Il valore probatorio e l'efficacia giuridica del verbale assembleare

22 Marzo 2018

Le varie manifestazioni di volontà nell'assemblea condominiale non si sommano, ma si fondono, in base al principio maggioritario, in modo che la volontà della maggioranza diventa la volontà di tutti: mediante la deliberazione, la collettività condominiale esteriorizza la sua volontà, rendendola nota e operante (anche nei confronti della minoranza e dei terzi), ed il verbale ha la funzione strumentale di rappresentare tale volontà, documentandone il processo formativo; in quest'ottica, si analizza il peculiare valore probatorio che assume il verbale assembleare e che efficacia giuridica lo stesso può rivestire riguardo ai condomini e ai terzi.
Il quadro normativo

L'ultimo comma dell'art. 1136 c.c. adopera l'espressione (poco categorica) «si redige», e non quella (più vincolante) «deve redigersi»: in pratica, il verbale non è imposto, né viene sanzionata la sua mancanza (l'art. 2375 c.c., per le società commerciali, prevede invece che «le deliberazioni dell'assemblea devono constare da verbale», per un'evidente certezza della volontà sociale).

Tale rilievo ha sollecitato la questione se la verbalizzazione sia un requisito di validità delle deliberazioni, oppure se l'atto scritto sia prescritto ai soli fini della prova dell'esistenza della relativa decisione assembleare.

La prova attendibile dello svolgimento dei fatti avvenuti in assemblea

In altri termini, si tratta di acclarare se il verbale assolva una funzione costitutiva, essendo un elemento essenziale del procedimento di formazione della volontà collettiva, oppure abbia una funzione meramente probatoria, essendo prescritto per ragioni di opportunità affinché il contenuto della deliberazione resti fissato in modo irrevocabile e rappresenti la prova attendibile dello svolgimento dei fatti avvenuti in assemblea.

La giurisprudenza è orientata, sia pure con qualche diversa sfumatura, in quest'ultimo senso.

Invero, si ritiene che la redazione per iscritto non sia prescritta a pena di nullità (Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1980, n. 4615; Cass. civ., sez. II, 3 aprile 1970, n. 882), essendo richiesta solo ad probationem, in quanto la mancanza del processo verbale rende la deliberazione inopponibile al condomino assente, che non abbia partecipato alla sua elaborazione ed alla sua approvazione, ma non impedisce affatto la conoscenza aliunde e l'esecuzione della deliberazione anche da parte sua.

Al riguardo, il Supremo Collegio ha ripetutamente rilevato che il verbale dell'assemblea condominiale offre una prova presuntiva dei fatti che afferma in essa essersi verificati, e dunque spetta al condomino il quale impugna la deliberazione assembleare, contestando la rispondenza a verità di quanto riferito nel relativo verbale, di provare il suo assunto (Cass. civ., sez. II, 12 agosto 2015, n. 16774; Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1999, n. 11526; Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1992, n. 12119, nella parte del verbale che indicava la presenza, di persona o per delega, dei condomini)

E', quindi, sufficiente che il verbale dell'assemblea sia sottoscritto dal presidente e dal segretario - ossia dai soggetti che, nell'assemblea, hanno avuto posizioni di direzione, responsabilità o iniziativa - che, in tal modo, attestano, sino a prova contraria, la veridicità di quanto contenuto nel documento; in particolare, si è precisato che la verbalizzazione assume un valore di semplice scrittura privata, idonea a fondare una presunzione di verità di quanto da essa risulta, potendo tale presunzione essere vinta con qualsiasi mezzo di prova (in fondo, il presidente ed il segretario non sono pubblici ufficiali, ma semplici soggetti privati che agiscono in forza ad un mandato ricevuto dalla maggioranza dei presenti).

L'omessa indicazione, poi, dell'ora e del luogo della convocazione nel verbale dell'assemblea non costituiscono vizi invalidanti della deliberazione, in quanto siffatti elementi non sono affatto richiesti a pena di nullità o di annullabilità (così Trib. Trani 29 novembre 1984), né dalla loro mancanza potrebbe derivare l'impossibilità o la difficoltà di ricostruzione dei fatti storici documentati dal verbale, e, comunque, in difetto di contrarie risultanze del verbale stesso, va ritenuto che il luogo e l'ora in cui si è tenuta l'assemblea siano quelli indicati nell'avviso di convocazione.

La necessità della forma scritta

La forma scritta è, invece, da reputarsi necessaria nel caso in cui la deliberazione incida su diritti immobiliari, per cui sarebbe richiesta ad substantiam (Cass. civ., sez. II, 17 luglio 2006, n. 16228, nell'ipotesi di deliberazione che, nel destinare un'area comune a parcheggio di autovetture, ne disciplinava l'uso escludendo uno dei condomini; Cass. civ., sez. II, 30 maggio 1978, n. 2747, in tema di costituzione di servitù riguardanti le proprietà comuni o esclusive).

In un caso particolare, riguardante una deliberazione dell'assemblea innovativa dell'uso delle cose comuni - nella specie, modifica del sistema di illuminazione delle scale - si è affermato che la stessa non può evincersi da presunzioni, ma deve risultare da un documento scritto ad substantiam se incida su diritti immobiliari (rinuncia, ratifica di negozio avente ad oggetto un diritto immobiliare, procura per lo stesso negozio, et similia), o, negli altri casi, da un documento scritto ad probationem, quale appunto il processo verbale di cui all'ultimo comma dell'art. 1136 c.c. (Cass. civ., sez. II, 24 luglio 1976, n. 2696).

In un'altra fattispecie, gli ermellini (Cass. civ., sez. II, 24 febbraio 1995, n. 2132) hanno avuto modo di precisare come la rinuncia del diritto di pretendere l'osservanza delle distanze legali tra una preesistente veduta del proprietario di un'unità immobiliare dell'edificio condominiale ed una nuova costruzione condominiale, richiede la forma scritta ad substantiam, ai sensi dell'art. 1350 c.c., ma questa può essere espressa anche nel verbale dell'assemblea del condominio sottoscritto dal rinunciante.

E ancora, il Supremo Collegio ha sostenuto che la dichiarazione del condomino soccombente di non voler avvalersi dell'impugnazione avverso la sentenza emessa nei confronti suoi, del condominio e degli altri condomini, è validamente resa, con effetti preclusivi della proponibilità del gravame, nel corso di un'assemblea condominiale, senza necessità che il verbale nel quale essa viene riportata sia sottoscritto dal condomino, giacchè la dichiarazione di voler prestare acquiescenza ad una sentenza, potendo essere resa anche tacitamente, non è soggetta al requisito della forma scritta, mentre la sottoscrizione del verbale assembleare da parte dei condomini è necessaria solo quando la deliberazione abbia il contenuto di un contratto per il quale sia richiesto ad substantiam il suddetto requisito (nel caso di specie, affrontato da Cass. 24 luglio 1995, n. 8079, la proposizione che “per quanto di sua competenza non appellerà in giudizio”, nonostante l'imperfezione formale, aveva espresso in modo univoco la volontà di accettare la decisione e di non voler impugnare).

Facendo un parallelo con il settore societario, si osserva che, per il condominio, l'art. 1137 c.c. si limita a stabilire la vincolatività delle deliberazioni prese ai sensi delle disposizioni precedenti, senza accennare all'obbligatorietà dell'atto scritto, mentre, per le società, si richiede espressamente la verbalizzazione ex art. 2375 c.c.

E' ovvio che se la deliberazione sia eseguita senza contestazioni da tutti (amministratore e condomini), la stessa dovrà essere considerata valida tra gli stessi, e ciò potrà avvenire nel caso di decisioni semplici, che non incidano in modo rilevante nella sfera dei singoli, oppure immediate, che sono destinate ad esaurire la propria efficacia in breve tempo.

Ciò, tuttavia, non toglie che soltanto con la verbalizzazione le deliberazioni assembleari possono acquisire certezza giuridica, obbligando l'amministratore ad eseguirle, consentendo agli assenti in un breve termine di decadenza di impugnarle nel caso di eventuali invalidità, e prevenendo possibili contrasti tra i singoli partecipanti in ordine alla gestione condominiale.

L'opportunità di tale redazione si coglie anche nella necessità di evitare alcune manovre ostruzionistiche che potrebbero verificarsi al fine di distruggere l'effetto giuridico di una decisione non gradita; invero, la mancanza di un processo verbale dà luogo inevitabilmente ad una situazione di incertezza, che spesso si riflette sulla ricostruzione dell'espressione della volontà assembleare (si pensi alla questione se era stato mandato all'amministratore di acquistare una nuova caldaia per l'impianto di riscaldamento centralizzato, oppure se si era dato semplicemente l'incarico allo stesso di acquisire le offerte da sottoporre successivamente all'approvazione dell'assemblea).

Del resto, il fatto che l'art. 1136, ultimo comma, c.c. prescriva la trascrizione della deliberazione nel registro tenuto dall'amministratore implica che le decisioni siano prese per iscritto, non potendo all'evidenza trascriversi un atto non scritto.

Il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo

In ordine all'efficacia giuridica del verbale, va ricordato che l'art. 63, comma 1, disp. att. c.c. - invariato sul punto anche a seguito della Riforma del 2013 - relativo alla richiesta di decreto ingiuntivo nei confronti dei condomini morosi per il pagamento dei contributi condominiali, conferisce al verbale della deliberazione di un'assemblea condominiale attinente allo stato di ripartizione dei contributi, non già la forza di titolo esecutivo, ma un valore probatorio privilegiato - corrispondente a quello dei documenti esemplificativamente elencati nell'art. 642, comma 1, c.p.c. - il quale vincola, su domanda, il giudice dell'ingiunzione alla concessione della clausola di immediata esecutività (nella giurisprudenza di merito, Giud. Pace Foggia 25 maggio 2002; Trib. Roma 5 aprile 1985); la peculiarità qui sta nel fatto che la dichiarazione della provvisoria esecutività è vincolante per il giudice ed avviene in base ad un titolo non proveniente dal debitore, ma dal creditore, e cioè il condominio (v. anche Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1997, n. 9787).

Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto ammissibile che l'amministratore possa richiedere un decreto ingiuntivo non provvisoriamente esecutivo per i contributi dovuti da un condomino moroso - non sulla base dello stato di ripartizione approvato dall'assemblea, ma - in base a prospetti mensili delle spese condominiali non contestati (Cass. civ., sez. II, 21 novembre 2000, n. 15017; Cass. civ., sez. II, 10 aprile 1996, n. 3296; tra le pronunce di merito, si segnala App. Napoli 25 gennaio 2012, secondo la quale il verbale di un'assemblea contenente l'indicazione delle spese occorrenti per la conservazione o l'uso delle parti comuni costituisce prova scritta idonea per ottenere decreto ingiuntivo, pur in mancanza dello stato di ripartizione delle medesime, necessario per l'ulteriore fine di ottenere anche la clausola di provvisoria esecuzione del provvedimento, ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c.; cui adde Giud. Pace Castellammare di Stabia 20 settembre 2005).

La suddetta richiesta di decreto ingiuntivo può, altresì, essere fondata sul verbale di deliberazione assembleare, alla quale acceda una dichiarazione di scienza - confessione - o di volontà - negozio unilaterale recettizio - di quel condomino, relativa ad un saldo debito di precedenti gestioni o della gestione alla quale si riferisce la deliberazione, indipendentemente dall'accettazione del condominio quale parte diretta destinataria (Cass. civ., sez. II, 23 maggio 1972, n. 1588).

La manifestazione della volontà negoziale

Si è affermato (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 1968, n. 3317), inoltre, che un verbale di assemblea condominiale, ove sia utilizzato al preciso scopo di manifestare per iscritto una volontà contrattuale degli intervenuti (o di alcuni di essi) e sia sottoscritto da costoro, vale a conferire alla convenzione la forma che sia richiesta ad substantiam.

In altri termini, se per il negozio sia richiesta tale forma scritta, in tanto è soddisfatto il requisito formale, in quanto le parti abbiano proceduto alla sottoscrizione del predetto verbale, poiché, ove lo scritto sia prescritto ad substantiam, la sottoscrizione è essenziale ai fini dell'operatività e dell'efficacia della manifestazione di volontà negoziale, con la conseguenza che la sottoscrizione del presidente e del segretario, se sufficienti a conferire validità alla deliberazione assembleare, non possono essere valida espressione della volontà contrattuale dei condomini, non essendo idonee ad integrare il sopraindicato requisito di forma relativamente a negozi di cui siano parti altri soggetti (Cass. civ., sez. II, 8 luglio 1981, n. 4480; tra le pronunce di merito, Trib. Milano 2 aprile 2003, secondo cui la deliberazione che, in contrasto con la clausola contrattuale del regolamento che vieti l'uso a parcheggio del cortile comune, costituisca in favore di alcuni condomini diritti esclusivi di parcheggio, è nulla ove non sia materialmente sottoscritta da tutti i condomini, non essendo sufficiente ad integrare la forma scritta richiesta ad substantiam per gli atti costitutivi di diritti reali il verbale che riporta il consenso unanime dei partecipanti all'assemblea, sottoscritto dal solo presidente e dal segretario).

Secondo gli ermellini, una deliberazione condominiale può avere rilevanza di atto di natura negoziale, e, in particolare, di atto di ricognizione di debito da parte del condominio nei confronti di un terzo (Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1980, n. 5759: nella specie, fornitore del combustibile per l'impianto di riscaldamento; dal canto suo, Cass. civ., sez. II, 19 marzo 1996, n. 2297, ha ravvisato nel verbale dell'assemblea condominiale, sottoscritto da tutti i condomini, una transazione tra un condomino ed il condominio; v. anche Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1973, n. 747, la quale impone la sottoscrizione di tutti i condomini del verbale che rappresenta la deliberazione modificante un precedente regolamento condominiale di natura contrattuale).

Peraltro, ad avviso del Supremo Collegio, se la deliberazione condominiale esprime la volontà negoziale, la stessa deve essere interpretata secondo i criteri ermeneutici previsti dagli artt. 1362 ss. c.c. (Cass. civ., sez. II, 8 marzo 1997, n. 2101).

Orbene, può capitare che non vi sia una perfetta corrispondenza tra il contenuto del verbale e le dichiarazioni di volontà espresse in assemblea (ad esempio, si potrebbe omettere una parte essenziale della deliberazione, oppure potrebbe figurare come assenziente chi invece ha espresso voto contrario, o viceversa): sorge, quindi, la necessità di dare la prova dell'omissione o dell'errore nella trascrizione nel verbale assembleare delle volontà manifestate dai partecipanti alla riunione condominiale (in argomento, Trib. Milano 19 ottobre 2004, ad avviso del quale l'erronea indicazione a verbale della presenza di un condomino invece assente, non costituisce vizio invalidante della deliberazione, posto che non ne preclude l'impugnazione, tanto più laddove, anche detraendo la presenza del suddetto condomino, non vengano meno né il quorum costitutivo, né quello deliberativo).

In quest'ordine di concetti, se, nella verbalizzazione, si è incorsi in un errore materiale, questo potrà essere corretto, mentre, se non si è dato atto di alcune dichiarazioni degli intervenuti, si dovrà impugnare quanto risultante dalla decisione assembleare, in quanto il verbale dell'assemblea è una fonte di prova contestabile con qualunque mezzo; in altri termini, la redazione per iscritto del verbale delle riunioni condominiali assolve ad una funzione meramente probatoria - eccettuato il caso di deliberazione che contenga atti di disposizione di diritti immobiliari - conseguendone che le eventuali irregolarità formali non comportano l'invalidità della deliberazione, poiché il testo scritto offre esclusivamente una prova presuntiva che non impedisce al condomino dissenziente, il quale impugni la deliberazione contestandone la rispondenza a verità, di fornirne la relativa dimostrazione (fattispecie affrontata da Trib. Milano 24 luglio 1997).

Il superamento della prova presuntiva

La Corte di Cassazione ha affermato, sul punto, che, poiché la deliberazione condominiale deve risultare in forma documentale ai sensi dell'art. 1136, ultimo comma, c.c., è inammissibile la prova testimoniale diretta a dimostrare una volontà assembleare difforme da quella risultante dal verbale stesso (Cass. civ., sez. II, 8 marzo 1997, n. 2101; nella giurisprudenza di merito, App. Roma 15 ottobre 2003).

In realtà, l'affermazione secondo cui la documentazione a verbale sia prevista ad probationem non sembra da intendersi in senso tecnico, in quanto dovrebbe escludersi l'applicazione dei limiti alla prova per testi o per presunzioni di cui all'art. 2725 c.c., senza contare che le presunzioni dovrebbero ammettersi solo se gravi, precise e concordanti, elementi difficilmente riscontrabili nel verbale dell'assemblea condominiale (nel senso, invece, che la deliberazione dell'assemblea non può risultare da presunzioni, Cass. civ., sez. II, 24 luglio 1976, n. 2969, riguardo ad una deliberazione che modificava il sistema di illuminazione delle scale).

Ovviamente, qui il discorso si sposta sull'estrema difficoltà in concreto della dimostrazione dei fatti che vengono lamentati, in quanto spesso accade che, all'assemblea condominiale, siano presenti soltanto condomini e talvolta l'amministratore; esclusa la capacità a testimoniare sia dei primi - stante l'incompatibilità tra la posizione processuale di parte in capo al condomino, tanto che ha la legittimazione a spiegare intervento nel giudizio, e quella di testimone (Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1997, n. 6483), sia del secondo - in forza della sua qualità di legale rappresentante del condominio convenuto nel giudizio di impugnazione della deliberazione condominiale - si pone il problema pratico del soggetto, presente alla riunione, che possa dare la prova che sia del caso necessaria (si può pensare ad un familiare del condomino purché non comproprietario dell'unità immobiliare, ad un ospite, al conduttore); altro discorso, poi, attiene all'attendibilità del teste, che è cosa - diversa dalla capacità a testimoniare - afferente alla veridicità della deposizione, e che dovrà essere valutata alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza delle dichiarazioni, le possibili contraddizioni, ecc.), e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alla qualità personale, ai rapporti con le parti, ed anche all'eventuale interesse ad un determinato esito della lite).

Non è, comunque, necessaria l'impugnativa di falso - così Cass. n. 747/1973, cit., in relazione ad asserite copie di verbali di assemblee condominiali i cui originali risultavano privi delle sottoscrizioni del presidente e del segretario - volta a tutelare la buona fede solo per togliere ad un atto pubblico o ad una scrittura privata l'idoneità a far fede ed a servire quale prova di determinati atti o rapporti.

Invero, non può ritenersi che il presidente (e, a maggior ragione, l'amministratore) imprimano al verbale, anche se firmato da altri condomini, quell'impronta di autenticità, non impugnabile se non con la querela di falso che caratterizza le scritture pubbliche ed alcune scritture private; peraltro, anche per gli atti pubblici che fanno fede fino a querela di falso, tale efficacia probatoria è circoscritta alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato ed ai fatti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ma non si estende mai al contenuto sostanziale delle dichiarazioni rese dalle parti, sicché la verità ed esattezza delle stesse può essere contrastata con tutti i mezzi consentiti dalla legge; negli stessi termini, le scritture private riconosciute fanno prova fino a querela di falso unicamente della provenienza delle dichiarazioni da parte di chi le ha firmate, ma non anche della veridicità del contenuto, che può essere sempre disconosciuta.

In conclusione

Abbiamo visto sopra che il verbale non ha, di regola, efficacia costitutiva, nel senso che la mancata redazione di esso non porta all'inesistenza della deliberazione come se tamquam non esset, per la semplice ragione che la legge non ha imposto, sotto pena di nullità, l'osservanza di quella determinata forma, salvo verificare volta per volta l'oggetto della deliberazione per determinare gli effetti che l'inosservanza della forma scritta produce (si pensi ai diritti reali immobiliari).

Dunque, la sottoscrizione degli altri partecipanti alla riunione non è necessaria, ma non è affatto vietata: se ciò avviene, il documento, se non disconosciuto, può far fede della provenienza della scrittura stessa e del suo contenuto nei confronti dei condomini presenti alla riunione.

Guida all'approfondimento

Rispoli, Osservazioni in tema di validità del verbale assembleare condominiale, in Giur. it., 2010, 1297;

Perrone, Efficacia giuridica del verbale d'assemblea di condominio nullo, in www.diritto.it, 2010;

Baldacci, Il verbale dell'assemblea condominiale: forma e valenza probatoria, in Ventiquattrore avvocato, 2008, fasc. 1, 15;

Meo,Assemblea condominiale, quale forma per il verbale delle deliberazioni?, in Immob. & diritto, 2006, fasc. 8, 6.

Grassi, L'assemblea: il contenuto del verbale e l'efficacia di questo, querela di falso, problemi di prova, in Arch. loc. e cond., 2000, 225.

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