L'inammissibilità della prova testimoniale è rilevabile d'ufficio
05 Aprile 2018
Massima
La mancanza di indicazione specifica dei fatti nella deduzione della testimonianza, in quanto requisito di rilevanza della prova, è rilevabile d'ufficio dal giudice e rende inammissibile la testimonianza medesima. Il caso
La quaestio juris trae origine dalla testimonianza dedotta dalla parte interessata e non disposta dai giudici di primo e secondo grado, avente ad oggetto circostanze generiche in quanto prive di riferimenti a fatti di causa ed implicanti valutazioni, con capitoli che non indicavano gli elementi di fatto da cui il teste avrebbe mutuato il proprio convincimento, essendo altresì generici nella delimitazione dello stesso contesto temporale, tanto da impedire la formulazione di prova contraria, e valutativi. La questione
Con l'unico motivo di ricorso per cassazione, si denuncia violazione degli artt. 244 e 157 c.p.c., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in base al rilievo secondo cui i vizi di genericità e valutatività dei capitoli di prova testimoniale devono essere eccepiti dalla parte interessata nella prima difesa successiva alla loro deduzione, pena l'acquiescenza, mentre in primo grado, era stato dedotto genericamente che i capitoli di prova apparivano inammissibili e comunque irrilevanti, senza nulla specificare in ordine all'inammissibilità, sicchè in appello poteva essere riproposta solo la medesima censura proposta in primo grado, e non altra diversa. Pertanto i ricorrenti concludono che il giudice di appello non avrebbe potuto rilevare d'ufficio la genericità od il carattere valutativo delle circostanze dedotte con la prova testimoniale.
Le soluzioni giuridiche
Il ricorso viene rigettato dai Giudici di legittimità perché il motivo è giudicato manifestamente infondato. Il giudice di merito ha infatti reputato inammissibile la testimonianza in quanto non relativa a specifici fatti e dunque implicante mere valutazioni. La specifica indicazione dei fatti non attiene al piano della validità della prova, ma a quello preliminare del giudizio di rilevanza, ragione per cui una testimonianza articolata non in fatti specifici, ma in valutazioni, è irrilevante dal punto di vista della sua efficacia probatoria. La Cassazione con riferimento alla vicenda esaminata, precisa che la ratio dell'art. 244 c.p.c. va individuata, oltre che nell'esigenza di mettere la controparte in condizione di eccepire l'irrilevanza o l'inammissibilità della prova e di dedurre la prova contraria, nella necessità di consentire al giudice la formulazione del giudizio preliminare di rilevanza. A tale fine è richiesta la specificità nell'indicazione dei fatti, essendo tale l'indicazione che consente al giudice di stabilire, in relazione al particolare thema probandum della lite, se i fatti indicati ad oggetto della prova sono rilevanti ai fini della decisione, per contro, non è specifica l'indicazione che non consenta al giudice di formulare tale valutazione. In tale ottica, l'indicazione che soddisfa le esigenze del giudice soddisfa anche quelle della controparte, poichè in capo ad essa nascono l'interesse ed il potere di controdedurre in quanto la prova sia dedotta in modo che se ne possa apprezzare la rilevanza. Conseguentemente, la Cassazione rileva che nella fattispecie esaminata, il giudice non ha ammesso la prova in quanto, non potendone valutare la rilevanza, non poteva fare altro che dichiararla irrilevante, trattandosi non dell'inammissibilità conseguente ad una decadenza o ad una regola di validità dell'atto processuale come quella della capacità a testimoniare, ma dell'inammissibilità relativa al preliminare giudizio, rispetto a quello di nullità, di rilevanza stessa del mezzo di prova. Pertanto, nella fattispecie esaminata, la rilevabilità d'ufficio del difetto di specifica indicazione dei fatti è dipesa dal fatto che tale requisito è imposto anzitutto per consentire al giudice la valutazione sulla rilevanza della prova, atteso che solo quando il giudice non ne abbia rilevato la mancanza, ed abbia quindi ammesso la prova, diventa decisivo il comportamento della controparte, che può limitarsi a dedurre la prova contraria oppure eccepire la violazione di regole di validità, quale quella della capacità a testimoniare ai sensi dell'art. 246 c.p.c.. Osservazioni
Il principio affermato dalla Cassazione con la sentenza in epigrafe è chiaro: la sanzione alla mancata indicazione specifica dei fatti è l'inammissibilità della prova testimoniale, ovvero, più esattamente, il giudice non ammette la prova testimoniale in quanto, non potendone valutare la rilevanza, non può fare altro che dichiararla irrilevante. Come precisato dagli stessi Giudici di legittimità, trattasi pertanto non dell'inammissibilità conseguente ad una mera decadenza od all'inosservanza di una regola di validità dell'atto processuale come quella della capacità a testimoniare, ma dell'inammissibilità relativa al preliminare giudizio, rispetto a quello di nullità, che attiene alla rilevanza stessa del mezzo di prova, e, quindi alla sua ammissibilità. Nel motivare la decisione, il Supremo Collegio osserva che mentre la violazione di una regola di validità quale quella dell'art. 246 c.p.c., posta a tutela dell'interesse delle parti, ha carattere relativo ed è rilevabile solo su eccezione di parte (Cass. civ., sez. II, 23 novembre 2016, n. 23896; Cass. civ., sez. III, 30 ottobre 2009, n. 23054), l'apprezzamento in ordine alla specifica indicazione dei fatti da provare si colloca su un piano preliminare, in quanto relativo al giudizio concernente la rilevanza della prova, ragione per cui l'eventuale mancanza della specifica indicazione dei fatti da provare con i testimoni resta rilevabile d'ufficio. I Giudici di legittimità richiamano la risalente giurisprudenza secondo cui mentre le nullità e le decadenze stabilite riguardo alla prova testimoniale dall'art. 244 c.p.c. possono essere rilevate solo dalle parti, le quali possono prestarvi acquiescenza con l'esperimento del mezzo di prova, la mancata specifica indicazione dei fatti da provare è rilevabile anche d'ufficio dal giudice, nonostante l'acquiescenza della controparte (Cass. civ., sez. lav., 4 aprile 1980, n. 2231). In definitiva, i Giudici di legittimità chiosano sull'osservanza del principio secondo cui spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, controllandone l'attendibilità e la concludenza, scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, ed assegnando prevalenza all'uno od all'altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova (Cass. civ., sez. lav., 13 giugno 2014, n. 13485; Cass. civ., sez. lav., 15 luglio 2009, n. 16499). In buona sostanza, il giudice del merito non è tenuto ad ammettere i mezzi di prova dedotti dalle parti ove ritenga sufficientemente istruito il processo e ben può, nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali insindacabili in Cassazione, non ammettere la dedotta prova testimoniale quando, alla stregua di tutte le altre risultanze di causa, valuti la stessa come “inconducente”, trattandosi di una valutazione demandata al potere discrezionale del giudice di merito con apprezzamento che, se congruamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità (Cass. civ., sez. VI, 4 dicembre 2014, n. 25722; Cass. civ., sez. lav., 10 giugno 2009, n. 13375). Al riguardo, va tuttavia ricordato che secondo Cass. civ., sez. I, 29 novembre 2016, n. 24292 (in una fattispecie riguardante la genuinità delle deposizioni dei testi, chiamati a confermare le dichiarazioni rese anni prima davanti ad un giudice diverso ed in cui era stata sollevata la mancata valutazione della nullità delle deposizioni testimoniali assunte senza lettura di capitoli specifici, e mediante richiamo di atti nulli di un giudizio conclusosi con una sentenza del tribunale dichiarata nulla dalla Corte d'appello, e, la violazione del principio di genuinità della prova) le formalità relative alle modalità di deduzione e assunzione della prova per testi sono stabilite non per ragioni di ordine pubblico ma per la tutela degli interessi delle parti. Pertanto, le nullità derivanti dalla violazione delle stesse formalità sono relative e non rilevabili d'ufficio dal giudice, ma devono essere eccepite nella prima udienza successiva a quella in cui si sono verificate nel caso in cui la parte interessata non era presente all'udienza, mentre se era presente all'assunzione della prova ed aveva assistito all'atto istruttorio senza opposizione, la nullità, ove esistente, deve considerarsi sanata.
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