Compenso dell'avvocato nel procedimento di concordato preventivo
29 Marzo 2018
Massima
Affinché il professionista che abbia prestato assistenza giudiziale possa avere diritto ad un distinto compenso per le prestazioni stragiudiziali, ai sensi dell'art. 2 del d.m. n. 127/2004 (norma applicabile ratione temporis) è necessario che tali prestazioni non siano connesse e complementari con quelle giudiziali. Di conseguenza, ove sussista tale connessione, gli competerà solo il compenso per l'assistenza giudiziale, se del caso maggiorato in relazione alle questioni giuridiche trattate e all'importanza della causa, nonché ai risultati del giudizio, anche non patrimoniali, e all'urgenza richiesta. Il caso
L'avvocato R.W. richiede l'ammissione al passivo del fallimento per l'importo di € 244.562,86, quale compenso per l'attività di rappresentanza, assistenza e difesa prestata in favore di una società ai fini della presentazione di una domanda di ammissione al concordato preventivo, società, poi, fallita. Nella formazione dello stato passivo, però, non viene accolta la domanda dell'avvocato, il quale propone opposizione, ma, con decreto del 29 giugno 2011, il tribunale di Santa Maria Capua Vetere rigetta l'opposizione. Da quanto si evince dalla motivazione, l'istanza di ammissione al passivo distingueva il compenso per attività giudiziali ed attività stragiudiziali. Il rigetto, da parte del tribunale, della base di calcolo utilizzata dall'avvocato R.W. si basa su di una considerazione di fondo. Deve essere «esclusa l'applicabilità della tariffa stragiudiziale, rilevando che le attività svolte risultavano in parte tipicamente giudiziali, in parte connesse e complementari alla redazione della domanda di ammissione al concordato, e quindi riconducibili alla tariffa giudiziale». Oltre a questa motivazione, il tribunale osservava, poi, che il ricorrente non aveva fornito la prova di aver compiuto anche attività che giustificassero l'applicazione della tariffa stragiudiziale. L'istanza di ammissione al passivo fallimentare dell'avvocato R.W., poi, risultava censurabile anche sotto altro aspetto e cioè in riferimento alla richiesta di collocazione fra le spese in prededuzione ex art. 111 l. fall.. Osserva il tribunale, infatti, che «il giudice delegato avesse correttamente individuato lo scaglione tariffario applicabile, anche alla stregua della sentenza della Corte di cassazione 9 gennaio 2004, n. 121, precisando infine che il credito non avrebbe potuto essere ammesso in prededuzione ai sensi del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 111, ma solo in via privilegiata, ai sensi dell'art. 2751-bis c.c.». L'opponente, a questo punto, non trovando soddisfazione alle proprie richieste, propone ricorso per cassazione, articolato in due motivi. Il curatore del fallimento resiste con controricorso. La questione
La questione riguarda un problema più volte affrontato in sede di merito e di legittimità e riguarda la connessione che vi è fra attività di carattere stragiudiziale ed attività di carattere giudiziale. Orbene, il ragionamento adottato per decidere se si sia in presenza di attività stragiudiziale o giudiziale o se vi possa essere luogo ad una distinzione a fini tariffari delle due prestazioni, risiede nella connessione fra le stesse. Infatti, le attività stragiudiziali eventualmente compiute per la presentazione della domanda di concordato preventivo sono, oltreché nel caso di specie, per loro natura, strettamente connesse a quelle giudiziali. Da questa semplice ed incontestabile argomentazione risulta del tutto chiaro che le prime andranno liquidate unitamente alle seconde in base alla tariffa giudiziale vigente ratione temporis per la prestazione dedotta. In altri termini appare del tutto ovvio che le attività, da sole considerate, e consistenti nella partecipazione ad incontri con il liquidatore della società in crisi e con gli altri professionisti, siano necessarie e del tutto complementari a quelle relative direttamente allo studio della controversia, alla redazione ed al deposito del ricorso che propone il concordato ed alle fasi successive dell'intero procedimento. Di conseguenza è del tutto giustificata la sussunzione nell'ambito di un'unica prestazione complessa avente ad oggetto la rappresentanza e la difesa tecnica della debitrice nell'ambito della procedura concorsuale. Le soluzioni giuridiche
Con il primo motivo «il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del d.m. 8 aprile 2004, n. 127, artt. 3 e 5, e dell'art. 36 Cost., nonché l'omissione, l'insufficienza e la contraddittorietà della motivazione, osservando che, nel ritenere inapplicabile la tariffa stragiudiziale, il decreto impugnato non ha tenuto conto dell'inadeguatezza dell'importo liquidato e della natura della procedura di concordato preventivo, avente carattere concorsuale e giudiziale, ma riconducibile alla volontaria giurisdizione e solo eventualmente contenziosa. Il tribunale ha frazionato le attività svolte da esso ricorrente, confluite invece in una prestazione unitaria, contraddistinta da elementi sia giudiziali che stragiudiziali, inseparabili tra loro, con la conseguente riconducibilità alla Tabella D, n. 4 della tariffa stragiudiziale; nell'applicazione di tale tariffa, occorre assumere come parametro il passivo dell'impresa in crisi, e non già la percentuale che il concordato mira a soddisfare, trattandosi di una procedura volta a liberare interamente il debitore, mentre, avuto riguardo alla complessità dell'attività richiesta, non può attribuirsi alcun rilievo all'esito negativo dell'iniziativa, né alla collaborazione prestata da altri professionisti».
In risposta a questa prima doglianza il Giudice di legittimità né rileva l'infondatezza e l'inammissibilità.
Osserva la Corte che si deve escludere l'applicazione della tariffa stragiudiziale ogniqualvolta quella attività sia strettamente connessa alla successiva e conseguente attività giudiziale: «L'esclusione dell'applicabilità della tariffa stragiudiziale ai fini della liquidazione del compenso dovuto al ricorrente per l'attività professionale prestata in vista della predisposizione della domanda di ammissione al concordato preventivo costituisce infatti puntuale applicazione del principio, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui tutte le attività strettamente connesse e complementari all'introduzione ed allo svolgimento della predetta procedura, anche se svolte al di fuori della stessa, non danno luogo al riconoscimento del compenso previsto per le prestazioni stragiudiziali, risultando quest'ultimo applicabile soltanto quando, per la natura della procedura e la specificità dell'attività, le predette attività non trovino adeguato corrispettivo nella tariffa relativa alle prestazioni giudiziali».
Questo principio trova puntuale enunciazione in riferimento alle tariffe professionali approvate con il d.m. 24 novembre 1990, n. 392, e con il d.m. 5 ottobre 1994, n. 585 nonché in riferimento alla disciplina applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, dettata dal d.m. n. 127/2004. Quest'ultimo d.m., all'art. 2, in riferimento all'applicazione della tariffa stragiudiziale, prevede che i rimborsi ed i compensi dalla stessa previsti «sono dovuti dal cliente anche se il professionista abbia prestato nella pratica la sua opera in giudizio, sempre che tali prestazioni non trovino adeguato compenso nella tariffa per le prestazioni giudiziali». Questo significa che, salvo casi eccezionali, «le attività diverse da quelle svolte nell'ambito del processo, ma normalmente collegate alle stesse, trovano il loro corrispettivo nell'importo liquidato in base ai criteri previsti dalla tariffa giudiziale, se del caso maggiorato in relazione alle questioni giuridiche trattate ed all'importanza della causa, nonché ai risultati del giudizio, anche non patrimoniali, ed all'urgenza richiesta».
A conferma dell'argomentazione della Corte, la stessa rileva che questo principio trova applicazione anche nelle vigenti tabelle introdotte dal d.m. 20 luglio 2012, n. 140, che ha stabilito i parametri per la liquidazione giudiziale dei compensi, in attuazione del nuovo regime introdotto dal d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, conv. con modif. nella l. 24 marzo 2012, n. 17.
Infatti, l'art. 11 del detto decreto ministeriale ribadisce il carattere omnicomprensivo dell'importo risultante dall'applicazione delle tabelle e ciò si evince chiaramente dal richiamo dell'art. 1, comma 3, ove si legge che «i compensi liquidati comprendono l'intero corrispettivo per la prestazione professionale, incluse le attività accessorie alla stessa», precisando, al successivo comma 8, che «il compenso, ai sensi dell'art. 1, comma 3, comprende ogni attività accessoria, quali, a titolo di esempio, gli accessi agli uffici pubblici, le trasferte, la corrispondenza anche telefonica o telematica o collegiale con il cliente, le attività connesse a oneri amministrativi o fiscali, le sessioni per rapporti con colleghi, ausiliari, consulenti, magistrati».
Con queste chiare parole, la Corte, definisce ed inquadra la fattispecie, affermando che «Non merita pertanto censura il decreto impugnato, nella parte in cui ha escluso la possibilità di liquidare separatamente il compenso richiesto per le attività stragiudiziali compiute ai fini della presentazione della domanda di concordato preventivo, dando atto della stretta connessione esistente tra le stesse e quelle giudiziali indicate dal ricorrente, già remunerate attraverso il riconoscimento dell'importo liquidato in base alla tariffa giudiziale. La natura delle predette attività, consistenti nella partecipazione ad incontri con il liquidatore della società in crisi e con gli altri professionisti che l'assistevano, confermandone il rapporto di complementarità con quelle riguardanti direttamente lo studio della controversia, la redazione ed il deposito del ricorso e la partecipazione alle fasi successive del procedimento, consente infatti di ritenerne giustificata l'aggregazione in un'unica prestazione complessa, avente ad oggetto la rappresentanza tecnica e la difesa della debitrice nell'ambito della procedura concorsuale, facendo pertanto apparire legittima la liquidazione di un compenso unitario, determinato in base ai soli criteri contemplati dalla tariffa giudiziale».
Quanto, poi, alla doglianza circa l'adeguatezza dell'importo in riferimento all'attività svolta ed allo scaglione di riferimento utilizzato, questa è del tutto inammissibile in sede di legittimità, in quanto non aveva formato oggetto di esame da parte del decreto impugnato. Una contestazione di tale specie, infatti, esige un esame di fatto, nel merito, come tale non proponibile per la prima volta in sede di legittimità.
La seconda doglianza, poi, si rivolge alla richiesta ricomprensione del compenso fra le spese cosiddette in prededuzione in sede fallimentare, come previsto dall'art. 111 l. fall..
Sostiene, infatti, il ricorrente che «nell'escludere la prededucibilità del credito, il decreto impugnato non ha considerato che lo stesso è sorto, se non in occasione, quanto meno in funzione della procedura concorsuale. A tal fine, non può farsi alcuna distinzione tra crediti strumentali e crediti funzionali, non prevista dalla legge, né alcun riferimento al decreto di ammissione al concordato, dovendosi invece tener conto del deposito della domanda; né il credito deve essere necessariamente sottoposto al vaglio degli organi della procedura, trattandosi di un controllo non previsto per tutti i crediti di massa e di un credito derivante da un'attività necessaria per la proposizione della domanda di concordato, rispetto al quale resta irrilevante l'esito della procedura».
Anche questa doglianza, per la Corte, è del tutto inammissibile. Infatti, tale domanda, in sede di vaglio del giudice dell'opposizione allo stato passivo, era del tutto assorbita dalla conferma del rigetto dell'ammissione al passivo stesso e come tale del tutto ininfluente sulla decisione del caso di specie. Pertanto a nulla poteva rilevare in quella sede, come in questa di legittimità, il fatto che al compenso del professionista potesse essere riconosciuta o meno la collocazione in prededuzione ai sensi dell'art. 111 l. fall., come, invero, viene riconosciuto dalla giurisprudenza stessa (da ultimo vedi Cass. civ., 21 novembre 2017, n. 27694).
La conseguenza è, ovviamente, il rigetto del ricorso in sede di legittimità con la conseguente condanna alle spese di giudizio. Osservazioni
La Cassazione qui ribadisce un principio consolidato in materia e dettato, oltre che dalla applicazione delle norme, anche da un evidente principio di “buon senso” derivante dai principi generali in materia per i quali la prestazione del professionista, non solo l'avvocato, ha per sua natura carattere unitario, se riferita ad una unica questione, anche se complessa ed articolata in più fasi. A ben vedere questo è anche il principio oramai consolidato, sia in dottrina che in giurisprudenza, sulla applicabilità delle norme regolatrici del contratto in base al criterio della prevalenza qualora ci si trovi di fronte a fattispecie complesse o atipiche. Si applicheranno le norme che possano essere riferite alla natura prevalente del contratto. Analogamente, nella fattispecie in commento, si applicherà la tariffazione riferita all'attività prevalente, che, nel caso che qui interessa, è evidentemente giudiziale essendo sfociata nella proposizione di una domanda giudiziale, appunto, di ammissione ad una procedura di concordato preventivo, per la quale è stata prestazione l'attività del professionista, anche se, anatomicamente analizzata, possa aver avuto aspetti sia di carattere stragiudiziale che giudiziale. Qui, infatti, l'attività prestata è sfociata, come suo fine, nella proposizione di una domanda di concordato preventivo, per sua natura di carattere prettamente giudiziale e, pertanto, è a questa natura e solo a questa che si dovrà far riferimento per l'applicazione dei parametri per calcolare il compenso per l'attività professionale prestata. |