La natura prededucibile dei crediti sorti successivamente all'omologa del concordato

Anselmo Sovieni
16 Aprile 2018

I crediti nascenti da nuovi contratti che, pur se non espressamente contemplati nel piano concordatario, siano stipulati dal debitore in corso di esecuzione del concordato preventivo omologato, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti dal piano medesimo e dell'adempimento della proposta, devono ritenersi sorti in funzione della procedura e vanno ammessi in prededuzione allo stato passivo del fallimento consecutivo, dichiarato per effetto della risoluzione del concordato.
Massima

I crediti nascenti da nuovi contratti che, pur se non espressamente contemplati nel piano concordatario, siano stipulati dal debitore in corso di esecuzione del concordato preventivo omologato, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti dal piano medesimo e dell'adempimento della proposta, devono ritenersi sorti in funzione della procedura e vanno ammessi in prededuzione allo stato passivo del fallimento consecutivo, dichiarato per effetto della risoluzione del concordato.

Il caso

Il caso nasce dauna sentenza del Tribunale di Milano che ha respinto l'opposizione a stato passivo proposta dal creditore, che aveva chiesto la collocazione in prededuzione del proprio credito nell'ambito del fallimento di una società derivante dalla risoluzione di un concordato preventivo. Si trattava di un concordato in continuità e il credito riguardava una fornitura di energia elettrica (quindi non certamente un contratto specificamente previsto nel piano concordatario).

Il contratto da cui derivava il credito era stato stipulato circa due anni dopo l'omologa del concordato preventivo e per tale motivo il giudice del fallimento aveva ritenuto che il credito non avesse natura prededucibile non potendosi ritenere lo stesso sorto in funzione od in occasione della procedura minore, rilevando altresì che il concordato si chiude con il decreto di omologazione e che l'attività svolta dal debitore dopo l'omologa è una normale attività di impresa.

Avverso tale decisione la società fornitrice di energia elettrica interponeva ricorso per cassazione lamentando la mancata collocazione del credito in via prededucibile e la Suprema Corte, con il provvedimento oggetto di commento, ha stabilito diversi principi destinati ad essere fonte di molteplici spunti di riflessione in ordine al delicato e non sufficientemente esplorato tema dell'esecuzione del concordato preventivo, tra i quali spicca quello secondo il quale anche i crediti sorti in virtù di contratti stipulati in data successiva all'omologazione del concordato preventivo hanno natura prededucibile.

La questione

La questione della possibile natura prededucibile dei crediti sorti successivamente all'omologazione della procedura concordataria aveva già trovato un primo arresto giurisprudenziale con l'ordinanza della Cass. Civ. Sez. I, n. 17911 del 9 settembre 2016 a mente della quale “I crediti sorti in esecuzione del concordato preventivo sono prededucibili nel successivo fallimento se conformi al piano approvato dai creditori ed omologato dal Tribunale.”

Se tale pronuncia, che già qualche perplessità aveva destato in considerazione della portata innovativa e, soprattutto, dell'impatto che essa portava nell'ambito della procedura concordataria, poteva sembrare un precedente isolato, la sentenza in commento è idonea a rafforzare e consolidare l'orientamento assunto dalla Suprema Corte. Tant'è che nella stessa pronuncia si fa espresso riferimento alla precedente ordinanza testè menzionata, specificando che le nuove obbligazioni sorte nel corso dell'esecuzione del concordato, “siccome traenti origine da negozi diretti al raggiungimento degli obiettivi previsti dal piano, devono senz'altro ritenersi sorte “in funzione” della procedura”.

Pare allora precisa la volontà della nomofilachia di ripercorrere le motivazioni già assunte nel precedente citato, al fine di giungere alle medesime conclusioni. Il tutto ancorché si debba registrare un ulteriore precedente (Cass. Civ. Sez. VI, ordinanza 20 aprile 2017, n. 10046, che non ha trovato particolare risalto attraverso adeguata massimazione) in cui il Supremo Collegio, chiamato a decidere sul medesimo fallimento che aveva originato l'ordinanza n. 17911 del 9 settembre 2016, e sempre con riferimento ad una richiesta avente ad oggetto la prededucibilità di crediti sorti nel corso della procedura concordataria, affermi che “i crediti nascenti da obbligazioni contratte nel corso della procedura di concordato preventivo, cui segue la risoluzione per inadempimento, non possono, nel successivo fallimento, essere soddisfatti in prededuzione e gli atti istruttori degli stessi, sia di natura espositiva che meramente liquidatoria, sono suscettibili, ricorrendo i presupposti, di revocatoria fallimentare, stante la funzione liquidatoria del concordato, rispetto alla quale la continuazione dell'esercizio dell'impresa da parte del debitore è estranea, in quanto meramente eventuale”. L'ordinanza prosegue poi affermando l'irrilevanza dell'ordinanza n. 17911 del 9 settembre 2017 “resa nei confronti del medesimo fallimento sul ricorso di altro creditore, soffermatasi su doglianze e problematiche di diverso tenore”.

Ciò posto occorre allora esaminare le motivazioni in virtù delle quali la sentenza in commento giunge alla conclusione della prededucibilità dei crediti sorti post-omologa.

A tale proposito pare di cogliere che la principale motivazione addotta dal Supremo Collegio consiste nel fatto che la chiusura del concordato, coincidente con la definitività del decreto di omologa, non comporta l'acquisizione in capo al debitore della piena disponibilità del proprio patrimonio, il quale resta vincolato all'attuazione degli obblighi assunti con la proposta omologata. In virtù di tale assunto, quindi, la fase esecutiva del concordato verrebbe ad essere una sorta di “prolungamento” della medesima procedura concordataria, per cui vi sarebbe un'equiparazione tra l'obbligazione contratta nel corso della procedura (intendendosi con tale espressione il periodo che inizia con il deposito della domanda in bianco e finisce con la definitività del decreto di omologa) e quella contratta nella sua fase esecutiva.

Tale equiparazione, a sommesso avviso di chi scrive, non pare del tutto convincente; e, soprattutto, non pare sia idonea a consentire l'attribuzione della prededucibilità.

Non vi è infatti dubbio che la procedura cessi a tutti gli effetti con il decreto di omologa (o, meglio, con la definitività dello stesso); non foss'altro che per l'inequivocità dell'art. 180 l.fall. titolato “Chiusura della procedura”, il quale prevede testualmente che “La procedura di concordato preventivo si chiude con il decreto di omologazione ai sensi dell'articolo 180”.

Tale affermazione non pare essere contraddetta dalla permanenza dei necessari poteri in capo agli organi della procedura nella fase esecutiva. Così, anche la previsione contenuta nel novellato quarto comma dell'art. 185 l.fall. (comma aggiunto dall'art. 3 del D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015 n. 132) del dovere in capo al commissario giudiziale, il quale rilevi che il debitore non sta provvedendo al compimento degli atti necessari a dare esecuzione alla proposta o ne sta ritardando il compimento, di riferirne al Tribunale, il quale può a sua volta attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari a provvedere in luogo del debitore al compimento degli atti a questo richiesti, non pare essere determinante per negare il ritorno in capo al debitore della piena disponibilità del proprio patrimonio.

Egli, infatti, sarà certamente vincolato all'esecuzione del piano concordatario, con conseguente possibilità per il Tribunale di sostituire allo stesso il commissario al fine di provvedere al compimento di atti espressamente previsti nel piano; ma ciò riguarda, appunto, solamente tali atti e non certamente l'ordinaria gestione dell'impresa in ordine alla quale il debitore ritorna nelle piene facoltà imprenditoriali e gestorie (tant'è che i terzi possono liberamente contrarre con lo stesso senza alcun timore in ordine alla validità ed efficacia delle obbligazioni assunte).

Al di là del momento della chiusura della procedura concordataria, ciò che maggiormente non convince della pronuncia oggetto del presente commento è la conseguenza che viene fatta discendere dalla presunta permanenza della procedura concordataria, ossia il riconoscimento della prededucibilità (nel successivo fallimento) dei crediti sorti successivamente all'omologazione.

Infatti, se è vero che l'art. 111 l.fall. riconosce la prededucibilità a tutti i crediti sorti in occasione o in funzione di una procedura concorsuale, è altrettanto vero che tale assunto, essendo la prededuzione nient'altro che un'eccezione al generale principio della par condicio creditorum, deve trovare giustificazione in uno stretto nesso di causalità tra il credito ed il piano concordatario. Se la prededuzione altro non è che un super privilegio e i privilegi devono necessariamente essere istituiti da specifiche norme di legge, non è allora possibile ampliare la sfera della prededuzione ad ipotesi che non siano intimamente connesse all'esecuzione del piano concordatario

Se così non fosse, non si comprenderebbe la ragione della presenza, all'interno della legge fallimentare, di norme che prevedono espressamente il riconoscimento della prededucibilità per atti compiuti successivamente all'omologazione del concordato preventivo, non ritenendo evidentemente sufficiente a tal proposito la sola previsione generale di cui all'art 111 l.fall.. Ci si riferisce in particolare alla previsione di cui all'art. 182-quater l.fall. ove si prevede che siano prededucibili ai sensi dell'art. 111 l.fall. “i crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma effettuati in esecuzione di un concordato preventivo di cui agli articoli 160 e seguenti ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis”.

A tale proposito non pare poi secondario sottolineare come nelle intenzioni del legislatore vi sia quella di limitare quanto più possibile le ipotesi di prededuzione; e ciò ha trovato puntuale conferma nella Legge 19 ottobre 2017, n. 155, recante "Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza",la quale prevede espressamente l'obiettivo della riduzione dell'ipotesi di prededuzione.

Tra l'altro, l'estremizzazione del riconoscimento della prededucibilità a tutti i crediti sorti successivamente all'omologazione del concordato preventivo fino alla sua definitiva esecuzione mostra tutti i suoi limiti considerando tutte le ipotesi (purtroppo assai frequenti) di concordati la cui esecuzione si protrae nel tempo in maniera superiore alle previsioni del piano concordatario.

Ecco allora che una prima conclusione alla quale si può giungere con riferimento alla sentenza commentata è che il ragionamento del Supremo Collegio può essere condiviso solo laddove vi sia un'inscindibile connessione tra l'obbligazione contratta e il piano concordatario. Un determinato atto posto in essere dall'imprenditore successivamente all'omologazione può essere idoneo a generare un credito prededucibile solo laddove trovi specifica previsione nel piano concordatario; la specificità non dovrà ovviamente riguardare il singolo atto o il singolo contraente, ma quantomeno il genere di obbligazione assunta.

Si deve poi segnalare, in senso diametralmente opposto all'orientamento assunto dalla Corte di cassazione nella sentenza oggetto di commento, il precedente rappresentato dalla sentenza del Tribunale di Como 8 marzo 2017, a mente della quale “I crediti per servizi e forniture (nel caso di specie informatiche) maturati dopo l'omologa del concordato non possono considerarsi tout court funzionali alla procedura in difetto di una loro espressa previsione nell'ambito dei cd. oneri concordatari (quelli necessari perché il concordato potesse trovare esecuzione) all'interno del piano originariamente proposto dalla società debitrice e poi sottoposto, unitamente alla proposta, all'approvazione dei creditori.

Osservazioni

La questione della prededucibilità dei crediti sorti post-omologa non è di poco conto in quanto, laddove si dovesse accedere in maniera definitiva ad una simile soluzione, sarebbe evidente un aumento a dismisura, in tutte le procedure di concordato in continuità, dei crediti prededucibili derivanti dall'ordinaria gestione dell'impresa (si pensi che, nel caso in esame, il credito derivava da una fornitura di energia elettrica, e quindi un credito assolutamente generico, usuale, e comune ad ogni attività di impresa, non certamente legato ad uno specifico piano concordatario). Ciò, se da un lato potrebbe essere idoneo a favorire l'accesso da parte delle società in concordato a forniture da parte di soggetti che verrebbero, in tal modo, tranquillizzati dall'esistenza di una forte tutela, dall'altro potrebbe ingenerare pericolose ripercussioni sul patrimonio destinato a soddisfare la massa dei creditori concordatari.

È infatti evidente che nelle procedure di concordato preventivo in continuità non vi è una vera e propria “separazione” tra l'attivo destinato a soddisfare i creditori concordatari ed il restante patrimonio della società, tant'è che, in base al principio generale posto dall'art. 2740 c.c., il soggetto economico che si trova ad operare con l'impresa in continuità fa affidamento sul patrimonio della stessa; patrimonio che, in caso di inadempimento, ben potrebbe essere aggredito dallo stesso creditore, andando così ad incidere anche su quei beni che sarebbero stati destinati a garantire il soddisfacimento dei creditori concordatari.

La cosa risulta ancor più evidente in quei concordati nei quali il piano prevede che il soddisfacimento dei creditori concordatari provenga dai flussi di cassa generati dalla continuazione dell'attività di impresa. In tale ipotesi, infatti, sarebbero proprio gli stessi flussi di cassa destinati a garantire ai creditori concordatari a non essere potenzialmente erosi dalla gestione corrente.

Nondimeno, anche laddove vi fossero dei depositi bancari che, in base al piano, fossero destinati esclusivamente al soddisfacimento dei creditori concordatari, potrebbero comunque essere aggrediti dai creditori prededucibili proprio in virtù del principio di cui all'art. 2740 c.c.. L'attuale normativa non prevede infatti vere e proprie forme di segregazione, le quali vengono rimesse solo alla possibile previsione della società proponente, e con esiti non assolutamente certi (si pensi, ad esempio, alla creazione di patrimoni separati o all'istituzione di trusts appositamente dedicati). A maggior ragione, quindi, l'ampliamento della sfera dei creditori prededucibili pare collidere con l'esigenza di tutela dei creditori concordatari, anche se, sovente, nei concordati in continuità, le due figure possono essere coincidenti.

Il tema della prededucibilità dei crediti all'interno del successivo fallimento deve quindi essere considerato anche nell'ambito dell'esecuzione del piano concordatario derivando dalla considerazione della natura di tali crediti conseguenze di non poco conto in ordine ai riparti in favore dei creditori concorsuali.

Se, infatti, si giungesse ad affermare il riconoscimento della natura prededucibile di qualsivoglia credito generatosi successivamente all'omologazione si verrebbero ad ingenerare pericolose interferenze tra tale riconoscimento e l'esecuzione dei piani di riparto in favore dei creditori concordatari.

Un simile ragionamento presuppone tuttavia una preliminare presa di posizione in ordine al quesito se di prededuzione si possa parlare solo nell'ambito del (successivo) fallimento o se possa essere configurabile anche una prededuzione endo-concordataria. Non è questa la sede per fornire risposte certe ad un simile interrogativo che ha visto la dottrina divisa; sia sufficiente sottolineare che solo ammettendo un'ipotesi di prededuzione anche all'interno della procedura di concordato è possibile procedere al pagamento dei creditori concorsuali, previsti dal piano, tenendo in considerazione anche i crediti di natura prededucibile.

La tesi opposta, ossia quella di un riconoscimento della prededuzione solo nell'ambito della successiva procedura fallimentare, avrebbe come possibile conseguenza quella di un pagamento dei crediti cosiddetti prededucibili prima e al di fuori del concorso, cioè via via che essi giungono a scadenza, purché vi sia capienza dell'attivo; il che porterebbe conseguenze pericolose tutte le volte in cui il credito prededucibile si trova a collidere con la soddisfazione di un credito di natura privilegiata e la valutazione della capienza dell'attivo diviene particolarmente complessa allorquando lo stesso sia rappresentato da flussi di cassa futuri (ossia generandi da parte della continuazione diretta dell'attività d'impresa).

In tali casi, allora, il mancato riconoscimento di una prededuzione anche all'interno del concordato equivarrebbe alla possibilità di poter soddisfare crediti privilegiati prima e indipendentemente dal soddisfacimento di crediti potenzialmente prededucibili nel successivo fallimento.

Più opportuno pare invece che, anche all'interno della procedura concordataria, possa operare il concetto di prededucibilità inteso come dovere di graduazione dei crediti e quindi come impossibilità di procedere al soddisfacimento di crediti di natura privilegiata se non dopo aver verificato il regolare pagamento alla scadenza dei crediti aventi natura prededucibile. Facendo un esempio concreto, la società in concordato preventivo non potrà certamente procedere all'esecuzione di piani di riparto aventi ad oggetto creditori privilegiati o addirittura chirografari se non dopo avere verificato il puntuale pagamento dei crediti aventi natura prededucibile.

In una simile ottica diviene allora assai importante verificare quali siano i crediti da riconoscere quali prededucibili e quindi limitarne la portata ricomprendendo solo quelli ai quali la legge attribuisce espressamente tale rango (es. finanziamenti ex art. 182-quater l.fall.) ed escludendo quindi tutti quelli sorti nell'ambito della corrente operatività dell'azienda laddove non ricompresi in attività specificamente delineate all'interno del piano concordatario.

Conclusioni

La sentenza oggetto del presente commento, inserendosi nel solco del precedente provvedimento del Supremo Collegio n. 17911 del 9 settembre 2016, costituisce una netta presa di posizione su un tema destinato a far discutere come quello della prededucibilità dei crediti sorti post-omologa.

Le conclusioni alle quali giunge lasciano tuttavia perplessi, specie laddove non vi è un saldo ancoraggio tra l'obbligazione contratta dall'imprenditore nell'ambito della corrente operatività dell'azienda e le previsioni del piano. Solo attraverso tale ancoraggio pare invece possibile giungere ad una più coerente ricostruzione dogmatica dell'istituto; il che consentirebbe anche un maggiore controllo sull'insorgenza dei debiti prededucibili che, anche in tempi recenti, il legislatore ha inteso limitare.

Dal punto di vista pratico, poi, un simile orientamento potrebbe generare discrasie laddove si dovesse ragionare anche di prededucibilità endo-concordataria, con la conseguenza che ogni piano di riparto presupporrebbe una verifica del puntuale pagamento dei debiti ordinari contratti dall'imprenditore nell'esercizio dell'attività d'impresa e considerati, in virtù del medesimo orientamento, prededucibili.

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