Esecuzione forzata e vincolo di destinazione sulle somme presenti sul conto di tesoreria dell'ente locale
16 Aprile 2018
Massima
Le contestazioni relative alla esistenza ed alla latitudine di un vincolo di impignorabilità devono trovare collocazione nell'ambito dell'accertamento (oggi endo-esecutivo) dell'obbligo del terzo.
Non può addivenirsi ad un accertamento positivo dell'obbligo del terzo laddove le giacenze presenti sul conto di tesoreria risultanti dalla dichiarazione resa dal terzo risultino oggetto di un vincolo di destinazione o di impignorabilità, fatta salva l'ipotesi in cui il creditore dia prova della insussistenza di un tale vincolo di destinazione o di impignorabilità insistente su tali somme. Il caso
La pronuncia in commento riguarda una fattispecie di rilevante interesse. Si tratta, infatti, di una ordinanza, estesamente motivata, che interviene su argomenti indubbiamente spinosi, non abbastanza approfonditi - ad avviso di chi scrive - dalla dottrina, e sui quali anche le pronunce della giurisprudenza di legittimità non sono numerose e non sempre aiutano a pervenire ad una ricostruzione organica e coerente degli argomenti dei quali si tratta. Il fatto è presto detto. Il creditore procedente agisce esecutivamente, mediante pignoramento presso terzi, per la riscossione di un proprio credito nei confronti di un ente locale. Viene individuato come terzo pignorato l'istituto di credito tesoriere dell'ente locale. Tale istituto rende una articolata dichiarazione, di contenuto sostanzialmente negativo, dalla quale risulta tanto l'esistenza di preesistenti pignoramenti, quanto l'esistenza di un saldo negativo dei conti di tesoreria al momento della notifica del pignoramento, quanto, infine, l'esistenza di delibere che hanno sancito la impignorabilità delle somme presenti sui conti di tesoreria ai sensi dell'art. 159 t.u.e.l.. Una tale dichiarazione viene quindi contestata dal creditore procedente, con conseguente apertura di una fase endo-esecutiva di accertamento dell'obbligo del terzo.
Il giudice dell'esecuzione, dopo aver esaminato le richieste delle parti, giunge alla conclusione che non vi siano somme a disposizione della procedura esecutiva, dichiarando per l'effetto estinta la procedura. Ad una tale conclusione il giudice dell'esecuzione giunge, per un verso, dopo aver ritenuto sufficientemente provata l'esistenza di un vincolo di destinazione concernente le somme eventualmente presenti sui conti di tesoreria e, per altro verso, affermando la sicura non assegnabilità di somme detenute dal terzo in regime di anticipazione di cassa.
La questione
Sono numerose le sollecitazioni che provengono dalla pronuncia in commento: alcune di esse, visto il carattere del presente contributo, che nasce come una riflessione a caldo su una ordinanza del giudice dell'esecuzione e non come una trattazione completa e sistematica sul pignoramento presso terzi nei confronti degli enti locali, potranno essere affrontate solo in modo estremante succinto e, inevitabilmente, in maniera alquanto sommaria. Una prima questione che salta all'attenzione dell'interprete, leggendo l'ordinanza in commento, è quella che riguarda il modo di qualificare e di affrontare le questioni concernenti la impignorabilità del credito oggetto di esecuzione. Il giudice dell'esecuzione, nel provvedimento in commento, giunge alla conclusione che tali questioni debbano essere trattate nelle forme dell'accertamento dell'obbligo del terzo e risolte, quindi, con una ordinanza resa sulla base del novellato art. 549 c.p.c.. Volendo ragionare, sia pure per sommi capi, sul tema della impignorabilità, su due profili val la pena soffermarsi: uno che concerne la rilevabilità o meno d'ufficio di una tale questione ed un altro che concerne la tipologia di provvedimento con la quale affrontare e risolvere una tale questione. Le questioni, per la verità, assumono profili certamente controversi e la loro soluzione, nonostante alcune importanti prese di posizione da parte della giurisprudenza di legittimità, non appare ancora del tutto chiara ed univoca. Trattando del tema della impignorabilità del credito, un primo profilo sul quale può essere utile soffermarsi è quello che concerne la rilevabilità o meno di un tale vizio di ufficio da parte del giudice dell'esecuzione. Occorre cioè domandarsi se una tale questione debba necessariamente essere proposta dalla parte esecutata in forma di opposizione all'esecuzione, ovvero possa essere rilevata d'ufficio dal giudice dell'esecuzione, magari su sollecitazione del terzo pignorato che abbia segnalato nella propria dichiarazione l'esistenza di un vincolo di impignorabilità sui crediti colpiti dal pignoramento. A riguardo, può affermarsi che il principio generale è quello secondo il quale le cause di impignorabilità non possono essere rilevate d'ufficio da parte del giudice, ma devono essere sollevate dalla parte esecutata con opposizione all'esecuzione. Tale regola, tuttavia, incontra talune significative eccezioni. E così la Cassazione si era peritata di affermare, ancora prima che intervenisse la modifica dell'art. 545 c.p.c. per effetto del d.P.R. n. 83/2015, che «il pignoramento della pensione eseguito oltre i limiti consentiti è radicalmente nullo per violazione di norme imperative e la nullità è rilevabile d'ufficio senza necessità di un'eccezione o di un'opposizione da parte del debitore esecutato» (Cass. civ., n. 6548/2011). Una tale posizione, in tema di impignorabilità relativa della pensione, è stata poi fatta propria dal legislatore con la menzionata modifica dell'art. 545 c.p.c. e con l'introduzione di un ultimo comma di tale disposizione, il quale espressamente sancisce la rilevabilità d'ufficio della parziale inefficacia del pignoramento. Ma, è bene dirlo, una tale affermazione fatta dalla Suprema Corte nel 2011, laddove riteneva che la nullità per contrarietà del pignoramento a norme imperative fosse rilevabile d'ufficio, era gravida di possibili conseguenze e di eventuali estensioni di un tale rilievo officioso anche ad altri settori, diversi dal limitato ambito pensionistico. E così, può ritenersi che l'impignorabilità possa essere senz'altro rilevata d'ufficio dal giudice non soltanto in tutti quei casi nei quali ciò sia espressamente previsto dalla legge (come nel caso appena menzionato dell'art. 545, u.c., c.p.c., ma, per venire alla fattispecie oggetto della pronuncia in commento, anche nel caso previsto dall'art 159, comma 2, d.lgs. n. 267/2000), ma pure ogni qual volta venga in rilievo una ipotesi di impignorabilità posta a presidio di un interesse pubblico (in tal senso sembra esprimersi Cass. civ., n. 13015/2016). Una volta affermato che le questioni concernenti l'impignorabilità dei crediti degli enti pubblici possono di regola essere rilevate d'ufficio, occorre chiedersi quale sia la modalità di trattare tali questioni, non essendovi dubbio che, a fronte di un tale rilievo officioso, eventualmente sollecitato dalla dichiarazione del terzo, debba essere instaurato il contraddittorio fra le parti del processo esecutivo. A riguardo la Cassazione, fin da epoca risalente, ha avuto modo di escludere che tali questioni attinenti alla pignorabilità del credito riguardassero l'accertamento dell'obbligo del terzo (si veda, ancora, la già citata Cass. civ., n. 13015/2016, la quale contiene anche una rassegna delle numerose precedenti pronunce espressesi in tal senso). E, tuttavia, si tratta di questione che, una volta novellata la formulazione degli artt. 548 e 549 c.p.c., ed una volta divenuto l'accertamento dell'obbligo del terzo una fase endo-esecutiva del processo di esecuzione, perde gran parte della sua rilevanza e del suo spessore. Infatti, non v'è dubbio, come si accennava in precedenza, che la questione concernente la impignorabilità del credito, una volta rilevata d'ufficio, debba essere discussa nel contraddittorio delle parti e debba essere risolta con ordinanza, la quale senza dubbio sarà suscettibile di opposizione con il rimedio residuale offerto dall'art. 617 c.p.c., cosicché davvero la questione concernente la riconducibilità di una tale fase endo-esecutiva nell'ambito dell'art. 549 c.p.c. diventa oggi di marginale spessore. Altra questione che è importante sottolineare, trattando della ordinanza in commento, è che il pignoramento presso terzi nei confronti di un ente locale, per espressa previsione normativa (ossia sulla base dell'art. 159, comma 1, d.lgs. n. 267/2000), non potrà che aver luogo nei confronti dell'istituto tesoriere di tale ente. Si tratta, anche in questo caso, di questione rilevabile d'ufficio (Cass. civ., n. 12259/2009). Resta aperta la questione concernente la possibilità di estendere tali principi (quello della pignorabilità esclusivamente nei confronti del tesoriere e quello della rilevabilità di ufficio di tale questione) a tutte le ipotesi di pignoramento presso terzi nelle quali sia debitrice una pubblica amministrazione: in tal senso sembrano far propendere tanto la lettera dell'art. 1-bis, comma 1, l. n. 720/1984, quanto le pronunce di legittimità espressesi sul punto (si veda, in particolare, Cass. civ., n. 7863/2011). Ed in tal senso si è espresso di recente il tribunale di Roma (si veda l'ordinanza del 17.7.2017 pubblicata sul Portale del Processo Civile Giuffré in data 16.10.2017). Le soluzioni giuridiche
Le questioni sopra rassegnate costituiscono, in fondo, poco più che delle digressioni, rispetto alla pronuncia in commento, dal momento che la dichiarazione resa dal terzo tesoriere era inequivocabilmente negativa, non soltanto perché vi si affermava la impignorabilità del credito pignorato sulla base dell'art. 159, commi 2 e ss., d.lgs. n. 267/2000, ma anche per altri due motivi. Tale dichiarazione, infatti, come esposto in precedenza, faceva riferimento a tre distinti aspetti: l'esistenza di precedenti pignoramenti che avevano colpito i conti di tesoreria, la carenza di giacenze attive sui conti di tesoreria al momento della notifica del pignoramento e, infine, l'esistenza di delibere che sancivano la impignorabilità del credito ai sensi dell'art. 159, comma 2, t.u.e.l.. Indubbiamente il tema della esecuzione forzata nei confronti della Pubblica Amministrazione è molto vasto e complesso e, come accennato in precedenza, non si ha qui la pretesa di trattarlo estesamente. In linea generale si può dire che la posizione della Pubblica Amministrazione non è diversa da quella di qualsiasi altro debitore, essendo pertanto esperibile anche nei suoi confronti l'esecuzione forzata nelle sue diverse forme. Una generale previsione di esenzione della Pubblica Amministrazione dall'esecuzione forzata costituirebbe un ingiusto privilegio della stessa e si porrebbe in contrasto con il principio generale di cui all'art. 2740 c.c.. Ciò nondimeno, esistono diverse disposizioni normative che, in diversa guisa e misura, regolamentano e, in alcuni casi, limitano le possibilità di esecuzione nei confronti della Pubblica Amministrazione, finendo per realizzare, con riguardo all'esecuzione forzata nei confronti degli enti pubblici, un vero e proprio “micro-cosmo”, con sue peculiari dinamiche, tutte da esplorare. E così, volendosi soffermare sul caso degli enti locali, rilievo preminente assume proprio l'art. 159 d.lgs. n. 267/2000, il quale al suo primo comma sancisce la necessità che il pignoramento presso terzi nei confronti di tali enti sia effettuato esclusivamente presso l'istituto tesoriere dell'ente e che nei suoi successivi commi introduce una ipotesi di impignorabilità con riguardo alle giacenze presenti sui conti di tesoreria che siano destinate, sulla base di deliberazioni periodiche adottate dall'ente locale, a specifiche attività (quali il pagamento degli stipendi dei dipendenti). Dunque un primo problema che si porrà, nell'effettuare un pignoramento presso terzi nei confronti di un ente locale, sarà quello di individuare l'istituto tesoriere di quell'ente (non potendo essere aggrediti eventuali altri crediti vantati dall'ente locale, ad esempio, nei confronti di altri istituti di credito diversi dal tesoriere, ovvero nei confronti di altri soggetti, a titolo, ad esempio, di canoni di locazione). Non sempre, poi, al momento della notifica del pignoramento, sussisteranno giacenze positive sui conti di tesoreria. A riguardo può solo accennarsi, in questa sede, che il sistema della Tesoreria Unica, che trova applicazione anche con riguardo agli enti locali, prevede l'apertura a ciascun ente al quale si applichi tale sistema, di tre diversi conti: un conto sul quale confluiscono le entrate proprie dell'ente, un conto sul quale confluiscono gli accrediti provenienti dalla Banca d'Italia ed un conto anticipi regolato nelle forme dell'apertura di credito in conto corrente, il quale ultimo verrà attivato nei casi in cui si verifichi una scopertura sugli altri due conti e le cui anticipazioni sono destinate ad essere ripianate con le prime entrate effettuate da parte della Banca d'Italia. Può quindi avvenire, e nella prassi è piuttosto frequente, che nel momento in cui viene notificato il pignoramento presso terzi all'istituto tesoriere non esistano giacenze attive sui conti in questione, ed anzi esista una consistente esposizione sul conto anticipi (è il caso verificatosi anche nella fattispecie all'esame del Tribunale di Napoli Nord, nella pronuncia in commento), inducendo così il terzo pignorato a rendere dichiarazione negativa. Ciò non toglie tuttavia, che in sede di accertamento dell'obbligo del terzo, il giudice dell'esecuzione possa procedere ad accertare la consistenza dei conti di tesoreria anche successiva alla notifica del pignoramento (quanto meno laddove si acceda, come sembrano suggerire alcune importanti indicazioni normative - quale quella contenuta nell'art. 545, comma 8, c.p.c. - e alcune rilevanti pronunce della giurisprudenza di legittimità, a ritenere il pignoramento presso terzi idoneo a produrre effetti permanenti, ossia che si protraggono quanto meno fino al momento della conclusione della fase endo-esecutiva di accertamento dell'obbligo del terzo), verificando se, nel corso della procedura esecutiva, siano confluiti sui conti di tesoreria importi idonei a ripianare l'esposizione del conto anticipi esistente al momento della notifica del pignoramento e a soddisfare tanto il credito azionato in via esecutiva, quanto gli eventuali altri crediti azionati in altre precedenti procedure alle quali il terzo pignorato abbia fatto riferimento nella propria dichiarazione. Su un tale accertamento, già di per sé non agevole, si innestano le problematiche legate alla eventuale esistenza di delibere di impignorabilità delle somme confluite sui conti di tesoreria (si tratta della citata ipotesi di impignorabilità di cui ai commi 2 e seguenti dell'art 159 t.u.e.l.): delibere, tuttavia, che per essere idonee a sancire un insuperabile vincolo di destinazione sulle somme confluite sui conti di tesoreria dovranno superare un importante vaglio da parte del giudice dell'esecuzione. A riguardo, la Corte costituzionale ha avuto modo di dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 159 d.lgs. n. 267/2000 nella parte in cui non prevedeva che l'impignorabilità delle somme destinate alle attività previste nella comma 2 di tale norma, non potesse operare laddove fossero stati emessi mandati di pagamento a titoli diversi da quelli oggetto di vincolo e non seguendo l'ordine cronologico delle fatture così come pervenute all'ente locale (Corte cost. n. 211/2003), in tal modo dovendosi ritenere decisamente limitata la possibilità, per l'ente locale, di apporre un indiscriminato vincolo di impignorabilità su tutte le proprie entrate, il quale finirebbe nella sostanza per paralizzare qualsiasi possibilità di esecuzione forzata nei confronti dello stesso. Osservazioni
Davvero complessa la materia trattata nella ordinanza in esame: materia, quella della esecuzione forzata nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni (con particolare riferimento all'esecuzione mediante pignoramento presso terzi), che necessita, ad avviso di chi scrive, di una particolare attenzione da parte di tutti gli operatori del diritto. Una attenzione che privilegi due importanti esigenze: da un lato la necessità di garantire la piena soddisfazione dei creditori di tali enti in tempi ragionevoli e, dall'altro, la necessità di consentire una efficiente ed ordinata gestione delle risorse pubbliche facenti capo agli enti pubblici. |