Omessa o ritardata fissazione degli obiettivi di retribuzione variabile: finzione di avveramento o responsabilità risarcitoria da inadempimento?

Francesco Pedroni
27 Marzo 2018

In ipotesi di mancata fissazione degli obiettivi cui il pagamento della retribuzione variabile contrattualmente concordata è subordinato, non trova applicazione l'art. 1359 c.c.. Tale norma riguarda, infatti, la condizione in senso tecnico, ossia un evento futuro e incerto dall'avveramento del quale viene fatta dipendere l'efficacia del negozio giuridico, mentre la fattispecie riguarda un'obbligazione contrattuale accessoria e strumentale per ricevere il premio aziendale annuale. Nel caso in cui il contratto di lavoro o il regolamento aziendale non richieda una particolare formalità di comunicazione degli obiettivi collegati alla retribuzione variabile risulta astrattamente ammissibile una definizione degli obiettivi comunicata verbalmente.
Massima

In ipotesi di mancata fissazione degli obiettivi cui il pagamento della retribuzione variabile contrattualmente concordata è subordinato, non trova applicazione l'art. 1359 c.c.. Tale norma riguarda, infatti, la condizione in senso tecnico, ossia un evento futuro e incerto dall'avveramento del quale viene fatta dipendere l'efficacia del negozio giuridico, mentre la fattispecie riguarda un'obbligazione contrattuale accessoria e strumentale per ricevere il premio aziendale annuale.

Nel caso in cui il contratto di lavoro o il regolamento aziendale non richieda una particolare formalità di comunicazione degli obiettivi collegati alla retribuzione variabile risulta astrattamente ammissibile una definizione degli obiettivi comunicata verbalmente.

Il caso

Un lavoratore agiva nei confronti dell'azienda datrice di lavoro chiedendo, tra l'altro, il pagamento della quota variabile della retribuzione per gli anni 2013 e 2014. In primo grado il Tribunale di Milano rigettava la domanda dopo aver rilevato che gli obiettivi minimi di ordinativi relativi agli anni in questione erano stati fissati verbalmente nel corso di una riunione e dopo aver accertato che il ricorrente non aveva raggiunto la soglia minima di ordini stabilita secondo le stesse allegazioni contenute nel ricorso.

Il lavoratore impugnava la sentenza in appello contestando la conclusione cui il Giudice di primo grado per cui anche in ipotesi di omessa fissazione di obiettivi non vi sono elementi per riconoscere il pagamento della retribuzione variabile invocando l'art. 1359 c.c., non essendo la fissazione di obiettivi una condizione contrattuale in senso proprio.

La questione

Si tratta di stabilire quali siano le conseguenze dell'omissione di comunicazione tempestiva, da parte del datore di lavoro, degli obiettivi (individuali e/o aziendali) periodici da cui dipende il pagamento della retribuzione variabile. In particolare, il problema principale che si pone è se il lavoratore abbia, in tale caso, diritto comunque alla retribuzione variabile in applicazione della c.d. “finzione di avveramento della condizione” secondo il meccanismo di cui all'art. 1359 c.c., ovvero al solo risarcimento del danno secondo le regole generali sull'inadempimento contrattuale (art. 1218 c.c.).

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Appello di Milano, dopo aver riconosciuto che, in assenza di disposizioni contrarie da parte del contratto di lavoro o del regolamento aziendale, gli obiettivi per la corresponsione dei premi aziendali possano essere comunicati anche solo verbalmente ai dipendenti (con quindi ammissibilità della prova orale sulla circostanza), ha rigettato l'appello del lavoratore ritenendo provata la fissazione di obiettivi non raggiunti dall'appellante sulla base delle risultanze istruttorie di primo grado e delle deduzioni contenute nel ricorso.

Ciò premesso, il Collegio ha ritenuto di esaminare comunque la doglianza del ricorrente che, negando l'avvenuta comunicazione degli obiettivi da parte del datore di lavoro, invocava la c.d. “finzione di avveramento della condizione” secondo il meccanismo di cui all'art. 1359 c.c..

Il Giudice di secondo grado rigettava l'appello precisando che anche laddove si escludesse l'avvenuta fissazione degli obiettivi l'art. 1359 c.c. non troverebbe comunque applicazione. Ciò in quanto la comunicazione degli obiettivi da parte del datore di lavoro non costituisce una condizione in senso tecnico, ma un'obbligazione accessoria e strumentale e l'adempimento di un'obbligazione non può mai integrare un elemento accessorio del contratto. La mancata assegnazione degli obiettivi integra, quindi secondo la decisione della Corte, un vero e proprio inadempimento (in quanto il datore di lavoro obbligato ad assegnare gli obiettivi) e, pertanto, rimane del tutto estranea al meccanismo dell'art. 1359 c.c.. Tale norma potrebbe essere invocata solo nel caso in cui, una volta assegnati gli obiettivi, il datore di lavoro ponesse in essere condotte fraudolenti dirette ad impedire al lavoratore di raggiungere risultati previsti.

Osservazioni

La pronuncia della Corte d'Appello in commento richiama il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, anche con specifico riferimento alla previsione contenuta nel contratto di lavoro di concordare ogni anno gli obiettivi rilevanti per il pagamento della retribuzione incentivante, l'inadempimento del datore di lavoro rimane regolato dagli artt. 1218 e 1223 c.c.. Pertanto, le conseguenze di tale inadempimento sono di natura risarcitoria secondo gli ordinari principi civilistici (Cass. civ., sez. lav., 19 giugno 2014, n. 13959 che richiama Cass. civ., S.U., n. 6572/ 2006, in fattispecie in cui era previsto il termine del 31 marzo per tale adempimento; nello stesso senso anche Trib. Milano, 16 giugno 2017, n. 1778).

La Corte d'Appello di Milano illustra quindi la distinzione tra obbligazione accessoria e condizione in senso tecnico negando che la comunicazione degli obiettivi costituisca condizione in senso tecnico. Ed in effetti, la tempestiva comunicazione degli obiettivi sembra costituire più elemento principale e presupposto del sinallagma contrattuale che elemento accidentale del negozio giuridico da cui dipende l'efficacia dello stesso (come invece il raggiungimento degli obiettivi). In questi termini si era già espresso il Tribunale di Milano laddove aveva affermato che la previsione in sede di contratto individuale di un bonus da corrispondersi al raggiungimento di obiettivi che saranno fissati a cura del datore di lavoro fa sorgere in capo al lavoratore un diritto soggettivo perfetto per la cui realizzazione occorre il concorrente adempimento di due obbligazioni, quella del datore di lavoro consistente nella fissazione e comunicazione degli obiettivi e quello del lavoratore relativa al raggiungimento degli obiettivi stessi; l'inadempimento della prima obbligazione dà titolo a un risarcimento del danno che può essere liquidato in via equitativa considerando la media dei bonus percepiti negli anni precedenti (Trib. Milano, 20 maggio 2008, in un caso in cui gli obiettivi erano stati comunicati in ottobre; nello stesso senso anche Trib. Milano, 18 febbraio 2013, n. 4449; Trib. Bergamo, 1 giugno 2017, n. 484).

Esiste peraltro un diverso orientamento che ritiene che la comunicazione degli obiettivi costituisca condizione in senso tecnico con seguente applicazione degli artt. 1358 e 1359 c.c.. Secondo tale impostazione, atteso che ai sensi dell'art. 1359 c.c., la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all'avveramento della stessa, e che ai sensi dell'art. 1358 c.c. sussiste il dovere di lealtà e correttezza delle parti nell'intero arco di tempo di pendenza della condizione, nell'ipotesi in cui il raggiungimento degli obiettivi, condizione per il riconoscimento della retribuzione variabile, sia divenuto impossibile a causa del comportamento omissivo del datore di lavoro, sussiste il diritto del lavoratore a percepire la retribuzione variabile (Corte di app. Milano, 21 novembre 2007 e Trib. Milano, 16 maggio 2007, in un caso in cui gli obiettivi erano stati comunicati a luglio poco prima della chiusura feriale aziendale; Trib. Monza, 16 giugno 2016, n. 380). In questi casi i Giudici hanno riconosciuto il diritto dei lavoratori a percepire la retribuzione variabile nell'ammontare massimo ovvero in misura media rispetto agli ultimi anni (il Tribunale di Monza).

Tale ultimo orientamento non sembra però convincente non solo partendo dalla ricostruzione del sinallagma negoziale specifico, ma anche considerando che il meccanismo della finzione di avveramento della condizione di cui all'art. 1359 c.c. trova applicazione nella sola ipotesi di condizione casuale (il cui avveramento dipende, cioè, dal caso o dalla volontà di terzi) o di condizione mista (il cui avveramento dipende in parte dal caso o dalla volontà dei terzi, in parte dalla volontà di uno dei contraenti), ma non nell'ipotesi di condizione potestativa semplice o impropria. Tale principio, affermato in fattispecie in cui il pagamento del bonus era condizionato discrezionalmente al giudizio positivo del legale rappresentante dell'azienda datrice di lavoro (Cass. civ., sez. lav., 4 aprile 2013, n. 8172), o in cui il pagamento era condizionato alla permanenza del rapporto di lavoro (Cass. civ., sez. lav., 5 giugno 1996, n. 5243), dovrebbe applicarsi anche al caso di mancata fissazione degli obiettivi nell'ipotesi in cui si ritenga costituire condizione in senso tecnico.

Merita, infine, di essere segnalato l'ulteriore intervento di Cass. civ., sez. lav., 16 giugno 2009, n. 13953 che, in fattispecie di bonus basato su obiettivi concordati di anno in anno senza determinazione degli stessi negli anni successivi al primo, ritiene che la relativa clausola si presenti con un oggetto indeterminato tale da determinarne la sua nullità ai sensi dell'art. 1346 c.c. o, al più, la sua interpretazione come istitutiva di un obbligo a trattare. Conseguentemente, secondo tale pronuncia, il lavoratore non può invocare la determinazione equitativa da parte del Giudice ai sensi degli artt. 2099 c.c. e 432 c.p.c., in quanto tale domanda richiede pur sempre l'esistenza del diritto e una clausola come quella in questione ha come suo elemento necessario, oltre all'entità del compenso, anche l'individuazione del tipo degli obiettivi e della loro entità che non possono essere stabiliti giudizialmente.

In sintesi, dall'esame dei ragionamenti giurisprudenziali sull'argomento, la soluzione al problema giuridico può essere ritrovata in una via mediana: ritenendo che, in caso di retribuzione variabile soggetta a obiettivi periodici, il diritto del lavoratore al pagamento di tale retribuzione si perfezioni solo con la determinazione (unilaterale o consensuale) degli obiettivi, ma rimanga sospensivamente condizionato al raggiungimento degli stessi da parte del lavoratore. Nel caso in cui gli obiettivi non vengano determinati (o vengano determinati in ritardo) il lavoratore non avrà diritto al pagamento della retribuzione variabile, ma il risarcimento del danno derivante dall'inadempimento datoriale, la cui quantificazione potrà essere effettuata prendendo come riferimento l'entità massima del variabile previsto ovvero quanto è stato erogato a tale titolo negli anni precedenti.

Quanto agli aspetti probatori la medesima giurisprudenza sopra citata ritiene che dall'inadempimento datoriale non derivi automaticamente l'esistenza del danno, ma compete a chi se ne duole allegare e provare effettività ed entità del pregiudizio (Cass. civ., sez. lav., 19 giugno 2014, n. 13959; Trib. Milano, 16 giugno 2017, n. 1778). Più in particolare, il lavoratore, allorché agisca in giudizio per chiedere il pagamento del bonus, deve allegare e dimostrare quali obiettivi avrebbero potuto essere ragionevolmente fissati dall'azienda e che «avrebbe avuto una concreta, effettiva e non ipotetica probabilità di poterli raggiungere» (App. Genova, 4 luglio 2013, in fattispecie di sospensione del piano MBO a causa di crisi economica finanziaria che aveva interessato il Gruppo imprenditoriale). Ancor più in particolare, secondo la recentissima Cass. civ., sez. lav., 30 gennaio 2018, n. 2293, il lavoratore deve dimostrare il pregiudizio subito per mezzo di una valutazione ex ante da ricondursi «al momento in cui comportamento illecito ha inciso» sulla relativa possibilità di conseguimento del risultato «in termini di condotta dannosa potenziale»: la prova quindi consiste in un giudizio di tipo prognostico avente ad oggetto il nesso causale tra omissione di fissazione degli obiettivi e concreta incisione sulla possibilità di ottenere il bonus e la quantificazione del danno (che non è in re ipsa, ma deve anch'essa basarsi su elementi concreti).

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