I gruppi di imprese nella riforma concorsuale

Luigi Amerigo Bottai
23 Marzo 2018

A fronte di un dato economico non certo trascurabile - in Italia attualmente operano oltre 120.000 gruppi societari, che coinvolgono circa 330.000 imprese – il legislatore della riforma societaria del 2001 aveva previsto «una disciplina del gruppo secondo i principi di trasparenza e tale da assicurare che l'attività di direzione e coordinamento contemperi adeguatamente l'interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di queste ultime»...
I gruppi: essenza del fenomeno e concreta operatività

A fronte di un dato economico non certo trascurabile - in Italia attualmente operano oltre 120.000 gruppi societari, che coinvolgono circa 330.000 imprese (dati Cerved) – il legislatore della riforma societaria del 2001 aveva previsto «una disciplina del gruppo secondo i principi di trasparenza e tale da assicurare che l'attività di direzione e coordinamento contemperi adeguatamente l'interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di queste ultime» (art. 10, lett. a, L. n. 366/2001); l'Esecutivo, non ispirandosi a modelli stranieri (considerati insoddisfacenti), ha dedicato ai gruppi – pur senza mai utilizzarne il termine, né fornirne una definizione – un nuovo capo («Capo IX Direzione e coordinamento di società») nell'ambito nel titolo V («Delle società») del libro V del codice civile, con gli innovativi artt. dal 2497 al 2497-septies c.c.

Si era così colmata una vistosa lacuna, a conferma del fatto che le esigenze di efficienza economica – particolarmente accentuate nelle aggregazioni aziendali – costituiscono la base per la regolamentazione giuridica dei fenomeni (F. GALGANO, Direzione e coordinamento di società, Commentario al codice civile Scialoja-Branca. Artt. 2497-2497 septies, Bologna-Roma, 2005, 2 ss.Cfr. anche G. SCOGNAMIGLIO, Interesse sociale e interesse di gruppo, in AA.VV. L'interesse sociale tra valorizzazione del capitale e protezione degli stakeholders, Milano, 2010, 128).

E' agevole osservare come il collegamento (anche di fatto) fra due o più società tramite il controllo, diretto o indiretto, di una di esse sulle altre determini la nascita di un'impresa di gruppo, che si affianca e non sostituisce le singole imprese, creando un modello economico-giuridico capace di sintetizzare attività (di direzione e coordinamento) e organizzazione (ora di gruppo, ora individuale, secondo le necessità) allo scopo di incrementare le potenzialità produttive (G. OPPO, L'impresa come fattispecie, Riv. Dir. civ. 1982, I, 109 ss. P.G. JAEGER, Considerazioni parasistematiche sui controlli e sui gruppi, Giur. comm. 1994, I, 483, ravvisava nella direzione e coordinamento di società una “forma di gestione che corrisponde alla definizione di disegno imprenditoriale unitario”).

Premessa la necessità che si verifichi il compimento di una pluralità sistematica di atti indirizzati ad incidere sulle scelte strategiche ed operative delle controllate (P. MONTALENTI, Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, in Riv. Soc. 2007, I, 317), la nozione di controllo appare decisiva per l'applicabilità della disciplina codicistica sull'attività di direzione unitaria, rappresentando il valore aggiunto alla normale attività di gestione societaria: a mente dell'art. 2497 sexies si presume salvo prova contraria che l'attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controlla ai sensi dell'art. 2359”. Mentre l'art. 2497-septies contempla al fine anche contratti (di tesoreria, di servizio, ecc.) o clausole degli statuti delle società coinvolte; i gruppi peraltro si distinguono, a seconda del tipo di governance, in gruppi “piramidali o a catena” (le note piramidi societarie, diffuse in Italia, dove per avere il controllo bastano percentuali minime e tante scatole cinesi) e gruppi di coalizione (basati su patti di sindacato), gruppi orizzontali (nella forma cooperativa, descritti dall'art. 2545-septies c.c.) e radiali (di cui si occupa l'art. 2497-septies, dominati in base ad un contratto con le società satelliti o a clausole dei loro statuti), gruppi di fatto o di diritto. Per taluni Autori rilevano finanche i contratti che determinano una dipendenza economica delle società, come la subfornitura, la somministrazione, licenze e marchi: ciò che conta è, in definitiva, l'influenza dominante da parte di una sulle altre (F. FIMMANO', Abuso dell'attività di eterodirezione ed insolvenza delle società dominate, in Trattato delle procedure concorsuali diretto da Ghia, Piccininni, Severini, vol. I, Torino, 2010, 303).

Nel nostro ordinamento già esistevano numerosi riferimenti normativi al fenomeno dei gruppi societari (secondo L. ROVELLI, La responsabilità della capogruppo, in Fall. 2000, 1099, si contavano 36 diverse nozioni legislative di controllo di società, ciò che osta all'introduzione di una definizione applicabile a tutte dette normative. V. in proposito Cass. S.U. 30.9.2009 n. 20935), ma ognuno regolante aspetti e problemi settoriali (in linea con il pensiero di G. ROSSI, Il fenomeno dei gruppi e il diritto societario: un nodo da risolvere, in AA.VV. I gruppi di società, Milano, 1996, I, 36, il quale reputava “assolutamente inopportuna una legislazione generale sui gruppi, dovendosi ritenere preferibile il ricorso a discipline di settore e l'utilizzo massiccio delle norme sui contratti e sulla responsabilità civile”). Peraltro la stessa riforma ha previsto congrue disposizioni nel Capo intitolato alle s.p.a. per l'ipotesi in cui la società partecipi ad un gruppo: trattasi di obblighi di informazione per gli organi di gestione e correlativi poteri per il collegio sindacale, circa le operazioni di maggior rilievo intercorse tra controllante e controllate: cfr. artt. 2381, comma 5, 2403-bis, comma 2, 2409, 2391-bis (puntuale la rassegna di U. TOMBARI, Poteri e doveri dell'organo amministrativo di una s.p.a. "di gruppo" tra disciplina legale e autonomia privata (Appunti in tema di Corporate Governance e gruppi di società), Riv. Soc. 2009, I, 122, per il quale è ormai emerso uno “statuto normativo della società di gruppo”; lo stesso U. TOMBARI è, dopo F. GALGANO, op. cit., l'autore di un'opera monografica sul nuovo Diritto dei gruppi di imprese, Milano, 2010).

Si è dunque optato per una disciplina snella, che si limitasse a legittimare l'attività di eterodirezione e coordinamento delle varie controllate, purché svolta, nel complesso, secondo i “principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime” (art. 2497, comma 1), ricadendosi altrimenti nell'abuso del diritto. Certo, una temporanea compressione dell'interesse sociale delle singole società a vantaggio del gruppo o della holding deve essere preventivata. Tuttavia, come la Corte regolatrice ritiene da tempo, occorre parimenti tener conto che la conduzione di un'impresa non si estrinseca nel compimento di singole operazioni, ciascuna distaccata dalla precedente, bensì nella realizzazione di strategie economiche destinate spesso a prender forma e ad assumere significato nel tempo attraverso una molteplicità di atti e di comportamenti (così Cass. 11.12.2006 n. 26325 e Cass. 24.8.2004 n. 16707).

In tal guisa l'attività della società c.d. dominata è stata sottoposta dalla legge a diverse forme di garanzia per creditori e soci di minoranza in ordine alla soluzione dei conflitti d'interesse insiti nel fenomeno: dalla pubblicitàper i terzi (dell'esistenza della direzione unitaria e dei bilanci del gruppo, art. 2497-bis) alla motivazionedelle decisioni (riportata nella relazione sulla gestione, art. 2497-ter), dal diritto di recesso concesso ai soci minoritari (art. 2497-quater) alla fondamentale postergazione dei finanziamenti infragruppo (art. 2497-quinquies), dalle presunzioni di controllo, anche per via contrattuale (i c.d. contratti di servizio; artt. 2497 sexies e septies) alla responsabilità della capogruppo e dei soggetti partecipi o beneficiari del fatto lesivo, con l'importante bilanciamento dato dalla clausola di salvaguardia dei c.d. vantaggi compensativi (art. 2497). Va comunque precisato che l'ambito di applicazione della normativa investe anche le società di persone (R. RORDORF, I gruppi nella recente riforma del diritto societario, Soc. 2004, 538).

Si è così attuata una vera “rivoluzione copernicana” nell'universo societario, presupponendo che il potere direttivo e di coordinamento della controllante sia qualificabile come vero e proprio diritto – da esercitare, ripetiamo, osservando i "principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale" (art. 2497, comma 1) mentre gli amministratori delle controllate avrebbero l'obbligo di osservare le direttive, purché lecite - e non come mero potere di fatto, che farebbe sorgere una responsabilità di chi ha impartito le direttive ma non un vincolo per gli amministratori riceventi (in quest'ultimo senso, oltre alla Relazione di accompagnamento, v. F. Galgano-R. Genghini, Il nuovo diritto societario², in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, dir. da Galgano, XXIX, 1, Padova, 2004, 140 ss. e 175. Contrari P. MONTALENTI, Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, in Riv. Soc. 2007, I, 328; U. TOMBARI, Poteri e doveri dell'organo amministrativo di una s.p.a. "di gruppo", cit., 123 (§ 2.1.). Il problema nella prassi si porrà raramente, perché la nomina degli amministratori spetta al socio dominante.).

La scelta del legislatore è stata quella di tutelare le società capogruppo e gli investitori, bypassando le esigenze di salvaguardia dei piccoli azionisti, che “rimangono, pertanto, al di fuori dell'area degli interessi effettivamente protetti” (V., per tutti, P. ABBADESSA, La responsabilità della società capogruppo verso la società abusata: spunti di riflessione, Banca borsa tit. cred. 2008, fasc. 3, 279 ss.).

L'essenza stessa dei rimedi concessi a creditori e soci di minoranza per reagire agli atti – accordi, delibere, ordini - asseritamente depauperatori della società eterodiretta è certamente di natura risarcitoria (e non invalidatoria), nel chiaro obiettivo di non “porre ostacoli assoluti allo svolgersi delle politiche di gruppo” (F. D'ALESSANDRO, "La provincia del diritto societario inderogabile (ri)determinata". Ovvero: esiste ancora il diritto societario?, Riv. Soc. 2003, I, 34 ss., § 13).

Con il che l'opzione adottata lascia intatta l'autonomia delle singole entità sul piano negoziale, escludendo la via del cd. consolidamento patrimoniale (ovvero l'unificazione delle masse).

Peraltro tali rimedi contro la holding, cui si aggiunge il diritto di recesso per il socio (art. 2497 quater),scattano unicamente se soci e creditori pregiudicati non sono stati soddisfatti dalla società “abusata” (art. 2497, comma 3).

Se questa è la disciplina della vita ordinaria dei gruppi, mancava finora la regolamentazione del momento “patologico”.

Oggi la questione nodale del “bipolarismo” tra unità e pluralità delle imprese di gruppo (perlopiù aventi forma societaria), che sussiste da sempre anche nella loro fase di crisi o insolvenza, è stata finalmente affrontata dalla legge delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, L. 19 ottobre 2017 n. 155, la quale, dopo quasi 40 anni dal primo rilevante intervento legislativo in tema di grandi gruppi aziendali in crisi (con il D.L. 30.1.1979, n. 26, conv. nella L. n. 95/79), ha opportunamente regolato ilfenomeno dei gruppi d'imprese nelle ipotesi che la crisi economico-finanziaria investa tutte o alcune delle imprese facenti parte del gruppo: in siffatto contesto diviene indispensabile adottare una prospettiva unitaria vuoi per la domanda d'accesso, vuoi per la gestione delle varie procedure, perché la loro frammentazione si è sempre dimostrata oltremodo disfunzionale (cfr., tra i primi contributi di rilievo sul progetto di riforma, L. ROVELLI, Gruppi e insolvenza: alcune riflessioni sul ddl delega per la riforma organica della crisi di impresa e dell'insolvenza, in AA.VV. Le proposte per una riforma della legge fallimentare. Un dibattito dedicato a Franco Bonelli, Milano, 2017, 9; e ibidem G. SCOGNAMIGLIO, La disciplina del gruppo societario in crisi o insolvente. Prime riflessioni a valle del recente ddl delega per la riforma organica della legge fallimentare, 21).

La separazione dei rispettivi patrimoni e delle debitorie di ciascun ente del gruppo dev'essere tuttavia mantenuta, al fine di non pregiudicare taluni creditori a vantaggio di altri a seconda delle convenienze contingenti.

Così nell'art. 3 della citata legge delega si sono dettati una serie di principi e criteri direttivi, di natura sostanziale e processuale, che tendono in primis a prediligere lo svolgimento di una procedura unitaria per la trattazione della crisi o dell'insolvenza – concordato preventivo o liquidazione giudiziale che sia -, ferma restando l'autonomia delle masse attive e passive delle società o imprese del gruppo (art. 3, lett. d), e, in caso di impossibilità di unificazione (per ragioni di diversa giurisdizione o sfasatura temporale), a stabilire obblighi di reciproca informazione a carico degli organi procedenti (lett. e).

Si raccomanda, poi, che nei decreti attuativi sia fornita una congrua definizione dell'istituto “modellata sulla nozione di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 e seguenti nonché 2545-septies del codice civile” (art. 3, comma 1, lett. a), e si prescrivono specifici obblighi dichiarativi e di trasparenza (lett. b e c).

Si disciplina, ancora, la materia dei finanziamenti infragruppo, ribadendo che le sovvenzioni alle imprese in crisi provenienti da altre società del gruppo siano postergate ove ricorrano i presupposti di cui all'art. 2467 c.c. e non occorra sostenere finanziariamente il concordato o l'accordo di ristrutturazione di taluna società del gruppo (lett. f).

In ultimo, si dettano vari rimedi a disposizione del curatore contro azioni dannose degli amministratori o dei soci e per far valere la loro responsabilità (comma 3, lett. c).

I gruppi nelle procedure concorsuali ordinarie, fino ad oggi

Respinta l'idea di introdurre una disciplina generale dei gruppi di società, adeguatamente surrogata dalle proposizioni normative appena passate in rassegna, restava però ignorato il fenomeno delle aggregazioni societarie dalla legge fallimentare, pur dopo le riforme modernizzatrici del triennio 2005/2007. Solo l'art. 2497, ultimo comma, c.c. conferisce al curatore e ai commissari delle procedure amministrative la legittimazione ad esperire, in luogo dei creditori, l'azione “di responsabilità” contro la capogruppo e i soggetti solidalmente obbligati prevista dalla stessa disposizione.

Si escludeva, quindi, ogni rilevanza giuridica allo stato di salute o di decozione del gruppo di imprese rispetto alla/e società di cui si chiede il fallimento (stanti i noti principi dell'autonomia patrimoniale e della soggettività giuridica); come pure restano distinti gli stati passivi (malgrado le partite infragruppo), i programmi di liquidazione ed i rispettivi riparti. Inapplicabili risultano all'uopo le norme dettate per l'amministrazione straordinaria (v. Cass. 2.7.1990 n. 6769), essendo queste leggi speciali ispirate da diversa ratio legis.

Come avvertito in dottrina, quando l'insolvenza investe un gruppo di società si pongono essenzialmente tre tipi di questioni (cfr. M. FABIANI, Società insolvente e responsabilità del socio unico, Milano, 1999, 179 ss), che la legge fallimentare non aveva finora inteso affrontare: la gestione comune delle procedure, la tutela dei creditori e la soluzione di problemi specifici attinenti al gruppo (conoscenza dello stato d'insolvenza delle singole controllate da parte dei terzi ai fini delle revocatorie, regresso tra le masse in caso di fideiussioni infragruppo, voto nei concordati, ecc.).

Orbene, mentre per il primo tipo (la conduzione uniforme), in assenza di disposizioni analoghe a quelle contenute nella legge sull'amministrazione straordinaria (artt. 85 e 86 d.lgs. n. 270/99, c.d. Prodi bis), si tratta di una questione di opportunità - prevaleva la competenza territoriale di ogni singola procedura -, per quanto concerne il trattamento dei creditori, ritenuto da taluni non paritario perché sbilanciato in favore di quelli cd. strategici (v. art. 50-51), vale osservare che ogni creditore nel momento di contrarre o instaurare in genere rapporti commerciali dovrebbe informarsi, grazie ai mezzi che la legge predispone (art. 2497-bis c.c.), sulle condizioni economiche, finanziarie, patrimoniali e di eventuale soggezione a controllo della controparte, valutando di conseguenza la convenienza di operarci alla luce della scarsità dei mezzi di reazione disponibili.

Per altri aspetti l'esistenza di un gruppo imprenditoriale ha un ruolo di massimo rilievo: in ordine alla qualificazione degli atti e pagamenti fra società del gruppo come “gratuiti” ai sensi dell'art. 64 l.fall. sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione per affermare che attraverso lo schema dell'art. 1180 c.c., le parti possono perseguire interessi meritevoli di tutela, realizzando uno scopo, a seconda dei casi, oneroso o gratuito. Deve, dunque, guardarsi alla causa concreta dell'atto (recte dell'attribuzione patrimoniale) per valutare se sia stato compiuto a titolo gratuito: ciò che avverrà “quando dall'operazione che l'atto conclude - sia essa a struttura semplice perchè esaurita in un unico atto, sia a struttura complessa, in quanto si componga di un collegamento di atti e di negozi - il terzo non trae nessun concreto vantaggio patrimoniale ed egli abbia inteso così recare un vantaggio al debitore” sia pur mediato o indiretto (Cass. S.U. 18.3.2010 n. 6538).

La Corte poi evidenzia l'importanza del ruolo dei gruppi societari “cui è stato riconosciuto in quest'ultimo decennio gradualmente rilievo giuridico, e si saldano perfettamente con la più recente giurisprudenza di questa Corte; la quale ha in particolare riconosciuto la rilevanza, per la singola società del gruppo, del soddisfacimento di un ben preciso interesse economico, sia pure in ragione di un rapporto diverso, quale contropartita del depauperamento diretto derivato alla società da un'operazione” ancorché in un rapporto di “causalità mediata e indiretta con la prestazione eseguita” (Cass. n. 6538/2010, cit., e Cass. 12.3.2008 n. 6739).

Con riferimento all'ipotesi del concordato preventivo di gruppo, da alcuni ritenuta ammissibile in base ad un complemento di specificazione contenuto nell'art. 160, comma 1, lett. b) – ove si prevede ''l'attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore'' -, ferma restando la possibilità di ideare operazioni societarie straordinarie (fusioni e scissioni in particolare) fra più società, condizionate all'omologazione del concordato, deve pur sempre rammentarsi la distinta personalità giuridica (o soggettività) delle singole società e quindi la separatezza delle masse attiva e passiva, ancorché coordinate da un piano di ristrutturazione comune (già Trib. Crotone 28.5.1999, Giust. civ. 2000, I, 1533, aveva ritenuto “ammissibile la proposizione di un unico ricorso per l'ammissione al concordato preventivo da parte di società o di imprese individuali costituenti un gruppo, con conseguente unitarietà di procedura anche in relazione all'adunanza dei creditori”. Le maggioranze per l'approvazione erano state calcolate non per ogni singola impresa ma sull'intero gruppo, dovendosi privilegiare secondo i giudici calabresi l'ottica del gruppo, senza però pregiudicare i creditori''. In senso conforme: Trib. Terni 19.5.1997, Fall. 1998; Trib. Ivrea 21.2.1995, Fall. 1995). E' quindi proponibile un concordato contestuale per ciascuna componente del gruppo, che poggi su risorse patrimoniali o finanziarie adeguate per ciascuna società o almeno idonee a soddisfare i creditori esterni – pena la non fattibilità – e che tragga origine da un disegno risanatorio (o liquidatorio) complessivo, seppur frazionabile e perseguibile da ogni società in modo autonomo. In difetto di tale autosufficienza l'iniziativa si rivelerà del tutto inutile, poiché ogni ritardo o intoppo a monte (ad es. sulla procedura madre) si riverbererà inevitabilmente sulle procedure dipendenti.

Di recente la Cassazione, sez. I, 13.10.2015 n. 20559, aveva posto fine ad ogni tentativo di proporre concordati “di gruppo” che non rispettassero le norme imperative del diritto societario e fallimentare, affermandone l'inammissibilità in assenza di una disciplina positiva che si occupi di regolarne la competenza, le forme del ricorso, la nomina degli organi, nonché la formazione delle classi e delle masse, sicché, in base alla disciplina vigente, il concordato preventivo può essere proposto unicamente da ciascuna delle società appartenenti al gruppo davanti al tribunale territorialmente competente per ogni singola procedura, senza confusione delle masse attive e passive, per essere, quindi, approvato da maggioranze calcolate con riferimento alle posizioni debitorie di ogni singola impresa (non ha così omologato una domanda unitaria di concordato preventivo riguardante un gruppo di società).

Da ultimo Cass. 31.7.2017 n. 19014, ha precisato come il concordato di gruppo non possa ammettersi nel caso di crisi gestita da parte di singole società mediante forme di aggregazione diverse dal gruppo societario propriamente inteso, limitate a meri conferimenti di beni e all'accollo di debiti tra le dette società (difettava la prova dell'eterodirezione o controllo, anche solo di fatto), essendo elemento imprescindibile quello dell'autonomia delle masse attive e passive e la conseguente votazione separata sulle proposte da parte dei creditori di ciascuna società o impresa.

Con la L. n. 155/2017 la prospettiva si capovolge, in quanto la disciplina comune delle società, originariamente impostata intorno al regime del conflitto d'interessi fra i distinti soggetti giuridici che compongono il gruppo (artt. 2373 e 2391), è stata considerata “disfunzionale fino alla paralisi” (così P. Spada, menzionato da L. ROVELLI, op. ult. cit., 13) e le ragioni della direzione unitaria, già accolte con la riforma societaria, si impongono per necessità operative vieppiù nei momenti di crisi. Tale potere di direzione e coordinamento deve permanere anche durante detta fase, a scopo riorganizzativo, alla condizione che avvenga con certezza a vantaggio dei creditori (v. art. 3, co. 2, lett. f), assicurando loro (e ai soci) tutela in sede concorsuale.

La regolamentazione dei concordati di gruppo e, ancor più, della liquidazione giudiziale dei gruppi potrà assurgere a paradigma interpretativo davvero innovativo.

La riforma: principi e criteri di delega e la bozza del decreto attuativo

Come anticipato in apertura del capitolo, la legge delega ha imposto anzitutto la definizione di gruppo di imprese, che lo schema di decreto attuativo (denominato Codice della crisi e dell'insolvenza) ha così tradotto: “l'insieme delle società, delle imprese e degli enti, escluso lo Stato, che ai sensi degli articoli 2497 e 2545-septies del codice civile sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica, sulla base di un vincolo partecipativo o di un contratto; a tal fine si presume, salvo prova contraria, che:

(a) l'attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci;

(b) siano sottoposte alla direzione e coordinamento di una società o ente le società controllate, direttamente o indirettamente, o sottoposte a controllo congiunto, rispetto alla società o ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento”.

L'art. 3 L. 155/2017 specifica che il rapporto di controllo è da intendersi presuntivamente quello ai sensi dell'art. 2359 c.c.

Ai gruppi vengono dedicati dieci articoli nella bozza di d. lgs. (artt. 288 ss. CCI), che recepiscono le dettagliate direttive dell'art. 3 della Legge n. 155/2017 e si aprono con il Capo intitolato “Regolazione della crisi o insolvenza del gruppo”.

Il connotato dell'unitarietà della disciplina sostanziale e processuale vige per tutte le procedure e cioè sia per il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, sia per la liquidazione giudiziale (ex fallimento), sia ancora per la predisposizione di un piano attestato di gruppo, che può essere pubblicato nel registro delle imprese a richiesta delle proponenti.

La competenza a valutare le domande presentate dai gruppi è attribuita ai tribunali sede di sezione specializzata in materia di imprese, in particolare a quello nel cui circondario si trova il centro principale degli interessi del soggetto (anche se persona fisica) che, in base alle segnalazioni pubblicitarie previste dall'art. 2497-bis c.c., esercita l'attività di direzione e coordinamento oppure, in mancanza, dell'impresa che presenta la maggiore esposizione debitoria in base all'ultimo bilancio approvato (art. 290 CCI).

La domanda di concordato di gruppo o di omologazione dell'accordo di ristrutturazione di gruppo deve provenire da imprese in crisi o insolventi, purché abbiano il COMI in Italia (se le imprese del gruppo appartengono a giurisdizioni diverse trova applicazione il Regolamento UE n. 848/2015 sull'insolvenza trasfrontaliera); può avvenire con un unico ricorso, contenente un unico piano, ovvero piani reciprocamente collegati e interferenti e deve contenere l'illustrazione delle ragioni di maggiore convenienza, per i creditori delle singole imprese, della scelta di presentare un piano unitario ovvero piani collegati e interferenti rispetto alla scelta di proporre un piano autonomo per ciascuna impresa.

Qui si rivela l'essenza dell'istituto: dovendo mantenersi la separazione delle masse attive e passive, è giocoforza dimostrare che i creditori di ciascuna impresa non solo non saranno penalizzati dal piano di gruppo, ma che ne trarranno vantaggi superiori. E siccome i piani possono prevedere la liquidazione di alcune imprese e la continuazione dell'attività di altre imprese del gruppo, come pure operazioni straordinarie e riorganizzative - “ivi inclusi trasferimenti di risorse infragruppo, purché un professionista indipendente attesti che dette operazioni sono determinanti ai fini della continuità aziendale per le imprese per le quali essa è prevista nel piano e coerenti con l'obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori delle diverse imprese del gruppo” (v. art. 289 CCI, attuativo del principio di delega sub art. 3, co. 2, lett. f) -, riemerge sotto altro versante la teoria dei vantaggi compensativi di cui all'art. 2497 c.c., seppur in forma controllata e volta esclusivamente a favore dei creditori (i soci infatti la subiscono, giusta il disposto dell'ultimo comma del citato art. 289 CCI).

I creditori contrari a tali operazioni, purché appartenenti a una classe dissenziente o, nel caso di mancata formazione delle classi, rappresentanti almeno il 20% dei crediti ammessi al voto della singola società, possono opporsi all'omologazione del concordato di gruppo o dell'accordo di ristrutturazione. Ma il tribunale, effettuando una valutazione complessiva del piano unitario o dei piani collegati, può ritenere che i creditori risultino soddisfatti in misura non inferiore a quanto ricaverebbero dalla liquidazione giudiziale della singola società. E' il c.d. cram down, basato sul principio del no creditor worse off(NCWO) oggi introdotto pure nelle crisi bancarie dalla Direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive), attuata dai D.Lgs. nn. 180 e 181/2015.

La gestione della procedura si snellisce, perché – in attuazione del principio di delega ex art. 3, comma 2, lett. a) L. 155 - viene designato un unico giudice delegato e un unico commissario giudiziale (o curatore) per tutte le imprese del gruppo (art. 290 CCI), il quale ha penetranti poteri informativi (presso la Consob e ogni altra autorità, oltre che verso le società fiduciarie: v. anche l'art. 293-bis) e oneri di collaborazione con gli omologhi organi di eventuali procedure separate.

Inoltre il deposito iniziale delle spese che si presumono necessarie per lo svolgimento della procedura viene ridotto e unificato per tutte le imprese del gruppo, le quali si ripartiscono tutti gli altri costi della procedura in proporzione delle rispettive masse attive.

I creditori votano in maniera contestuale e separata sulla proposta presentata dalla società loro debitrice (criterio direttivo di cui alla lett. b dell'art. 3, comma 2); sono però escluse dal voto, per il principio della postergazione, le imprese del gruppo che siano titolari di crediti nei confronti dell'impresa assoggettata alla procedura (art. 290, che attua il principio di delega sub lett. d del 2° comma dell'art. 3).

Interpretando in modo “conservativo” la legge delega n. 155/2017 (v. art. 3, co. 2, lett. c) la bozza attuativa statuisce che il concordato di gruppo omologato non può essere risolto o annullato quando i relativi presupposti si verifichino soltanto rispetto a una o ad alcune imprese del gruppo, a meno che ne risulti significativamente compromessa l'attuazione del piano anche nei confronti delle altre imprese. Appare comunque ragionevole che la risoluzione (o l'annullamento) di una parte del concordato non travolga l'intero disegno ristrutturatorio se non sia “essenziale”, analogamente a quanto dispone l'art. 1459 c.c.

Alla liquidazione giudiziale – che comprende sia l'ex fallimento, sia i concordati meramente liquidatori - sono dedicati gli artt. 291 ss. del (futuro) CCI, che dettano regole particolari pro creditoribus per i casi nei quali non l'intero gruppo si trovi in procedura e si appalesi indispensabile un coordinamento delle azioni dell'organo concorsuale, tenuto conto della preferibilità di norme adattabili “al carattere multiforme della realtà” del gruppo (cfr. G. SCOGNAMIGLIO, op. ult. cit., 29).

Il rischio principale da neutralizzare è che siano avvenuti travasi di denaro da una ad altra/e impresa/e del gruppo; così, sulla scorta dei seguenti principi e criteri di delega (art. 3, comma 3, lett. c), le norme attuative hanno lo scopo precipuo di attribuire al curatore il potere di:

1) azionare rimedi contro operazioni antecedenti l'accertamento dello stato di insolvenza e dirette a spostare risorse a un'altra impresa del gruppo, in danno dei creditori;

2) esercitare le azioni di responsabilità di cui all'art. 2497 c.c.;

3) promuovere la denuncia di gravi irregolarità gestionali nei confronti degli organi di amministrazione delle società del gruppo non assoggettate alla procedura di liquidazione giudiziale;

4) nel caso in cui ravvisi l'insolvenza di imprese del gruppo non ancora assoggettate alla procedura di liquidazione giudiziale, segnalare tale circostanza agli organi di amministrazione e di controllo ovvero promuovere direttamente l'accertamento dello stato di insolvenza di dette imprese.

Di talché la tecnica rimediale prescelta dal nostro legislatore delegato consiste:

  • nella esperibilità delle cd. revocatorie aggravate infragruppo (art. 293-ter) nei confronti delle imprese, anche non insolventi, del gruppo,
  • promosse dal curatore sia nel caso di gestione unitaria, sia nel caso di gestione separata delle singole procedure,
  • per rendere inefficaci gli atti compiuti nei 5 anni anteriori al deposito dell'istanza di liquidazione giudiziale
  • e diretti a “spostare risorse ad un'altra impresa del gruppo, in danno dei creditori della prima,
  • qualora la lesione ad essa inferta non sia stata integralmente compensata con l'attribuzione di un corrispondente vantaggio ai sensi dell'art. 2497 c.c.
  • vi è poi la presunzione di consapevolezza del pregiudizio da parte della società del gruppo beneficiaria dell'atto di disposizione impugnato, salvo prova contraria.

L'azione di responsabilità dei creditori e quella dei soci minoritari della controllata nei confronti della capogruppo e dei suoi organi, proponibili anche durante la crisi, vengono invece avviate o proseguite dal curatore dopo l'apertura della liquidazione giudiziale (art. 293-quater in attuazione dell'art. 3, co. 3, lett. c, n. 2 L. n. 155, destando qualche perplessità la compatibilità di un'azione individuale, quale quella del socio, con il ruolo dell'organo della procedura).

Il curatore ha inoltre la legittimazione a proporre la denuncia di cui all'art. 2409 c.c. nei confronti di amministratori e sindaci delle società del gruppo non assoggettate alla procedura di liquidazione giudiziale (art. 293-quater).

Il pendant delle revocatorie e azioni di responsabilità dev'essere la postergazione dei finanziamenti dei soci, della capogruppo e/o delle imprese/società sottoposte a comune controllo: ebbene, l'art. 293-quinquies dispone che i crediti vantati dalla società, dall'ente o dalla persona fisica esercente l'attività di direzione o coordinamento, “anche a seguito di escussione di garanzie, nei confronti delle imprese sottoposte, o che queste vantano nei confronti dei primi, sulla base di rapporti di finanziamento contratti dopo il deposito della domanda che ha dato luogo all'apertura della liquidazione giudiziale o nell'anno anteriore, sono postergati rispetto al soddisfacimento degli altri creditori. Se tali crediti sono stati rimborsati nell'anno anteriore alla domanda che ha dato luogo all'apertura della liquidazione giudiziale” scatta l'inefficacia di cui all'art. 169 CCI. L'art. 169 CCI, ai commi 2 e 3, commina l'inefficacia ai rimborsi dei finanziamenti soci se sono stati eseguiti dal debitore dopo il deposito della domanda di apertura della procedura concorsuale o nell'anno anteriore. La disposizione si applica anche ai rimborsi dei finanziamenti effettuati da chi esercita attività di direzione e coordinamento o da altri soggetti ad essa sottoposti (è la replica dell'art. 2497-quinquies).

La postergazione infragruppo è dunque circoscritta all'anno anteriore all'ingresso in procedura: previsione probabilmente insufficiente, che ha l'effetto di depotenziare gli strumenti rimediali contro gli abusivi spostamenti di valore infragruppo – altro è agire dovendo provare l'illecito -, contraddicendo in parte l'opzione di base per il cd. consolidamento procedurale (V. CARIDI, Spunti di riflessione nella prospettiva di una disciplina organica dei gruppi insolventi, giustiziacivile.com, 18.1.2016. Sul concetto di consolidamento sostanziale e processuale e sulla propsettiva internazionalistica si v. N. ABRIANI e L. PANZANI, Crisi e insolvenza nei gruppi di società, NDS, (Parte I) (Parte II), 2015, n. 17, 74 ss. e n. 18, 52 ss.).

Tornando alla gestione delle procedure, ove queste siano separate viene ribadita l'applicabilità delle disposizioni afferenti gli obblighi informativi, collaborativi e di trasparenza di cui alle lett. c) ed e) dell'art. 3, co. 1, L. 155, stabilendo persino un criterio di ripartizione dei costi delle informazioni e del coordinamento fra le procedure proporzionale alle rispettive masse attive (art. 293-bis CCI).

Quanto alla gestione della liquidazione, l'art. 291 CCI la prevede unificata allorché sussistano tra le imprese “preesistenti reciproci collegamenti di natura economica o produttiva”, anche per la composizione dei patrimoni delle diverse entità o per la presenza dei medesimi amministratori; si impongono allora forme di coordinamento nella liquidazione degli attivi, in funzione dell'obiettivo del migliore soddisfacimento dei creditori delle diverse imprese del gruppo, ferma restando la reciproca autonomia delle loro rispettive masse attive e passive.

Si designa un unico giudice delegato e un unico curatore, ma i comitati dei creditori saranno differenti. Le spese generali della procedura sono imputate alle imprese del gruppo in proporzione delle rispettive masse attive.

Se invece le diverse imprese del gruppo avessero il proprio centro degli interessi principali in circoscrizioni giudiziarie diverse, il tribunale competente sarebbe quello dinanzi al quale è iniziata la prima procedura di liquidazione giudiziale. Qualora la domanda di accesso alla procedura sia presentata contemporaneamente da più imprese dello stesso gruppo, è competente il tribunale sede delle sezioni specializzate in materia di imprese nella cui circoscrizione si trova il COMI della società o ente o persona fisica che, in base alle segnalazioni pubblicitarie previste dall'art. 2497-bis, esercita l'attività di direzione e coordinamento oppure, in mancanza, dell'impresa che presenta la più elevata esposizione debitoria in base all'ultimo bilancio approvato (così l'art. 291, analogamente all'art. 290 CCI).

Rilevante è la possibilità per il curatore di una delle procedure, ove ravvisi l'insolvenza di un'altra impresa del gruppo non assoggettata alla liquidazione giudiziale, di segnalare la circostanza agli organi di amministrazione e controllo ovvero di promuovere direttamente l'accertamento dello stato di insolvenza di detta impresa.

Infine, l'art. 292 disciplina il concordato liquidatorio giudiziale per le imprese fallite facenti parte di un medesimo gruppo, pur se le procedure pendano in tribunali diversi. Si applicano in tal caso, in quanto compatibili, le disposizioni relative al concordato preventivo di gruppo, sopra descritte.

I gruppi nell'amministrazione straordinaria. Cenni

Non occorre far ricorso alle statistiche per rilevare come la quasi totalità delle imprese sottoposte alle varie procedure di amministrazione straordinaria (generale, speciale, settoriale), in ragione dei requisiti dimensionali e di bilancio prescritti, faccia parte di un gruppo societario. Dunque, la disciplina legislativa del fenomeno era obbligata: così il d. lgs. n. 270/1999 (artt. 80-91), cui rinviano sia il d.l. n. 347/2003 (c.d. decreto Marzano, conv. in l. n. 39/04) sia, in definitiva, il d.l. n. 134/08 convertito nella l. 27.10.2008 n. 166 (c.d. decreto Alitalia) – volto ad ampliare l'operatività della procedura di amministrazione straordinaria "speciale" (Marzano) rendendola applicabile anche alle grandi imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali al fine di garantire continuità nelle prestazioni -, affrontano svariati aspetti del tema qui accennato.

Basta tracciare un disegno a grandi linee per comprendere l'importanza e l'efficacia delle norme de quibus in funzione della loro trasposizione, ormai imminente,alle procedure di concordato e di liquidazione giudiziale.

Nella c.d. Prodi-bis, al Titolo IV rubricato ''Gruppo di imprese'' – e definito nell'art. 80 -, si stabilisce che una volta aperta la procedura di amministrazione straordinaria nei confronti di una determinata impresa avente i requisiti (''procedura madre'') e per tutto il tempo della sua durata, detta procedura possa essere estesa alle imprese del gruppo soggette alle disposizioni sul fallimento che si trovano in stato di insolvenza, indipendentemente dal fatto che queste possiedano i requisiti dimensionali e di indebitamento prescritti dall'art. 2, quando risulti comunque opportuna la gestione unitaria dell'insolvenza nell'ambito del gruppo (art. 81, comma 2).

E' sancito, quindi, il principio dell'unitarietà di gestione delle procedure di gruppo, con la nomina degli stessi organi, l'imputazione proporzionale delle spese generali (art. 85) e la redazione di un programma integrato per le varie imprese (art. 86). Solo l'accertamento dei presupposti per l'ammissione di ciascuna società resta, inevitabilmente, demandato al tribunale competente per territorio (art. 82). Altre disposizioni in argomento riguardano la possibile denuncia di gravi irregolarità ex art. 2409 c.c. nei confronti di amministratori e sindaci di società del gruppo (art. 89), la responsabilità per abuso di direzione unitaria (art. 90, v. appresso) e le azioni revocatorie infragruppo (art. 91).

Il principio di gestione unitaria è rafforzato nella «legge Marzano»: qui infatti (art. 3, comma 3, 1° periodo) viene valorizzato ulteriormente l'aspetto sostanziale della crisi del gruppo, derogando alla competenza territoriale del tribunale del luogo ove ha sede la singola società del gruppo ai fini dell'estensione della procedura di amministrazione straordinaria: la competenza del tribunale avanti al quale pende la procedura madre è criterio idoneo ad assicurare una più rapida ed efficace salvaguardia dei valori produttivi (art. 5) o dismissione delle attività ovvero una più incisiva tutela dei livelli occupazionali (cfr. G. IVONE, Gestione unitaria della insolvenza di gruppo e conversione del fallimento in amministrazione straordinaria, Banca borsa tit. cred. 2009, 2, 242).

Com'è agevole osservare, la soluzione operativa delle leggi sull'amministrazione straordinaria risulta assai più celere e flessibile rispetto a quella (peraltro inesistente) in caso di fallimento.

Venendo al problema della responsabilità della capogruppo o dei suoi manager, giova ricordare che l'art. 90 del d. lgs. n. 270/1999 recita: "Nei casi di direzione unitaria delle imprese del gruppo, gli amministratori delle società che hanno abusato di tale direzione rispondono in solido con gli amministratori della società dichiarata insolvente dei danni da questi cagionati alla società stessa in conseguenza delle direttive impartite".

Non v'è chi non veda come la disposizione contempli un'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori della società controllante e non contro detta società o ente in via diretta.

Qualora si opti per la natura extracontrattuale della responsabilità della società capogruppo, in virtù del rapporto organico o dell'art. 2049 c.c., allora l'azione nei confronti della holding (non ancora in procedura, ovvero finalizzata a riequilibrare le masse attive) sarà esperibile da parte del Commissario (P.G. JAEGER, "Direzione unitaria" di gruppo e responsabilità degli amministratori, Riv. soc. 1985, 817 ss., specie 826 ss.; F. Galgano, I gruppi di società, in Le società. Trattato diretto da F. Galgano, Torino, 2001, 134 ss.; S. Bonfatti, La disciplina delle responsabilità, in AA.VV. La riforma dell'amministrazione straordinaria, a cura di Bonfatti e Falcone, Roma, 2000, 297 ss).

D'altro canto, sembra preferibile ritenere che la violazione del principio di corretta gestione configuri una responsabilità contrattuale. In tal caso si manterrebbe l'alterità soggettiva fra i due (amministratori e capogruppo), con necessità di fondare diversamente – o escludere - l'azione in parola.

Si pone, infine, la questione del rapporto tra i rimedi di cui all'art. 90 d.lgs. n. 270/1999 e all'art. 2497 c.c., che con la proposizione dell'ultimo comma alcuni ritengono abbia implicitamente abrogato la prima disposizione (P. ABBADESSA, La responsabilità della società capogruppo verso la società abusata: spunti di riflessione, cit., 290). Le due norme, peraltro, appaiono ancora compatibili ed anzi si integrano a vicenda dal momento che, se l'abuso risulta sanzionabile ai sensi di entrambe, si cumuleranno pure le responsabilità e, dunque, le rispettive azioni a tutela (A. NIGRO-D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2009, 331; A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2009, 1596).

In realtà, si dovrebbe distinguere: l'azione dei soci minoritari (o esterni) rimane di loro esclusiva spettanza, sia contro la holding che contro gli amministratori quali soggetti coinvolti ex art. 2497 cpv.; mentre quella dei creditori dovrà essere esercitata soltanto dal Commissario, il quale disporrà inoltre di quella prevista dall'art. 90 (F. GUERRERA, Gruppi di società, operazioni straordinarie e procedure concorsuali,Dir. fall., 2005, I, 23).

La Legge n. 155 del 2017 non annovera più nell'articolato finale i principi di delega per la riforma dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, poiché nel maggio 2016 la Commissione parlamentare ebbe a stralciarli per veicolarli in altro ddl, recante il n. 3671-ter e il titolo “Delega al Governo in materia di Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza”, finito poi su un binario morto (la definizione di “grandi imprese”, che esclude l'applicabilità del CCI, è contenuta nell'art. 2 (n. 7) del medesimo schema di d. lgs.: “le imprese che ai sensi dell'articolo 3, quarto comma, della direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, alla data di chiusura del bilancio superano i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti: a) totale dello stato patrimoniale: venti milioni di euro; b) ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: quaranta milioni di euro; c) numero medio dei dipendenti occupati durante l'esercizio: duecentocinquanta”).

Con ciò si è confermato che il tratto essenziale di queste procedure non è la tutela dei diritti di credito, come per quelle devolute al controllo del giudice ordinario, bensì è la conservazione “ad ogni costo” dell'impresa insolvente per tentarne il risanamento, foss'anche per via meramente traslativa. La prosecuzione dell'attività diviene il valore-fine, a cui si sacrificano tutte le risorse disponibili (M. FABIANI, Di un ordinato ma timido disegno di legge delega sulla crisi d'impresa, in Fall., 2016, 263), e non più il valore-mezzo orientato al miglior soddisfacimento dei creditori [ex art. 2, co. 1, lett. g) L. 155/17]: i creditori chirografari, invero, non vengono quasi mai soddisfatti, neppure parzialmente, a beneficio delle prededuzioni dei fornitori strategici, i quali devono consentire il mantenimento in vita dell'organismo “produttivo”, sotto la vigilanza e le direttive del Ministero dello Sviluppo economico.

Di qui l'espressione “risanamento finanziato dai creditori”, che implica la netta scelta di campo operata dall'Esecutivo in favore della continuità aziendale purchessia, capace di distruggere anziché produrre ricchezza.

Tale constatazione rende ragione del perché le disposizioni di riforma dell'a.s. siano state accantonate.

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