Danno da lucro cessante ai congiunti: criteri di liquidazione, modalità di calcolo e di detrazione degli acconti
30 Marzo 2018
IL CASO La moglie ed il figlio di un uomo deceduto a seguito di un sinistro stradale, allorché il suo motociclo si era scontrato con un autocarro, promuovono azione di risarcimento del danno nei confronti del responsabile del sinistro e della sua assicurazione. Nel corso del giudizio intervengono i genitori della vittima ed i fratelli. Il Tribunale di Como accoglie la domanda stabilendo un concorso di colpa pari al 50%. Nel successivo giudizio d'appello viene considerato eccessivo sia il risarcimento alla moglie della vittima, poiché il giudice di merito non aveva tenuto conto che la stessa aveva poi contratto un secondo matrimonio poco tempo dopo la morte del marito, sia quello nei confronti del figlio, in considerazione del fatto che il minore avesse solo otto mesi all'epoca della morte del tanto, e che pertanto non aveva un ricordo del padre. Inoltre viene negato il danno alla salute di natura psichica a favore della moglie, ma è riconosciuto invece il risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante, per la perdita del sostegno economico dell'uomo. I congiunti della vittima impugnano la sentenza per cassazione.
GLI ERRORI DELLA CORTE TERRITORIALE La Suprema Corte ritiene fondato il terzo motivo del ricorso principale, con cui i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sia affetta da violazione di legge ex art. 360, n. 3, c.p.c., in particolare di violazione degli artt. 111, comma 6, Cost. e 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c. La Corte d'appello, nel liquidare il danno patrimoniale da lucro cessante, avrebbe da un lato trascurato di considerare che, a causa della giovane età della vittima, il suo reddito si sarebbe incrementato negli anni a venire, senza altresì rivalutare il reddito goduto dalla vittima all'epoca della morte alla data della decisione, avvenuta sei anni dopo.
LIQUIDAZIONE DEL DANNO DA LUCRO CESSANTE SOTTO FORMA DI CAPITALE La Corte ricorda che l'uccisione di un congiunto può causare ai suo familiari un danno patrimoniale da lucro cessante, che può essere liquidato sotto forma di rendita vitalizia o sotto forma di capitale, ed in quest'ultimo caso: deve essere determinato il reddito della vittima al momento della morte; deve essere detratta la quota presumibilmente destinata ai bisogni personali della vittima, o al risparmio; deve essere moltiplicato il risultato per:
LIQUIDAZIONE DEL DANNO FUTURO PER LA MORTE DI UN CONGIUNTO Fermo restando il principio dell'indifferenza, che postula che «la liquidazione deve comprendere tutto il danno, e nient'altro che il danno», la Cassazione ricorda poi il ventennale principio di diritto secondo cui «nella liquidazione del danno futuro per la morte di un congiunto che con certezza o con rilevante grado di probabilità avrebbe continuato ad elargire ai superstiti durevoli e costanti sovvenzioni, il giudice deve tenere conto non solo del reddito della vittima al momento del sinistro, ma anche dei probabili incrementi di guadagno dovuti (...) allo sviluppo della carriera ed ad altri consimili eventi che con prudente apprezzamento e sulla base dell'”id quod plerumque accidit” si sarebbero verificati» (Cass. civ., n. 8177/1994).
VIOLAZIONE DELL'ART. 1223 C.C. La Suprema Corte ritiene, dunque, che porre a base del calcolo di capitalizzazione l'ultimo reddito goduto dalla vittima senza alcun incremento futuro costituisce una violazione dell'art. 1223 c.c., affermando però che il giudice del invio, nella rideterminazione dell'importo, non potrà non tener conto delle seconde nozze della moglie.
LIQUIDAZIONE DEL DANNO DA LUCRO CESSANTE: IL PRINCIPIO DI DIRITTO La Cassazione enuncia poi il seguente principio di diritto al quale i giudici dovranno attenersi nella liquidazione del danno da lucro cessante: «La liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante, patito dalla moglie e dal figlio di persona deceduta per colpa altrui, e consistente nella perdita delle elargizioni erogate loro dal defunto, se avviene in forma di capitale e non di rendita, va compiuta, per la moglie, moltiplicando il reddito perduto dalla vittima per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie, corrispondente all'età del più giovane tra i due; e per il figlio in base ad un coefficiente di capitalizzazione d'una rendita temporanea, corrispondente al numero presumibile di anni per i quali si sarebbe protratto il sussidio paterno; nell'uno, come nell'altro caso, il reddito da porre a base del calcolo dovrà comunque: (a) essere equitativamente aumentato, per tenere conto dei presumibili incrementi che il lavoratore avrebbe ottenuto, se fosse rimasto in vita; (b) essere ridotto della quota di reddito che la vittima avrebbe destinato a sé, del carico fiscale e delle spese per la produzione del reddito».
DETRAZIONE DEI PAGAMENTI IN ACCONTO: IL PRINCIPIO DI DIRITTO Infine la Corte si sofferma sulle conseguenze della mora sulle obbligazioni di valore, nel caso soprattutto di pagamenti in acconto, ricordando la pronuncia della Cassazione, a Sezioni Unite, n. 1712/1995, ed enuncia il seguente principio di diritto: «la liquidazione del danno da ritardato adempimento d'una obbligazione di valore, nel caso in cui il debitore abbia pagato un acconto prima della liquidazione definitiva, deve avvenire: (a) devalutando l'acconto e il credito alla data dell'illecito; (b) detraendo l'acconto dal credito; (c) calcolando gli interessi compensativi individuando un saggio scelto in via equitativa, ed applicandolo sull'intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo che va dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto; sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto, rivalutata anno per anno, per il periodo che va dal suo pagamento fino alla liquidazione definitiva».
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