L'indicazione delle cose o somme dovute nel pignoramento e la non contestazione del terzo

27 Marzo 2018

Il presente approfondimento è dedicato a una ricognizione della questione inerente ai rapporti tra l'art. 543, comma 2, n. 2), c.p.c., che consente al creditore procedente, nell'atto di pignoramento presso terzi, di indicare in via soltanto generica le somme o cose dovute dal debitor debitoris al proprio creditore diretto, e il successivo art. 548, che – in apparente contrasto con tale possibilità – ricollega all'omessa dichiarazione del terzo la possibilità di considerare perfezionato il vincolo di pignoramento, sì da poter dar seguito alla procedura esecutiva.
L'art. 543, comma 2, n. 2), c.p.c. nell'assetto originario del codice di procedura civile

L'atto di pignoramento presso terzi, come noto, deve contenere, tra i suoi contenuti essenziali, quanto richiesto dal n. 2) dell'art. 543 c.p.c., ossia «l'indicazione, almeno generica, delle cose o delle somme dovute e la intimazione al terzo di non disporne senza ordine del giudice».

Specialmente con riguardo alla prima parte di tale norma, l'inciso facente riferimento alla genericità dell'indicazione delle cose o somme dovute dal terzo è sempre stato inteso, in giurisprudenza, in senso piuttosto permissivo, consentendo al creditore di limitare il proprio riferimento a quanto dovuto dal terzo debitor debitoris al proprio debitore diretto, senza necessità di specificare la causa del credito ovvero il titolo della detenzione.

In tal senso si può ricordare quanto affermato da Cass. civ., 24 maggio 2003, n. 8239, secondo cui l'indicazione in commento poteva attestarsi su livelli di genericità assoluta: affermazione che veniva giustificata con la difficoltà che poteva avere il creditore procedente nell'acquisire la conoscenza dei dati esatti concernenti tali somme o cose, a cagione della sua estraneità ai rapporti tra debitore e terzo.

Inoltre - si precisava -, tale genericità era comunque destinata a venir meno con la dichiarazione pronunciata dal debitor debitoris, ai sensi dell'originario art. 547 c.p.c., che evidentemente soccorreva a integrare l'indicazione soltanto generica effettuata dal creditore.

In senso conforme ai principi affermati si è espressa pure, in epoca più recente, Cass. civ., 20 marzo 2014, n. 6518.

La riforma attuata con l. 24 dicembre 2012, n. 228 e le ripercussioni sulla questione in oggetto

L'assetto sin qui descritto è stato oggetto di modifica a seguito della riforma attuata con l. 24 dicembre 2012, n. 228, mediante la quale, per quanto ora interessa, si è disposto che, in caso di mancata comparizione del terzo all'udienza stabilita per rendere la dichiarazione richiesta ex lege, «il credito pignorato, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato» ai fini dell'espropriazione presso terzi in corso (art. 548, comma 1, c.p.c.).

In altri termini, si è provveduto a ricollegare all'omessa comparizione del debitor debitoris all'udienza il valore di ficta confessio, con la conseguenza che, ricorrendo tale fattispecie, il giudice dell'esecuzione sarebbe legittimato a dare immediato corso all'esecuzione ai sensi degli artt. 552 o 553 c.p.c..

Tuttavia, come si è poc'anzi rilevato, il concorso del terzo, mediante la propria dichiarazione, assumeva un ruolo fondamentale ai fini del perfezionamento del vincolo esecutivo, mediante la puntuale identificazione, nell'an e nel quantum, del diritto su cui quel vincolo medesimo sarebbe venuto a cadere, diritto solo genericamente indicato dal creditore ex art. 543, comma 2, n. 2), c.p.c..

È evidente, allora, come a fronte di una indicazione generica di tale diritto, la possibilità offerta dalla riforma di valorizzare la ficta confessio del terzo non possa giovare alcunché alla identificazione o puntualizzazione del diritto medesimo, con conseguente impossibilità di dare seguito alla procedura esecutiva.

La composizione dell'apparente aporia normativa

Il quadro normativo, dunque, era caratterizzato dalla compresenza di una norma che, da un lato, consentiva al creditore di indicare in modo generico l'oggetto del successivo pignoramento presso terzi, e, dall'altro, di una disposizione che ricollegava effetti di ficta confessio all'omessa comparizione del terzo in udienza: ciò che evidentemente pareva non consentire quel meccanismo di reciproca integrazione tra indicazione del creditore e dichiarazione del terzo, imprescindibile ai fini della esatta identificazione del diritto oggetto del vincolo esecutivo e della possibilità per l'esecuzione di procedere.

Complessivamente intesa, la normativa poteva peraltro indurre alla conclusione secondo cui la norma di cui all'art. 543, comma 2, n. 2), c.p.c., dovesse ritenersi implicitamente abrogata in virtù della novità legislativa poco sopra illustrata, con la conseguenza per cui, ai fini della validità formale dell'atto di pignoramento presso terzi, non sarebbe stata (più) consentita una indicazione meramente generica delle cose o somme dovute dal debitor debitoris, rendendosi anzi necessaria una identificazione circostanziata: solo in tal modo, infatti, sarebbe stato possibile ricollegare all'omessa comparizione di tale soggetto all'udienza gli effetti propri della ficta confessio.

Né dottrina né giurisprudenza, tuttavia, si sono pronunciate in tal senso.

La composizione tra le due norme, piuttosto, è stata trovata in ciò, che laddove il creditore procedente aspirasse a beneficiare degli effetti di ficta confessio derivanti dall'omessa comparizione del terzo all'udienza, egli non si potesse limitare, in sede di atto di pignoramento, a indicare genericamente le cose o somme dovute, essendo tenuto a specificare quantomeno la causa petendi, ossia il titolo costitutivo di tale pretesa.

Discorso diverso, invece, si poneva con riguardo al quantum della pretesa oggetto di pignoramento: in caso di sua omessa o insufficiente puntualizzazione, infatti, non sarebbe stata esclusa la possibilità di considerare comunque il credito come non contestato e procedere alla assegnazione.

La soluzione sposata dal d.l. 13 giugno 2015, n. 83

L'interpretazione elaborata successivamente all'entrata in vigore della riforma del 2012, ha trovato un'espressa consacrazione normativa con il d.l. 13 giugno 2015, n. 83 (conv. in l. 6 agosto 2015, n. 132), che, intervenendo sul testo dell'art. 548 c.p.c., ha precisato come gli effetti di non contestazione derivanti dalla mancata dichiarazione del debitor debitoris si verifichino laddove «l'allegazione del creditore consent[a] l'identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore in possesso del terzo».

Tale precisazione - unitamente al permanente vigore dell'art. 543, comma 2, n. 2), c.p.c. - vale a confermare espressamente come l'atto di pignoramento presso terzi sia formalmente valido anche laddove contenga una indicazione meramente generica delle cose o somme dovute dal terzo; e come un'indicazione precisa e circostanziata si renda indispensabile (non già ai fini della validità di tale atto, bensì) solo ai fini di assicurare al creditore la possibilità di lucrare, successivamente, dell'eventuale condotta omissiva del debitor debitoris, nel senso di poter ricollegare alla stessa i descritti effetti di ficta confessio, legittimando conseguentemente il giudice dell'esecuzione a procedere immediatamente a norma degli artt. 552 o 553 c.p.c..

È opportuno solo precisare come il meccanismo di non contestazione, a fronte della mancata dichiarazione del terzo, non sia destinato a operare sempre e comunque.

La gravità delle conseguenze che la legge ricollega alla ficta confessio, infatti, implica che tale fattispecie possa considerarsi integrata soltanto dove sussista la piena certezza del contegno omissivo del terzo.

Dunque, da un lato, di ficta confessio non si potrà parlare nei casi ove il creditore procedente dichiari all'udienza, absente tertio, di non aver ricevuto la dichiarazione ex art. 547 c.p.c.. La prova dell'omessa dichiarazione del terzo sarebbe difatti, nella circostanza, affidata alla unilaterale attestazione del creditore procedente, ossia di un soggetto direttamente interessato alla positiva verificazione della fattispecie in questione. D'altro lato, neppure può assegnarsi un significato dirimente all'assenza del terzo all'udienza, ben potendosi trattare di scelta dettata dal fatto di aver già reso la richiesta dichiarazione nelle forme di cui all'art. 547 c.p.c..

Dunque, se all'udienza il creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione del terzo e quest'ultimo risulti assente, il giudice sarà tenuto a fissare una nuova e successiva udienza, espressamente deputata a raccogliere la dichiarazione del terzo. Solo a tal punto - essendo espressamente chiamato a rendere la propria dichiarazione in quell'udienza senza alternative di sorta -, ben sarà possibile, e finalmente, riconoscere alla scelta del debitor debitoris di astenersi dal prendervi parte il significato di non contestazione del credito pignorato - o dell'appartenenza al debitore del bene pignorato a mani del terzo -: con tutte le conseguenze procedurali già illustrate, in termini di perfezionamento del vincolo di pignoramento e ammissibilità degli ulteriori svolgimenti dell'esecuzione.

Si ricorda, infine, che all'omessa comparizione in udienza del terzo, la legge espressamente equipara, ai fini in discorso, il caso del rifiuto, opposto dal terzo, di rendere la dichiarazione all'udienza in cui, viceversa, sia debitamente comparso.

Guida all'approfondimento
  • Briguglio, Note brevissime sull'“onere di contestazione” per il terzo pignorato (nuovo art. 548 c.p.c.), in www.judicium.it;
  • Montanari, Sui limiti di revocabilità del riconoscimento (effettivo o presunto) del credito pignorato nel nuovo sistema dell'espropriazione presso terzi, in Giusto processo civile, 2014;
  • Saletti, Le novità dell'espropriazione presso terzi, in www.judicium.it;
  • Saletti, sub art. 548 c.p.c., in Saletti-Vanz-Vincre, Le nuove riforme dell'esecuzione forzata, Torino, 2016.

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