Danno alla salute causato da imperizia: già accertato il nesso causale, nessuna autonomia risarcitoria per la mancanza di consenso informato
12 Aprile 2018
IL CASO Una donna si sottopone ad una appendicectomia ma, nel corso dell'intervento, il chirurgo asporta di propria iniziativa una cisti inguinale senza eseguire correttamente l'operazione, cagionandole danni permanenti alla vita relazionale e alla sfera sessuale, per il risarcimento dei quali la danneggiata si rivolge al Tribunale di Salerno. Il giudice di prime cure condanna il medico al risarcimento dei danni in solido con l'azienda ospedaliera ma la donna, non ritenendo congruo l'importo liquidatogli per il danno esistenziale, ricorre in appello. La Corte Territoriale rigetta il gravame in applicazione delle Sentenze di San Martino che vietano la duplicazione del risarcimento. La danneggiata ricorre ora in Cassazione, sulla base di due motivi.
INAMMISSIBILE IL MOTIVO DI GRAVAME PER NOVITÀ Con il primo, la donna denuncia la corte territoriale per non aver ritenuto rilevante la mancanza di consenso. La Suprema Corte considera tale motivo inammissibile e dichiara che la corte territoriale aveva correttamente dichiarato inammissibile, per novità, il motivo di gravame perché la danneggiata aveva chiesto di essere risarcita per i danni alla salute psicofisica conseguenti all'essere stata operata senza alcuna informazione circa l'intervento di asportazione della cisti e quindi le era preclusa la mutazione della domanda per la prima volta in appello, invocando il risarcimento di una diversa voce di danno, ossia il pregiudizio derivante dalla lesione della propria libertà negoziale di autodeterminazione nell'assenso al trattamento terapeutico, rispetto al danno alla salute conseguente alla lesione del diritto all'integrità psicofisica.
NON BASTA LA MERA ALLEGAZIONE La Corte territoriale, conformandosi a Cass. civ. n. 2847/2010, aveva affermato che la mera allegazione del mancato consenso non qualifica ex sé il danno conseguenza derivato dalla violazione della libertà negoziale, e che sarebbe stato necessario dimostrare che la carenza informativa era stata causa del danno all'integrità psicofisica.
NESSO CAUSALE GIÀ ACCERTATO Inoltre, nel caso di specie, non rileva l'onere probatorio gravante sul paziente perché il danno alla salute non era dipeso da complicanze, ancorché prevedibili, di intervento corretto e necessario, bensì era conseguenza di un errore professionale cagionato dall'imperizia: essendo già stato accertato il nesso causale tra danno e condotta del medico, nessuna autonomia a fini risarcitori era rinvenibile nella omissione informativa, classificabile come mera concausa. La Cassazione ritiene dunque «intangibile la pronuncia della Corte d'Appello di inammissibilità del motivo di gravame sul quale era stata formulata per la prima volta domanda (nuova) volta ad ottenere il risarcimento di altre voci di danno distinte dal danno alla salute».
IL SECONDO MOTIVO DI RICORSO: AUTONOMIA DEL DANNO ESISTENZIALE Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l'errore in cui sarebbe incorsa la corte territoriale respingendo il motivo volto ad ottenere una maggiorazione del danno liquidato sul presupposto che il danno esistenziale avrebbe dovuto essere autonomamente considerato.
NON ESISTE COME AUTONOMA CATEGORIA DI DANNO La Suprema Corte ricorda il costante orientamento di legittimità che considera inammissibile l'autonoma categoria di danno esistenziale, inteso come pregiudizio ad attività non remunerative della persona: i pregiudizi derivanti dalla lesione di diritti costituzionalmente garantiti sono già risarcibili ex art. 2059 c.c., dunque una ulteriore liquidazione comporterebbe una duplicazione del risarcimento. Il danno esistenziale non può essere inteso come autonoma categoria di danno, perché non esiste: il pregiudizio consistente nella riduzione della vita di relazione e nell'alterazione della sua vita sessuale sono una deminutio della sfera di realizzazione della persona, e come tali vanno risarciti. La Corte dunque rigetta il ricorso. |