Primo incontro informativo e condizione di procedibilità della domanda nella mediazione delegata
21 Marzo 2018
Massima
Nella mediazione delegata, laddove vi sia stato l'ordine del giudice di procedere al tentativo di mediazione, preceduto dalla formulazione di una proposta transattiva, la condizione di procedibilità di cui all'art. 5 d.lgs. n. 28/2010 non è assolta allorchè le parti compaiano dinanzi all'organismo preposto limitandosi a dichiarare, nell'ambito della preliminare sessione informativa, di non volersi avvalere della procedura. Il caso
La società AAA ritenuta responsabile in primo grado, ex art. 2049 c.c. per i danni cagionati da un proprio dipendente alla guida di un veicolo, impugnava la decisione con la quale il giudice di primo grado, dopo avere formulato una proposta transattiva e disposto la mediazione, aveva, tra l'altro, dichiarato la improcedibilità della domanda di manleva proposta dalla convenuta nei confronti della propria compagnia assicuratrice giacchè le parti, comparse dinanzi al mediatore, si erano limitate a dichiarare di non voler aderire dalla procedura. La questione
Il cd. primo incontro informativo o programmatico è finalizzato alla illustrazione alle parti, ad opera del mediatore, della«funzione e modalità di svolgimento della procedura». All'esito il mediatore invita le parti e i loro avvocati«ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione». Si tratta di una novità introdotta nella mediazione - all'art. 8 del d.lgs. n. 28/2010 - dal cd. “decreto del fare” (convertito in l. n. 98/2013) ed è comune a tutte le ipotesi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è previsto a pena dell'improcedibilità della domanda giudiziale, quindi, anche in quella delegata, potenzialmente applicabile a tutte le controversie relative a diritti disponibili (cfr. Trib. Milano, 29 ottobre 2013). A seguito delle citate modifiche è risultato un testo normativo equivoco in ordine alla delineazione dei confini del cd. vero e proprio “procedimento di mediazione” (Trib. Firenze, 19 marzo 2014; anche le critiche di Raiti, Primo incontro in mediazione e condizione di procedibilità della domanda ai sensi del novellato art. 5, comma 2° bis, d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, in Riv. dir. proc., 2015, II, 564 ss.) con evidenti riflessi sul contenzioso con particolare riferimento alla verifica dell'avveramento della condizione di procedibilità. Non è, infatti, chiaro se il “primo incontro” sia o meno parte del procedimento di mediazione e, quindi, se questa inizi già in detta fase ovvero prenda avvio solo dopo che le parti ed i loro avvocati si siano espressi sulla “possibilità di iniziare” la medesima. In dottrina e in giurisprudenza si registrano due tesi. Secondo alcuni interpreti la mediazione in generale non potrebbe essere identificata con il primo incontro informativo che ne costituisce solo “una fase preliminare” (Trib. Roma, sez. XIII, sent., n. 10812/2016 dott. Moriconi e Trib. Roma, sez. XIII, sent., n. 8552/2016 dott. Moriconi). Il mediatore svolge - si osserva - una funzione limitata e formale, anche di modesta rilevanza giacchè le parti sono state già debitamente ed esaurientemente informate, per preciso obbligo di legge (art. 4 comma 3), dagli avvocati che le accompagnano e assistono obbligatoriamente nel procedimento (e occorrendo dal giudice). Sulla base di tali premesse si esclude che la mediazione possa ritenersi compiutamente svolta solo con l'assolvimento dell'incontro informativo, ed a seguito della dichiarata volontà delle parti di non volere procedere oltre. La “impossibilità” di proseguire non potrebbe, quindi, coincidere con la mera volontà delle parti di non dare inizio alla mediazione implicando, invece, la sussistenza di concreti impedimenti all'effettivo esperimento della procedura (ex multis Trib. Firenze, ord., 17 marzo 2014). In mancanza di qualsiasi dichiarazione – che le parti possono richiedere di verbalizzare liberando in tal modo il mediatore dall'obbligo di riservatezza – sulla ragione del rifiuto di proseguire nel procedimento di mediazione, tale rifiuto sarà considerato ingiustificato e, ove riferito all'istante/attore, le conseguenze saranno sovrapponibili e coincidenti alla mancanza tout court della (introduzione della domanda di) mediazione (Trib. Roma, sez. XIII, sent., n. 10812/2016). Secondo i sostenitori di tale tesi, una interpretazione diversa, che si fermasse al dato meramente letterale delle norme (in particolare del comma 2-bis dell'art. 5 della legge) finirebbe per ammettere che le parti abbiano il diritto potestativo di decidere di non svolgere la mediazione (finanche quando il giudice lo abbia ordinato), trasformando in tal modo la mediazione da obbligatoria in volontaria ed ottenendo il medesimo vantaggioso risultato (procedibilità ed assenza di sanzioni) che se la mediazione fosse stata esperita. Su questa linea già il tribunale di Vasto (ordinanza 23 aprile 2016) aveva equiparato la mancata partecipazione al “primo incontro” di mediazione al rifiuto immotivato di proseguire la stessa, richiedendo che la parte espliciti le ragioni del rifiuto di svolgere una mediazione demandata dal giudice, pena l'improcedibilità della domanda e/o l'applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 8, comma 4-bis, d.lgs. n. 28/2010 (v. anche Trib. Roma, 25 gennaio 2016, in Quotidiano Giuridico, 25 gennaio 2016, con nota di Finocchiaro, La dichiarazione di difetto di interesse alla mediazione equivale a mancata partecipazione; Trib. Roma, 26 ottobre 2015 , in Quotidiano Giuridico, 26 novembre 2015, con nota di Boggio, Mediazione delegata dubbi moniti giudiziali sull'obbligo di presenza effettiva delle parti). Di diverso avviso coloro che ritengono che è la legge stessa a prevedere che il primo incontro informativo fa parte integrante della procedura di ricerca dell'accordo con la conseguenza che la mediazione potrebbe legittimamente chiudersi al primo incontro (Trib. Roma, sez.VI, sent., n. 16961/2016 est. Nardone con riferimento, tuttavia, alla mediazione non delegata). Gli argomenti invocati a sostegno sono uno letterale e uno sistematico. La legge medesima ha previsto, infatti, che quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo (comma 2-bis dell'art. 5). Quello sistematico fa riferimento alla circostanza che la domanda di mediazione, dal momento della comunicazione alle altre parti, produce effetti sulla prescrizione e sulla decadenza. Pertanto l'invito del mediatore alle parti e agli avvocati ad esprimersi sulla possibilità di “iniziare” la procedura deve essere intesa come un “proseguire” una mediazione già iniziata. Inoltre, si osserva, il mediatore, quando verifica la corretta instaurazione della procedura entra nel merito della controversia adoperandosi, già in quella fase, affinchè le parti raggiungano l'accordo e non a caso l'art. 5 comma 2-bis prevede la possibilità che (anche) il primo incontro dinanzi al mediatore si concluda con l'accordo. Le soluzioni giuridiche
La pronuncia in commento aderisce alla giurisprudenza di merito che, con riferimento alla mediazione demandata o ex officio iudicis (art. 5, comma 2) ha ritenuto la condizione di procedibilità assolta non già con il solo espletamento della sessione informativa (più recentemente ribadita anche dal tribunale di Roma con l'ordinanza del 5 ottobre 2017 giudice dott. Moriconi). La decisione della Corte d'appello trova il suo punto di sintesi nell'affermazione secondo cui riconoscere alle parti un potere di veto assoluto ed incondizionato sulla possibilità di dare seguito alla procedura di mediazione, addirittura anche nel caso in cui il giudice ne abbia disposto l'espletamento, così da ritenere osservato l'ordine impartito, sarebbe una conclusione irrazionale e non conforme alla normativa. Quella europea, precisamente l'art. 5 della direttiva sulla mediazione 2008/52/CE del 21 maggio 2008 - che distingue chiaramente l'ipotesi in cui il giudice invita le parti in mediazione da quelle in cui lo stesso si limita ad un invito per una semplice sessione informativa; quella nazionale, ovvero l'art. 8 del d.lgs. n. 28/2010 che prevede che, durante il primo incontro, il mediatore debba verificare in concreto se vi sia la possibilità di svolgere la mediazione (con riferimento a eventuali situazioni preliminari che possano ostacolarne l'esperimento) e non semplicemente se esista o meno la volontà delle parti di procedervi. L'invio in mediazione da parte del giudice «presuppone lo studio degli atti, la valutazione di opportunità, e l'individuazione del momento migliore per la mediazione» e, quindi, un preliminare vaglio sulla mediabilità della controversia già effettuato dal giudicante e che sfocerà nella redazione del provvedimento ex art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28/2010 (Trib. Roma, 25 gennaio 2016) opportunamente motivato. Detto provvedimento, precisa la stessa giurisprudenza, ben può peraltro contenere – a beneficio delle parti in lite e del mediatore – “utili spunti di discussione”. In alcuni casi è il giudice stesso a precisare che viene disposto l'esperimento della procedura di mediazione per la ricerca di una soluzione amichevole della lite «dopo aver evidenziato e indicato alle parti gli indici di concreta mediabilità della controversia» (Trib. Vasto, 2 aprile 2016). Da ciò consegue, come osserva la Corte Milanese, che il tentativo di mediazione deve essere effettivamente avviato, essendo le parti tenute ad adempiere effettivamente all'ordine del giudice partecipando alla vera e propria procedura di mediazione e non a limitarsi ad incontrarsi e informarsi, non aderendo poi alla proposta del mediatore di procedere, salva l'esistenza di questioni pregiudiziali che ostino alla procedibilità (tra le altre, Trib. Reggio Calabria, 5 ottobre 2015) ma che il giudice dovrebbe già avere preliminarmente vagliato. Vi sono, poi, considerazioni di carattere generale che confortano la soluzione abbracciata dalla Corte Milanese facendo escludere che la condizione di procedibilità possa ritenersi assolta con la partecipazione delle parti al mero incontro informativo. Spesso, infatti, il provvedimento del giudice contiene non solo direttive sulla scelta dell'organismo ma vere e proprie indicazioni rivolte al mediatore (come la sollecitazione alla eventuale nomina di consulenti iscritti negli albi dei tribunali: Trib. Roma, 16 luglio 2016) o l'invito al mediatore ad avanzare proposta conciliativa, pur in assenza di congiunta richiesta delle parti ex art. 11, comma 1, d.lgs. n. 28/2010 (Trib. Siracusa, 11 settembre 2015): il che fa escludere che le parti possano inibire ad libitum il passaggio alla fase compositiva vera e propria disinteressandosi completamente delle sollecitazioni del giudice. In coerenza con tale opzione interpretativa e con il dato letterale di cui all'art. 8, comma 1, appare indispensabile che al primo incontro innanzi al mediatore siano presenti le parti personalmente, non essendo sufficiente che compaia unicamente il difensore, nella veste di delegato della parte. Difatti, «la mediazione non potrà considerarsi esperita con un semplice incontro preliminare tra i soli legali delle parti» (Trib. Pavia, 18 maggio 2015; tra le altre, sulla cd. natura personalissima della mediazione si veda anche Trib. Vasto, 9 marzo 2015). In particolare, in caso di mediazione demandata è esclusa la possibilità di procura speciale per le parti fisiche mentre, quanto ai soggetti diversi, la procura speciale deve attestare i poteri del rappresentante di transigere e di conciliare (Trib. Roma, 14 dicembre 2015). Si segnala tuttavia anche una giurisprudenza che ha invece affermato che la mediazione disposta dal giudice può svolgersi, oltre che con la presenza, fin dal primo incontro, delle parti personalmente, anche con la presenza di loro delegato munito di procura speciale a trattare la controversia (Trib. Napoli Nord, 10 ottobre 2016). Osservazioni
La decisione della Corte d'appello si apprezza avendo riguardo alla ratio della mediazione demandata che si innesta in un giudizio già pendente ed è soggetta ad attenta valutazione del giudicante che avrà ponderato lo “stato” della controversia, la propensione dei litiganti alla stipulazione di un'intesa, i prevedibili esiti dell'istruttoria già esperita fornendo nel provvedimento giudiziale congrua motivazione della indagine compiuta sulla verifica in ordine alla verosimile fruttuosità della mediazione. Proprio in questa ottica ormai pacificamente si ricollega l'obbligo di motivazione funzionale non già alla impugnabilità del provvedimento (da escludersi) quanto a garantire che il mezzo non venga disposto per finalità estranee a quelle sue proprie. Pertanto nella logica della previsione legislativa il deferimento della mediazione postula che già il giudice abbia svolto una prognosi positiva sulle probabilità di successo della mediazione sulla base degli elementi processuali già in suo possesso. Rimettere nuovamente alle parti la valutazione predetta già effettuata da un soggetto terzo e imparziale e non motivato da intenti dilatori – finirebbe per frustrare la finalità ultima dell'intero impianto normativo sulla mediazione e anche quella demandata si trasformerebbe in una ulteriore causa di dilatazione dei tempi processuali.
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