Legittimo il sequestro preventivo delle quote di una società fallita

La Redazione
22 Marzo 2018

Può essere disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto di reati tributari, sui beni di una società fallita: la declaratoria di fallimento non è idonea a conferire al fallimento stesso la disponibilità dei beni dell'ente.

Può essere disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto di reati tributari, sui beni di una società fallita: la declaratoria di fallimento non è idonea a conferire al fallimento stesso la disponibilità dei beni dell'ente. Lo afferma la Cassazione Penale, nella sentenza n. 13117 depositata il 21 marzo.

Il caso. Il Gip del Tribunale dell'Aquila disponeva il sequestro preventivo su beni mobili e immobili e quote societarie di proprietà del consigliere di amministrazione di una s.c. a r.l. in liquidazione, ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000. Il Tribunale rigettava l'istanza di riesame proposta dall'imputato, il quale infine ricorreva per cassazione.

Il sequestro sulle quote di una società fallita. Con uno dei motivi di ricorso, in particolare, viene censurata la violazione della legge penale, con riferimento all'art. 322-ter c.p.: tra i beni sottoposti a sequestro vi erano, infatti, quote di una società in precedenza fallita, e pertanto il sequestro non poteva essere disposto, non essendo più tali quote nella disponibilità dell'indagato.

Sul punto, però, la S.C. richiamando precedenti pronunce, afferma la piena legittimità del sequestro della quota del capitale sociale di una società già dichiarata fallita: non vi è alcuna norma che vieti l'apposizione di più vincoli sugli stessi beni. Peraltro, la cautela reale penale finalizzata alla confisca di per sé non è incompatibile con la procedura fallimentare: il fallimento, infatti, non comporta l'estinzione della società e, soprattutto, non produce il passaggio della titolarità dei beni da un soggetto (il fallito, appunto) ad un altro (il curatore). Quest'ultimo ha solo poteri di gestione del patrimonio, finalizzati ad evitare il depauperamento e a garantire la par condicio creditorum: il soggetto fallito, però, mantiene la proprietà dei beni. Si tratta solo di uno spossessamento temporaneo, con finalità conservative e gestionali (in questo senso: Cass. Pen. n. 42469/2016, e in quell'occasione la Cassazione aveva affermato che il curatore non è legittimato a impugnare il provvedimento di sequestro, proprio perché non è titolare di alcun diritto sui beni).

La dichiarazione di fallimento non esclude il sequestro. In sostanza, secondo la Cassazione, la dichiarazione di fallimento non è idonea a conferire agli organi della procedura la disponibilità dei beni del fallito, il che comporta che può essere disposto, anteriormente o successivamente alla dichiarazione di fallimento, il sequestro, destinato a escludere ogni disponibilità diversa rispetto alla concretizzazione della prevenzione cautelare finalizzata alla confisca.

Il sequestro preventivo del profitto di reati tributari prevale sul fallimento. Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto di reati tributari, ex art. 12-bis, comma 1, D.Lgs. n. 74/2000, prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto di eventuali procedure concorsuali, attesa l'obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro (in questo senso: Cass. Pen. n. 28077/2017).

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