Il grave motivo che legittima il recesso del conduttore deve verificarsi dopo il rinnovo tacito del contratto

09 Aprile 2018

La facoltà di recesso integra un'eccezione alla durata della locazione, prevista inderogabilmente dalla legge per assicurare una stabilità minima del rapporto anche nell'interesse generale alla salvaguardia delle attività imprenditoriali svolte nell'immobile locato. Attraverso il recesso, il conduttore manifesta la sua volontà di interrompere il rapporto contrattuale prima della sua naturale scadenza, ma il fatto che legittima tale sua decisione deve verificarsi in un momento in cui allo squilibrio del sinallagma contrattuale può porsi rimedio solo attraverso il recesso e non già prima che al contratto poteva porvisi termine con la formale disdetta che ne avrebbe impedito il rinnovo tacito.
Il quadro normativo

Nel regolamentare in modo organico, con la l. n.392/1978, le locazioni ad uso diverso dall'abitativo, il Legislatore ha tenuto in particolare considerazione l'interesse del conduttore (nella maggior parte dei casi operatore economico) ad una maggiore stabilità nella sistemazione nell'immobile condotto in locazione per la sua attività.

Si è però nel contempo preoccupato di evitare che la lunga durata del contratto possa in qualche modo pregiudicare il conduttore nei casi in cui questi ritenga non più conveniente fare proseguire il rapporto di locazione sino alla sua legale scadenza, vuoi perché l'immobile è divenuto inidoneo a soddisfare le esigenze che lo avevano indotto ad assumerlo in locazione ovvero troppo ampio rispetto alla sopravvenuta riduzione della propria attività, vuoi, più semplicemente, perché eccessivamente oneroso rispetto alle pari alternative offerte dal mercato locatizio.

A tal fine, il Legislatore ha dunque previsto:

  • da un lato, una durata minima legale (e inderogabile) del contratto che non può essere inferiore ai 6 o 9 anni a seconda del tipo di attività svolta nell'immobile (salvo che non si tratti di attività aventi carattere “transitorio” o “stagionale”), rinnovabile ex lege per un ulteriore periodo della medesima durata;
  • dall'altro, la possibilità per il conduttore, ricorrendone i presupposti, di recedere dal contratto.

Il recesso non costituisce un istituto dai caratteri unitari. Talora è previsto dalla legge quale mera facoltà (ad esempio, negli artt. 24, 768-septies, 1671 e 1750 c.c.); talaltra è concepito come una misura di reazione ad errori di fatto (ad esempio, negli artt. 1538, 1539 e 1893 c.c.); in altri casi ancora è concepito come uno strumento di tutela del sinallagma contrattuale contro il rischio di vizi sopravvenuti (è il caso degli artt. 1613 c.c., 1614, comma 2,c.c. e 1897 c.c.).

In quest'ultima categoria rientra l'istituto previsto dall'art. 27 della l. n. 392/1978, il cui scopo è quello di evitare il rischio che il conduttore si trovi costretto ad onorare un contratto che, senza propria colpa, sia divenuto per lui inutile o comunque inopportuno.

Proprio perché finalizzato a rimediare ad un vizio sopravvenuto del sinallagma contrattuale il recesso spiega effetti immediati e provoca validamente lo scioglimento del contratto alla scadenza del semestre di legge, senza necessità di alcuna pronuncia giudiziale. In questi casi, pertanto, il contratto di locazione cesserà ope legis decorso il semestre previsto dalla legge per il solo fatto che la dichiarazione di recesso è pervenuta al domicilio del locatore, secondo la regola generale di cui all'art. 1334 c.c.

L'eventuale contestazione del locatore circa l'esistenza o la rilevanza dei giusti motivi invocati dal conduttore a fondamento del diritto di recesso non introduce un'azione costitutiva finalizzata ad una sentenza che dichiari sciolto il recedente dal contratto, ma introduce una mera azione di accertamento, il cui scopo è stabilire se esistessero al momento del recesso i giusti motivi invocati dal conduttore.

La facoltà di recedere dal contratto

La crisi economica in cui attualmente versa il Paese impone ai gestori di attività commerciali e industriali di fare i conti con la propria struttura aziendale, ricorrendo a drastiche riduzioni oppure addirittura cessando l'attività.

Cambiando la realtà del mercato, anche il locatore deve adattarsi a ricevere dal proprio immobile una minore rendita e ad accettare le sempre più frequenti richieste dei conduttori di riduzione del canone annuo sino a quel momento corrisposto, se non vogliono correre il rischio di vedersi restituito l'immobile in anticipo rispetto alla naturale scadenza del contratto.

Non sempre però gli opposti interessi delle parti trovano un giusto equilibrio ed ecco che imprenditori o artigiani si vedono costretti a recedere dal contratto in corso perché impossibilitati a fare proseguire la locazione.

La legge (art.27, comma 7, l.n. 392/1978) regola in modo differenziato la posizione delle parti, in considerazione del fatto che l'inserimento di una clausola contemplante tale facoltà può influire sulla durata minima del contratto, riducendola. Come detto, quest'ultima è fissata da una norma di ordine pubblico nell'interesse del conduttore: il che comporta l'impossibilità per il locatore di recedere dal contratto, con la conseguente nullità della clausola contrattuale che, semmai, gli attribuisca tale diritto.

L'art. 27 prevede e regola due tipi di recesso a favore del solo conduttore: il primo convenzionale, il secondo legale.

Quanto al primo, essendo oggetto di tutela il solo interesse del conduttore, nulla osta a che le parti pattuiscano un'apposita clausola, idonea a consentire solo a quest'ultimo di recedere dal contratto, dando preavviso. La legge fissa il relativo termine in sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione (art. 27, comma 7,l. n.392/1978). L'avviso deve essere dato al locatore con lettera raccomandata, ma sono però ammesse anche modalità equipollenti, quali il telegramma o la notifica a mezzo di ufficiale giudiziario, purché idonee a certificare l'avventa ricezione da parte del locatore.

Poiché il termine di preavviso opera sempre a vantaggio del conduttore, nulla vieta alle parti di pattuirne, al momento della stipula del contrattato, uno di durata diversa, maggiore o minore ai sei mesi, aumentando o riducendo in tal modo il periodo successivo alla comunicazione per il quale il conduttore è tenuto a versare il corrispettivo della locazione.

In mancanza di un'apposita pattuizione nel senso anzidetto, in forza dell'art.1372 c.c. anche il conduttore è tenuto a rispettare il contratto sino alla sua scadenza, dovendo conseguentemente corrispondere il canone concordato sino a tale momento, anche se è venuto meno il suo interesse ad occupare l'immobile.

Tuttavia, a correggere parzialmente tale situazione interviene nuovamente la legge, dettando un'ulteriore norma in favore del conduttore. L'ultimo comma dell'art.27 della l.n. 392/1978 gli attribuisce infatti comunque («indipendentemente dalle previsioni contrattuali») la facoltà di recedere dal contratto in ogni momento durante il corso del rapporto locatizio in presenza di gravi motivi. Tale facoltà deve essere esercitata attraverso la comunicazione al locatore, con inderogabile preavviso semestrale, contenente l'indicazione, a pena di invalidità del recesso stesso, dei gravi motivi invocati dal conduttore a sua giustificazione. Ciò anche al fine di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione dei motivi di recesso addotti sul piano fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso medesimo (Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2006, n. 7241; contra, Cass. civ.,sez. III, 12 novembre 2003, n.17042, secondo cui le ragioni del recesso vanno invece addotte dal conduttore solo in caso di contestazione da parte del locatore).

Anche se non viene prevista nel contratto, questa particolare fattispecie di recesso è sempre invocabile ed esperibile dal conduttore, proprio perché si tratta di una facoltà riconosciutagli dalla legge a prescindere dagli accordi assunti col locatore: se ricorrono determinati presupposti che non gli consentono l'ulteriore prosecuzione della locazione (i c.d. gravi motivi), il conduttore può svincolarsi dal contratto.

I gravi motivi

I gravi motivi devono essere però compiutamente esplicitati nella comunicazione di recesso da inviarsi al locatore, non essendo ammissibile una loro indicazione successiva o addirittura una loro modifica in una diversa comunicazione: in simili ipotesi, la comunicazione di recesso non assume alcuna valenza e deve considerarsi come neppure inviata (Cass. civ., sez.III, 30 giugno 2015, n.13368). Tale onere, ancorché non espressamente previsto dalla norma (a differenza dell'ipotesi di diniego di rinnovazione di cui al successivo art. 29), deve ritenersi insito nella previsione della facoltà di recesso, la cui comunicazione, in quanto recesso “titolato”, non può prescindere dalla specificazione dei motivi, che valgono a dare alla dichiarazione di recesso la precisa collocazione nell'ambito della fattispecie normativa in esame (Trib. Palermo 22 febbraio 2017).

In ogni caso, fatto salvo un diverso accordo con la parte locatrice, anche in tal caso parte conduttrice è obbligata al pagamento dei canoni fino alla scadenza del termine semestrale di preavviso,indipendentemente dal momento (eventualmente anteriore) di materiale rilascio dell'immobile (Cass. civ., sez. VI, 24 maggio 2017, n.13092; Cass. civ.,sez. III, 12 maggio 2017, n.11778).

I gravi motivi che consentono, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il recesso del conduttore dal contratto di locazione devono essere determinati da fatti estranei alla sua volontà e imprevedibili, tali da rendergli oltremodo gravosa la sua prosecuzione, e in particolare in relazione alle locazioni commerciali può integrare grave motivo, che legittima il recesso del conduttore, un andamento della congiuntura economica (sia favorevole che sfavorevole all'attività di impresa), sopravvenuto e oggettivamente imprevedibile al momento della stipula del contratto, che lo obblighi ad ampliare o ridurre la struttura aziendale in misura tale, da rendergli particolarmente gravosa la persistenza del rapporto locativo, tenendo conto, quanto al requisito della imprevedibilità della congiuntura economica, che esso va valutato in concreto e in relazione ai fattori che ne hanno determinato l'andamento.

Sotto tale profilo, il requisito della “estraneità” rispetto alla volontà del conduttore afferisce alle circostanze che rendano oltremodo gravosa per lui la persistenza del rapporto e non alle determinazioni che il conduttore medesimo, in dipendenza di tali circostanze, venga ad adottare. Questi sono per loro natura volontari, ma ciò che rileva è la loro correlazione a fattori obiettivi, si che non possano apparire frutto di iniziative arbitrarie o improvvisate.

In presenza di fatti che rendano necessario un ridimensionamento dell'organizzazione aziendale del conduttore, dunque, il requisito dell'estraneità riguarda le cause obiettive che impongono tale ridimensionamento, rendendolo più consono alle esigenze di economicità e di produttività della gestione aziendale, non già i comportamenti che a seguito di esse l'imprenditore possa adottare (Cass. civ., sez. III, 12 novembre 2003, n. 17042).

Ove poi il conduttore svolga l'attività in diversi rami d'azienda dislocato in più immobili, i gravi motivi giustificativi del recesso devono essere accertati in relazione alla sola attività svolta nei locali per cui viene esercitato il recesso, senza possibilità per il locatore di negare rilevanza alle difficoltà riscontrate per tale attività in considerazione dei risultati positivi registrati in altri rami d'azienda (Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2016, n. 14365).

I fatti devono presentare una connotazione oggettiva, non potendo risolversi nella unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine all'opportunità o meno di continuare a occupare l'immobile locato, lasciato cioè alla mera sua discrezionalità (Cass. civ., sez.III, 15 maggio 2013,n.11772).

In tal senso, la previsione dell'art.27, l. n.392/1978 ben si raccorda con la disciplina generale dell'onerosità sopravvenuta (art.1367 c.c.), della quale peraltro mutua solo i connotati generali sotto il profilo della natura “oggettiva” delle situazioni di fatto che valgono ad integrare i “gravi motivi”.

Possono infine consistere in molestie di fatto da parte di un terzo, in presenza delle quali il conduttore ha unicamente la facoltà - e non l'obbligo - di agire direttamente contro il terzo stesso ai sensi dell'art. 1585 c.c. (Cass. civ., sez. III, 30 maggio 2014, n. 12291)

La sopravvenienza del grave motivo

Le ragioni che consentono al conduttore di liberarsi del vincolo contrattuale devono essere non solo estranee alla sua volontà, ma anche determinate da avvenimenti sopravvenuti alla costituzione del rapporto e tali da rendere oltremodo gravosa per lui la sua prosecuzione (v., ex plurimis, Cass. civ.,sez.III, 5 maggio 2016, n.6553). E così, ad esempio, l'impossibilità di adeguare l'immobile locato alle nuove prescrizioni dettate dalla legge in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro costituisce grave motivo che legittima il recesso anticipato del conduttore (Cass. civ.,sez.III, 13 giugno 2017, n.14623).

Meno recentemente, in una fattispecie concernente la sopravvenienza di norme, si è dato rilievo alla valutazione potenziale dei “gravi motivi” piuttosto che all'effettivo impoverimento, sul presupposto che, diversamente, si negherebbe al conduttore/imprenditore che si trovasse dinanzi un grave ed imprevista crisi economica, la facoltà di esercitare il recesso sino a quando non venga a trovarsi in stato di decozione, con conseguente frustrazione dello scopo della norma, che è quella appunto di prevenire la crisi del conduttore (Cass. civ.,sez. III, 3 aprile 2015, n. 6820).

La sussistenza delle circostanze che rendono particolarmente gravosa la prosecuzione del rapporto locativo, la loro imprevedibilità e il loro insorgere in un momento successivo alla stipula del contratto di locazione sono tutti elementi che devono coesistere, quali presupposti necessari perché possa dirsi legittimo il recesso del conduttore ex art. 27, ultimo comma, della l. n. 392/1978.

La facoltà di recedere dal contratto rappresenta, però, per il conduttore un mezzo residuale per liberarsi di un rapporto di locazione per lui divenuto estremamente gravoso sotto il profilo economico oppure non più idoneo oggettivamente allo svolgimento della propria attività.

Ciò porta a ritenere che, qualora il conduttore, già a conoscenza delle proprie difficoltà a far proseguire il rapporto di locazione, abbia più prossima possibilità di inviare tempestiva disdetta al fine di impedirne il tacito rinnovo, non può successivamente al rinnovo, invocare a fondamento del suo esercitato recesso un grave motivo che già si era verificato in tempi precedenti il rinnovo del contratto stesso.

Il mancato esercizio del diritto di disdettare il contratto alla prima scadenza ingenera invero nel locatore la legittima aspettativa che in futuro il conduttore non si avvarrà della facoltà di recedere, se non a seguito di un fatto a lui sconosciuto al momento del rinnovo e dunque sopravvenuto ad esso.

In tal senso, si è espressa la Suprema Corte (Cass. civ.,sez.III, 13 giugno 2017, n.14623), sul logico ragionamento che il lasciare rinnovare il contratto alla sua legale scadenza, nonostante l'esistenza di un grave motivo che avrebbe imposto al conduttore di recedere, implica una valutazione di convenienza sulla prosecuzione del rapporto locativo, tale da non più giustificare la pretesa del conduttore di recedere successivamente dal contratto sulla base del predetto medesimo motivo.

Qualora, dunque, dopo l'insorgenza dei gravi motivi, il contratto di locazione perviene alla naturale scadenza, il rimedio fisiologico per porre fine al rapporto è quello della disdetta formale, che ne impedisca la rinnovazione tacita e non già il successivo esercizio della facoltà di recesso.

In conclusione

La gravosità della prosecuzione del rapporto di locazione, che deve avere una connotazione oggettiva, non potendo risolversi nella unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine alla convenienza o meno di permanere nei locali, deve essere non solo tale da eccedere l'ambito della normale alea contrattuale, ma deve altresì consistere in un sopravvenuto squilibrio tra le prestazioni originarie, tale da incidere significativamente sull'andamento dell'attività del conduttore globalmente considerata e, quindi, anche nel complesso delle sue varie articolazioni territoriali.

I gravi motivi che legittimano il recesso - come si è visto - devono essere:

a) involontari e quindi determinati da fatti estranei alla volontà del conduttore,

b) imprevedibili, secondo un criterio di normalità, e

c) sopravvenuti al momento della costituzione del rapporto.

Sotto tale ultimo profilo, nel caso in cui l'impedimento alla prosecuzione del rapporto intervenga quando è prossima la scadenza del contratto, il conduttore deve servirsi del mezzo più facile della disdetta per fare cessare il rapporto, essendogli poi impedito di fare valere lo stesso motivo a lui già noto per esercitare legittimamente la sua facoltà di recesso, una volta che il contratto si sia rinnovato.

Guida all'approfondimento

Castro, Nel cercare di bilanciare le opposte esigenze la Cassazione ha però privilegiato il conduttore, in Guida al diritto, 2014, fasc. 18, 47;

Scripelliti, Il recesso del conduttore nelle locazioni non abitative: il contratto ha forza di legge (art. 1372 c.c.) per entrambe le parti?, in Arch. loc. e cond., 2013, fasc. 6, 778;

Scalettaris, A proposito del recesso per gravi motivi, in Riv. giur. edil., 2012, 1111;

Nunzio, Il recesso del conduttore nelle locazioni non abitative e le condizioni di validità ed efficacia, in Giust. civ., 2008, I, 190.

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