Disorientamenti della S.C. sulla legittimazione del fallito ad impugnare gli atti impositivi

18 Aprile 2018

Siccome la dichiarazione di fallimento comporta la perdita della capacità di stare in giudizio del fallito ai sensi dell'art. 43 l. fall., la relativa legittimazione processuale ad impugnare atti impositivi spetta esclusivamente al curatore, salva l'inerzia dello stesso.
Massima

Siccome la dichiarazione di fallimento comporta la perdita della capacità di stare in giudizio del fallito ai sensi dell'art. 43 l. fall., la relativa legittimazione processuale ad impugnare atti impositivi spetta esclusivamente al curatore, salva l'inerzia dello stesso.

L'inerzia del curatore si correla ad un totale disinteresse degli organi fallimentari e non ad una negativa valutazione di questi ultimi circa la convenienza della controversia per la massa dei creditori.

Il caso
L'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione mediante la quale la Commissione Tributaria Regionale aveva rigettato il gravame da essa proposto contro la pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di accoglimento parziale del ricorso che il legale rappresentante della società fallita aveva formulato avverso un avviso di accertamento in materia di IVA. Con il primo motivo, l'Ufficio denunciava violazione e falsa applicazione dell'art. 43 l. fall., in quanto il giudice di secondo grado avrebbe omesso di rilevare il difetto di legittimazione attiva del legale rappresentante dell'ente assoggettato a fallimento ai fini dell'impugnazione degli atti impositivi oggetto della controversia.
La questione

Il problema posto all'esame della S.C. concerne la residua possibilità del fallito (o, rectius, del legale rappresentante della società fallita), di impugnare gli atti di cui all'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 dinanzi al giudice tributario anche ove, al momento della notifica degli stessi, sia già sopravvenuto il fallimento.

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento premette che l'avviso di accertamento concernente crediti fiscali maturati prima della dichiarazione di fallimento deve essere notificato sia al curatore fallimentare che al fallito, con la conseguenza che, ove la notifica non sia eseguita anche nei confronti di quest'ultimo, l'atto impositivo non può diventare definitivo e resta quindi impugnabile dal medesimo anche ove siano decorsi i relativi termini per il curatore (cfr. Cass., 18 marzo 2016, n. 5392).

Ciò posto, la decisione in rassegna rileva che, peraltro, in linea di principio, con riferimento ai rapporti patrimoniali, il fallimento determina ex art. 43 l. fall. l'automatica perdita della capacità processuale del fallito che conserva, tuttavia, un'eccezionale legittimazione ad agire per la tutela dei propri diritti di siffatta natura nell'inerzia degli organi della procedura.

La parte fondamentale dell'ordinanza in esame è quella dove si sottolinea, ai fini della soluzione della fattispecie concreta portata all'attenzione della S.C., che detta inerzia sussiste soltanto nella ipotesi di totale disinteresse degli organi fallimentari e non anche quando – come nella fattispecie processuale esaminata – la stessa si correli ad una valutazione di convenienza negativa per la massa dei creditori della controversia.

In applicazione di tali principi, la Corte di legittimità ha quindi accolto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate stante la carenza di legittimazione ad impugnare l'avviso di accertamento, sin dal giudizio di primo grado, da parte del legale rappresentante della società fallita.

L'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione nella pronuncia in esame si iscrive, con riguardo alla peculiare questione dell'impugnazione dinanzi al giudice tributario degli atti impositivi, in quella giurisprudenza di legittimità per la quale la dichiarazione di fallimento, pur non sottraendo al fallito la titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, comporta, a norma dell'art. 43 l.fall., la perdita della sua capacità di stare in giudizio nelle relative controversie, spettando la legittimazione processuale esclusivamente al curatore, fermo restando che se l'amministrazione fallimentare rimane inerte, il fallito conserva, in via eccezionale, la legittimazione ad agire per la tutela dei suoi diritti patrimoniali, purché l'inerzia del curatore sia stata determinata da un totale disinteresse degli organi fallimentari e non anche quando consegua ad una negativa valutazione di questi ultimi circa la convenienza della controversia (cfr., da ultimo, Cass., Sez. VI- I, 6 luglio 2016, n. 13814).

In sostanza, spetta in via esclusiva alla curatela fallimentare, secondo tale impostazione, valutare l'opportunità di un'azione giudiziaria rispetto alla possibilità per la stessa di conseguire effetti vantaggiosi per la massa dei creditori, sicché, ove vi sia stata una presa di posizione negativa rispetto a siffatta opportunità, il fallito non può invocare la propria eccezionale legittimazione processuale correlata all'inerzia della curatela, da identificarsi – come avviene ai fini della proposizione dell'azione surrogatoria – con il totale disinteresse della stessa.

Non può trascurarsi, tuttavia, che sulla questione sembra sussistere attualmente un contrasto all'interno della giurisprudenza della S.C., poiché altre decisioni ritengono che in tema di accertamento tributario di crediti i cui presupposti si siano determinati anteriormente alla dichiarazione di fallimento del contribuente o nel periodo d'imposta in cui detta dichiarazione è intervenuta, l'atto va notificato non solo al curatore, ma anche al contribuente, che non è privato, a seguito della declaratoria fallimentare, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario, rimanendo esposto ai riflessi, anche sanzionatori, derivanti dalla definitività dell'atto impositivo, con la conseguenza che il fallito, nell'inerzia degli organi fallimentari, resta eccezionalmente abilitato ad esercitare egli stesso siffatta tutela, alla luce dell'interpretazione sistematica del combinato disposto degli artt. 43 l.fall. e 16 del d.P.R. n. 636 del 1972, conforme ai principi garantiti dall'art. 24 Cost. (v., tra le più recenti, Cass., Sez. T, 11 maggio 2017, n. 11618).

Osservazioni

A nostro sommesso parere è maggiormente condivisibile la tesi contraria a quella suffragata dalla decisione in esame, in quanto di tenore più garantista per il fallito e conforme al principio di rilevanza convenzionale e costituzionale del diritto di effettività di azione in giudizio consacrato dall'art. 24 Cost. e dall'art. 6 CEDU.

Deve infatti ritenersi che, a prescindere dalle ragioni che la giustifichino, l'inerzia della curatela che apre la strada alla legittimazione processuale del fallito è ravvisabile nel mero omesso esercizio, da parte del curatore, del diritto alla tutela giurisdizionale avverso l'atto impositivo, venendo in rilievo, nella specie, il fondamentale diritto del fallito a non subire le conseguenze sanzionatorie dell'illecito tributario.

Guida all'approfondimento

In dottrina, specificamente in arg., oltre a BRACCI, La posizione processuale del fallito e i poteri del curatore, Milano 1974, 65 ss., cfr. BASILAVECCHIA, Ribadita la legittimazione attiva della società fallita, in Corr. trib., 2008, 55; DI GENNARO, Il ricorso tributario proposto dal fallito rispetto all'inerzia del curatore, in Il caso, 2015; MAURO, Controversie tributarie e posizione processuale del fallito nell'ordinamento italiano, in Revista de Estudios Juridicos, 2012.

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