Sentenza penale di condanna al risarcimento del danno: al giudice civile è preclusa la valutazione dell'an
20 Marzo 2018
IL CASO Un uomo, ricoverato per gravi disturbi psichiatrici con tendenze suicidiarie, muore gettandosi nel vuoto dal terzo piano della struttura ospedaliera. Il Tribunale di Roma condanna il medico che lo aveva in cura, il nosocomio e la compagnia di assicurazione al risarcimento del danno agli eredi del paziente. La corte d'appello di Roma, però, in riforma della decisione di primo grado, intima agli eredi la restituzione delle somme versate dalla compagnia di assicurazione, rilevando che la sentenza penale di non luogo a procedere per estinzione del reato non aveva efficacia di giudicato nel processo civile di risarcimento del danno quanto all'accertamento del fatto. Gli eredi dell'uomo ricorrono in cassazione, denunziando la negazione del risarcimento.
INTANGIBILE ACCERTAMENTO DELL'AN.. In particolare i ricorrenti, con il secondo motivo, impugnano la sentenza d'appello per violazione degli artt. 651 c.p.p., 578 c.p.c., oltre che degli artt. 2043 e 2049 c.c. in relazione all'art. 360, comma 1, c.p.c., denunziando come la corte territoriale abbia erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie la norma che preclude l'efficacia, nel giudizio civile di risarcimento danni, della sentenza penale irrevocabile ex art. 651 c.p.p. nel caso in cui sia stata rinvenuta l'esistenza di condizioni di non procedibilità, alla differente fattispecie in cui il giudice penale, pur dichiarando di non potersi procedere nei confronti dell'imputato, si pronunci comunque sulle domande concernenti interessi civili. In questo caso, dichiarano i ricorrenti, la sentenza andrebbe scissa in relazione ai diversi capi, penali e civili, e questi ultimi potrebbero addirittura passare autonomamente in giudicato se non impugnati. Sui capi civili i giudici penali si erano pronunciati condannando il medico e l'ospedale al risarcimento dei danni, da liquidare in separato giudizio: intangibile l'accertamento dell'an, al giudice civile restava da pronunciarsi sul quantum.
IL GIUDICE CIVILE DEVE PRONUNCIARSI SUL QUANTUM La Suprema Corte ritiene fondato tale motivo. Il Giudice d'appello non avrebbe potuto riesaminare le questioni sull'accertamento della condotta colposa del medico e della struttura ospedaliera ex art. 2049 c.c. perché tale accertamento era già coperto dal giudicato sulla pronuncia di condanna generica di non doversi procedere nei confronti dell'imputato per estinzione del reato per prescrizione. Ma il Giudice civile avrebbe dovuto procedere, nel processo civile di risarcimento del danno, all'accertamento dell'esistenza e dell'entità delle conseguenze pregiudizievoli del fatto dannoso e anche «del nesso di derivazione causale tra il fatto accertato dal giudice penale e le conseguenze pregiudizievoli allegate dai danneggiati, non assumendo al riguardo alcuna rilevanza i limiti che la legge pone alla efficacia, nel separato giudizio civile sul quantum, del giudicato penale di condanna ex art. 651 c.p.p., in relazione all'accertamento della “sussistenza del fatto”, alla sua “illiceità penale” ed alla “affermazione che l'imputato lo ha commesso”».
PRINCIPIO DI DIRITTO La Cassazione enuncia dunque il seguente principio di diritto: «qualora il procedimento penale, nel quale le parti civili si sono costituite proponendo domanda di condanna al risarcimento del danno od alle restituzioni, sia stato definito in primo grado con accertamento di penale responsabilità dell'imputato e condanna dello stesso in solido con il responsabile civile al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio, ed il Giudice penale d'appello abbia poi pronunciato sentenza di non doversi procedere perché il reato nelle more si è estinto per amnistia o prescrizione, comunque statuendo ex art. 578 cod. proc. pen. anche sugli interessi civili confermando la condanna generica al risarcimento dei danni, nel successivo giudizio proposto avanti il Giudice civile per la liquidazione del danno non trovano applicazione gli artt. 651 e 652 cod. proc. pen. concernenti i limiti di efficacia del giudicato relativo alla responsabilità penale nei giudizi civili, in quanto non soltanto la pronuncia di non luogo a procedere viene ad escludere lo stesso accertamento dell'illecito penale, ma in quanto le norme predette presuppongono che il Giudice penale non abbia pronunciato sugli interessi civili (non essendosi costituiti i danneggiati parti civili nel processo penale e non avendo svolto in tale sede l'azione civile di condanna). Diversamente, la pronuncia che accogliendo le domande delle parti civili dispone la condanna generica al risarcimento danni, pur se adottata nelle forme del processo penale, implica sempre l'accertamento della responsabilità civile dell'imputato (e del responsabile civile), e costituisce autonomo capo della sentenza penale suscettibile di passaggio in giudicato ove non specificamente impugnato dai soggetti legittimati ai sensi degli artt. 574, 575 e 576 cod. proc. pen., con la conseguenza che, una volta divenuto irrevocabile il capo della sentenza penale relativo all'accertamento di responsabilità per il danno, rimane precluso al Giudice civile, adito successivamente ai fini della liquidazione del "quantum", procedere ad una nuova valutazione nell'"an" della responsabilità civile, potendo invece tale Giudice accertare, senza alcun ulteriore vincolo, se il fatto (potenzialmente) dannoso attribuito alla responsabilità dell'imputato abbia determinato o meno, in base alla verifica del nesso derivazione causale previsto dall'art. 1223 c.c., le conseguenze pregiudizievoli allegate dai danneggiati».
La Suprema Corte cassa la sentenza impugnata in relazione a questo motivo e rinvia gli atti alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione. |