Frodi carosello: al contribuente spetta fornire la prova dell’ordinaria diligenza
16 Aprile 2018
Quando l'Amministrazione finanziaria contesta l'inesistenza soggettiva di operazioni assunte a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, ha l'onere di provare, anche mediante presunzioni semplici, ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma l, lett. d), e del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 40 e art. 54, comma 2, che dette operazioni, in realtà, non sono state poste in essere tra i soggetti indicati nella fattura e che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l'uso dell'ordinaria diligenza, che l'operazione si iscriveva in un'evasione dell'imposta sul valore aggiunto, in quanto il soggetto formalmente cedente aveva, con l'emissione della relativa fattura, evaso l'imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto. In pratica, la diligenza dell'acquirente dovrà considerarsi tanto più carente quanto più vicina ad esso sia l'operazione fraudolenta, con conseguente incremento della ragionevole presunzione e del ragionevole sospetto che l'acquirente sappia e possa sapere dell'altrui intento fraudolento.
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