Nuove funzioni e responsabilità degli organi di controllo di s.r.l. nella legge delega n. 155/2017

Giuseppe Sancetta
Alessandro Ireneo Baratta
Laura Sicuro
20 Marzo 2018

Nella bozza dei documenti trasmessi dalla Commissione Rordorf al Ministro, integranti l'attivazione della delega prevista dalla L. n. 155/2017, sono contenute una serie di norme che incrementano i doveri e le responsabilità a carico degli organi di controllo delle società. Gli Autori illustrano le norme che impongono nuovi doveri a carico di sindaci e revisori nonché i criteri per la quantificazione del danno.
Premessa

La legge delega n. 155/2017 detta, come noto, oltre ai principi cui si dovrà attenere il Governo per la riforma della disciplina della crisi e dell'insolvenza, anche una serie di norme che incrementano i doveri e le responsabilità a carico degli organi di controllo delle società.

Nella bozza dei documenti trasmessi dalla Commissione Rordorf al Ministro alla fine del 2017, sono stati, infatti, oggetto di revisione sia i poteri che le responsabilità di detti organi.

Ci si riferisce, in particolare, ai doveri di segnalazione imposti all'organo di controllo sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo della società, nel caso di fondati indizi di crisi, nonché ai criteri stabiliti dalla legge per la quantificazione del danno.

I nuovi limiti dimensionali previsti per la nomina dell'organo di controllo

Primariamente, si intende porre l'attenzione sulle novità apportate dalla Riforma della disciplina della crisi e dell'insolvenza d'impresa in tema di nomina dell'organo di controllo ed attività, funzioni e responsabilità ad esso afferenti.

Come noto, l'art. 2477 c.c. statuisce che sia l'atto costitutivo a poter prevedere la nomina dell'organo di controllo o di un revisore, determinandone altresì poteri e competenze, compresa la revisione legale dei conti (ove lo statuto non disponga diversamente, peraltro, l'organo di controllo deve ritenersi costituito da un solo membro effettivo). L'obbligo di nomina del suddetto organo di controllo sussiste, invece, al ricorrere di determinati requisiti, alcuni di essi modificati dalla Riforma in commento. Se nulla è cambiato, pertanto, in merito ai limiti relativi alla redazione del bilancio consolidato ed al controllo esercitato su altra società obbligata alla revisione legale dei conti, non così per i limiti previsti in merito all'attivo di stato patrimoniale, ai ricavi delle vendite e delle prestazioni ed al numero di dipendenti, che nella previgente formulazione della norma si riferivano ai limiti imposti alle società per la redazione del bilancio in forma abbreviata (art. 2435 bis, comma 1, c.c.). Il riformato comma 3 dell'art. 2477 c.c., infatti, così dispone: "La nomina dell'organo di controllo o del revisore è obbligatoria se la società: a) è tenuta alla redazione del bilancio consolidato; b) controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti; c) ha superato per due esercizi consecutivi almeno uno dei seguenti limiti: 1) totale dell'attivo dello stato patrimoniale: 2 milioni di euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 2 milioni di euro; 3) dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 10 unità".

La società, pertanto, non deve superare per due esercizi consecutivi almeno uno dei suddetti limiti (e non più due congiuntamente come nella formulazione pre-riforma dell'art. 2477 c.c.). Ma l'art. 14 della Legge delega n. 155/2017 non esaurisce qui il suo respiro riformatore: detto obbligo cessa, infatti, non più se per due esercizi consecutivi non è superato alcuno dei limiti sopra riportati, bensì se per tre esercizi consecutivi essi non vengono superati.

Riducendo, pertanto, i limiti dimensionali riferiti all'attività d'impresa e modificando il numero di esercizi di osservazione, la Riforma ha inteso ampliare la platea delle società obbligate alla nomina dell'organo di controllo o del revisore. E non solo. La nuova formulazione dell'art. 2477 c.c. prevede che qualora, pur sussistendo per la società l'obbligo di nomina, la stessa non vi abbia provveduto "entro il termine in cui l'assemblea è chiamata ad approvare il bilancio in cui vengono superati i limiti di cui ai punti precedenti" (art. 2477 c.c. comma 6), possa provvedervi il Tribunale competente su istanza di qualsiasi interessato o del Conservatore del Registro delle Imprese (sul tema si ritornerà approfonditamente più avanti).

Si tratta, certamente, di un'opportunità per i professionisti chiamati a svolgere le suddette funzioni di controllo, che si traducono anche in responsabilità e adempimenti oggi ancor più allargati e numerosi, anche in considerazione della circostanza per cui secondo una recente sentenza della Cassazione (Cass. Civ. n. 13081/2013), il collegio sindacale è tenuto a un controllo di legalità non puramente formale ma esteso al contenuto sostanziale dell'attività sociale e dell'azione degli amministratori allo scopo di verificare che le scelte discrezionali non travalichino i limiti della buona amministrazione (F. Landuzzi, La vigilanza dei sindaci non riguarda il “merito” della gestione, in Euroconference News, 11 febbraio 2016). Tuttavia da sempre nella pratica non è agevole, soprattutto a posteriori, tracciare un confine netto che stabilisca dove termini la verifica sulla legittimità della scelta gestoria e dove inizi il giudizio sul merito della stessa, retto invece dall'insindacabile business judgement rule.

A tali professionisti, peraltro, i primi chiamati ad effettuare le segnalazioni relative alle misure di allerta insieme al Conservatore del Registro delle Imprese, è richiesto un altissimo livello di specializzazione, un continuo aggiornamento professionale, ed una costante e crescente conoscenza della situazione amministrativa, contabile e tributaria della società.

Secondo la Riforma, infatti, è dovere dell'imprenditore e degli organi societari tutti creare strutture interne di rilevazione dello stato di crisi. Una delle principali novità della Legge delega è costituita dall'introduzione degli istituti di allerta e di composizione assistita della crisi con i quali l'intento del Legislatore pare proprio essere quello di far emergere e prevenire tempestivamente tutte le circostanze potenzialmente foriere dell'insolvenza nonché le eventuali condotte antigiuridiche dell'organo amministrativo, con la costante collaborazione del Tribunale (si veda, in merito, l'estensione alle S.r.l. del rimedio della denunzia al Tribunale per irregolarità commesse dagli amministratori, anche qualora esse siano prive di organo di controllo, ex art. 2409 c.c.) e del Conservatore del Registro Imprese. Si tratta di veri e propri flussi informativi resi dai professionisti e di precisi obblighi di segnalazione con i quali si vuole perseguire il fine ultimo della tutela del ceto creditorio, auspicando in tal senso che si possa prevenire ed affrontare la crisi nella fase, per così dire, fisiologica di essa (sempre a tutela dell'impresa, dei lavoratori e dei creditori) e non nella fase patologica, ovverosia dopo la dichiarazione di fallimento (rectius, liquidazione giudiziale), considerato che, nella prassi, la gran parte delle procedure fallimentari si conclude con un attivo molto modesto e quindi con la falcidia quasi integrale delle ragioni creditorie.

In definitiva, tali novità si basano sulla "constatazione che le possibilità di salvaguardare i valori di un'impresa in difficoltà sono direttamente proporzionali alla tempestività dell'intervento risanatore e che, viceversa, il ritardo nel percepire i prodromi di una crisi fa sì che, nella maggior parte dei casi, questa degeneri in vera e propria insolvenza sino a divenire irreversibile ed a rendere perciò velleitari – e non di rado addirittura ulteriormente dannosi – i postumi tentativi di risanamento (R. Rordorf, Relazione di accompagnamento ai decreti delegati, 22 dicembre 2017)".

I doveri di segnalazione degli organi di controllo

L'art. 17 del Codice della crisi e dell'insolvenza stabilisce che gli organi di controllo societari, il revisore contabile e la società di revisione, ciascuno nell'ambito delle proprie funzioni e tenuto conto del tempestivo scambio di informazioni di cui all'art. 2409-septies c.c., hanno l'obbligo di verificare che l'organo amministrativo valuti costantemente, nel caso assumendo idonee iniziative, se l'assetto organizzativo dell'impresa è adeguato, se sussiste l'equilibrio economico finanziario e quale è il prevedibile andamento della gestione, nonché di segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l'esistenza di fondati indizi della crisi.

Detta norma si collega alla nuova formulazione dell'art. 2086 c.c. laddove si stabilisce che l'imprenditore, che operi in forma individuale, societaria o in qualunque altra veste, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.

L'organo di controllo, pertanto, alla luce di quanto sopra esposto, dovrà verificare l'adeguatezza dell'assetto organizzativo della società e quindi non dovrà limitarsi ad effettuare, come talvolta accade, le consuete riunioni periodiche finalizzate alla regolare tenuta delle scritture contabili ed ai criteri di redazione del bilancio, ma dovrà necessariamente effettuare accurati controlli sull'organizzazione della struttura societaria potendo, come indicato dalla norma, assumere le idonee iniziative e, come ormai stabilito dalla giurisprudenza, sarà tenuto ad estendere le proprie verifiche alla regolarità sostanziale della gestione, così come ricavabile dall'esame della documentazione contabile e dai dati forniti dall'organo amministrativo (Cass. Civ., n. 13081/2015), dovendo segnalare all'organo amministrativo l'esistenza di fondati indizi di crisi.

All'organo di controllo è pertanto demandata, nel corso delle riunioni periodiche, la verifica della struttura societaria e la sua idoneità in relazione alle dimensioni ed all'attività dell'azienda, ed in caso di acclarate criticità dovrà segnalarle all'organo amministrativo affinché vi ponga rimedio assegnando un termine per provvedere alla rimozione delle stesse.

A parere degli scriventi l'organo di controllo, in caso di inadempimento, potrà procedere alla richiesta di convocazione dell'assemblea dei soci al fine di informare la compagine sociale delle criticità rilevate e della mancata adozione dei provvedimenti richiesti all'organo gestorio.

Certamente, queste attività sono di non facile esecuzione in un contesto di crisi laddove la società, vuoi per la mancanza di fondi, vuoi per la necessità di operare riduzione di costi, si trovi con un assetto organizzativo inadeguato con delle conseguenti quanto inevitabili difficoltà per dotarsi di una struttura appropriata in grado di assicurare un flusso costante ed affidabile di informazioni.

Infatti, se l'adeguatezza dell'assetto amministrativo è di fondamentale importanza specie in una situazione di crisi laddove è necessario disporre di dati puntuali e tempestivi quali l'ammontare ed i tempi di incasso dei crediti e dello scaduto nei confronti dei fornitori, è pur vero che spesso proprio a seguito della crisi il management si trova costretto a ridurre il personale amministrativo con inevitabili conseguenze sulla tempestività e qualità delle informazioni stesse.

Gli organi di controllo dovranno inoltre verificare l'esistenza di procedure monitorie a carico della società, l'avvio di azioni esecutive ed eventuali omissioni di versamento di imposte e contributi, significativi ritardi negli incassi dei crediti e dei pagamenti delle obbligazioni assunte nei confronti dei dipendenti e dei fornitori, e ciò al fine di individuare tempestivamente fondati indizi di crisi.

Gli stessi organi saranno tenuti, in caso di fondati indizi di crisi, a segnalare le criticità all'organo amministrativo fissando un congruo termine, comunque non superiore a 30 giorni, in cui dovrà riferire in ordine alle soluzioni individuate e alle iniziative intraprese. In caso di omessa o inadeguata risposta, ovvero di mancata adozione nei successivi sessanta giorni delle misure ritenute necessarie, gli organi di controllo dovranno informare senza indugio l'organismo di composizione della crisi d'impresa, fornendo ogni elemento utile per le relative determinazioni.

La norma introduce, altresì, una misura premiale a favore degli organi di controllo prevedendo che la tempestiva segnalazione all'organismo di composizione della crisi costituisce causa di esonero dalla responsabilità solidale per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in essere dall'organo amministrativo in difformità dalle prescrizioni ricevute, che non siano conseguenza diretta di decisioni assunte prima della segnalazione.

Dette norme possono comportare, in caso di interpretazione restrittiva delle stesse, il rischio di un ricorso massivo da parte degli organi di controllo agli istituti di allerta al solo fine di non incorrere nella responsabilità solidale con l'organo amministrativo. Vale a tal proposito la pena ricordare che vi sono alcune attività imprenditoriali, tra le quali quelle operanti con la pubblica amministrazione che salda i propri debiti con notevole ritardo, che possono presentare degli squilibri finanziari quasi fisiologici per la tipologia di attività svolta, e nel caso di ricorso alle procedure di allerta subirebbero dei danni, anche di immagine, di gran lunga superiori agli ipotetici benefici.

La quantificazione del danno

In tema di quantificazione del danno risarcibile, in caso di azione di responsabilità verso gli amministratori (e verso l'organo di controllo) che abbiano violato l'art. 2486 c.c., recando pregiudizio alla società, ai soci, ai creditori e a terzi, attraverso una gestione non limitata alla conservazione del patrimonio sociale, la Riforma in commento è intervenuta in maniera incisiva.

Nell'art. 2486 c.c. (“Poteri degli amministratori”) dopo il secondo comma è aggiunto il comma seguente: “Il danno risarcibile è determinato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1225, 1226 e 1227, in quanto compatibili con la natura della responsabilità, in relazione al pregiudizio arrecato al patrimonio sociale dai singoli atti compiuti in violazione del dovere previsto dal comma primo. Tuttavia, in caso di scritture contabili mancanti o comunque inattendibili, il danno risarcibile corrisponde alla differenza tra il netto patrimoniale al momento in cui si è verificata la causa di scioglimento della società e il netto patrimoniale al momento in cui è cessata la prosecuzione indebita oppure è aperta la procedura di liquidazione della società, con salvezza della prova contraria e, in ogni caso, del potere di liquidazione equitativa del danno da parte giudice.”

L'art. 2486 c.c. è stato incrementato del predetto comma proprio tenendo conto della recente giurisprudenza in materia e ribadendo che il danno è risarcibile solo qualora esso costituisca l'immediata e diretta conseguenza della condotta antigiuridica degli organi sociali, posta la necessaria esistenza del nesso di causalità tra condotta illegittima ascrivibile agli amministratori, per atti di mala gestio da essi perpetrati, e danno cagionato al patrimonio sociale. Si introduce, dunque, l'applicazione della presunzione di corrispondenza del danno con la differenza tra il netto patrimoniale al momento del verificarsi della causa di scioglimento ed il netto patrimoniale al momento in cui è cessata l'indebita prosecuzione dell'attività di impresa o è intervenuto il fallimento (rectius, la liquidazione giudiziale), sia quando non risulti possibile ricostruire pedissequamente le conseguenze di specifici atti di mala gestio sia quando siano mancanti o inattendibili le scritture sociali. Molto frequente è, infatti, che l'amministratore convenuto abbia posto in essere comportamenti scorretti, omettendo di tenere correttamente le scritture contabili dell'impresa, di rendere tutte le informazioni e la documentazione necessarie, di depositare i bilanci presso il Registro delle Imprese.

Si precisa, tuttavia, che sia tratta di una presunzione che i convenuti possono superare fornendo la prova dell'assenza di danno o di un danno minore (nella prassi consolidata, il Giudice Istruttore dell'azione di responsabilità verso gli organi societari dispone una CTU contabile per la determinazione del danno). Resta comunque ovviamente ferma la possibilità che il Giudice, ricorrendone i presupposti, proceda alla liquidazione equitativa del danno.

La Riforma, in effetti, ha inteso dare forza legislativa a quanto già ampiamente diffuso nella prassi professionale in tema quantificazione del danno derivante da atti di mala gestio degli organi amministrativi e dai conseguenti, eventuali, comportamenti omissivi/commissivi degli organi deputati al controllo. Il danno, pertanto, laddove possibile, deve essere analiticamente quantificato tenendo conto sia dei fatti (e atti) addebitati ai convenuti in giudizio sia delle loro dirette conseguenze sul patrimonio sociale in termini di perdite subite e mancati guadagni patiti dalla società, dai creditori di questa, dai soci e dai terzi interessati. Proprio in relazione a ciò, di consueto si distingue il danno derivante da specifici atti illegittimi imputabili agli amministratori (cd. danno specifico) dai pregiudizi arrecati al patrimonio sociale dalla generale violazione degli obblighi previsti dall'art. 2486 c.c. per il manifestarsi di una causa di scioglimento per perdita del capitale sociale con conseguente aggravamento del dissesto (cd. danno generico), inserito a pieno titolo nel Codice Civile dalla Riforma in commento.

Evidentemente la quantificazione del danno specifico risulta di più semplice applicazione laddove emerga con chiarezza l'atto generatore dello stesso, ovverosia l'atto di mala gestio ascrivibile agli amministratori, in quanto esso costituisce il riflesso economico-patrimoniale diretto di tale atto/fatto. Non così semplice, invece, risulta la quantificazione del danno generico, sia in ordine alla dimostrazione del nesso di causalità tra condotta antigiuridica degli amministratori e pregiudizio economico arrecato, sia in ordine alle modalità di calcolo da adottarsiper la determinazione del danno. In tal caso, infatti, la responsabilità degli amministratori consiste non solo nel non aver assolto agli obblighi di cui all'art. 2486 c.c. (che impone di gestire la società ai soli fini conservativi dell'integrità e del valore del patrimonio sociale) ma anzi di aver proseguito la normale attività imprenditoriale con il conseguente aggravamento del dissesto. In merito, in ragione dei nuovi obblighi di segnalazione e dei sistemi di allerta della crisi di cui si è detto poc'anzi, il comma 4 dell'art. 23 del nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza è intervenuto nel senso di prevedere la possibilità della sospensione (differimento) di taluni obblighi posti in capo alle società di capitali durante il procedimento di composizione assistita della crisi (art. 22 del predetto Codice), e fino alla sua conclusione. Nello specifico:

  • sospensione dell'obbligo di riduzione del capitale sociale in proporzione alle perdite subite (ex art. 2446, c. 2 e 3 e art. 2482-bis c. 4, 5 e 6);
  • sospensione dell'obbligo di aumento del capitale sociale ad una cifra non inferiore al minimo legale, nonostante l'avvenuta riduzione per le perdite registrate (artt. 2447, 2482-ter c.c.);
  • non operatività della causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui all'art. 2484 comma 4 c.c. e art. 2545-duodecies c.c..

Per ciò che concerne i criteri di quantificazione del danno, negli anni, sono stati nella sostanza quello del cd. deficit fallimentare e quello del differenziale dei patrimoni netti (o perdita incrementale), quest'ultimo oggi introdotto nel codice civile ad opera della Riforma.

Il primo criterio quantifica il danno come differenza tra attivo e passivo fallimentare e, nell'ambito delle azioni di responsabilità esercitate dal curatore, secondo recente giurisprudenza (Cass. Civ. n. 9100/2015), esso può costituire un parametro di riferimento solamente per la liquidazione del danno in via equitativa da parte del Giudice Istruttore ex art. 1226 c.c., qualora la contabilità e i bilanci siano totalmente inattendibili o quando il dissesto sia stato cagionato da un'attività distrattiva estremamente reiterata e sistematica (tale da escludere la possibilità concreta di una quantificazione parametrata al valore dei beni distratti e dissipati). Tuttavia, il limite di tale metodo sta nell'assunto principale che tutti i debiti contratti dalla società siano la conseguenza di atti di mala gestio dell'organo amministrativo, e ciò, evidentemente, non è sempre vero.

Il criterio dei netti patrimoniali, invece, assurge a criterio di legge di liquidazione del danno addebitabile all'organo gestorio prodotto dall'illecita prosecuzione dell'attività dopo il verificarsi di una causa di scioglimento. Esso consiste nella differenza tra il valore del patrimonio netto alla data iniziale T1, coincidente con la data di manifestazione della causa di scioglimento, ed il valore del patrimonio netto al momento finale T2 in cui l'indebita gestione caratteristica è stata effettivamente cessata (momento potenzialmente coincidente con la dichiarazione di fallimento). In tal senso, occorre stimare le perdite gestionali subite, e quindi accumulate, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e determinare il risultato di esercizio che si sarebbe ottenuto nel caso in cui gli amministratori avessero operato secondo i dettami dell'art. 2486 c.c., apportando le dovute rettifiche. Si sottolinea che, ai fini della corretta applicazione del metodo, è necessario rendere omogenee le situazioni patrimoniali da comparare. Per definizione, al momento del verificarsi di una causa di scioglimento e della messa in liquidazione, lo scopo della società muta e dal conseguimento dell'oggetto sociale esso diventa la gestione conservativa del patrimonio sociale, con la finalità ultima di liquidare alle migliori condizioni l'attivo per il soddisfacimento dei creditori sociali. Cambiando lo scopo, cambieranno anche i criteri di valutazione delle poste di bilancio; infatti, nella situazione patrimoniale finale, che ingloba la messa in liquidazione, i criteri del going concern (e quindi della continuità aziendale) saranno abbandonati in favore di criteri liquidatori. Ciò rende la situazione patrimoniale iniziale e quella finale non comparabili in valore assoluto, divenendo perciò necessario per lo stimatore rendere dette situazioni patrimoniali omogenee, effettuando le opportune rettifiche e depurando la situazione patrimoniale iniziale delle poste dell'attivo che abbiano valore solamente in una prospettiva di continuità aziendale (avviamento, immobilizzazioni immateriali), per adottare criteri liquidatori. Tutto ciò, partendo dalla considerazione che se invece gli amministratori avessero operato diligentemente, ex art. 2486 c.c., la perdita registrata dal patrimonio sociale sarebbe stata certamente inferiore e la società, i creditori sociali, e i terzi avrebbero subito un danno inferiore, ovvero avrebbero goduto di prospettive liquidatorie e satisfattive più favorevoli.

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