Crisi d’impresa, procedure di allerta e Non Performing Loans

Matteo De Poli
10 Aprile 2018

L'Indagine sul credito bancario nell'area Euro relativa al quarto trimestre del 2017 e sulle prospettive per il primo trimestre del 2018, pubblicata da Banca d'Italia il 23 gennaio 2018, evidenzia un, seppure modesto, aumento del cd. “Indice di restrizione dell'offerta di credito”, sia alle imprese sia alle famiglie.
Premessa

L'Indagine sul credito bancario nell'area Euro relativa al quarto trimestre del 2017 e sulle prospettive per il primo trimestre del 2018, pubblicata da Banca d'Italia il 23 gennaio 2018, evidenzia un, seppure modesto, aumento del cd. “Indice di restrizione dell'offerta di credito”, sia alle imprese sia alle famiglie. Per quanto è d'interesse per questo scritto, va dunque preso atto che il credito alle imprese rimane razionato, anche se la stessa Indagine mette in luce come, in entrambi i casi, l'aspettativa per il successivo trimestre – dunque, il primo del 2018 – è nel senso di un ammorbidimento delle condizioni applicate dalle banche all'offerta di credito. Sempre riguardo alle imprese, la domanda di credito proveniente dalle stesse è ancora in aumento (lo è, quasi ininterrottamente, dal secondo trimestre del 2012, con una sola flessione di rilievo tra il 2015 ed il 2016). La richiesta di credito delle imprese è principalmente connessa all'esigenza di finanziare gli investimenti fissi, le scorte e il capitale circolante, ed in minor parte connessa ad operazioni di fusione, acquisizione e ristrutturazione degli assetti societari; per contro, è in continua diminuzione la richiesta di credito diretta al rifinanziamento, alla ristrutturazione e alla rinegoziazione del credito.

In questa situazione macro-economica, che vede contrapporsi bisogno di credito bancario e contenimento dell'offerta creditizia, si collocano due gruppi di provvedimenti che voglio esaminare e mettere in correlazione tra loro per capire se essi possano giovare all'offerta di credito alle imprese in crisi, oppure invece la ostacolino e, in ultima analisi, se essi possano favorire o intralciare il sistema delle procedure di allerta che è uno degli assi portanti della progettata riforma fallimentare. Mi riferisco anzitutto, da un lato, alla riforma delle procedure concorsuali (resasi necessaria sia dalla Raccomandazione n. 2014/135/UE, sia dalla recente emanazione del Regolamento europeo sull'insolvenza transfrontaliera - Regolamento UE 15414/15) attuata con la L. 19 ottobre 2017, n. 155 “Delega al Governo per la riforma della disciplina della crisi d'impresa e dell'insolvenza”, che conferisce all'Esecutivo il potere di adottare uno o più decreti legislativi per riformare le procedure concorsuali, il sistema dei privilegi e delle garanzie e la disciplina della composizione delle crisi da sovrindebitamento (L. 27 gennaio 2012, n. 3 Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento); e, dall'altro, alle Linee Guida per le banche sui crediti deteriorati (NPL), emanate da Banca Centrale Europea nel marzo 2017, seguite dal recentissimo Addendum to the ECB Guidance to banks on Non-Performing Loans dell'ottobre 2017 e dalle Linee Guida di Banca d'Italia per le banche Less Significant in materia di gestione dei crediti deteriorati, dirette alle banche di minori dimensioni.

Quanto a questi ultimi tre provvedimenti, destinatari dei quali sono solo le banche, giova premettere come essi siano diretti a stimolare l'attenzione delle stesse sulle esposizioni ritenute con probabilità inadempienze (unlikely to pay), imponendo loro di tenere un approccio di “early warning” – ossia, di precoce individuazione delle stesse attraverso un altrettanto subitaneo riconoscimento della condizione di difficoltà finanziaria del debitore – e “forward looking”, ossia mirante ad individuare, grazie ai dati raccolti, le future ed attese perdite.

La spinta da oggi ancor più richiesta al sistema bancario verso una precoce individuazione dei segnali di allerta; l'approccio prospettico richiesto; la sottoposizione della banca inadempiente a misure di vigilanza potrebbero, ragionevolmente, aumentare la possibilità che una posizione di debito venga più facilmente segnalata al sistema come inadempienza probabile, a tutto danno delle imprese.

La riforma delle procedure concorsuali: tratti essenziali

La Riforma del diritto fallimentare auspicata dalla legge delega si è incentrata sui seguenti punti:

  • sostituzione della procedura fallimentare con quella di liquidazione giudiziale, quest'ultima da considerarsi come extrema ratio, prioritario essendo, invece, lo sforzo di garantire all'impresa in crisi la possibilità di superare questa condizione – attraverso una sua tempestiva emersione – e di garantire altresì la continuità dell'attività economica dell'ente. Di riflesso, il concordato non potrà più essere di tipo liquidatorio e servirà solo ad accompagnare l'impresa ad uscire dallo stato di crisi ed a continuare la propria attività;
  • eliminazione della possibilità di dichiarare d'ufficio il fallimento dell'impresa in crisi (ora, la sua sottoposizione a liquidazione giudiziale);
  • definizione di “crisi” aziendale in termini di “probabilità di futura insolvenza”, rendendo evidente, dunque, la separazione concettuale tra “crisi” ed “insolvenza” conclamata, in quanto la prima dovrebbe precedere la seconda;
  • introduzione di un'unica procedura di accertamento dello stato di crisi o d'insolvenza, cui assoggettare ogni categoria di debitore;
  • obbligo della società di apprestare e continuamente adeguare assetti amministrativi atti alla rilevazione della crisi e di attivare una procedura d'allerta diretta a far emergere con tempestività le situazioni di crisi e ad evitare l'insolvenza, mettendo in atto, su iniziativa degli organi amministrativi, le più appropriate misure di risanamento già al primo emergere di condizioni di squilibrio economico-finanziario (sono considerati “indicatori della crisi” gli “squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell'attività imprenditoriale svolta dal debitore e rilevabili attraverso appositi indici, con particolare riguardo alla sostenibilità dei debiti nei successivi sei mesi ed alle prospettive di continuità aziendale, nonché l'esistenza di significativi e reiterati ritardi nei pagamenti…”: così, l'art. 16 Indicatori della crisi);
  • obbligo per revisori, società di revisione e sindaci (o per i diversi organi di controllo societario) di segnalare tempestivamente all'organo amministrativo di una società ogni circostanza idonea a pregiudicare la continuità aziendale e, in caso di mancato riscontro a tale segnalazione, di investire l'organismo di composizione della crisi istituito presso ciascuna Camera di Commercio (nella Relazione alla delega al Governo si legge che la fase preventiva di allerta deve essere intesa come “strumento di sostegno, diretto in prima battuta ad una rapida analisi delle cause del malessere economico e finanziario dell'impresa - intuibilmente soprattutto per le strutture imprenditoriali di minime dimensioni, meno attrezzate ad affrontare la crisi - e destinato a risolversi all'occorrenza in un vero e proprio servizio di composizione assistita della crisi, funzionale ai negoziati per il raggiungimento dell'accordo con i creditori o, eventualmente, anche solo con alcuni di essi (ad esempio quelli meno conflittuali, o più strategici) […] Il tribunale, naturalmente, resta sullo sfondo, pronto a fornire tutela giudiziale in chiave risolutiva dei possibili conflitti tra diritti ed interessi, anche di terzi, siano essi potenziali o già in essere”: Relazione, p. 3);
  • obbligo in capo ad alcuni soggetti pubblici, ossia l'Agenzia delle Entrate, l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e l'agente della riscossione delle imposte, di “dare avviso al debitore […] che la sua esposizione ha superato l'importo rilevante di cui al comma seguente e che, se entro i successivi tre mesi dall'avviso egli non avrà estinto il proprio debito o raggiunto con esso un accordo, o dato prova di aver presentato istanza di composizione della crisi o domanda per l'accesso ad una procedura concorsuale, essi ne faranno segnalazione agli organi di controllo delle società, se esistenti, e in ogni caso all'organismo di composizione assistita della crisi d'impresa di cui all'articolo 19” (ciò ai sensi dell'art. 18 Obbligo di segnalazione di creditori pubblici qualificati). Nonostante la loro importanza tra i creditori-tipo delle imprese commerciali, gli istituti di credito non fanno parte della categoria dei “creditori qualificati” che, come si è visto, è a numerus clausus e comunque composta solo da soggetti pubblici. Per contro, essi rientrano in parte in gioco in forza dell'art. 17 (Obbligo di segnalazione degli organi di controllo societari),comma 4, il quale pone in carico agli istituti di credito e agli altri intermediari finanziari di cui all'art. 106 del Testo Unico Bancario l'obbligo di dare notizia agli organi di controllo societario delle variazioni o revisioni negli affidamenti, quando disposte, nel momento in cui le comunicano al cliente. Ciò, si legge, “al fine di contribuire alla tempestività delle segnalazioni” di cui allo stesso articolo 17. Tornerò a breve su questo obbligo in capo alle banche.

L'istituzione di un obbligo di allertare l'organo amministrativo circa ogni circostanza capace di compromettere la continuità aziendale (sono escluse da tale disciplina le grandi imprese, i gruppi di società e le imprese quotate in mercati regolamentati) risponde, evidentemente, alla scelta di spingere le imprese sane che si trovino in condizioni di difficoltà finanziaria a ristrutturarsi in una fase precoce per evitare l'insolvenza e proseguire l'attività, come recita la Raccomandazione n. 2014/135/UE, e fa leva sulla responsabilizzazione degli organi di controllo interno per quanto riguarda l'informativa contabile, in particolar modo quella riguardante le poste contabili maggiormente soggette a discrezionalità e più inclini alla falsificazione: si pensi, ad esempio, al magazzino o ai crediti.

Le procedure bancarie di allerta e i nuovi criteri di gestione degli NPL

Nel marzo del 2017 BCE ha indirizzato alle banche una sorta di “sistemazione” delle migliori prassi in tema di “crediti deteriorati” (anche detti Non-Performing Assets, NPA), intesi come la somma delle esposizioni deteriorate e delle garanzie escusse.

Sono considerati crediti deteriorati quelli che soddisfano entrambi o anche uno solo dei seguenti criteri:

  • sono esposizioni rilevanti scadute da più di 90 giorni (past due);
  • si giudica improbabile che il debitore, senza il ricorso all'escussione delle garanzie reali, adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie, indipendentemente dalla presenza di importo scaduto o dal numero di giorni di scaduto (unlikely to pay).

Nonostante l'attenzione sia rivolta particolarmente ai crediti deteriorati, ogni esposizione è compresa nell'ambito del provvedimento, dunque anche quelle non deteriorate (in bonis), a condizione che presentino un elevato rischio di deterioramento. Tra queste ultime vi rientrano le esposizioni sotto osservazione (“watch-list”) e quelle in bonis che siano state oggetto di concessioni (“forborne”).

L'obiettivo del provvedimento è di rendere omogenea ed efficiente la gestione di tali esposizioni e di ridurne in modo sensibile l'ammontare nei bilanci delle banche. Esso deve essere inteso come uno “strumento di vigilanza” diretto a chiarire le aspettative dell'autorità creditizia competente (Banca centrale europea per le banche significative; Banca d'Italia per quelle meno significative) riguardo all'individuazione, gestione, misurazione e cancellazione degli NPL in settori non disciplinati o specificamente trattati da fonti normative (la più importante delle quali, a livello europeo, è il Regolamento di Esecuzione UE n. 680/2014 della Commissione, del 16 aprile 2014, che stabilisce norme tecniche di attuazione sulle segnalazioni degli enti ai fini di vigilanza; si veda, altresì, EBA, Final draft implementing Technical Standards on Supervisory reporting on forbereance and non-performing exposures under article 99(4) of Regulation EU No 575/2013 del 25 luglio 2013).

Il provvedimento di Banca Centrale Europea in esame s'indirizza agli enti creditizi significativi, sottoposti a vigilanza diretta della BCE nell'ambito del Meccanismo di Vigilanza Unica, mentre quello di Banca d'Italia a quelli di minor dimensione ed importanza.

Entrambi riconoscono espressamente l'importanza del criterio di proporzionalità nell'applicazione delle sue previsioni in funzione della complessità operativa di ciascuna banca.

Essi non hanno natura di atto normativo (il nome stesso di Linea Guida lo mette in luce) e non possono dunque dirsi, in senso stretto, vincolanti per i suoi destinatari. Questo significa che, sempre a stretto rigore, la banca che non lo rispettasse non potrebbe per ciò solo essere sanzionata. Ciò detto, si chiarisce però (a p. 6 delle Linee Guida di BCE per le banche significative; per quelle meno significativo, il recepimento del principio di proporzionalità emerge con sufficiente certezza da quanto riportato a pagina 2 del documento di Banca d'Italia) che le Autorità di vigilanza competenti “possono tuttavia richiedere alle banche di illustrare e motivare qualsiasi scostamento rispetto al loro contenuto”, e si aggiunge che “il regolare processo di revisione e valutazione prudenziale (Supervisory Preview and Evaluation Process, SREP) dell'MVU tiene conto di queste Linee Guida; in caso di non conformità possono intervenire misure di vigilanza”.

Il provvedimento di BCE è molto più elaborato e complesso di quello di Banca d'Italia e, pertanto, ad esso farò riferimento per la sua maggiore capacità di mettere in luce l'articolazione del pensiero della Vigilanza riguardo al tema degli NPL. Esso contiene indicazioni relative:

  • all'approccio di “strategia” di ciascuna banca verso gli NPL. A grandi linee si può affermare che ogni banca dovrà ora adottare una strategia – adeguatamente formalizzata - di governo del problema del credito deteriorato, finalizzata a migliorarne la gestione e alla riduzione del loro numero nel breve periodo. All'interno di questo piano di azione dovrà rientrare ciò che contribuisca a realizzare una migliore gestione interna dei crediti, ma essa dovrà tenere in considerazione la possibilità di un affidamento della loro gestione a terzi soggetti specializzati; il tema delle “misure di concessione” (si veda a breve), quello dell'acquisizione di garanzie e, infine, l'ipotesi di cessione dei crediti;
  • alla governance e all'assetto operativo nella gestione degli NPL. Si prevede che l'organo di supervisione strategica definisca annualmente la strategia e il piano di gestione degli NPL; che valuti, almeno trimestralmente, il tasso di implementazione del piano, e la sua osservanza; che deliberi in merito alla precisa classificazione, valutazione e gestione degli NPL; che approvi le controparti cui delegare il compito di svolgere taluni servizi connessi;
  • alle misure di concessione (“forbereance”). Sono tali quelle misure di tolleranza (secondo la definizione contenuta nel Regolamento di esecuzione della Commissione UE n. 680/2014) concesse a favore di un debitore in condizione di attuale o prossima difficoltà finanziaria (la qualifica di credito forborne, in realtà, può colpire sia il credito deteriorato, sia quello in bonis cui sia stata ugualmente accordata una misura di tolleranza), e dirette a modificare, a suo favore, i termini di un contratto o a rifinanziare, totalmente o parzialmente, l'esposizione (le Linee Guida di BCE indicano nelle seguenti le misure di concessione più comuni: i) il pagamento di soli interessi; ii) la riduzione delle rate di rimborso; ii) la concessione di una dilazione; iv) la capitalizzazione di arretrati o di interessi; v) la riduzione del tasso d'interesse; vi) l'estensione della scadenza; vii) l'ottenimento di privilegi ulteriori su attività non vincolate come garanzia aggiuntiva del debitore volta a compensare una maggiore esposizione al rischio; viii) la cessione su base volontaria di attività per rimborsare parzialmente o interamente il debito; ix) la rimodulazione dei pagamenti; x) l'allineamento della valuta del debito a quella dei flussi di cassa; xi) la decisione della banca di sollevare il debitore dall'adempimento di clausole o condizioni incluse in un prestito; xii) la concessione di nuovi finanziamenti per favore il recupero dell'esposizione; xiii) il consolidamento del debito; xiv) la cancellazione parziale o totale del debito). La novità sta nella maggior cautela con cui queste misure sono ora viste. Invero, l'idea fondamentale delle Linee Guida è che esse, specie quando siano a breve termine e non associate ad adeguate misure a lungo termine, non affrontino la risoluzione dei ritardi di pagamento esistenti. Centrale diventa dunque, dal punto di vista del Regolatore bancario, che la concessione risponda ad un principio di “sostenibilità economica”, ossia di capacità a contribuire realmente a ridurre l'ammontare residuo dovuto, sostenibilità da accertarsi mediante un doppio test: (i) occorre che sia data la dimostrazione - formale, e non meramente speculativa - che il debitore sia stato colpito “da un evento identificabile che ha provocato vincoli di liquidità temporanei” e che il suo reddito registrerà un miglioramento nel breve periodo, di talché l'impegno finanziario cui sono affiancate misure di tolleranza potrà essere realisticamente sostenuto dal debitore, ma anche che (ii) egli abbia “dato prova di intrattenere un buon rapporto finanziario con la banca (anche attraverso l'effettuazione d'indicativi rimborsi in linea capitale prima dell'evento) e dimostra una chiara disponibilità a collaborare”. Occorre infine ricordare che la misura di concessione a favore di un credito deteriorato non eliminerà, per almeno dodici mesi dalla data di concessione (cure period), la collocazione del credito tra quelli deteriorati; riportato poi esso in bonis grazie alla concessione, manterrà la qualifica di “forborne” per ulteriori ventiquattro mesi (probation period).
  • alla rilevazione degli NPL. Si prevede a riguardo che le banche si dotino di procedure e flussi informativi interni adeguati, diretti all'individuazione precoce di potenziali clienti con posizioni deteriorate, ed alla subitanea gestione di tali posizioni (Si prevede - a p. 41 - che il front office sia dotato di “strumenti efficaci e di sistemi di gestione dei flussi informativi a livello operativo…che gli permettano di cogliere tempestivamente le prime indicazioni di deterioramento delle posizioni. Ciò dovrebbe includere segnali di allerta automatici …i segnali di allerta ai responsabili della relazione con il cliente e i relativi flussi informativi…dovrebbero trasmettersi almeno con frequenza mensile”. È imposta l'applicazione “automatica” di un preciso criterio di attivazione in caso di sforamenti di una serie di EWI o di singoli indicatori…. “oltre ai segnali di allerta automatici, anche segnali di allerta innescati, ad esempio, dall'interazione con il debitore potrebbero svolgere un ruolo nel sistema di allerta precoce”). Si definiscono Early Warning Indicators (EWI) tali indicatori, che possono provenire da fonti esterne (camere di commercio, registri immobiliari, tribunali) o interne e possono riguardare sia il debitore, o il suo portafoglio, sia il settore cui appartiene.

Tra gli indicatori di allerta riguardanti il debitore, ricordiamo i seguenti: i) aumento dei livelli di debito e garanzia reale in altre banche; ii) esposizioni scadute o altre categorie di esposizioni deteriorate in altre banche; iii) default del garante; iv) debito censito in centrale rischi privata; v) azione legale; vi) fallimento; vii) variazione della struttura societaria (fusioni, riduzione del capitale); viii) rating esterni assegnati e relative tendenze; ix) altre informazioni negative riguardanti i principali clienti/controparti del debitore/fornitore; x) tendenza negativa del rating interno; xi) assegni non pagati; xii) variazione significativa del profilo di liquidità; xiii) leva finanziaria delle passività (ad esempio capitale proprio/totale passività inferiore a 5% o 10%); xiv) numero di giorni scaduto; xv) numero di mesi di eventuale utilizzo dello scoperto/superamento dello scoperto; xvi) utili al lordo delle imposte/ricavi (ad esempio, rapporto inferiore pari all'1%); xvii) perdite continue; xviii) eccesso prolungato dello sconto di carta commerciale; xix) fondi propri negativi; xx) ritardo nei pagamenti; xxi) calo del fatturato; xxii) riduzione delle linee di credito relative a crediti commerciali; xxiii) riduzione inattesa di linee di credito inutilizzate; xxiv) tendenza negativa del punteggio comportamentale; xxv) tendenza negativa del rating o della probabilità di default.

Questo profilo della vicenda della gestione degli NPL s'intreccia poi intensamente con il tema delle “misure di concessione”, perché per individuarle adeguatamente occorre identificare in fase precoce i segnali di possibili difficoltà finanziarie future del debitore; alla valutazione delle riduzioni di valore e alla cancellazione degli NPL e, infine alla valutazione delle garanzie immobiliari.

Conclusioni

Dato quanto detto fin d'ora, appare chiaro che condizione indispensabile per il successo del nuovo sistema teso a fare emergere tempestivamente la crisi è che i sistemi di allerta interna aziendale siano impostati su metodiche di rilevazione degli indicatori di criticità omogenee a quelle di allerta bancaria (EWI) o, almeno, non troppo diverse da quelle.

Tale obiettivo non può dirsi garantito dalla sola previsione dell'obbligo, in capo alle banche, di informare l'organo di controllo delle variazioni o revisioni negli affidamenti, quando disposte. In molti casi, infatti, tale comunicazione potrebbe preludere allo scivolamento dell'impresa verso una condizione d'irreversibilità della crisi, se non perfino esserne la causa adeguata. Un'attenta lettura dell'art. 17, poi, mette in chiaro che alla banca non è chiesto di cooperare per la riuscita del tentativo di precoce risanamento che l'attento debitore volesse intraprendere, fino al punto, magari, di rinunciare a tutelare il proprio credito in via giudiziale. Invero, ivi si afferma che l'obbligo informativo posto in carico all'istituto di credito è chiamato a contribuire alla “tempestività” delle segnalazioni all'organo amministrativo da rendersi, a cura dell'organo di controllo, quando questo riscontri “fondati indizi della crisi”. Nulla di più, come si evince anche dall'assenza di previsioni normative tese a “congelare” il normale potere della banca–creditrice di tutelare i propri diritti. Vi è da aggiungere poi che, con somma probabilità, la banca adempirà a quest'obbligo pensando che esso potrà produrre l'effetto di spingere il debitore a presentare domanda di costituzione dell'organismo di composizione della crisi (art. 19 Organismo di composizione della crisi della legge delega) e, a stretto seguire, di domandare la concessione delle “misure necessarie per condurre a termine le trattative in corso” (art. 23 Misure protettive della legge delega). Le ricadute macro-economiche dell'aggravamento delle condizioni di tutela del credito bancario sono note a tutti e da tutti condivise. Che, esse, siano oggi, dopo l'emanazione dei provvedimenti di Banca centrale europea e Banca d'Italia, ancor più sentite di prima è una delle ragioni di questo mio intervento. Ma non posso non segnalare che la giusta scelta del legislatore di non penalizzare il credito bancario ha finito, ingiustamente, per avvantaggiare il creditore-banca rispetto agli altri perché esso sarà quello che – grazie alla possibilità di eludere la rete di confidenzialità che avvolgerà il procedere dell'organismo di composizione della crisi (ripeto la mia convinzione che la segnalazione all'organo di controllo che alle banche viene imposta dall'art. 17 funge, nel contempo, per stare al tema, da early warning a vantaggio della stessa banca, che potrà presumere la prossima attivazione del tentativo di composizione della crisi) - riuscirà a prevenire gli effetti delle misure di protezione.

Ritornando al tema della omogeneità/disomogeneità delle procedure di allerta, è vero che impresa e banca condivideranno solo i dati provenienti dalle cosiddette “fonti esterne”; e che la banca userà, quali indicatori di allerta, anche dati non pertinenti al debitore ma al suo settore di appartenenza, ossia dati tendenzialmente trascurati dall'impresa e sottovalutati, almeno in genere, dagli organi di controllo.

Se, però, esaminiamo la gran mole d'indicatori di allerta provenienti da “fonti interne” e utilizzabili dal sistema bancario, ci rendiamo conto che ciò che distingue l'impresa debitrice dalla banca non è tanto il tipo di dati a disposizione – riguardando essi lo stesso debitore e, dunque, dovendo esso esserne a conoscenza ben prima della banca – quanto la loro aggregazione, elaborazione e, specialmente, direzione di utilizzo, perché nella banca, più che nel debitore, quei dati sono letti in chiave prospettica (ed ancor più lo sarà nel futuro) e sono interpretati in modo funzionale alla regola di prudente gestione, che non indirizza in ugual modo l'azione dell'impresa commerciale.

È dunque alto, ma non auspicato, il rischio di mismatch tra i due sistemi, con un'attivazione di EWI da parte della banca prima della rilevazione dello stato di crisi infra-aziendale, così come il contrario. Se ciò è vero, resta ferma l'importanza – da anni segnalata dai più attenti osservatori dei rapporti banca-impresa ma, nei fatti, scarsamente coltivata - che migliori la qualità e la tempestività delle informazioni che le imprese elaboreranno, da accompagnarsi alla oramai litanica affermazione dell'esigenza di una graduale riduzione della centralità del finanziamento bancario a favore di un maggiore ricorso al mercato dei capitali.

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