Impianti audiovisivi ed altri strumenti di controllo: chiarimenti dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro

16 Marzo 2018

Gli sviluppi tecnologici degli ultimi anni e le recenti modifiche all'art. 4, L. 20 maggio 1970, n. 300, impongono nuove chiavi di lettura in materia di controlli a distanza dei lavoratori. L'Ispettorato Nazionale del Lavoro, con Circolare 19 febbraio 2018, n. 5 affronta nuovamente l'argomento fornendo alcune utili indicazioni operative. Nell'approfondimento si esaminano i temi trattati nella Circolare anche alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza e dagli spunti offerti dalla normativa in materia di tutela dei dati personali.
Introduzione

Gli sviluppi tecnologici degli ultimi anni e le recenti modifiche all'art. 4, L. 20 maggio 1970, n. 300, impongono nuove chiavi di lettura in materia di controlli a distanza dei lavoratori. L'Ispettorato Nazionale del Lavoro, con Circolare 19 febbraio 2018, n. 5 affronta nuovamente l'argomento fornendo alcune utili indicazioni operative.

Nell'approfondimento si esaminano i temi trattati nella Circolare anche alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza e dagli spunti offerti dalla normativa in materia di tutela dei dati personali.

Quadro normativo

L'art. 4, L. n. 300/1970 dispone che gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali.

In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, detto accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Laddove manchi l'accordo, gli impianti e gli strumenti possono essere installati previa autorizzazione della sede territoriale dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Su quest'ultimo aspetto l'art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 185/2016 è intervenuto a precisare che in mancanza di accordo sindacale, per le imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di diverse sedi territoriali dell'Ispettorato, gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali possa derivare anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati previa autorizzazione della sede territoriale o della sede centrale dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro, specificando altresì che sotto il profilo del contenzioso amministrativo, i provvedimenti autorizzativi adottati dall'Ispettorato sono considerati definitivi risultando impraticabile la strada del ricorso gerarchico. Già da una prima lettura si comprende che gli aspetti giuridici coinvolti nella materia in oggetto, sono molteplici e vanno analizzati sotto due profili particolari: il primo è quello connesso al rispetto del dettato della norma anzidetta, il secondo è quello correlato alla tutela della riservatezza, nel rispetto di quanto previsto dalla normativa a tutela dei dati personali ex D.Lgs. n. 196/2003 e del nuovo GDPR UE n. 2016/679 applicabile dal 25 maggio 2018.

Quanto al primo aspetto, la facoltà di installare sistemi di videosorveglianza sul luogo di lavoro, nella precedente formulazione della norma, era prevista, come eccezione ad un generale divieto di controllo a distanza dei lavoratori, dall'art. 4, L. n. 300/1970. Eccezione da intendere tuttavia in senso relativo, perché in realtà la norma citata non prevedeva la possibilità, in particolari casi, di sorvegliare a distanza i lavoratori, essendo questo un divieto assoluto, piuttosto ammetteva il ricorso ad impianti audiovisivi tali da produrre un controllo incidentale o preterintenzionale dei lavoratori, sempre però in presenza di esigenze organizzative, produttive e di sicurezza del lavoro nonché previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali.

Il principio espresso dalla norma de quo mirava (e mira) al contemperamento della tutela della libertà e della riservatezza dei lavoratori e delle esigenze produttive ed organizzative del datore di lavoro. Per meglio chiarire l'ambito di operatività di tale disposizione, va detto che il tema dei controlli a distanza, ex art. 4, L. n. 300/1970, è stato oggetto di modifiche ad opera del D.Lgs. n. 151/2015 col quale il legislatore ha rimodulato la fattispecie con l'intento di adeguare la normativa all'attuale contesto produttivo ed agli intervenuti progressi tecnologici che al giorno d'oggi permettono il controllo dei lavoratori anche indirettamente, tramite strumenti diversi dagli impianti audiovisivi tradizionalmente considerati.

Come si è detto, la formulazione originaria dell'art. 4, comma 1, L. n. 300/1970, stabiliva il divieto assoluto di effettuare il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori mediante l'utilizzo di impianti audiovisivi e di ogni altra apparecchiatura. Il secondo comma del medesimo articolo prevedeva tuttavia che, previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, potessero essere installati strumenti di controllo «richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro» ovvero, in mancanza di RSA o di accordo, previa autorizzazione della DTL territorialmente competente.

Ad oggi, ferma l'eccezione prevista dall'art. 23, D.Lgs. n. 151/2015, con il quale il legislatore, nel tentativo di calare nel terzo millennio una norma del 1970, ha modificato l'art. 4, St. Lav., prevedendo che «la disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze», restano immutati i presupposti che legittimano l'installazione degli impianti in esame, vale a dire esigenze organizzative o produttive, esigenze legate alla sicurezza sui luoghi di lavoro o di tutela del patrimonio aziendale ed il necessario accordo preventivo con le RSA/RSU ovvero, in loro mancanza o in caso di mancato accordo, obbligo di preventiva istanza per ottenere l'autorizzazione da parte dell'Ispettorato competente per territorio. La mancanza di queste premesse, comporta la responsabilità penale del datore di lavoro.

Interessante il principio che si ricava dalla sentenza Cass. pen., sez. III, 6 dicembre 2016, n. 51897 con cui i giudici hanno stabilito che «sussiste continuità di tipo d'illecito tra la previgente formulazione dell'art. 4, L. n. 300/1970 e la rimodulazione del precetto intervenuta a seguito del D.Lgs. n. 151/2015, nel senso che costituisce reato l'uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività del lavoratori, avendo la normativa sopravvenuta mantenuto integra la disciplina sanzionatoria per la quale la violazione dell'art. 4, St. Lav. è penalmente sanzionata ai sensi dell'art. 38 della stessa legge».

Secondo i giudici la fattispecie ex art. 4, L. n. 300/1970, non costituisce necessariamente un reato a consumazione istantanea, in quanto l'installazione dell'impianto per il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori rappresenta uno dei molteplici presupposti di una più ampia condotta antigiuridica. La ratio legis, a parere della Suprema Corte, è quella di punire «l'uso, ossia l'impiego, illecito di impianti o strumenti di controllo perché installati dal datore di lavoro o utilizzati dal datore di lavoro fuori dal perimetro normativo disegnato dalla fattispecie incriminatrice ed in ciò consiste la condotta punibile. Il fatto tipico rientra, allora, nel paradigma del reato eventualmente abituale, potendo la fattispecie atteggiarsi tanto come reato istantaneo, quanto come reato di durata, [...] senza che questo comporti né concorso di reati, né continuazione ma diversa estrinsecazione di modalità della condotta, ovviamente valutabile ai fini della commisurazione della pena».

L'Ispettorato Nazionale del Lavoro interviene sull'argomento con Circolare 19 febbraio 2018, n. 5, a breve distanza dalla precedente nota n. 299 del 28 novembre 2017. Nella nota in questione veniva chiarito, a proposito di procedure autorizzative per l'installazione di impianti di allarme e antifurto dotati anche di fotocamere o videocamere, che la presenza di tali strumenti, finalizzati alla tutela del patrimonio aziendale, trova legittimazione nelle fattispecie previste dall'art. 4, n. 300/1970 ed è pertanto soggetta alla preventiva procedura di accordo con RSA/RSU ovvero all'autorizzazione da parte dell'Ispettorato del Lavoro.

La nota ha specificato altresì che, nell'intento di uniformare le procedure degli uffici territoriali dell'Ispettorato, qualora le videocamere o fotocamere si attivino esclusivamente con l'impianto di allarme inserito, non sussiste alcuna possibilità di controllo preterintenzionale sul personale e pertanto non vi sono motivi ostativi al rilascio del provvedimento che deve essere celere, stante l'esigenza di attivazione e l'assenza di qualunque valutazione istruttoria.

Istruttoria delle istanze

La Circolare n. 5 del 19 febbraio 2018 esordisce citando le norme sin qui citate, riaffermandone la ratio, ossia il contemperamento delle esigenze afferenti all'organizzazione del lavoro e della produzione del datore di lavoro con la tutela della dignità e della riservatezza dei lavoratori.

L'Ispettorato Nazionale del Lavoro parte dall'analisi dell'attività istruttoria relativa alle istanze e dalla valutazione dei presupposti che legittimano il controllo a distanza dei lavoratori, specificando che detta attività non necessita di personale tecnico ad hoc pertanto è di competenza del personale ispettivo ordinario o amministrativo, salvo casi di particolare complessità in cui siano richieste le valutazioni di personale ispettivo tecnico. Nel fornire tali chiarimenti l'Ispettorato ribadisce un importante principio e delinea i contenuti dell'attività valutativa affermando che quest'ultima deve concentrarsi sulla verifica dell'effettiva sussistenza delle ragioni che legittimano l'adozione del provvedimento, tenendo presente in particolare la specifica finalità per la quale viene richiesta la singola autorizzazione e cioè le ragioni organizzative e produttive, quelle di sicurezza sul lavoro e quelle di tutela del patrimonio aziendale.

Viene sottolineata la necessaria correlazione tra le condizioni poste all'utilizzo delle strumentazioni e la specifica finalità individuata nell'istanza.

A tale proposito ricordiamo che la richiesta di autorizzazione all'installazione di strumenti di videosorveglianza, da destinare all'Ispettorato Nazionale o Territoriale del lavoro, va presentata dal legale rappresentante dell'azienda, solo se sono presenti lavoratori e non sono stati eletti rappresentanti sindacali aziendali (RSA) o rappresentanti sindacali unitari (RSU) ovvero, pur essendo presenti in ditta RSA o RSU, qualora sia stato sottoscritto un verbale di mancato accordo in relazione all'utilizzo dell'impianto.

Nella relazione che accompagna l'istanza devono essere esplicitati in maniera dettagliata le motivazioni per le quali si chiede l'autorizzazione ad installare l'impianto di videosorveglianza (esigenze organizzative e produttive, sicurezza del lavoro, tutela del patrimonio aziendale). Le istruzioni che accompagnano il modello scaricabile dal sito web dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro ed in uso da marzo 2017, propongono alcuni esempi di cosa si intende per esigenze organizzative, produttive, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale, tra queste: l'impiego di macchinari e di impianti che necessitano di continuo monitoraggio o di frequenti interventi di manutenzioni urgente, la necessità di garantire rapido intervento delle squadre di soccorso in caso di infortunio o lo svolgimento di attività particolarmente pericolose, l'impiego di materiali nocivi, la presenza di lavoratori che operano in luoghi isolati, la presenza di casi di intromissione o di furti denunciati, di componenti o beni immateriali di elevato valore intrinseco.

Orbene, nella Circolare, l'Ispettorato Nazionale pone dei limiti alle eventuali condizioni poste all'utilizzo delle strumentazioni, specificando che sebbene sia necessario correlare la specifica finalità alla base dell'istanza è altrettanto necessario evitare di vanificare l'efficacia del controllo ponendo ulteriori limitazioni di carattere tecnico.

L'INL precisa inoltre (e questo è un elemento di notevole apertura) che l'eventuale ripresa dei lavoratori che di norma è consentita solo in via incidentale ed occasionale, ma in presenza delle ragioni che giustificano il controllo, nulla osta all'inquadramento diretto dell'operatore, prescindendo da particolari condizioni quali, ad esempio l'angolo di ripresa della telecamera o l'oscuramento del volto del lavoratore. Ai fini della trattazione giova rammentare che il funzionamento del sistema di videosorveglianza deve essere descritto dettagliatamente, ad esempio è necessario specificare se l'impianto di videosorveglianza viene tenuto a circuito chiuso, collegato all'intranet aziendale o se è collegato via internet a postazione remota. È utile allegare le schede tecniche degli elementi che compongono il sistema di videosorveglianza. Si fa presente che anche la sola installazione e/o la messa in esercizio di impianti audiovisivi e di altri strumenti di controllo prima della prescritta autorizzazione darà luogo all'applicazione delle sanzioni previste dall'art. 38, comma 1, L. n. 300/1970. L'Ispettorato Nazionale precisa altresì che non è fondamentale specificare il posizionamento predeterminato e l'esatto numero delle telecamere da installare fermo restando che le riprese effettuate devono necessariamente essere coerenti e strettamente connesse con le ragioni dichiarate nell'istanza, sarà l'eventuale accertamento ispettivo a verificarne l'effettiva sussistenza. In via preliminare possiamo affermare che da quanto sin qui delineato traspare un indiscutibile senso di ragionevolezza, confermato dalle successive considerazioni che si riscontrano proseguendo nella lettura della circolare de quo laddove l'Ispettorato prende atto che lo stato dei luoghi e il posizionamento delle merci o degli impianti produttivi è spesso oggetto di continue modificazioni nel corso del tempo e pertanto l'istruttoria analitica basata su planimetrie potrebbe non essere adeguatamente rappresentativa del contesto produttivo già nel breve periodo. Proseguendo in tal senso, l'INL sottolinea che «un provvedimento autorizzativo basato sulle esibizione di una documentazione che “fotografa” lo stato dei luoghi in un determinato momento storico rischierebbe di perdere efficacia nel momento stesso in cui tale “stato” venga modificato per varie esigenze, con la conseguente necessità di un aggiornamento periodico dello specifico provvedimento autorizzativo, pur in presenza delle medesime ragioni legittimanti l'installazione degli strumenti di controllo».

Un ulteriore principio che si ricava dalla circolare in argomento, attiene all'immodificabilità dell'interesse dichiarato al momento della richiesta e della necessaria correlazione tra quest'ultimo e quanto poi riscontrato sul posto all'atto dell'eventuale accesso ispettivo. Nello specifico, l'INL chiarisce che l'autorizzazione viene rilasciata sulla base delle «specifiche ragioni dichiarate dall'istante in sede di richiesta».

Le ragioni giustificatrici indicate nell'istanza non devono variare nel tempo né possono essere integrate da altre ragioni non espressamente dichiarate (sebbene potenzialmente legittime all'esercizio di un controllo) poiché l'attività di controllo autorizzata è legittima se «strettamente funzionale alla tutela dell'interesse dichiarato». In buona sostanza e per espressa indicazione fornita dalla circolare, gli eventuali controlli ispettivi successivi al rilascio del provvedimento autorizzativo, saranno indirizzati alla verifica della coerenza e della conformità delle modalità di utilizzo degli strumenti rispetto a quanto dichiarato nell'istanza.

Tutela del patrimonio aziendale

Il riferimento alla tutela del patrimonio aziendale rappresenta un elemento di novità nella nuova formulazione dell'art. 4, comma 1, St. Lav.. Si è già accennato alle esigenze di tutela del patrimonio aziendale trattando della nota INL n. 299/2017 ed è proprio a tale ultima disposizione che fa riferimento la circolare in esame quando, affrontando il concetto di “tutela del patrimonio aziendale”, in premessa afferma che «tale problematica non si pone per le richieste che riguardano dispositivi collegati ad impianti di antifurto che tutelano il patrimonio aziendale in quanto tali dispositivi, entrando in funzione soltanto quando in azienda non sono presenti lavoratori, non consentono alcuna forma di controllo incidentale degli stessi».Ben diverso è il caso in cui i sistemi di controllo entrino in funzione alla presenza di lavoratori ed in realtà, su questo particolare aspetto, la circolare si limita a citare alcuni principi stabiliti dall'autorità Garante della privacy (legittimità, determinatezza, proporzionalità, correttezza e non eccedenza del fine perseguito) ed a rimandare ad una sentenza della Corte di Cassazione che stabiliva i principi che legittimano, in via residuale, l'attuazione di controlli più invasivi quali la visita personale di controllo intesa come ultima scelta per il datore di lavoro dopo che questi abbia valutato tutti i mezzi di controllo alternativi tecnicamente e legalmente attuabili (cfr. Cass. civ., sez. lav., 19 novembre 1984, n. 5902).

In realtà tali principi possono ricavarsi anche da sentenze più recenti della Suprema Corte e possono essere d'ausilio per meglio inquadrare il concetto di “tutela del patrimonio aziendale” e di contemperamento tra le esigenze di controllo del datore di lavoro e l'interesse del lavoratore a non vedere invasa la sfera privata (ex plurimis Cass. civ., sez. lav., 16 agosto 2016, n. 17113 in cui la Corte, afferma che la tutela della libertà e della dignità del lavoratore non preclude la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, per scopi di tutela del patrimonio aziendale e di vigilanza dell'attività lavorativa; Cass. pen., sez. V, 1 giugno 2010, n. 20722 in cui si afferma che il divieto posto dallo Statuto dei lavoratori è finalizzato alla tutela della riservatezza e della libertà dei lavoratori nello svolgimento e nell'adempimento della propria attività lavorativa, ma non implica il divieto di controlli difensivi del patrimonio aziendale da azioni delittuose da chiunque provenienti, anche da lavoratori dipendenti, nonostante i controlli vengano effettuati in violazione dello Statuto stesso, trattandosi di sentenza della Cassazione penale che ammette l'utilizzabilità della prova del reato nel giudizio; Cass., 9 ottobre 2013, n. 25674, con cui la Corte ha ammesso, per la tutela del patrimonio aziendale, il controllo dei lavoratori tramite investigatori privati addivenendo al licenziamento per giusta causa di una lavoratrice resasi colpevole di furto).

Il principio che si ricava dalle citate sentenze è quello secondo il quale gli artt. 4 e 38, St. Lav., non impediscono i cosiddetti controlli difensivi sul patrimonio dell'azienda al fine di evitare azioni delittuose poste in essere da chiunque, compresi i dipendenti. Si sottolinea, inoltre, che il mancato rispetto dell'iter procedurale dell'art. 4, L. n. 300/1970, assume rilievo solo sotto il profilo civilistico ma non inficia la possibilità di valutare, quale elemento probatorio nel processo, ad esempio, le videoriprese. In altri termini, stando a detto principio, i giudici di legittimità hanno ritenuto che le esigenze di ordine pubblico e di prevenzione dei reati siano prevalenti sul diritto alla riservatezza ed all'autonomia del lavoratore, qualora vi siano concreti ed effettivi sospetti dell'attività illecita posta in essere all'interno del luogo di lavoro.

Tornando al contenuto della circolare INL n. 5/2018, i suddetti principi vengono tenuti in debita considerazione laddove l'Ispettorato afferma che «la sussistenza dei presupposti legittimanti la tutela del patrimonio aziendale mediante le visite personali di controllo, va valutata in relazione ai mezzi tecnici e legali alternativi attuabili, all'intrinseca qualità delle cose da tutelare, alla possibilità per il datore di lavoro di prevenire ammanchi attraverso l'adozione di misure alternative» e che «tra gli elementi che devono essere tenuti presenti nella comparazione dei contrapposti interessi, non possono non rientrare anche quelli relativi all'intrinseco valore e alla agevole asportabilità dei beni costituendi il patrimonio aziendale».

Da ciò sembra pertanto scaturire l'obbligo, a carico del datore ma anche del personale ispettivo, di procedere ad un'attenta valutazione al fine di valutare «gradualità nell'ampiezza e tipologia del monitoraggio» allo scopo di non vanificare la ratio della norma.

Telecamere

La circolare in esame affronta l'argomento “telecamere” facendo una premessa sui cambiamenti avvenuti negli ultimi anni. L'Ispettorato Nazionale del Lavoro prende atto che le tecnologie digitali e il trattamento dei dati da remoto, rendono obbligatorio il cambiamento anche della forma mentis per adeguare i concetti di videosorveglianza a nuovi scenari applicativi ed a funzionalità operative che fino a pochi anni fa erano inimmaginabili. Il rapido sviluppo della tecnologia digitale avvenuto negli ultimi anni e le novità introdotte dal Jobs Act, hanno indubbiamente accresciuto il potere di controllo nei confronti dei lavoratori. Oggi sempre più processi aziendali si svolgono su reti e strumenti tecnologici che il datore di lavoro, ed i suoi amministratori di sistema, possono agevolmente controllare. Lo stesso concetto di “controllo dei lavoratori” si è evoluto trasformandosi da statico e limitato a un periodo di tempo o a una zona dell'azienda attraverso telecamere, ad un controllo che, per effetto dell'elettronica, non ha più limiti spaziali né temporali.

E' possibile trasmettere dati attraverso reti cablate o wireless, registrare i dati o effettuare controlli in diretta all'interno di una intranet aziendale ma anche via internet ma all'evoluzione tecnologica deve necessariamente accompagnarsi un'evoluzione normativa.

I più comuni sistemi di controllo oggi sono incorporati in un computer, ma spesso anche nello smartphone e nel tablet, è questo il caso del GPS, o sistema di geo-localizzazione utile per controllare la posizione e gli spostamenti di un dispositivo tramite una combinazione di dati provenienti da satelliti. E' ovvio che se il dispositivo è addosso alla persona ovvero installato su un veicolo, anche questi ultimi diventano tracciabili e il GPS si trasforma in uno strumento di controllo, anche indiretto.

Restando nel campo delle telecamere, la circolare INL n. 5/2018 effettua una distinzione tra dati rilevabili da postazione remota in tempo reale e dati registrati, specificando che l'accesso ai primi deve essere autorizzato solo in casi eccezionali e debitamente motivati.

Per quanto riguarda invece l'accesso alle immagini registrate, sia da remoto che “in loco”, è fatto obbligo di tracciare tale accesso e di conservarne i log per un periodo congruo, non inferiore a sei mesi. Viene sancito l'abbandono del sistema a doppia chiave fisica o logica che consentiva una immediata ed integrale visione delle immagini solo in caso di necessità, da parte di addetti alla manutenzione o per l'estrazione dei dati ai fini della difesa di un diritto o del riscontro ad una istanza di accesso, ovvero per assistere la competente autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria.

La Circolare passa poi a trattare del “perimetro” spaziale per delimitare l'ambito di applicazione della disciplina in esame, richiamando l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale vengono identificati come luoghi soggetti alla normativa sia quelli interni che quelli esterni dove viene svolta l'attività lavorativa in modo anche saltuario o occasionale. Nello specifico l'INL richiama la sentenza Cass. civ., sez. lav., 6 marzo 1986, n. 1490 in cui si afferma che l'obbligo di accordo con le organizzazioni sindacali ovvero di ottenere l'autorizzazione all'installazione di una telecamera diretta verso il luogo di lavoro «non esclude l'ipotesi di controlli discontinui o esercitati su locali in cui i lavoratori possano trovarsi solo per attività saltuarie o per temporanea sottrazione ad attività dovute»tuttavia sarebbero da escludere dai predetti obblighi le zone esterne estranee alle pertinenze dell'azienda (ad esempio il suolo pubblico antistante alle zone di ingresso in azienda e dove non viene prestata attività lavorativa). Per completezza di trattazione ricordiamo che secondo lagiurisprudenza, non rileva il fatto che le apparecchiature siano soltanto installate ma non ancora funzionanti, né che il datore di lavoro abbia dato preavviso ai lavoratori o che il controllo, come supra sia saltuario.In tali ipotesi non è esclusa la violazione della norma citata, allo stesso modo non rileva il fatto che le telecamere siano finte e montate con l'unico scopo di infondere timore o dissuadere i lavoratori poiché, configurandosi ciò come un reato di pericolo, la norma sanziona a priori l'installazione, prescindendo dal suo reale utilizzo o meno (cfr. Cass. civ., sez. lav., 30 gennaio 2014, n. 4331 con cui la Suprema Corte ha ritenuto comunque violato il precetto contenuto nell'art. 4, St. Lav., in quanto «l'idoneità degli impianti a ledere il bene giuridico protetto, cioè il diritto alla riservatezza dei lavoratori, sia necessaria affinché il reato sussista emerge ictu oculi dalla lettura del testo normativo - idoneità che peraltro è sufficiente anche se l'impianto non è messo in funzione, poiché, configurandosi come un reato di pericolo, la norma sanziona a priori l'installazione prescindendo dal suo utilizzo o meno»).Alla luce di detto orientamento il reato a carico del datore di lavoro può configurarsi con la mera installazione non autorizzata dell'impianto di videoripresa, anche se la telecamera rimane spenta in attesa di ottenere la prescritta autorizzazione o di siglare l'accordo con i sindacati. Per evitare sanzioni, le telecamere devono quindi essere montate solo ed esclusivamente dopo aver ricevuto l'autorizzazione poiché, unico requisito imprescindibile affinché la presenza, (e l'operatività), di videocamere sia legittima è l'accordo stipulato con i sindacati o l'autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro.

Vi è poi da sottolineare che pur disponendo di un accordo unanime con i singoli dipendenti, il datore di lavoro che non abbia dapprima stipulato un accordo con le organizzazioni sindacali commette un reato (e ciò nonostante in un caso la Corte di Cassazione ebbe ad affermare il contrario, cfr. sentenza Cass. pen., sez. III, n. 22611/2012) ciò al fine di affermare il rispetto del principio di legalità, in virtù del quale il datore di lavoro deve necessariamente osservare la lettera della legge per agire nell'alveo della liceità. Non deve inoltre essere trascurato il fatto che si tratta di interessi collettivi e superindividuali, in quanto «la condotta datoriale, che pretermette l'interlocuzione con la rappresentanze sindacali unitarie o aziendali procedendo all'installazione degli impianti dai quali possa derivare un controllo a distanza dei lavoratori, produce l'oggettiva lesione degli interessi collettivi di cui le rappresentanze sindacali sono portatrici» (cfr. Cass. pen., sez. III, 8 maggio 2017, n. 22148). La Cassazione ha quindi precisato che non è sufficiente il consenso di tutti i lavoratori (potendo il consenso essere viziato dal timore di incorrere in forme di ripercussione) poiché l'art. 4, L. n. 300/1970 ha proprio l'obiettivo di «tutelare i lavoratori contro forme subdole di controllo della loro attività da parte del datore di lavoro» anzi il consenso senza accordo con le rappresentanza sindacali configurerebbe un comportamento antisindacale stante la scopo di questi organi di salvaguardare gli interessi collettivi dei lavoratori. Simile condotta, da parte del datore di lavoro, sarebbe inoltre censurabile ai sensi dell'art. 28, St. Lav. e della normativa in materia di riservatezza e tutela dei dati personali.

Si ricorda infine che, con Nota del 1 giugno 2016, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha chiarito alcuni dubbi procedurali stabilendo che qualora, durante l'attività ispettiva, dovesse riscontrarsi l'installazione illecita di impianti audiovisivi destinati al controllo a distanza dei lavoratori, oltre alla pena dell'ammenda o all'arresto, salvo che il fatto non costituisca reato più grave, deve essere impartito anche un provvedimento di prescrizione ai sensi dell'art. 20, D.Lgs. n. 758/1994, al fine di far cessare la condotta illecita ed ottenere la rimozione degli impianti audiovisivi.

Per consentire tale regolarizzazione, l'organo di vigilanza deve garantire la fissazione di un congruo termine, non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario. Se durante tale termine viene siglato l'accordo sindacale o rilasciata l'autorizzazione della competente Direzione Territoriale del Lavoro, venuti meno quindi i presupposti dell'illecito, l'organo ispettivo, ai sensi dell'art. 21, D.Lgs. n. 758/1994 (verifica dell'adempimento), può ammettere il contravventore a pagare, in sede amministrativa ed entro 30 giorni, una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.

Dati biometrici

L'utilizzo sempre più frequente di dati biometrici comporta le medesime riflessioni esposte in materia di sviluppi tecnologici a proposito delle telecamere e dei controlli personali. L'Autorità Garante si è espressa più volte in passato in merito all'uso di dati biometrici in materia di lavoro, specificando le condizioni in virtù delle quali il trattamento dei dati biometrici dei lavoratori può ritenersi lecito, precisando che tali dati possono essere di regola utilizzati solo in casi particolari, tenuto conto delle finalità perseguite dal titolare e del contesto in cui il trattamento viene effettuato, nonché, con specifico riguardo ai luoghi di lavoro, per presidiare l'accesso ad "aree sensibili" in considerazione della natura delle attività ivi svolte (cfr., tra gli altri, Provv. 21 luglio 2005, Provv. 23 novembre 2005, Provv. 15 giugno 2006, Provv. 26 luglio 2006, Provv. 2 ottobre 2008, Provv. 15 ottobre 2009, Provv. 10 marzo 2011, Provv. 20 ottobre 2011) oppure per finalità di sicurezza del trattamento di dati personali.

Nella Circolare n. 5/2017 l'Ispettorato Nazionale del Lavoro cita il Provvedimento generale prescrittivo in tema di biometria, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 280 del 2 dicembre 2014 in cui si evidenzia che «l'adozione di sistemi biometrici basati sull'elaborazione dell'impronta digitale o della topografia della mano può essere consentita per limitare l'accesso ad aree e locali ritenuti "sensibili" in cui è necessario assicurare elevati e specifici livelli di sicurezza oppure per consentire l'utilizzo di apparati e macchinari pericolosi ai soli soggetti qualificati e specificamente addetti alle attività».

Ricordiamo che in materia di controllo dell'attività lavorativa dei dipendenti e dell'utilizzo dei dati, dal 24 settembre 2015, con l'entrata in vigore dell'art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 151/2015, il controllo assume connotati di illegittimità, nel rispetto dell'art. 4, comma 2, L. n. 300/1970 qualora non si tratti di strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa ovvero strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

L'Ispettorato conclude pertanto affermando che il sistema di riconoscimento biometrico, installato allo scopo di impedire l'utilizzo di una macchina a soggetti non autorizzati, necessario per avviare il funzionamento della stessa, può essere considerato uno strumento indispensabile a «...rendere la prestazione lavorativa...» e rientrante nella disciplina prevista dall'art. 4, comma 2, L. n. 300/1970, in tal caso il datore di lavoro è esonerato dall'accordo con le rappresentanze sindacali e dalla richiesta di autorizzazione all'Ispettorato.

Giova ricordare che in detti casi il controllo è legittimo a condizione che si fornisca al lavoratore un'adeguata informazione riguardo alle modalità d'uso degli strumenti stessi e di effettuazione del controllo, fermo restando l'obbligo di rispettare la normativa in materia di tutela dei dati personali. Può apparire superfluo ma è utile sottolineare, infine, che gli strumenti utilizzati dal lavoratore per adempiere la prestazione non devono essere modificati allo scopo di controllare il lavoratore, in caso di modifiche, queste devono essere dettate da esigenze aziendali e necessitano dell'accordo sindacale o dell'autorizzazione amministrativa.

Conclusioni

Da ultimo, ma non per importanza, si ricorda il contenuto del novellato art. 4, comma 3, L. n. 300/1970, in cui il legislatore ha specificato che le informazioni raccolte ai sensi dei due commi precedenti, sono utilizzabili per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia fornita al lavoratore un'adeguata informazione sulle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli.

Tali condizioni di legittimità della raccolta e del successivo impiego dei dati, attraverso un espresso richiamo al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (dal 25 maggio 2018 sostituito dal GDPR UE 2016/679), rendono necessario rilasciare l'Informativa privacy, seppur in forma semplificata come consentito dal provvedimento generale del Garante, provvedere alla nomina degli incaricati che accedono ai dati, distinguendo i vari profili a seconda delle classi di incarico, la nomina a responsabile delle società che potranno accedere ai dati stessi, presidiare le attività manutentive, adottare le misure minime di sicurezza previste dalla normativa e predisporre una procedura per la conservazione e cancellazione dei dati raccolti.

Da ciò consegue che in un eventuale procedimento disciplinare il dipendente pur in presenza del rispetto dell'art. 4, St. Lav. potrà eccepire la violazione della normativa privacy come causa di inammissibilità delle prove eventualmente raccolte dal datore di lavoro, circa tali eccezioni deciderà l'autorità giudiziaria innanzi alla quale pende il procedimento.

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