specializzati negli anni dal 1982 al 1992, e all'estensione dei benefici normativi ai medici specializzandi ammessi alle scuole di specializzazione universitarie negli anni dal 1993 al 2006”.
Dal contenzioso è scaturita una serie di pronunce giudiziali favorevoli ai medici, sia da parte dei tribunali, che delle corti di appello competenti, sia, in sede di legittimità, da parte della Suprema Corte di Cassazione, che hanno condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze al pagamento degli indennizzi in favore dei medici “ex- specializzandi”.
In base all'evoluzione giurisprudenziale sta sorgendo un imponente carico finanziario per lo Stato, al quale si vorrebbe porre rimedio, riconoscendo, da una parte, i diritti dei medici ex specializzandi e, dall'altro lato, riducendo il più possibile l'aggravarsi dell' «emorragia» di denaro pubblico dovuta al susseguirsi delle sentenze che decideranno i giudizi ancora pendenti.
Il DDL 2400 è volto, quindi, a risolvere definitivamente la questione, concludendo l'estenuante contenzioso attualmente in essere, adeguandosi completamente alle indicazioni provenienti dalle Direttive dell'Unione Europea e dalla giurisprudenza.
In tal senso, la proposta di legge cerca un compromesso tra le giuste richieste dei medici e le esigenze di contenimento dei costi dello Stato.
L'Art. 1 riconosce ai medici, specializzati dall'anno accademico 1982/1983 all'anno accademico 1991/1992, una remunerazione annua onnicomprensiva di importo pari a 11.000 euro, per tutta la durata del corso di specializzazione, a titolo forfetario.E' escluso il pagamento di interessi legali e di somme a titolo di rivalutazione monetaria. Viene previsto che nel caso in cui i medici abbiano beneficiato di sentenze passate in giudicato, con le quali sia stato riconosciuto il diritto a remunerazione superiore a quanto previsto a titolo forfetario per la partecipazione al corso di specializzazione, deve essere loro corrisposta una somma pari a quella stabilita dalle sentenze medesime.
L'Art. 2 disciplina i requisiti per l'accesso alla corresponsione stabilendo che il diritto alla corresponsione della remunerazione è subordinato all'accertamento, da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, del possesso del diploma di specializzazione.
E' prevista una sanatoria alternativa, disciplinata dall'Art. 3: si tratta di una scelta individuale che prevede di tramutare il diritto alla corresponsione della remunerazione in periodi di contribuzione figurativa da attribuire con le modalità di cui all'articolo 4 che prevede i requisiti per l'accesso al prepensionamento.
Anche ai medici specializzandi nel periodo 1993-2006 viene esteso, dall'art.6, il riconoscimento economico retroattivo del periodo di formazione ed estensione degli altri benefici. Tuttavia, alla data di entrata in vigore della legge, devono aver presentato domanda giudiziale per il riconoscimento retroattivo delle previsioni di cui al D. Lgs. n. 368/1999, alla L. n. 13/20017, e al D. L.gs. n. 206/2007, nonché il risarcimento dei danni subiti per l'omesso o tardivo recepimento nei loro confronti delle direttive 75/362/CEE e 75/363/ CEE del Consiglio, del 16 giugno 1975, 82176/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1982, 93/16/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, e 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005. In questi casi, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca corrisponderà, a titolo forfettario, un indennizzo onnicomprensivo di 10.000 euro per ogni anno del corso di specializzazione frequentato in ragione della durata legale dello stesso. Non si dà luogo al pagamento di interessi legali né a somme a titolo di rivalutazione monetaria.
Preso atto della conclusione della XVII Legislatura, sarà compito del nuovo Parlamento dare concreto impulso e attuazione al DDL.
Conclusione
Il contenzioso degli ex specializzandi in medicina, per il riconoscimento dell'adeguata remunerazione, copre un arco temporale molto ampio che ha visto lo Stato italiano inadempiente rispetto agli obblighi comunitari.
Ai sensi dell'art. 16 della Direttiva 82/76/CEE lo Stato italiano avrebbe dovuto recepire le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla Direttiva, entro e non oltre il 31 dicembre 1982. Tale termine non è stato rispettato, così come non è stato successivamente rispettato il termine del 1° gennaio 1995, entro il quale doveva essere recepita la Direttiva 93/16/CEE.
Solamente a partire dall'anno accademico 2006-2007, in base ai DPCM 7 marzo, 6 luglio e 2 novembre 2007, i futuri specializzandi possono usufruire di quella adeguata remunerazione che è stata negata a quanti si sono specializzati tra il 1982 e il 1991 e che solo parzialmente è stata riconosciuta, sotto forma di borsa di studio, agli specializzandi successivi fino al 2006.
Come accertato anche giudizialmente, la permanenza dell'illecito da parte della Repubblica Italiana, configuratosi nell'inadempimento all'obbligo di recepire le direttive comunitarie, si è protratta sino all'emanazione dei DPCM 7 marzo, 6 luglio e 2 novembre 2007.
La condotta dello Stato italiano di omissione dell'adempimento delle direttive è stata tale da determinare continuamente la permanenza dell'obbligo risarcitorio e, quindi, in definitiva del danno. I soggetti interessati, quindi, legittimamente si trovano in una situazione di attesa e conservano il loro diritto risarcitorio. Per tutti gli ex specializzandi, infatti, la questione è ancora aperta, come si evince dalla sentenza emessa dalla Corte di Giustizia in data 24 gennaio 2018 e nonostante le incognite emerse nella più recente sentenza della Corte di Cassazione, 23 febbraio 2018, n. 4449.
In base all'evoluzione giurisprudenziale sta sorgendo un imponente carico finanziario per lo Stato, al quale si potrebbe certamente porre rimedio, riconoscendo, da una parte, i diritti dei medici ex specializzandi e, dall'altro lato, riducendo il più possibile l'aggravarsi dell' «emorragia» di denaro pubblico dovuta al susseguirsi delle sentenze che decideranno i giudizi ancora pendenti, come prospettato nel DDL 2400.
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Sommario
L'attuazione della legislazione comunitaria nell'ordinamento italiano
La rideterminazione della borsa di studio percepita dagli specializzandi 1994-2006 e il diritto al risarcimento del danno da inadempimento dell'obbligo di recepimento della Direttiva n. 93/16/CEE