Azioni riscattande, prezzo di vendita e patto leonino

19 Aprile 2018

La massima esposta in data 2 marzo 2018 da parte dell'Osservatorio Società del Consiglio Notarile di Firenze, Pistoia e Prato, in corso di pubblicazione, ci consente una breve riflessione e sintesi in materia di azioni riscattabili in generale.

La massima n. 67/2018, esposta in data 2 marzo 2018 da parte dell'Osservatorio Società del Consiglio Notarile di Firenze, Pistoia e Prato, in corso di pubblicazione, ci consente una breve riflessione e sintesi in materia di azioni riscattabili in generale.

Dal 2004 il legislatore, introducendo l'art. 2437-sexies c.c., ha definitivamente appianato ogni dibattito relativo all'ammissibilità stessa del riscatto convenzionale di partecipazioni sociali, espressamente prevedendo la specifica e più limitata figura delle azioni riscattabili ovvero caratterizzate dal diritto di “call” a carico del socio titolare ed a favore della società o di altri soci.

Sembra, quindi, ormai pacifico che l'associazione del diritto potestativo proprio del riscatto alla partecipazione sociale integri sufficientemente quel “diritto diverso” che da solo è in grado di costituire una categoria di azioni, con ciò superandosi definitivamente ogni dibattito in materia.

L'art. 2437-sexies c.c. ha, tuttavia, mancato di descrivere la figura differente ed opposta a quella positivizzata, ovvero il dovere di riscatto, il “put”, dando così vita ad un animato dibattito che, finendo in maniera nettamente maggioritaria con l'ammetterlo, ha tuttavia disquisito sui limiti propri di questa più limitata species.

Venendo alle differenze tra queste due, sembra che il soggetto onerato non possa mai essere un estraneo, come invece l'avente diritto al “call” ma soltanto la società o un socio.

Maggiori libertà sembrano invece doversi rintracciare in tema di predeterminazione del prezzo di riscatto dal momento che mancherebbe la necessità di tutelare il soggetto passivo ovvero tenuto all'acquisto della partecipazione. Questo almeno ove si indaghi sul quantum minimo, non potendosi far riferimento alla disciplina generale del recesso che, diversamente, costituisce una sorta di “floor” alla monetizzazione del socio sottoposto al riscatto delle proprie azioni nella contrapposta species delle azioni riscattabili.

Di conseguenze il “put” potrà essere esercitato a valori economici anche inferiori e temporalmente più penalizzanti di quelli che avrebbero rappresentato il limite di tutela del socio onerato in caso di “call”.

Il problema, invece, si delinea con una sua specificità ove l'avente diritto al “put” lo voglia esercitare in ragione di una pretesa o pattuita monetizzazione del proprio investimento e, quindi, a valori superiori a quelli della propria partecipazione attuale. In questo caso il confronto deve svolgersi con il limite generale di ordine economico delineato dal divieto del patto leonino dal momento che lo strumento delle azioni riscattande potrebbero essere utilizzate in una logica di sterilizzazione di una possibile perdita e, più in generale, dell'insuccesso dell'attività economica.

In quest'ultimo caso occorre operare una summa divisio: ove l'exit sia subordinato alla ricorrenza di eventi non meramente potestativi oppure il pati sia posto a carico della società (e, quindi, subordinato alle regole che delimitano l'acquisto di azioni proprie) la cd leoninità del riscatto dovrebbe potersi escludere a priori dal momento che la condizione a cui la riscattabilità in concreto sarebbe subordinata sembrerebbe poter introdurre quell'elemento minimo di incertezza idoneo a legittimare, già in astratto, la previsione.

Ugualmente sembra doversi escludere la violazione del patto leonino ove il “put” sia esercitato ad un prezzo prefissato superiore al valore dell'investimento iniziale ma la società abbia utili e/o riserve disponibili a sufficienza per effettuare la liquidazione del socio di categoria, atteggiandosi qui il diritto particolare come una sorta di privilegio nella ripartizione della ricchezza sociale.

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