Brevi note in tema di versamenti in conto capitale

Elena Bracciali
10 Aprile 2018

I versamenti in conto capitale rappresentano una species del genus “apporti fuori capitale” e sono costituiti da somme o altre utilità che i soci erogano alla società con l'obiettivo di incrementare il relativo capitale di rischio e di destinare all'impresa sociale - indipendentemente dagli obblighi assunti con l'adesione all'atto costitutivo - un'ulteriore attribuzione patrimoniale diversa dal conferimento, senza ricevere alcuna controprestazione
Premessa

I versamenti in conto capitale rappresentano una species del genus “apporti fuori capitale” e sono costituiti da somme o altre utilità che i soci erogano alla società con l'obiettivo di incrementare il relativo capitale di rischio e di destinare all'impresa sociale - indipendentemente dagli obblighi assunti con l'adesione all'atto costitutivo - un'ulteriore attribuzione patrimoniale diversa dal conferimento, senza ricevere alcuna controprestazione (Rubino De Ritis, Gli apporti “spontanei” in società di capitali, Torino, 2001, 24).

Gli apporti fuori capitale rappresentano strumenti di finanziamento atipici, non espressamente disciplinati dall'ordinamento, espressione dell'autonomia privata del socio che può decidere di rifinanziare l'impresa secondo le più diverse forme negoziali, e ciò in quanto non esiste nel nostro ordinamento un principio “che impone al socio di intervenire finanziariamente a sostegno della propria società secondo forme negoziali tipiche” (Maugeri, Finanziamenti “anomali” dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, Milano, 2005, 192).

Gli apporti fuori capitale: una prima classificazione

Gli “apporti fuori capitale” - data l'assenza di una compiuta disciplina civilistica - possono inquadrarsi secondo una pluralità di “etichette-qualificative” (Divizia, I versamenti in conto aumento capitale. Analisi dell'istituto fra regole di bilancio e disciplina societaria, in Notariato, 2012, 191).

Più in particolare, possono individuarsi tre principali categorie:

i) i finanziamenti soci, che si distinguono dai versamenti in conto capitale poiché attribuiscono il diritto alla restituzione della somma erogata alla scadenza del termine pattuito. Nei versamenti in conto capitale, al contrario, il diritto alla restituzione matura soltanto in sede di liquidazione della società e solo dopo l'integrale pagamento dei debiti sociali, nei limiti dell'eventuale attivo residuo del bilancio di liquidazione;

ii) i versamenti destinati a coprire un determinato aumento di capitale a pagamento che vengono iscritti in bilancio al passivo reale (tra i debiti) e per i quali può configurarsi un obbligo di restituzione qualora non venga rispettato il relativo vincolo di destinazione. Questi si suddividono, a loro volta, in a) versamenti in conto aumento di capitale, destinati alla copertura anticipata di un aumento di capitale a pagamento già deliberato; b) versamenti in conto futuro aumento di capitale, destinati alla copertura di un futuro aumento di capitale a pagamento non ancora deliberato;

iii) i versamenti per i quali non è concordata la restituzione e che vanno ad essere definitivamente acquisiti al patrimonio della società senza che ciò comporti una modifica del capitale sociale. Tali versamenti si distinguono, a loro volta, in a) versamenti a fondo perduto o a copertura di perdite, erogati alla società in seguito a perdite e utilizzati dalla medesima per il ripianamento delle stesse; b) versamenti in conto capitale “destinati ad incrementare la potenzialità produttiva della società, al fine di sopperire alle esigenze di capitale di rischio, dei quali la società ha piena libertà quanto alla loro utilizzazione” (in questi termini e per una puntuale classificazione degli apporti fuori capitale, cfr. Festa Ferrante, Natura giuridica e vicende dei versamenti in conto capitale e a fondo perduto (o a copertura di perdite), in Riv. Not., 2010, 999 ss.).

La natura dei versamenti in conto capitale e la disciplina applicabile

Tanto chiarito con riguardo alle diverse tipologie di apporti fuori capitale, di particolare interesse appare la disciplina dei versamenti in conto capitale.

Siffatti versamenti possono sostanziarsi in apporti monetari o in natura (ex multis, Miola, I conferimenti in natura, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo-Portale, I***, Torino, 2004, 208 ss.; Irrera, I “prestiti” dei soci alla società, Padova, 1992, 102, nt. 23. Sulla procedura di stima del bene nel caso di apporti in natura v. Rubino de Ritis, op. cit., 75 ss.) e risultano particolarmente diffusi nella prassi poiché rappresentano un “efficace e flessibile strumento che i soci possono utilizzare per fare fronte a varie esigenze della società”, diretti a creare disponibilità finanziarie “discrezionalmente destinabili dagli amministratori a scopi attinenti all'oggetto sociale” (in questi termini, da ultimo cfr. Trib. Roma 1 giugno 2016, in Giur. it., 2017, 115 ss. con nota di Cagnasso; Cass. 24 luglio 2007, n. 16393, in Riv. Not., 2009, 1058 ss. con nota di Ferrucci-Ferrentino). I versamenti in conto capitale, dunque, possono essere prestati solo da alcuni soci ed essere dilazionati nel tempo in relazione alle concrete necessità finanziarie della società (Rubino De Ritis, op. cit., 3).

L'inapplicabilità della disciplina sui conferimenti, e l'assenza di una espressa regolamentazione civilistica, pongono particolari problemi sia in merito alla corretta ricostruzione giuridica dei versamenti in conto capitale che alla loro utilizzazione da parte della società. Al fine di inquadrarne la disciplina applicabile occorre, pertanto, analizzare distintamente:

(i) le forme di costituzione dei versamenti in conto capitale;

(ii) le modalità di contabilizzazione in bilancio;

(iii) le modalità di restituzione.

Con riguardo alle forme di erogazione, i versamenti in conto capitale affluiscono alla società senza che si renda necessario il rispetto di particolari formalità (Irrera, op. cit., 109).

In primo luogo, la loro caratteristica principale - in virtù del principio inderogabile per cui il socio non può essere obbligato a conferimenti ulteriori rispetto a quello iniziale - è quella della spontaneità. Conseguentemente, “non possono essere imposti dall'atto costitutivo o da una sua modifica (salvo la diversa ipotesi prevista dall'art. 2345 c.c.), né da una deliberazione assembleare o da una decisione degli amministratori” ma possono fondarsi su un accordo tra i soci o su un impegno unilateralmente assunto dal singolo socio nei confronti della società (Rubino de Ritis, op. cit., 37; in tal senso anche Busi, Versamenti e finanziamenti dei soci nelle operazioni notarili, in Notariato, 2000, 360).

Nella prassi, l'accordo tra i soci concernente le modalità con le quali i versamenti verranno eseguiti può, in astratto, sostanziarsi a) in una clausola statutaria, b) in una delibera assembleare, c) in un accordo parasociale o d) in un contratto stipulato tra il singolo socio e la società.

a) Con riferimento alla possibilità di inserire clausole in statuto che prevedano apporti aggiuntivi a carico dei soci, non sembra potersi configurare una clausola che ne tolleri la richiesta da parte dell'organo amministrativo o assembleare, trattandosi, come sopra precisato, di versamenti caratterizzati dal requisito della spontaneità (Busi, op. cit., 360). In ogni caso, una clausola di tal tipo potrà ritenersi valida qualora abbia il limitato contenuto precettivo di stabilire la modalità con cui i soci possono “spontaneamente” obbligarsi nei confronti della società ad apporti fuori capitale (Rubino de Ritis, op. cit., 38; App. L'Aquila 7 marzo 1995, in Riv. Dir. Comm., 1996, II, 55 con nota di Avagliano. Si veda però Busi, op. cit., 360, secondo il quale l'unica clausola statutaria da ritenersi valida per siffatti versamenti sembra essere quella che “vieta tali dazioni o ne condizioni l'efficacia ad una successiva deliberazione di accettazione da parte dell'assemblea”).

b) Nella prassi è diffusa la convocazione dell'assemblea ordinaria per consentire ai soci di obbligarsi ad eseguire apporti di patrimonio. Al riguardo, tuttavia, occorre rammentare come la decisione di effettuare ulteriori apporti spetti ai soci uti singuli ed indipendentemente dal consenso degli altri. In tal caso, la delibera avrà valore vincolante solo ove sia presa all'unanimità, ovvero, se presa a maggioranza, sia considerata come atto vincolante al versamento per i soli soci consenzienti, finendo, quindi, per perdere la sua natura di atto della società per diventare atto dei soci consenzienti contenuto impropriamente in una delibera assembleare (Festa Ferrante, op. cit., 1016; Tantini, I versamenti dei soci alla società, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo-Portale, I***, Torino, 2004, 767 ss.; in giurisprudenza, Trib. Roma 11 febbraio 1995, in Soc., 1995, 964 ss.. Sulla vincolatività di delibere unanimi cfr. Irrera, op. cit., 123 e ss. In senso parzialmente conforme Rubino de Ritis, op. cit., 41, secondo il quale ciascun socio partecipante alla riunione sarà chiamato ad esprimere individualmente - mediante un'espressa dichiarazione - il proprio consenso ad eseguire determinati versamenti). Se dal verbale non risulti alcuna volontà del socio di eseguire un nuovo apporto, la delibera avrà un mero valore ricognitivo (Tantini, op. cit., 767; contra Rubino de Ritis, op. cit., 42; Nobili-Spolidoro, La riduzione del capitale, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo-Portale, 6*, Torino, 1993, 298, ritengono invece che l'assemblea si limiti ad esprimere la volontà della società di accettare sia in via preventiva che successiva l'apporto del socio).

c) Nel caso in cui l'obbligo del versamento derivi da un'obbligazione prevista in un patto parasociale precedentemente concluso tra i soci, si tratterà di un patto a favore del terzo (la società) e troverà la propria disciplina all'art. 1411 c.c. (Festa Ferrante, op. cit., 1014; Irrera, op. cit., 125).

d) Infine, i versamenti in conto capitale possono essere concessi alla società sulla base di un contratto stipulato tra il singolo socio e la società mediante il quale le parti stabiliscono, nell'esercizio dell'autonomia negoziale, il tipo di vincolo a cui i soci intendono assoggettare l'erogazione di denaro (Tombari, “Apporti spontanei” e “prestiti” dei soci nelle società di capitali, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Campobasso, diretto da Abbadessa-Portale, Torino, 2007, 570). Si tratterà, in tal caso, di un contratto gratuito e atipico perfezionabile secondo lo schema dell'art. 1333 c.c. (ex multis, Festa Ferrante, op. cit., 1013).

In quest'ultima ipotesi non è richiesta la forma scritta - salvo nel caso di trasferimento di un diritto reale o personale ove previsto dalla legge - ed il contratto può essere stipulato direttamente dagli amministratori con i soci senza che occorra un intervento da parte dell'assemblea (Tombari, op. cit., 571; Maugeri, op. cit., 148; in giurisprudenza Trib. Trieste 11 maggio 2017).

Fermo quanto precede, quasi mai nella prassi si rinvengono accordi scritti diretti a regolare i diritti e i doveri dei soggetti che si impegnano ad effettuare i versamenti (Parrella, Versamenti in denaro dei soci e conferimenti nelle società di capitali, Milano, 2000, 162 ss.) e quindi, risulta difficile stabilire la natura giuridica di tali erogazioni di denaro. In merito, al fine di valutare se l'apporto sia da considerarsi come capitale di rischio o come capitale di debito, potranno impiegarsi i normali criteri interpretativi della volontà negoziale, dovendo trarne prova (di cui è onerato il socio attore in restituzione) dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare diretto, dagli interessi che vi sono sottesi (ex multis, Cass. 23 marzo 2017, n. 7471; Cass. 3 dicembre 2014, n. 25585, in Giur. comm., 2016, II, 583 ss., con nota di Scano; Cass. 23 febbraio 2012, n. 2758, in Giur. comm., 2012, II, 1213 ss. con nota di Rufini; Cass. 6 luglio 2001, n. 9209, in Soc., 2002, 35 ss. con nota di Verdirame; Trib. Trieste 11 maggio 2017, cit.; Trib. Roma, 1 giugno 2016, cit.)

Al fine di individuare la comune intenzione delle parti sono stati elaborati taluni indici “sintomatici” tra i quali possono ricomprendersi: (i) la situazione di sottocapitalizzazione in cui versa la società al momento dell'erogazione, dato che la sproporzione tra mezzi propri e mezzi di debito sarebbe un sintomo inequivocabile della volontà del socio di dotare di patrimonio, e non semplicemente di finanziare la società (Tantini, op. cit., 775; Irrera, op. cit., 111); (ii) l'“anormalità” del prestito, da intendersi come il difetto di un preciso termine di restituzione della somma prestata e l'assenza di pattuizioni circa la corresponsione di interessi, circostanze da sole inidonee ad escludere la natura creditizia dell'erogazione ma che divengono segno inequivocabile della volontà delle parti di realizzare un versamento di capitale di rischio qualora ad esse si accompagni la mancata prestazione di garanzie da parte della società (Tantini, op. cit., 775; Irrera, op. cit., 112; Abbadessa, Il problema dei prestiti dei soci nelle società di capitali: una proposta di soluzione, in Giur. comm., 1988, I, 510 ss.; contra Rubino de Ritis, op. cit., 20 ss.); (iii) l'appostazione del relativo ammontare tra le voci del patrimonio netto (Tantini, op. cit., 775; Parrella, op. cit., 164; in questo senso anche Cass. 23 marzo 2017, n. 7471, cit.; Cass. 23 febbraio 2012, n. 2758, cit.; Cass. 6 luglio 2001, n. 9209, cit.). In particolare, la successiva approvazione del socio erogante del bilancio contenente la posta in questione rappresenta un comportamento posteriore alla conclusione del contratto che la stessa legge suggerisce quale indice sintomatico della comune intenzione dei contraenti (Cass. 6 luglio 2001 n. 9209, cit.; Trib. Trieste 11 maggio 2017, cit.. Per una analisi degli indici sintomatici Rivaro, Nota in tema di versamenti dei soci alla società, in Giur. it., 2007, 2512 ss.).

Esaurita l'analisi sulle modalità di costituzione di tali apporti, secondo l'opinione prevalente i versamenti in conto capitale, una volta effettuati, vanno a costituire una riserva, non di utili ma “di capitale”, soggetta alla stessa disciplina della riserva da soprapprezzo (Cass. 24 luglio 2007, n. 16393, cit.; in dottrina ex multis, Tombari, op. cit., 573; M. Campobasso, I finanziamenti dei soci, Torino, 2004, 123; Parella, op. cit., 147 ss.; Irrera, op. cit., 185; Portale, Appunti in tema di “versamenti in conto futuri aumenti di capitale” eseguiti da un solo socio, in Banca borsa tit. cred., 1995, 96; Abbadessa, op. cit., 508. Ritengono soggetta alla disciplina della riserva facoltativa Festa Ferrante, op. cit., 1011; Tantini, op. cit., 777 ss.; Rubino de Ritis, op. cit., 157 ss.).

Gli amministratori, pertanto, dovranno darne evidenza in un'apposita voce del patrimonio netto (“Altre riserve” di cui all'art. 2424 c.c. punto A.VII del passivo) specificando la dicitura “versamenti in conto capitale” ed “indicando nella nota integrativa, tra l'altro, la sua origine nonché la possibilità di utilizzazione e la distribuibilità” (Tombari, op. cit., 572; Maugeri, op. cit., 145. Lo stesso principio contabile OIC n. 28 ricomprende nelle “Altre riserve” i versamenti in conto capitale, definiti come nuovi apporti operati dai soci, pur in assenza dell'intendimento di procedere a futuri aumenti di capitale).

I versamenti in conto capitale si caratterizzano per la mancanza di un obbligo di restituzione a carico della società e, conseguentemente, possono essere restituiti solo a seguito dello scioglimento della stessa e solo nei limiti dell'eventuale attivo residuo del bilancio di liquidazione (per tutti, Cass. 23 marzo 2017, n. 7471, cit.; in dottrina ex multis, Tombari, op. cit., 574).

Fermo quanto precede, tuttavia, si ritiene che anche prima dello scioglimento, la società possa comunque deliberare la restituzione di tali apporti nelle forme proprie della distribuzione delle riserve. Non potrà configurarsi, in ogni caso, un diritto alla “restituzione”, in quanto “la distribuzione è un'operazione sociale rispetto alla quale i partecipanti hanno una mera aspettativa” (Balp, Commento sub art. 2467 c.c., in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2008, 285; in questo senso anche Trib. Roma 1 giugno 2016, cit.; Cass. 24 luglio 2007, n. 16393, cit.).

Sul punto, con specifico riguardo alle modalità da seguire per effettuare la distribuzione, si ritiene che la competenza spetti - perlomeno per le società per azioni - all'assemblea ordinaria (Rubino De Ritis, op. cit., 163; in tal senso si veda anche Festa Ferrante, op. cit., 1022; Tantini, op. cit., 765 s.; Irrera, op. cit., 203. In giurisprudenza, Cass. 24 luglio 2007, n. 16393, cit.). In relazione ai limiti di distribuibilità, qualora si ritenga applicabile la disciplina della riserva facoltativa, la società potrà decidere la distribuzione della riserva in esame senza alcun vincolo, diversamente, ove si ritenga applicabile la normativa relativa alla riserva sovrapprezzo, la medesima potrà deliberarne la distribuzione solo quando questa abbia raggiunto il limite del quinto del capitale sociale.

Gli apporti non proporzionali e le riserve “targate”

Come sopra precisato, i versamenti in conto capitale possono essere effettuati solo da alcuni soci (anche da uno soltanto), e possono, altresì, non essere proporzionali alle quote di partecipazione al capitale.

Per tali apporti, si è avanzata l'ipotesi di configurare una riserva c.d. “targata” ovvero “personalizzata”. Si tratta di una riserva intuitu personae che deroga alle proporzioni stabilite nel contratto sociale e permette di evitare che i capitali versati vadano a confondersi “nel coacervo del patrimonio comune”al pari di quanto accade per le altre poste iscritte nel patrimonio netto (Tronci, Le riserve “targate” tra diritto e ragioneria, in Riv. Soc., 2012, 1129).

Con riferimento alle modalità di costituzione di una riserva targata, possono prospettarsi diverse alternative: i) secondo taluni la riserva si costituisce “automaticamente” senza necessità di alcuna formalità ove siano effettuati versamenti in conto capitale non proporzionali (Tantini, op. cit., 781; Portale, op. cit., 96; in giurisprudenza, Cass. 24 luglio 2007, n. 16393, cit.); ii) altri ritengono necessaria una espressa previsione di “personalizzazione” della riserva che può contenersi nell'atto in forza del quale si effettua il versamento, ovvero a) un accordo autonomo oppure una espressa clausola contrattuale (Spolidoro, Riserve targate, in Società, Banche e Crisi d'impresa, Liber amicorum Abbadessa, diretto da Campobasso, Cariello, Di Cataldo, Guerrera, Sciarrone, Alibrandi, Torino, 2014, 1338; Festa Ferrante, op. cit., 1013); b) un'apposita clausola statutaria che preveda la possibilità di creare una riserva targata (Tronci, op. cit., 1151); c) una deliberazione dell'assemblea ordinaria con la quale si autorizzi il socio alla costituzione di una siffatta riserva (Tronci, op. cit., 1150; contra, Spolidoro, Riserve targate, cit., 1340 ss.. Secondo Tronci, op. cit., 1151, la delibera potrà essere contestuale al versamento oppure successiva, e potrà coincidere con la delibera di approvazione del bilancio in cui i versamenti non proporzionali sono indicati in nota integrativa come targati).

La modalità di contabilizzazione non differisce da quella prevista in via generale per i versamenti in conto capitale. Appare opportuno, tuttavia, dare conto nello stato patrimoniale o quanto meno nella nota integrativa del fatto che il versamento è stato eseguito da determinati soci individuati e che è di loro esclusiva spettanza (Portale, op. cit., 96).

In relazione alla disciplina delle riserve targate, appare di particolare interesse i) la modalità di distribuzione durante la vita della società, ovvero di rimborso in caso di scioglimento e liquidazione della stessa; ii) l'utilizzo delle riserve a copertura di perdite, o per aumenti di capitale sociale; iii) il caso di recesso o di cessione della partecipazione del socio che ha contribuito alla formazione della riserva targata.

In primo luogo, al momento della distribuzione - al ricorrere delle condizioni sopra esaminate - le riserve targate non saranno ripartite a favore di tutti i soci in proporzione alle rispettive partecipazioni al capitale sociale, ma a favore dei soli soci che hanno effettuato il versamento, in proporzione a quanto versato (Spolidoro, Apologia delle riserve targate e degli accordi di targatura delle riserve, in Banca borsa tit. cred., 2017, 1 ss.; Tantini, op. cit., 781; M. Campobasso, op. cit., 123; Parrella, op. cit., 153; Portale, op. cit., 96; in giurisprudenza, Cass. 24 luglio 2007, n. 16393, cit., contra Miola, op. cit., 212, nt. 508; Rubino de Ritis, op. cit., 170; Irrera, op. cit., 204 ss.). Coerentemente, nell'ipotesi di scioglimento e liquidazione della società, le riserve targate dovranno essere divise tra coloro che hanno contribuito a formarle in ragione dei rispettivi apporti purché siano stati soddisfatti i creditori sociali e sia stato rimborsato il capitale sociale (ex multis, Spolidoro, Riserve targate, cit., 1349; Parrella, op. cit., 157; in giurisprudenza, Cass. 24 luglio 2007 n. 16393, cit.).

In caso di perdite, le riserve in questione potrebbero essere erose solo per la parte delle medesime che non trovi capienza nelle altre riserve, ivi compresa quella legale, ma in ogni caso prima del capitale sociale (Tronci, op. cit., 1158; M. Campobasso, op. cit., 124; Parrella, op. cit., 157; Portale, op. cit., 98; contra, Irrera, op. cit., 204 s.). Qualora, invece, venga deliberato un aumento di capitale gratuito, la società potrà disporre della riserva targata, ma - in deroga a quanto previsto all'art. 2442 c.c. - le azioni di nuova emissione saranno assegnate gratuitamente solo a favore dei soci cui è legata tale riserva, nella misura dei rispettivi contributi (Spolidoro, op. cit., 1348; Tronci, op. cit., 1155; M. Campobasso, op. cit., 123; Parrella, op. cit., 154; Portale, op. cit., 97; contra, Cass. 24 luglio 2007, n. 16393, cit.).

Nell'ipotesi di recesso, la targatura o personalizzazione della riserva viene meno rispetto al singolo socio recedente in quanto la rinuncia implica la cessazione del collegamento tra la riserva targata ed il medesimo (Spolidoro, Riserve targate, cit., 1351; Tronci, op. cit., 1159 s.). La perdita del diritto alla targatura della riserva e la possibilità di distribuire la relativa somma a tutti i soci dovranno, tuttavia, tenersi in considerazione in sede di liquidazione delle azioni del socio recedente (Spolidoro, Riserve targate, cit., 1351; Tronci, op. cit., 1160). Infine, in caso di cessione delle azioni del socio che ha contribuito alla formazione della riserva targata, occorrerà procedere in via pattizia, posto che l'acquirente non subentra automaticamente nella posizione del socio cedente rispetto alle riserve targate (Spolidoro, Riserve targate, cit., 1350; Tronci, op. cit., 1159; Parrella, op. cit., 159; Portale, op. cit., 98).

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