L’inadempimento del concordato e il fallimento c.d. "omisso medio"

Laura Riondato
26 Marzo 2018

In coerenza con il principio per cui la pendenza di una domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, impedisce temporaneamente la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 l. fall., la pendenza di un concordato omologato impedisce temporaneamente la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dall'art. 186 l. fall. Il creditore potrà certamente chiedere il fallimento del debitore in concordato ex art. 6 l. fall. (nonché ex artt. 1 e 5 l. fall.), ma solo a seguito della risoluzione del concordato.
Massima

In coerenza con il principio per cui la pendenza di una domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, impedisce temporaneamente la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 l. fall., la pendenza di un concordato omologato impedisce temporaneamente la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dall'art. 186 l. fall. Il creditore potrà certamente chiedere il fallimento del debitore in concordato ex art. 6 l. fall. (nonché ex artt. 1 e 5 l. fall.), ma solo a seguito della risoluzione del concordato.

Il caso

Nel corso dell'esecuzione di un concordato preventivo omologato è sopravvenuto l'inadempimento della società debitrice alla proposta e al relativo piano, determinato dalla ragionevole impossibilità di pagare integralmente i creditori privilegiati. Decorso il termine finale per l'ultimo adempimento previsto dal concordato, senza tuttavia che fossero esaurite le attività di liquidazione del patrimonio societario, un creditore con titolo anteriore all'apertura della procedura ha presentato ricorso per la dichiarazione di fallimento della società in concordato. Ricorso che ha avviato il procedimento ex art. 15 l. fall. conclusosi con il decreto in commento.

La questione

La domanda di fallimento del debitore concordatario ha consentito al Tribunale di Pistoia di rielaborare il dibattuto tema del c.d. fallimento omisso medio, consistente nella dichiarazione di fallimento di un soggetto in concordato senza la previa risoluzione del concordato stesso a norma dell'art. 186 l. fall. Segnatamente, il Tribunale ha indagato la correttezza (anche sistematica) dell'interpretazione giurisprudenziale secondo cui la pendenza di un concordato in fase di esecuzione non precluderebbe l'autonoma iniziativa fallimentare. La questione attiene evidentemente al ricorso per la dichiarazione di fallimento fondato sulla medesima insolvenza alla base del concordato preventivo, non sussistendo ostacoli all'accoglimento dell'istanza di fallimento avanzata da creditori con titolo posteriore al concordato stesso in relazione a una nuova insolvenza.

Le soluzioni giuridiche

Il decreto in esame si indirizza decisamente a favore dell'orientamento più “tradizionale” in seno alla giurisprudenza, che ritiene inammissibile una domanda di fallimento del debitore concordatario in difetto della previa risoluzione del concordato. Orientamento questo già espresso da molti giudici di merito ma disatteso dalla Corte di Cassazione: con due recenti pronunce (Cass. 17 luglio 2017, n. 17703, e Cass. 11 dicembre 2017, n. 29632), i Giudici di legittimità hanno confinato la necessità di instare per la risoluzione del concordato alla sola ipotesi in cui il creditore intenda far valere l'intero credito maturato verso il debitore, in luogo del credito risultante dalla falcidia concordataria; con l'effetto di legittimare in via generale il ricorso del creditore all'iniziativa fallimentare contro un soggetto in concordato. È proprio da tali decisioni di legittimità che il Tribunale di Pistoia ha preso le mosse per un'analisi ad ampio spettro dei rapporti tra risoluzione del concordato e fallimento.

Anzitutto, il Tribunale sgombra il campo dall'usuale richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale 2 aprile 2004, n. 106, sottolineando in particolare il “contesto culturale e normativo in cui non appariva predicabile un concordato inadempiuto senza fallimento” che la rende non più applicabile. Ciò detto, l'attenzione del Tribunale si concentra sulle argomentazioni offerte di recente dalla Corte di Cassazione a sostegno del fallimento omisso medio. Tali argomentazioni si basano essenzialmente sulla centralità dell'iniziativa per la dichiarazione di fallimento di cui all'art. 6 l. fall., non condizionata dalla disciplina concordataria; tesi questa che troverebbe peraltro conferma nel venir meno dell'automatismo tra risoluzione del concordato e fallimento a seguito della riforma di cui al d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169. La critica del Tribunale toscano muove da un'analisi concreta delle norme concordatarie di cui all'art. 184 l. fall. in punto di obbligatorietà del concordato per tutti i creditori anteriori allo stesso e di cui all'art. 186 l. fall. in tema di risoluzione del concordato.

Secondo il Tribunale di Pistoia, l'orientamento della Cassazione avrebbe l'effetto in primis di neutralizzare il principio sancito nell'art. 184 l. fall., ridimensionando nella sostanza la portata vincolante dell'accordo tra debitore concordatario e creditori risultante dal voto. Conseguentemente, risulterebbe di fatto assai ridotta l'operatività concreta della risoluzione, confinata - come ammesso dai giudici di legittimità - all'ipotesi in cui un creditore intenda ripristinare il proprio credito originario verso il soggetto in concordato. In tema di rapporto tra l'art. 6 e gli artt. 184 e 186 l. fall. andrebbe inoltre considerata la specialità di quest'ultima norma rispetto alla generale previsione dell'iniziativa fallimentare. Di qui la necessità di un “coordinamento” tra la risoluzione del concordato e il fallimento: il creditore sarebbe quindi legittimato a chiedere il fallimento del debitore, ma solo a seguito della risoluzione del concordato. Il coordinamento tra concordato e fallimento è peraltro, come rilevato dai giudici di merito, già attuato dalla giurisprudenza anche di legittimità in pendenza di una domanda concordataria. È noto come sussista di fatto una preclusione alla dichiarazione di fallimento laddove il debitore abbia presentato domanda di concordato, preclusione che si traduce in un'improcedibilità temporanea e parziale (essendo precluso l'accoglimento, ma non il rigetto dell'istanza di fallimento).

A fronte di ciò, il Tribunale evidenzia come sia irragionevole negare alla pendenza di un concordato preventivo omologato in fase esecutiva gli effetti preclusivi propri invece di una mera domanda concordataria. Senza contare che a seguito dell'omologa vige a tutti gli effetti tra debitore e creditori anteriori un accordo risultante dall'incontro tra la proposta concordataria e il voto favorevole alla stessa vincolante ai sensi dell'art. 184 l. fall., “proiezione concorsuale del principio civilistico di cui all'art. 1372 cod.civ.”. Da ultimo, secondo il Tribunale, la facoltà di instare per il fallimento sulla base dei requisiti stabiliti dagli artt. 1 e 5 l. fall. avrebbe effetti inconciliabili con il dettato dell'art. 186 l. fall.: per assurdo, con riguardo al medesimo debitore potrebbe essere rigettata la domanda di risoluzione del concordato per scarsa importanza dell'inadempimento e, al contempo, essere accolta l'istanza di fallimento per ricorrenza degli usuali requisiti di insolvenza.

Osservazioni

Il percorso argomentativo seguito dal Tribunale di Pistoia nel decreto del 21 dicembre 2017 tocca diversi punti critici dell'istituto della risoluzione del concordato. Come osservato, il tema centrale del decreto riguarda la possibilità di presentare istanza di fallimento di un debitore soggetto a concordato in relazione al quale non sia ancora scaduto il termine per la risoluzione ex art. 186 l. fall., corrispondente ad un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto dal concordato medesimo. Il dies a quo del termine predetto condiziona l'effettività del rimedio, nel senso che l'indeterminatezza del decorso dello stesso può di fatto pregiudicare le esigenze di tutela dei creditori di fronte a un concordato inadempiuto. Ciò può concretamente accadere laddove il termine per domandare la risoluzione sia agganciato alla effettiva chiusura dell'attività liquidatoria anziché alle previsioni indicate nella proposta concordataria, come del resto stabilito nel decreto in commento. In tal senso, i giudici di legittimità hanno offerto una soluzione che supera il problema, ammettendo che il singolo creditore possa in ogni momento instare per il fallimento del debitore concordatario; ma tale soluzione - ad avviso di chi scrive - va oltre il dettato normativo, di fatto privando l'art. 186 l. fall. di ogni concreta rilevanza pratica. Per tale ragione, pare condivisibile l'opposto orientamento del Tribunale di Pistoia: il creditore può sciogliersi dal vincolo del concordato solo tramite la risoluzione dello stesso, in linea con la natura contrattuale della proposta concordataria votata (ergo:accettata) dai creditori.

Se così è, e se la fase patologica del concordato va quindi regolata al pari di un contratto, non c'è peraltro ragione per trattare differentemente la fase fisiologica dello stesso: le indicazioni temporali contenute nella proposta concordataria dovrebbero ritenersi non mere previsioni, come sostenuto dal Tribunale di Pistoia, ma a tutti gli effetti assunzioni di specifici obblighi da parte del debitore. Con la conseguenza che il dies a quo del termine per la domanda di risoluzione del concordato dovrebbe essere individuato nel momento della scadenza del termine per la liquidazione dei beni indicato nella proposta. Diversamente, a fronte del protrarsi delle operazioni liquidatorie per lungo tempo, il creditore si vedrebbe nella sostanza preclusa la possibilità di azionare il rimedio risolutorio per un periodo potenzialmente indefinito.

Guida all'approfondimento

In giurisprudenza, Corte cost. 2 aprile 2004, n. 106 ; Cass. 17 luglio 2017, n. 17703; Cass. 25 settembre 2017, n. 22273; Cass. 11 dicembre 2017, n. 29632; Trib. Treviso 10 gennaio 2017; Trib. Napoli Nord 29 aprile 2016; Trib. Nola 17 marzo 2016, in Fall., 2017; e, in senso conforme al decreto del Tribunale di Pistoia in commento, Trib. Rovigo 7 dicembre 2017, in questo portale, 2017; Trib. Padova 30 marzo 2017; Trib. Ancona 25 febbraio 2015, in Fall., 2015. In dottrina, F. Lamanna, Fallimento dell'impresa in concordato senza previa risoluzione: un problema ancora aperto, in questo portale, 2017; S. Ambrosini, La risoluzione del concordato preventivo e la (successiva?) dichiarazione di fallimento: profili ricostruttivi del sistema, in Il caso, 2017; F. Casa, “Per la contraddizion che nol consente”: una critica ad una lettura anti-sistemica degli artt. 168 e 186 l.fall., in Fall., 2017; M. Paneri, Ammissibilità della dichiarazione di fallimento in assenza di risoluzione del concordato, in questo portale, 2016; A. Farolfi, Risoluzione e annullamento del concordato, ivi, 2016; D. Galletti, Fallimento del debitore concordatario in assenza o nell'impossibilità di pronunziare la risoluzione del concordato, ivi, 2015.

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