Albergo e pensione

Nino Scripelliti
Maurizio Tarantino
16 Aprile 2018

L'edificio in condominio consente una pluralità di modalità di utilizzazione delle porzioni immobiliari ricomprese al suo interno. Oltre alle modalità di godimento diretto da parte del proprietario (abitazione, ufficio professionale, ecc.) ve ne sono alcune che hanno finalità turistica e consistono, sostanzialmente, nel prestare un servizio di ospitalità ai terzi...
Inquadramento

*aggiornamento della Bussola a cura di M. Tarantino

L'art. 8 del d.lgs. n. 79/2011 («c.d. Codice del turismo») definisce l'albergo come quella struttura ricettiva, aperta al pubblico, a gestione unitaria, che fornisce alloggio e a richiesta vitto ed altri servizi accessori, in camere ubicate in uno o più edifici. Per attività ricettiva si intende l'attività diretta alla produzione di servizi per l'ospitalità, esercitata in apposite strutture ricettive. Nell'ambito di tale attività è altresì consentita unitamente alla prestazione del servizio ricettivo, una attività commerciale di vendita e quindi non solo la somministrazione di alimenti e bevande alle persone alloggiate, ai loro ospiti ed a coloro che sono ospitati nella struttura ricettiva in occasione di manifestazioni e convegni organizzati, ma anche la fornitura di giornali, riviste, pellicole per uso fotografico e di registrazione audiovisiva o strumenti informatici, cartoline e francobolli alle persone alloggiate, nonché la disponibilità, ad uso esclusivo di dette persone, di attrezzature e strutture a carattere ricreativo per le quali è fatta salva la vigente disciplina in materia di sicurezza. Nel titolo abilitativo all'esercizio di attività ricettiva (del quale si dirà) è pertanto ricompresa anche l'autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande per le persone non alloggiate nella struttura nonché, nel rispetto dei requisiti previsti dalla normativa vigente, per le attività legate al benessere della persona o all'organizzazione congressuale.

Nel contratto di albergo con le persone alloggiate, la prestazione dell'alloggio assume rilievo centrale, ma non sufficiente a delinearne il contenuto essenziale, mentre gli altri servizi, seppure accessori possono risultare di particolare valore rispetto alla concessione dell'alloggio.

Il contratto di albergo ha natura di contratto atipico, in quanto il codice civile disciplina non il contratto di albergo nella sua complessiva struttura, ma solo - ai sensi degli artt. 1783-1785 c.c. il rapporto contrattuale accessorio di deposito delle cose portate nell'albergo dal cliente, che con il tempo ha acquisito una sua tipicità socio-economica, come accade per quei contratti tipizzati dalla prassi e dagli usi contrattuali.

La molteplicità delle prestazioni offerte dall'albergatore si dividono in «prestazioni minime qualificanti», essenziali del contratto d'albergo (quali l'accoglienza dell'ospite, la pulizia della camera, etc.), e «prestazioni qualificanti ulteriori» (la messa a disposizione del cliente di servizi propri del comfort alberghiero quali il telefono, il televisore, il servizio bar, etc.) che influiscono sulla classificazione del singolo albergo.

La disciplina legislativa degli alberghi

La materia della disciplina delle strutture ricettive-alberghiere da tempo ispira una frequente attività normativa, prima statale e ora in concorso con questa, anche regionale, con conseguente vivace contenzioso costituzionale Stato/Regioni. In ultimo la legge costituzionale n. 3/2001, di riforma del titolo V della Costituzione, ha attribuito la materia turistica e ricettiva alla competenza concorrente delle Regioni, quindi da esercitarsi nel rispetto dei principi fondamentali riservati alla attività legislativa dello Stato; e infine del decreto legislativo 23 maggio 2011 n. 79 (“Codice del turismo”) rappresenta la più recente sistemazione nella legislazione statale, della complessa materia normativa, peraltro in continua elaborazione in sede regionale, dati i confini mobili con l'analoga competenza dello stato. È a questo compendio normativo pertanto che occorre far riferimento quanto alla trattazione del presente tema.

I motivi dei frequenti interventi normativi nella materia, sono da individuare, verosimilmente, nell'incremento della diffusione del turismo e della relativa domanda ricettiva, e nella costante evoluzione dell'offerta da parte dei diversi portali informatici, alla quale una crescente domanda di servizi turistici fa sempre più riferimento. Si va anche verso la coesistenza della attività ricettiva professionale-imprenditoriale, con le varie forme di sharing economy in progressiva diffusione.

Pertanto, il più risalente r.d. n. 1102/1925, fu seguito da interventi normativi, settoriali o organici, costituiti dal r. d. n. 2651/1937, dalla l. n. 217/1983 (che eliminò le tradizionali denominazioni pensione e locanda e introdusse nuove definizioni di strutture ricettive); dalla legge n. 135/2001; dal d.lgs. n. 206/2005 (“Codice del consumo”, articoli da 82 a 100) e infine dal d.lgs. n. 79/2011 (“Codice del turismo”), al quale si deve una migliore sistemazione della materia e una più esatta definizione dei confini delle competenze concorrenti Stato/Regioni (anche se l'articolo 2 - «Principi sulla produzione del diritto in materia turistica» - quale norma ordinaria qualificabile come autodichiarata di valenza costituzionale, è stata dichiarata incostituzionale da sentenza della Consulta del 5 aprile 2012, a dimostrazione di quanto il confine tra le competenze statali e regionali nella materia, sia di non facile identificazione), nonché una suddivisione in categorie delle strutture ricettive in base ai servizi offerti.

La legge quadro n. 217/1983 aveva definito i criteri di classificazione delle strutture ricettive, imponendo a tutte l'utilizzo nella indicazione dell'offerta ricettiva, del simbolo internazionale delle stelle.

L'attuale disciplina, statale e regionale, questa attuativa ed integrativa nella prima, tende a tipizzare e distinguere le strutture ricettive in diverse categorie, allo scopo di marcare le variazioni dell'offerta ricettiva, nell'interesse del consumatore:

a) strutture ricettive alberghiere e paralberghiere;

b) strutture ricettive extralberghiere;

c) strutture ricettive all'aperto;

d) strutture ricettive di mero supporto.

Le prime comprendono alberghi, motels, villaggi-albergo, residenze turistico-alberghiere; le seconde (extralberghiere), comprendono campeggi, villaggi turistici, alloggi agro-turistici, affittacamere, case e appartamenti per vacanze, case per ferie, ostelli per la gioventù, rifugi alpini (definizione ricorrenti, con varianti e aggiunte dovute alle peculiarità territoriali, anche nella attuale legislazione regionale).

Il contratto d'albergo

Il contratto d'albergo non è contratto tipico, nontrova alcuna specifica regolamentazione nel codice civile, ed è piuttosto qualificabile come contratto tradizionale, ora imprenditoriale tipico quanto alla forma ed al contenuto, e nel contempo contratto misto quanto all'oggetto, dal momento che con esso l'albergatore si obbliga dietro corrispettivo in denaro, a prestazioni molteplici ed eterogenee ma unificabili sotto il profilo della causa, che vanno dalla semplice locazione dell'alloggio, al deposito e alla fornitura di servizi aggiuntivi.

La prestazione dell'alloggio è l'obbligazione principale che caratterizza il contratto, ma non è sufficiente a definirlo, dovendosi considerare anche le altre prestazioni accessorie, egualmente essenziali alla realizzazione della causa del contratto.

In assenza di un'espressa definizione, la dottrina si è divisa sulla natura da attribuire al contratto d'albergo. Secondo alcuni (Fragali) si tratta di un contratto unitario sebbene innominato. Altri (Messineo) fanno riferimento all'ipotesi del contratto misto e atipico (cioè contraddistinto da una causa unica, risultante da frammenti causali di più e diversi tipi negoziali che mantengono la loro autonomia). Altri ancora (De Gennaro) definiscono il contratto come “complesso” e sui generis, che si distinguerebbe dal contratto misto per la presenza di elementi di una pluralità di contratti (di locazione, locazione di opere, di prestazioni di servizi vari, e deposito) congiunti ma non organicamente fusi tra di loro, e caratterizzati tutti dall'obbligo del corrispettivo verso l'albergatore. Diversamente dalla dottrina, la giurisprudenza sembra attestarsi abbastanza pacificamente, sulla natura di negozio misto.

LA NATURA GIURIDICA DEL CONTRATTO DI ALBERGO: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Il contratto d'albergo come contratto atipico

Il contratto di albergo costituisce un contratto atipico, con il quale l'albergatore si impegna a fornire al cliente, dietro corrispettivo, una serie di prestazioni di dare e di fare che si incentrano nella concessione dell'uso di un alloggio, cui si accompagnano altri servizi, strumentali e accessori al primo, i quali, peraltro, cessano di essere tali allorché rivestano per la loro natura ed entità un carattere eccezionale rispetto a quelli comunemente forniti da alberghi della stessa categoria, e assumano per il loro costo un'importanza di gran lunga prevalente rispetto al prezzo dell'alloggio. In tal caso, i predetti servizi acquistano una propria autonomia, potendo essere utilizzati anche da chi non è ospite dell'albergo, e potendo, comunque, formare oggetto di un negozio giuridico separato, quale l'appalto di servizio. Ne consegue che, in siffatte ipotesi, correttamente si ravvisa un contratto misto, avente ad oggetto sia le prestazioni alberghiere, sia le altre prestazioni, la cui disciplina giuridica va individuata, in base alla teoria dell'assorbimento, che privilegia la disciplina dell'elemento in concreto prevalente, in quella predisposta per l'appalto di servizi. (Cass. civ., sez. II, 24 luglio 2000, n. 9662).

Il contratto d'albergo come contratto misto

ll contratto di albergo è un contratto atipico o, al più, misto, con cui l'albergatore si obbliga a prestazioni molteplici ed eterogenee, che comprendono la locazione dell'alloggio, la fornitura di servizi, il deposito, senza che la preminenza riconoscibile alla locazione dell'alloggio possa valere, sotto il profilo causale, a far assumere alle altre prestazioni carattere meramente accessorio. (Cass. civ., sez. III, 23 dicembre 2003, n. 19769)

Indubbiamente e a prescindere dalle diverse qualificazioni, il dato inconfutabile è che le varie prestazioni a carico dell' albergatore, che rappresentano il contenuto costante del contratto d'albergo, costituiscono degli accessori rispetto alla prestazione dell'alloggio, e sono tutte finalizzate all'unica funzione del contratto, rappresentata dall'ospitalità, in coerenza con la quale le altre prestazioni sono organizzate.

La natura multiforme del contratto d'albergo rende dubbia l'individuazione della disciplina applicabile.

A questo proposito e con riguardo al contratto misto, la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. III, 20 dicembre 2012, n. 28233) ha elaborato la c.d. teoria dell'assorbimento, ovvero della causa prevalente e, una volta stabilito ciò, applicare le norme proprie della fattispecie tipica la cui causa sia prevalente.

Tale criterio però non risulta adatto alla definizione del contenuto del contratto d'albergo, poiché le varie prestazioni che ordinariamente lo connotano trovano tutte ragion d'essere nella causa atipica dell'ospitalità, non sussistendo una causa prevalente riferibile ad uno specifico tipo negoziale. Per questo la dottrina prevalente lo assoggetta alla disciplina generale del contratto e lo qualifica come contratto d'impresa, ovvero come negozio appartenente a quella categoria di contratti che si connotano per la necessaria presenza dell'imprenditore e della sua attività organizzata. Inoltre l'orientamento giurisprudenziale prevalente afferma l'applicabilità della disciplina del codice del consumo (De Leo) in tutti i casi, di gran lunga più frequenti, in cui il negozio venga stipulato dall'albergatore-professionista con un consumatore, a prescindere dal tipo contrattuale scelto dalle parti, dalle modalità di conclusione e dalle caratteristiche dell'offerta (Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2010, n. 6802).

In effetti l'offerta dell'albergatore si manifesta con la stessa presenza della struttura alberghiera, diffusa mediante gli ordinari mezzi di comunicazione, in tal modo qualificabile come un'offerta al pubblico ai sensi dell'art. 1336 c.c. unilateralmente predisposta, onde la conclusione del contratto avviene mediante il compimento delle formalità del check in, all'ingresso dell'albergo, oltre ad una eventuale trattativa sul prezzo e sui servizi offerti con accettazione anche verbale (Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 2002, n. 707); via fax, telefonicamente (Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 2002, n. 17150), mediante mandatario (agenzia) o con qualunque mezzo del quale si desuma l'intento negoziale. Tutti questi elementi non mettono in dubbio però che, ove le parti contraenti corrispondano alle figure del professionista (necessariamente l'albergatore) e del consumatore, debba trovare applicazione la disciplina del codice del consumo, anche quanto alla individuazione del giudice competente in quello del luogo della residenza, o del domicilio, del consumatore) con le garanzie previste dallo stesso codice (Cass. civ., sez. VI, 18 settembre 2013, n. 21419).

Con riguardo ai soggetti del contratto non può essere esclusa l'eventuale alterità fra beneficiario dell'alloggio e dei servizi accessori e il contraente sul quale grava l'obbligo del pagamento del prezzo. È ben possibile infatti che il contratto d'albergo sia stipulato a favore del terzo ai sensi dell'art. 1411 c.c. (Cass. civ., sez. III, 28 novembre 2011, n. 10158; Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 2008, n. 25584; Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2005, n. 1150). Nel contratto a favore del terzo, lo stipulante e il promittente contrattano a favore di un soggetto estraneo rispetto all'accordo. Il terzo non è parte né in senso formale né in senso sostanziale e si limita a ricevere gli effetti dell'adempimento di un rapporto già validamente costituito e completamente operante. «Ne consegue che il terzo, la cui dichiarazione di voler approfittare del contratto è necessaria solo per renderlo irrevocabile ed immodificabile, non ha alcun obbligo verso le parti stipulanti, le quali, pertanto, restano le sole vincolate per le prestazioni convenute» (Cass. civ., sez. lav., 9 agosto 1996, n. 7398).

La stipulazione in favore del terzo si realizza, non di rado, anche quando un ente o organizzazione assistenziale ovvero un Comune, pattuisca non con un albergatore la prestazione della ospitalità di famiglie prive di alloggi perché sinistrate, sfrattate o ed in condizioni simili (Gulletta). In tali casi, contraente è l'ente che ha stipulato, sul quale gravano le obbligazioni proprie del contratto e quindi del diritto alla prestazione dell'ospitalità, anche se il beneficiario delle prestazioni di ospitalità sarà altro soggetto, l'utilizzatore. Dunque questo contratto può consentire l'attribuzione degli effetti favorevoli del contratto (tipico o atipico) al terzo beneficiario, restando gli obblighi che eventualmente ne derivano in capo allo stipulante. Situazioni del genere possono verificarsi in caso di interventi pubblici diretti al reperimento di alloggi in alberghi in occasione di pubbliche calamità.

Altri contratti, ma non di natura alberghiera, sono quelli disciplinati, senza peraltro tipizzarli, dall'art. 1, comma 3, della legge n. 431/1998 che richiama gli artt.1571 e ss. c.c. così escludendo l'applicazione della stessa l. n. 431/1998 quando gli enti locali (non quindi da altri enti o organizzazioni) reperiscono alloggi «per soddisfare le esigenze abitative di carattere transitorio» (non esigenze abitative ordinarie stabili: cfr. Trib. Monza, 6 aprile 2005). Lo stesso risultato, nella sostanza, può essere raggiunto quando l'organizzazione stipulante assuma una posizione di mandataria, obbligata o garante dei soggetti beneficiari dell'ospitalità, ai quali viene così attribuito un diritto soggettivo alle prestazioni nei confronti dell'albergatore, con possibilità che faccia loro carico l'obbligo di corrispondere tutto o parte del corrispettivo.

Del deposito in albergo

L'art. 2051 c.c. configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente per l'applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo, e senza che assuma rilievo in sé la violazione dell'obbligo di vigilare sulla cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito. Pertanto gli albergatori debbono tener ben presenti i loro obblighi di vigilanza e di tenuta in sicurezza delle strutture alberghiere, dal momento che secondo i giudici di legittimità, «la responsabilità di cui all'art. 2051 c.c., si fonda sul rapporto oggettivo del custode con la cosa custodita e prescinde, quindi, dal carattere insidioso di questa, ossia dalla imprevedibilità e invisibilità della cosa dannosa, sicché il danneggiato non deve dimostrare tale carattere, come invece è necessario se agisce, ai sensi dell'art. 2043 c.c., per la generale responsabilità da fatto illecito» (Cass. civ., sez. III, 9 novembre 2005 n. 21684). Non solo: il comportamento dell'albergatore che, ad esempio, non provveda agli obblighi di vigilanza (specie in caso di hotel con piscina quando non sia assicurato il servizio di salvataggio, oppure non venga indicato con appositi cartelli il divieto di balneazione negli orari notturni o comunque in assenza del bagnino) è suscettibile di essere penalmente rilevante.

Il deposito, ai sensi dell'art. 1766 c.c., è il contratto col quale una parte riceve dall'altra una cosa mobile con l'obbligo di custodirla e di restituirla in natura. Gli articoli della sez. II del capo XII del libro IV del codice civile, che disciplinano il deposito in albergo sono stati novellati o introdotti dalla legge n. 316/1978 che ha attuato la Convenzione del Consiglio d'Europa del 17 dicembre 1962 sulla responsabilità dell'albergatore per le cose portate in albergo dai clienti.

L'art. 1783 c.c. pone alla responsabilità (oggettivizzata) per le cose portate in albergo dal cliente ovvero per le quali albergatore abbia assunto la custodia fuori dell'albergo o anche all'interno quando il cliente non sia presente, il limite pari a cento volte il prezzo dell'alloggio per giornata (salvo il caso in cui il danno sia dovuto a colpa dell'albergatore o forza maggiore ex art. 1785 bis c.c.). Tale disposizione non vale a far sorgere un autonomo contratto di deposito nel momento in cui il cliente si accorda per il soggiorno nell'albergo, facendo parte di quelle pluralità di prestazioni eterogenee sorgenti dal contratto d'albergo. La responsabilità dell'albergatore per le cose portate in albergo, nasce quindi indipendentemente da un'effettiva traditio (Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2014, n. 5030), ma in virtù di quell'obbligazione accessoria, che, sia pure tacitamente, ha titolo nel contratto d'albergo, a differenza di quanto è disposto per le cose affidate alla custodia diretta dell'albergatore (N.B: In caso di furto in una cassetta di sicurezza collocata all'interno di una camera d'albergo l'albergatore è responsabile ex contractu illimitatamente per i danni subiti da un turista e il tour operator è responsabile sempre a favore dell'acquirente del pacchetto turistico per inadempimento dell'albergatore; v. Gdp Bologna, 4 marzo 1999).

L'art. 1784 c.c. pone a carico dell'albergatore una responsabilità illimitata nel caso in cui le cose gli siano state consegnate dal depositante, ed in tal caso la consegna e la sua accettazione danno vita un contratto autonomo di deposito, connesso e collegato al contratto alberghiero (talché la validità e l'efficacia del secondo verrebbe ad incidere sulla sorte del primo, in una speciale relazione di dipendenza non reciproca ma unilaterale), che giustifica il diverso regime di responsabilità. Il secondo comma dello stesso articolo pone poi un limite all'autonomia privata introducendo un vero e proprio obbligo a contrarre dell'albergatore ed a ricevere in deposito determinate cose quali carte valori, denaro contante ed oggetti di valore. Si delineano quindi due ipotesi di responsabilità oggettiva, limitata ed illimitata, la cui ratio risiede nel rischio d'impresa che caratterizza l'attività alberghiera, presumendosi che quanto avviene nei locali dell'albergatore sia immediatamente imputabile a quest'ultimo.

Sul punto, è utile precisare che in virtù dell'art. 1784 c.c. «il cliente non ha l'obbligo di affidare gli oggetti di valore di sua proprietà in custodia all'albergatore, mancando una specifica previsione normativa in tale senso. Tuttavia, se non vi si avvalga di tale facoltà, corre il rischio di non poter ottenere, in caso di sottrazione, l'integrale risarcimento del danno, come disposto dall'art. 1783 c.c., a meno che non provi la colpa dell'albergatore o degli altri soggetti a lui legati da rapporto di parentela o collaborazione, ai sensi dell'art. 1785 bis c.c. In assenza di tale riscontro probatorio, la determinazione del quantum entro il limite massimo stabilito nell'ultimo comma dell'art. 1783 c.c. rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale è libero di determinare la somma da liquidare secondo suo prudente apprezzamento” (Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2014, n. 5030).

Attività ricettive extralberghiere in condominio (affittacamere, bed and breakfast e simili)

Il regolamento condominiale può contenere disposizioni in ordine all'utilizzazione delle singole unità immobiliari, consentendo esclusivamente certe utilizzazioni specificamente indicate o vietandone altre egualmente indicate, e tra queste, frequentemente, le attività ricettive extraalberghiere minori che pure sarebbero compatibili con le dimensioni e le caratteristiche delle unità immobiliari abitative.

Da sempre, i principi e la giurisprudenza sono nel senso che tali limitazioni sono legittime se il regolamento è di natura contrattuale e quindi accettato da parte di tutti i condomini, mentre l'assemblea non può – con delibera a maggioranza - incidere sui diritti soggettivi all'uso della proprietà (cfr., da ultima, Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 2016, n. 109). Quando le limitazioni di uso derivano dal regolamento contrattuale, sia questo stato accettato in sede di acquisto delle singole unità immobiliari ovvero deliberato successivamente alla unanimità dall'assemblea, l'efficacia di tali limitazioni di utilizzazione delle unità immobiliari attività individuale è limitata a coloro che l'hanno deliberata, ed è condizionata nei confronti dei terzi alla trascrizione del regolamento nei registri immobiliari.

Quanto alla compatibilità intrinseca tra natura e destinazione abitativa esclusiva delle diverse unità immobiliari, e loro utilizzazione ricettiva anche non professionale, occorre considerare che l'art. 1 della l. n. 431/1998 (il cui contenuto corrisponde a quello dell'articolo 53 del d.lgs n. 79/2011, «Codice del turismo»), individua come categoria delle locazioni abitative, quelle esclusivamente per finalità turistiche, ma è innegabile che la brevissima durata di certe locazioni può egualmente avere effetti negativi su taluni valori condominiali ormai acquisiti, quali la sicurezza, la tranquillità, lo spirito di comunità condominiale.

Bisogna anche dire che eccedendo i limiti costituzionali della competenza regionale, si è visto da parte della legislazione regionale, l'attribuzione automatica della condizione di impresa commerciale (con tutte le conseguenze amministrative e fiscali del caso) quando si superi un dato numero di contratti all'anno (cfr. art. 70, legge reg. Toscana n. 86/2016, art. 70). La diffusione di queste forme di sharing economy è incentivata dalla presenza di diverse piattaforme informatiche dirette a intermediare la stipulazione di contratti di locazione di questo tipo. In realtà si pone da tempo il problema dell'individuazione del limite tra attività impresa e attività di ospitalità privata con corrispettivo, di queste forme ricettive minori compatibili con la residenza del soggetto che eroga il servizio di ospitalità (Cass. civ., sez. II, 20 novembre 2014, n. 24707).

In ultimo, negli alberghi sono consentite la somministrazione di cibi e bevande, attività commerciale al pubblico, attività di centro benessere

CASISTICA

Valido il divieto contenuto nel regolamento di condominio (applicabile all'attività di affittacamere)

Va confermata la sentenza d'appello che, nel rispetto dei canoni di ermeneutica contrattuale, abbia giudicato contraria al regolamento condominiale contrattuale, che vietava, tra l'altro, di «concedere in affitto camere vuote o ammobiliate», l'attività di affittacamere. (nella specie, la Corte ha rilevato che detta attività è «del tutto sovrapponibile... a quella alberghiera e, pure, a quella di bed and breakfast»). (Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 2016, n. 109)

Il regolamento di condominio può contenere norme più stringenti rispetto alla legge regionale

La legislazione in materia urbanistica o, più in generale, in materia amministrativa, disciplinando il rapporto tra cittadini e norme di carattere pubblicistico, non può comportare un automatico recepimento della relativa disciplina nell'ambito di rapporti privatistici, fra i quali rientra pacificamente il regolamento condominiale. Una legge regionale che esclude che la costituzione di un bed and breakfast possa integrare un mutamento di destinazione d'uso non può, quindi, incidere sui rapporti privatistici e sugli obblighi che reciprocamente si assumono i condomini tramite il regolamento condominiale. (Nel caso di specie destinare esclusivamente ad abitazione i singoli piani loro assegnati e a non modificare tale destinazione). (Cass. civ., sez. VI, 16 gennaio 2015, n. 704)

L'esercizio dell'attività di affittacamere non modifica la destinazione d'uso a civile abitazione degli appartamenti

Anche in presenza di regolamento condominiale che vieti di destinare gli appartamenti «ad uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato», l'attività di bed & breakfast è da ritenersi consentita, essendo inammissibile un'interpretazione estensiva della suddetta norma regolamentare che riservi ai soli proprietari, ai loro congiunti e ai singoli professionisti il godimento delle unità immobiliari site nel condominio. (Cass. civ., sez. II, 20 novembre 2014, n. 24707)

Procedimento per l'apertura di un'attività ricettiva

Per aprire un'attività ricettiva di qualsiasi tipo occorre presentare una Segnalazione Certificata di Inizio Attività (S.C.I.A.) allo sportello unico attività produttive (SUAP) del Comune in cui è ubicata la struttura (cfr. art. art. 19 e 19 bis della legge n. 241/1990).

La S.C.I.A. deve essere corredata anche dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, relative alla presenza dei requisiti e dei presupposti per l'esercizio dell'attività segnalata e dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione.

L'attività' oggetto della segnalazione può essere immediatamente iniziata a partire dalla data della presentazione della segnalazione, ma in caso di carenza dei requisiti e dei presupposti dell'attività segnalata, il Comune nel termine perentorio di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione, adotta «motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa».

A ulteriore garanzia del soggetto che ha depositato la S.C.I.A. la recente riforma (disposta con d.lgs. n. 126/2016) ha previsto, inserendo l'art. 18 bis della l. n. 241/1990, il diritto del cittadino che invia una qualsiasi comunicazione o segnalazione ad avere subito una ricevuta – anche telematica – che attesta l'avvenuta presentazione. Come si vede, la S.C.I.A. rappresenta una radicale evoluzione del silenzio-assenso rappresentato dalla D.I.A., essendo fondata su una presunzione generale di legittimità dei comportamenti degli interessati e del loro autocontrollo.

Occorre anche considerare che determinate attività commerciali tra le quali quelle ricettive possono essere vietate o limitate in talune zone del territorio comunale per effetto di atti comunali di pianificazione di attività commerciali o per effetto di limitazioni di natura urbanistica.

Attività ricettive extra alberghiere

L'albergo diffuso: sul piano di attività di impresa si pone il c.d. «albergo diffuso», composto da camere dislocate in immobili diversi, che si trovano all'interno di uno stesso borgo caratteristico dal punto di vista storico ed ambientale. Si tratta di una struttura ricettiva di tipo orizzontale e non verticale come quella degli alberghi tradizionali, le cui caratteristiche principali sono: la gestione unitaria, l'offerta dei servizi alberghieri agli ospiti, la dislocazione delle camere in più edifici separati, la presenza di locali adibiti a servizi comuni (reception, bar, punti di ristoro), la distanza limitata degli stabili rispetto alla struttura ove sono resi i servizi di accoglienza, lo stile gestionale integrato nel territorio e nella sua cultura (art. 9, comma 6, Codice del Turismo - peraltro dichiarato incostituzionale dalla Consulta: cfr. Cost. del 5 aprile 2012). Anche l'esercizio dell'attività di albergo diffuso è soggetto alla segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).

In questi casi di ricettività extra alberghiera, i contratti alberghieri nella loro forma e contenuto ricorrenti, subiscono i necessari aggiustamenti in relazione alla peculiarità delle circostanze. Così è possibile che nel caso di albergo diffuso l'albergatore abbia facoltà di rifiutare il deposito di determinati beni del cliente, riducendo così la sua responsabilità.

Molte Regioni hanno una legge sull'albergo diffuso, anche se in diversi casi non è presente il regolamento applicativo. Ai fini di una corretta disamina (aggiornata), si segnala che il 23 dicembre 2016 è stata presentata in Parlamento la proposta di legge n. 4194 avente ad oggetto la “Disciplina degli alberghi diffusi” (assegnata alla X Commissione Attività Produttive in sede Referente il 3 febbraio 2017) (per l'approfondimento dell'argomento si rinvia al focus “L'albergo diffuso” in condominioelocazione.it del 1° aprile 2019).

Il contratto di locazione ad uso abitativo e l'attività di bed and breakfast

A seguito degli interventi ad opera dell'art. 52 del d.lgs. n. 79/2011, l'art. 27, l. n. 392/1978, dispone che «la durata delle locazioni non può essere inferiore a 9 anni se l'immobile urbano, anche se ammobiliato, è adibito ad attività alberghiera, all'esercizio di imprese assimilate ai sensi dell'art. 1786 c.c. o all'esercizio di attività teatrali» e il richiamo a detto art. 1786 c.c. estende la durata minima novennale dei rapporti locativi a case di cura, stabilimenti di pubblici spettacoli, stabilimenti balneari, pensioni, trattorie, carrozze letto e simili. Ne discende che se il conduttore intende svolgere nell'immobile un'attività ricettiva in forma imprenditoriale, la durata minima del rapporto non può essere inferiore a nove anni e a tale durata si estende ipso iure nel caso di durata inferiore.

Si pone così il problema se tale durata minima possa valere anche nel caso in cui l'attività extra-alberghiera sia esercitata in forma non imprenditoriale. Tant'è che la Suprema Corte ha affermato che «l'esercizio dell'attività di affittacamere non modifica la destinazione d'uso a civile abitazione degli appartamenti in cui è condotta». Conseguentemente, anche in presenza di regolamento condominiale che vieti di destinare gli appartamenti «ad uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato», l'attività di bed & breakfast è da ritenersi consentita, «essendo inammissibile un'interpretazione estensiva della suddetta norma regolamentare che riservi ai soli proprietari, ai loro congiunti e ai singoli professionisti il godimento delle unità immobiliari site nel condominio» (cfr. Cass. civ., sez. II, 20 novembre 2014, n. 24707, . Dunque la destinazione abitativa nel contratto di locazione, è compatibile con le utilizzazioni di affitta camere o di bed and breakfast, ma alla condizione di un esercizio in forma non commerciale.

Altro è stabilire i limiti tra l'esercizio di queste attività, in forma familiare e privato, e quello imprenditoriale, il superamento dei quali conduce a conseguenze non solo civilistiche in termini di durata minima novennale, anche di natura amministrativa e fiscale. In proposito le opinioni correnti sono portate ad individuare il passaggio dall'una all'altra categoria in relazione alla presenza o meno di professionalità, desumibile dalla costanza e dalla durata delle attività ricettiva, dalla quantità e qualità dei servizi offerti, dalle forme della comunicazione e della pubblicità dell'offerta.

Pertanto i più ricorrenti indicatori di fatto della l'imprenditorialità sono:

  • utilizzo di uno o più collaboratori;
  • destinazione dell'immobile a soddisfare principalmente le esigenze abitative degli ospiti anziché del titolare (modifiche del distributivo interno, costituzione di una reception, ecc.);
  • offerta di servizi aggiuntivi rispetto a quelli minimi previsti per il bed & breakfast mirati esclusivamente agli ospiti;
  • pubblicità periodica e ricorrente (su riviste, periodici, internet);
  • superamento di certe soglie di fatturato, per le quali rimane ingiustificato il comportamento da attività “occasionale”.
  • elevato turn-over dei clienti.

In proposito la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. II, 8 novembre 2010, n. 22665; Cass. civ. , sez. III, 3 dicembre 2002, n. 17167) ha chiarito che «l'attività di affittacamere, pur differenziandosi da quella alberghiera per le sue modeste dimensioni, richiede non solo la cessione del godimento di locale ammobiliato e provvisto delle necessarie somministrazioni (luce, acqua, ecc.), ma anche la prestazione di servizi personali, quali il riassetto del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno. In difetto della prestazione di detti servizi, pertanto, quella cessione non può essere ricondotta nell'ambito dell'attività di affittacamere, né quindi sottratta alla disciplina della locazione ad uso abitativo».

Per rispondere al secondo quesito è importante ricordare che secondo l'art. 51 del T.U.I.R. (d.p.r. n. 917/1986), per gestione in forma non imprenditoriale deve intendersi ai fini fiscali l'esercizio di un'attività senza il requisito dell'abitualità. Per il Ministero delle Finanze (circ. n. 7/1496 del 30 aprile 1977) «l'attività svolta in forma abituale deve intendersi un normale e costante indirizzo dell'attività del soggetto che viene attuato in modo continuativo: deve cioè trattarsi di un'attività che abbia il particolare carattere della professionalità». Tuttavia, ultimo, la circolare dell'Agenzia delle Entrate prot. n. 132395/2017, ha fornito una definizione dei contratti di locazione brevi come quei “contratti stipulati a decorrere da giugno 2017 da persone fisiche, al di fuori nell'esercizio di attività d'impresa, di durata non superiore a 30 giorni, anche se prevedono la prestazione di servizi accessori di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, comprese le sublocazioni e le concessioni in godimento a terzi a titolo oneroso da parte del comodatari”, così introducendo elemento di novità nella ripetitiva distinzione della attività imprenditoriale ricettiva rispetto all'attività meramente abitativa, fondata sulla fornitura da parte del soggetto ospitante anche di servizio di pulizia e biancheria. Si prospetta così un possibile contrasto, non privo di significato e seppure sotto gli aspetti tributari, tra le definizioni normative correnti e quelle agli effetti fiscali.

Il condhotel

Come si desume dalla stessa denominazione, si tratta di attività ricettiva mista tra albergo e residenze private. In proposito l'art. 31, comma 1, d.l. n. 133/2014 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 164/2014, «Decreto Sblocca Italia»), ha introdotto nel nostro ordinamento la figura dei condhotel, definiti al come quegli «esercizi alberghieri aperti al pubblico, a gestione unitaria, composti da una o più unità immobiliari ubicate nello stesso comune o da parti di esse, che forniscono alloggio, servizi accessori ed eventualmente vitto, in camere destinate alla ricettività e, in forma integrata e complementare, in unità abitative a destinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di cucina, la cui superficie non può superare il quaranta per cento della superficie complessiva dei compendi immobiliari interessati».

A dire il vero, di questa forma ricettiva aveva parlato per la prima volta l'art. 10, comma 5, d.l. n. 83/2014 («Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», convertito, con modificazioni, dalla l. n. 106/2014, quest'ultima, tuttavia, non attuata).

In realtà non è agevole stabilire se si è trattato di rispondere a esigenze diffuse, ovvero di innovare la disciplina tradizionale, suscitando nuove attività ricettive.

Dunque questa delcondhotel è una modalità ricettiva che si colloca a metà strada fra l'albergo e l'abitazione privata, ma prossima all'albergo diffuso, proveniente da altri ordinamenti e costumi e caratterizzata dalla facoltà per il proprietario dell'albergo di fornire ospitalità e servizi ovvero offrire in vendita le singole stanze facenti parte di edifici condominiali ma nel limite del 40% della superficie abitativa, che così diverrebbero autonome ed indipendenti, mantenendo o meno il collegamento con la gestione aziendale alberghiera.

La normativa, tuttavia, non è ancora operativa nemmeno a livello regionale, abbisognando di un decreto ministeriale di attuazione (cfr., art. 31, comma 2, d.l. n. 133/2014) che determini le condizioni di esercizio, i criteri e le modalità per la rimozione del vincolo di destinazione alberghiera in caso di interventi edilizi sugli esercizi alberghieri ecc. (pur essendo prevista da alcune leggi regionali: cfr. art. 18, comma 2, n. 5, l.r. Toscana n. 86/2016).

Il comma 3 del citato art. 31 del d.l. n. 133/2014, dispone inoltre che le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano dovranno adeguare la propria normativa a quanto verrà disposto dal decreto ministeriale che avrebbe dovuto essere emanato entro un anno dalla pubblicazione della legge. Tale norma è stata oggetto di ricorso alla Corte Costituzionale per sospetta lesione della competenza legislativa concorrente delle Regioni, ma la Corte, nel rigettare l'eccezione di incostituzionalità, ha chiarito la natura ibrida del condhotel, affermando che in esso «le unità abitative a destinazione residenziale possono essere oggetto di diritti, evidentemente anche reali, di soggetti diversi dall'impresa alberghiera» (Cost. 14 gennaio 2016, n. 1).Tale natura ibrida rende preliminare e necessaria la disciplina anche di importanti aspetti contrattuali e condominiali, ricadenti nella competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. I, Cost.

In effetti la compatibilità tra condhotel e condominio è tutt'altro che scontata, salvo che si tratti di nuovi edifici dove la coesistenza delle attività, per l'attività alberghiera nel limite del 40% dell'intero edificio, è necessariamente prevista fin dall'inizio delle vendite delle diverse unità immobiliari nel caso di nuovo edificio, e di conseguenza scontata sul prezzo e accettata senza condizioni agli acquirenti. Diversamente si pongono ostacoli difficilmente superabili quali, in primo luogo, l'uso più intenso di certe parti comuni così come l'attribuzione di nuovi valori millesimali, che necessitano di una particolare considerazione e di regolamentazione nell'ordinamento condominiale, che non potrebbe essere disposta se non con deliberazioni assembleari assolutamente unanimi. Diversamente i conflitti endocondominiali sarebbero inevitabili. Dunque la disciplina del condhotel impone che preliminarmente si adatti al suo recepimento la tradizionale disciplina condominiale (recentemente novellata dalla legge n. 220/2012). Infine l'art. 31 del d.l. n. 133/2014 dispone che le modalità di autorizzazione all'esercizio dell'attività dei condhotel verranno stabilite con provvedimenti regionali.

Infine, è solo con il d.P.C.M. gennaio 2018. n.13, emanato in attuazione dell'art. 31 del decreto “Sblocca Italia”, che troviamo una minima disciplina della figura del condhotel. Tale regolamentazione - che ha l'obiettivo di migliorare e diversificare l'offerta turistica, favorendo al contempo gli investimenti volti alla riqualificazione degli esercizi alberghieri esistenti sul territorio nazionale - è già stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6 marzo 2018 ed è in vigore dal 21 marzo 2018. L'art. 6 del d.P.C.M. n. 13/2018, fornisce una lista dei contenuti che devono essere necessariamente presenti, a pena di nullità, nei contratti di trasferimento della proprietà: condizioni di godimento e modalità relative all'uso di eventuali strutture comuni; descrizione accurata dell'immobile; descrizione appropriata di tutti i costi connessi e imputabili ai proprietari delle unità abitative ad uso residenziale ubicate nel condhotel e delle modalità con le quali tali costi sono ripartiti; clausola secondo la quale l'unità abitativa a uso residenziale, ove non utilizzata dal proprietario, con il suo consenso, possa essere adibita da parte del gestore a impiego alberghiero (per l'approfondimento dell'argomento si rinvia al focus “Il condhotel” in condominioelocazione.it del 22 febbraio 2019).

Secondo la citata normativa del 2018, le Regioni sono chiamate ad adeguare i propri ordinamenti entro un anno dalla pubblicazione del d.P.C.M. sopracitato in Gazzetta Ufficiale, e cioè entro il 6 marzo 2019 (art. 13). In argomento, tra i vari provvedimenti successivi, si osserva che la provincia di Trento, con decreto del Presidente della provincia n. 13-47/Leg del 21 giugno 2021 (pubblicato sul B.U. n. 25 del 24 giugno 2021, suppl. n. 2), in materia di "condhotel" ha emanato il regolamento di attuazione dell'art. 5, commi da 5 bis a 5 quinquies e comma 7 e dell'art. 10, comma 3 bis, della L.P. 7 del 15 maggio 2002 "Disciplina degli esercizi alberghieri ed extra-alberghieri e promozione della qualità della ricettività turistica". Con il presente provvedimento (tra le vari questioni) vengono esaminate le unità immobiliari a destinazione residenziale: strutture dotate di servizio autonomo di cucina e risultano rispettose delle normative vigenti in materia di agibilità previste dai regolamenti edilizi comunali; la distribuzione delle unità immobiliari a destinazione residenziale segue un criterio distributivo ordinato e unitario, ferma restando la possibile localizzazione delle stesse in più immobili; la gestione unitaria, secondo quanto disposto dagli articoli 3 e 5, comma 5 quater, della legge provinciale per la durata disciplinata nel contratto di trasferimento della proprietà delle unità immobiliari a destinazione residenziale ubicate nel condhotel. Inoltre, al fine dell'esercizio del condhotel, costituisce importante condizione la gestione unitaria (secondo quanto disposto dagli articoli 3 e 5, comma 5-quater, della legge provinciale - per la durata disciplinata nel contratto di trasferimento della proprietà delle unità immobiliari a destinazione residenziale ubicate nel condhotel).

Il bonus alberghi

Il nuovo bonus per le strutture ricettive, turistiche e congressuali è stato inserito nel d.l. 6 novembre 2021, n. 152, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 6 novembre 2021 e in vigore dal giorno successivo. Il bonus alberghi prevede la possibilità di usufruire di un credito d'imposta fino all'80% e di un contributo a fondo perduto fino al 50% delle spese sostenute per realizzare determinate tipologie di interventi.: interventi di incremento dell'efficienza energetica delle strutture e di riqualificazione antisismica; interventi di eliminazione delle barriere architettoniche; interventi edilizi; realizzazione di piscine termali e acquisizione di attrezzature e apparecchiature per lo svolgimento delle attività termali; spese per la digitalizzazione. I citati interventi devono risultare conformi alla comunicazione della Commissione UE (2021/C 58/01) e non arrecare un danno significativo agli obiettivi ambientali ai sensi dell'art. 17 del Regolamento UE n. 2020/852.

Gli incentivi in esame sono cumulabili, a condizione che tale cumulo, tenuto conto anche della non concorrenza alla formazione del reddito e della base imponibile dell'imposta regionale sulle attività produttive, non porti al superamento del costo sostenuto per i citati interventi.

Sono ammessi ai benefici alberghi, agriturismi, strutture ricettive all'aria aperta, imprese del comparto turistico (ricreativo, fieristico e congressuale), stabilimenti balneari, complessi termali, porti turistici, parchi tematici, parchi acquatici e faunistici. Il bonus alberghi mette a disposizione un credito di imposta a copertura delle spese fino all'80% di quelle effettivamente sostenute, ma anche contributi a fondo perduto (nella misura del 50% della spesa) con un limite a 40.000 euro. A questa somma si aggiungono, in presenza di particolari requisiti, le seguenti cifre: 30.000 euro (se le opere di digitalizzazione e innovazione delle strutture in chiave tecnologica ed energetica sono pari ad almeno 15% del totale dell'intervento); 20.000 euro (per imprenditoria femminile e giovanile fino a 35 anni); 10.000 euro (per le imprese o le società con sede operativa nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia).

Il credito d'imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione a decorrere dall'anno successivo a quello in cui gli interventi sono stati realizzati. Per le spese ammissibili non coperte dagli incentivi (credito d'imposta e contributo a fondo perduto), si può accedere anche al finanziamento a tasso agevolato previsto dal decreto interministeriale 22 dicembre 2017, a condizione che almeno il 50% di tali costi riguardi interventi di riqualificazione energetica.

In conclusione, In relazione agli interventi agevolabili realizzati tra il 7 novembre 2021 e il 31 dicembre 2024, è possibile fruire sia di un credito d'imposta sia di un contributo a fondo perduto.

Riferimenti
Tarantino, L'albergo diffuso, in Condominioelocazione.it, 1° aprile 2019; Bordolli, Il condhotel, in Condominioelocazione.it, 22 febbraio 2019;

G. D'Allara, Manuale dell'albergo diffuso, Milano, 2015

E. Ceccarelli, Una festa di compleanno finita in tragedia: il rischio dell'uso della piscina cade sul gestore dell'albergo, in Diritto e Giustizia, 2013, pag. 416

A. De Francesco, Sequestrabile l'albergo in cui si è tollerato il meretricio, in Diritto e Giustizia, 2012, pag. 175

F. De Leo, La tutela del consumatore allarga i propri confini al contratto d'albergo, in Responsabilità Civile e Previdenza, 2014, pag. 132

G. Gulletta, Assegnazione di alloggi ai sinistrati: inquadramento del contratto di albergo a favore di terzo, in Giustizia Civile, 2006, pag. 2165

A. Bonofiglio, Il contratto di albergo e il contratto di deposito alberghiero, in Giustizia Civile, 1995, pag. 2221

M. Fragali, voce Albergo (contratto di), in Enc. dir., vol. 1, 1958, pag. 968

F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1953, p. 145.

G. De Gennaro, Del deposito in albergo, in Commentario al c.c. (a cura di D'Amelio-Finzi), Firenze, 1947, pag. 679

Sommario