Le modifiche al codice civile dettate dalla L. n. 155/2017 e l’affermazione del “diritto concorsuale societario”

Luigi Amerigo Bottai
23 Aprile 2018

La presa d'atto dei risultati poco soddisfacenti – in termini di credit recovery - fin qui mostrati dalle molteplici novellazioni della legge fallimentare del 1942 , susseguitesi a ritmo incessante dalla prima riforma del 2005/2006, e dunque la necessità di perseguire in modo più determinato l'obiettivo di anticipare l'emersione della crisi d'impresa, contrastando la tendenza usuale dei debitori a procrastinare ogni intervento ristrutturatorio, ha indotto il legislatore italiano a ripensare l'intero sistema di tutela del credito e ad accelerare il varo di strumenti normativi più efficienti allo scopo.
Lo stato della tutela del diritto di credito

La presa d'atto dei risultati poco soddisfacenti – in termini di credit recovery - fin qui mostrati dalle molteplici novellazioni della legge fallimentare del 1942, susseguitesi a ritmo incessante dalla prima riforma del 2005/2006, e dunque la necessità di perseguire in modo più determinato l'obiettivo di anticipare l'emersione della crisi d'impresa, contrastando la tendenza usuale dei debitori a procrastinare ogni intervento ristrutturatorio, ha indotto il legislatore italiano (sulla scia delle iniziative già assunte a livello sovranazionale (cfr. L. Stanghellini, La proposta di Direttiva UE in materia di insolvenza, Fall., 2017) e in alcuni paesi europei a ripensare l'intero sistema di tutela del credito e ad accelerare il varo di strumenti normativi più efficienti allo scopo (in tale direzione si v. le nuove figure del c.d. patto marciano e del pegno mobiliare non possessorio a garanzia di finanziamenti bancari, introdotte dal D.L. 3.5.2016, n. 59, modificato dalla legge di conversione 30.6.2016, n. 119).

Ovviamente ciò è dipeso soprattutto dall'enorme accumulo di crediti deteriorati (NPL) nei bilanci delle banche italiane; tuttavia la reazione istituzionale sembra aver imboccato una direzione coerente, dopo tre anni di oscillazioni nei quali si è passati da un sistema troppo debtor oriented (con il D.L. 83/2012) all'esatto opposto, con la quasi abolizione del concordato liquidatorio e il ripristino del consenso esplicito in sede di votazione (con la L. n. 132/15), senza che la soddisfazione dei crediti ne abbia sortito alcun beneficio tangibile.

Il Parlamento uscente ha così licenziato la legge 30.10.2017, n. 155, di delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza e l'apposita Commissione di esperti incaricata dal ministro della Giustizia di redigere i decreti delegati ha eseguito il proprio mandato in soli due mesi elaborando intanto tre testi, intitolati rispettivamente i) Codice della crisi e dell'insolvenza, ii) Disposizioni per l'attuazione del Codice della crisi e dell'insolvenza-norme di coordinamento e disciplina transitoria, iii) Modifiche al codice civile, che rappresentano la traduzione fedele e dettagliata dei principi di delega. Ma l'incombere della campagna elettorale e altre ragioni (più o meno nobili) hanno causato lo slittamento della loro approvazione da parte del Consiglio dei ministri prima e delle competenti commissioni parlamentari poi, fino al rinvio di tutto l'esame alla prossima legislatura.

Nel presente focus sarà illustrata la rispondenza dell'ultimo articolato sopra menzionato – costituito da dieci importanti articoli che andrebbero a modificare il Libro V del Codice civile (nell'art. 2086 e nel Titolo V) – ai criteri direttivi della L. n. 155/2017, nella consapevolezza, ormai universalmente acquisita, che la più efficace tutela dei diritti di credito nel contesto della crisi risieda nella prosecuzione dell'attività imprenditoriale (cfr. già R. Rordorf, La continuità aziendale tra disciplina di bilancio e diritto della crisi, Le Soc., 2014), in forma diretta o indiretta (per mezzo di altro imprenditore), soltanto quando il valore dell'impresa in attività sia superiore a quello di liquidazione di ciascuno dei suoi componenti, come impongono l'attuale art. 105, comma 1, l.fall. e il futuro (probabile) art. 219 del Codice della crisi e dell'insolvenza (in connessione con gli artt. 216 e 217, ossia con i vigenti artt. 104 e 104-bis l.fall.).

Dunque, la finalità imprescindibile dell'intera Riforma (art. 3 della proposta di decreto attuativo, detta in breve CCI) è “pervenire al miglior soddisfacimento dei creditori salvaguardando i diritti del debitore, nonché, ove questi eserciti un'attività d'impresa, favorire il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale, anche attraverso la rilevazione tempestiva della crisi medesima, in vista di soluzioni concordate con tutti o parte dei creditori, ovvero, in difetto, il proficuo avvio di una procedura liquidatoria”, in conformità al principio generale della legge delega di cui all'art. 2, co. 1, lett. g): “dare priorità di trattazione, fatti salvi i casi di abuso, alle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale, anche tramite un diverso imprenditore, purché funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori e purché la valutazione di convenienza sia illustrata nel piano, riservando la liquidazione giudiziale ai casi nei quali non sia proposta un'idonea soluzione alternativa”.

E ciò diversamente da quanto accade nelle procedure concorsuali governate dall'autorità amministrativa (segnatamente l'A.S.), nelle quali rileva primariamente la conservazione in esercizio dei complessi aziendali in vista del risanamento o della loro riallocazione sul mercato, a tutela di una serie di interessi ritenuti dalla legge prevalenti sul grado di soddisfazione dei creditori concorsuali (sovente negletti a vantaggio degli strategici): v. artt. 1, 27, 50 e 56 d. lgs. 270/1999.

Di qui la notazione che il concordato liquidatorio – finora assai più diffuso nella prassi – verrà relegato a casi marginali, riespandendosi di molto il campo di applicazione dell'ex fallimento, ora liquidazione giudiziale (la quale abbraccerà anche le piccole imprese, quelle agricole, le società partecipate da enti pubblici e le persone fisiche e giuridiche o altri enti collettivi in genere che svolgano attività commerciale, industriale, artigiana o agricola: cfr. art. 1 CCI).

Di qui anche l'opportuna restituzione al tribunale, nella fase di ammissione della procedura concordata preventiva, del sindacato in ordine alla fattibilità economica del piano proposto dal debitore, per impedire quei fenomeni di abuso fino ad oggi verificatisi.

Al fine di salvare davvero le imprese in difficoltà e prevenire le pesanti “sofferenze” che hanno generato voragini nei patrimoni bancari (e fatto fallire ben sette grandi istituti negli ultimi due anni) si è compreso di dover disciplinare compiutamente la fase crepuscolare (cd. twilight zone) della vita delle società e degli enti soggetti alle procedure del Codice della crisi, perché è dal tenore degli obblighi previsti in quel contesto che si può arginare l'emorragia di risorse usualmente disperse in vari rivoli e in iniziative disperate,

nell'intento di mantenere un maggior valore alle imprese meritevoli che attraversano una crisi, consentendo loro persino di proseguire l'attività dopo la fase di risanamento cd. “assistita” (affidata ad organismi di composizione all'uopo formati presso le Camere di commercio).

Le modifiche al diritto societario codicistico: norme organizzative

Le proposte d'intervento contenute nelle bozze di decreti attuativi riguardano numerose disposizioni societarie del codice civile, oltre all'adeguamento delle corrispondenti norme già presenti nella legge fallimentare; il tutto per raccordarle con le misure di allerta e prevenzione introdotte nel nuovo CCI.

Tra i principi generali della menzionata proposta di Direttiva del 22.11.2016 la Commissione colloca l'early warning, definito come il complesso degli strumenti che possono evidenziare l'avvio di un peggioramento delle performance dell'impresa e segnalare all'imprenditore la necessità di attivarsi con urgenza (art. 3). Il 16° Considerando chiarisce che gli early warning tools possono essere rappresentati da obblighi nella redazione dei bilanci e nel monitoraggio dell'attività oltre che nel dovere di terzi in possesso di informazioni rilevanti, quali i revisori, le autorità incaricate della riscossione delle imposte e dei contributi previdenziali, di segnalare uno sviluppo negativo. Questi soggetti possono essere incentivati od obbligati secondo la previsione della disciplina interna dei singoli Stati(così L. Panzani, La proposta di Direttiva della Commissione UE: early warning, ristrutturazione e seconda chance, Fall., 2017).

In tal guisa la riforma pone finalmente al centro della disciplina le società (e i gruppi), dedicando la dovuta attenzione ai profili societari emergenti nel periodo ante crisi nel proposito di governarla con i minori danni possibili all'impresa medesima e agli stakeholders. Finora invece risultava disciplinata, in ottica di salvaguardia delle ragioni creditorie, soltanto l'attività compiuta dagli organi dal momento del verificarsi della causa di scioglimento (artt. 2485 e 2486 C.C. ). E' stata una raffinata letteratura ad aprire una florida corrente di pensiero dalla quale è nata la nuova regolamentazione.

Tali proposte di modifica recepiscono per lo più alla lettera i principi di delega di cui all'art. 14 L. n. 155/2017, già sufficientemente dettagliati, e sono di triplice natura: norme organizzative, norme prescrittive/sanzionatorie e norme premiali.

A) Con le prime i) si abrogano gli artt. 2221 e 2545-terdecies c.c., come diretta conseguenza dell'ampliamento dei destinatari delle procedure concorsuali di cui all'art. 1 CCI (non più solo imprenditori commerciali non piccoli), con l'inclusione anche delle cooperative insolventi, non più soggette a L.C.A. (riservata a banche, intermediari finanziari, assicurazioni e fiduciarie, giusta la previsione dei futuri artt. 294 ss. CCI);

ii) si ristabilisce nell'art. 2484 che l'assoggettamento alla procedura di liquidazione giudiziale sia causa di scioglimento delle società di capitali (com'era prima della riforma societaria del 2003 e com'è già oggi per le società di persone). Sotto altro profilo, l'operatività della causa di scioglimento per riduzione del capitale sotto il minimo di legge (artt. 2484, n. 4, e 2545-duodecies), al pari degli obblighi di ricapitalizzazione per perdite di cui agli artt. 2446, 2482-bis e ter, possono essere sospesi "in forza delle misure protettive previste nell'ambito delle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, degli accordi di ristrutturazione dei debiti e di regolazione concordata preventiva della crisi": così recita l'art. 14, lett. d) della L. 155/17. Già attualmente il deposito della domanda per l'ammissione al concordato preventivo, anche con riserva, nonché della domanda per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, ha per effetto di sospendere l'operatività della causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale e ciò fino all'omologazione (art. 182-sexies l.f.). La nuova regola si estende alle procedure di allerta e di composizione assistita, ma non prevede un automatismo (rimasto nel concordato preventivo ex art. 94 CCI), bensì un apposito provvedimento del “giudice concorsuale” che disponga tali effetti (art. 23 CCI);

iii) si riordina la legittimazione degli organi delle procedure ad esperire le varie azioni di responsabilità, includendovi anche il liquidatore giudiziale nel c.p. con cessione dei beni – estensione forse non consentita dal criterio di delega di cui all'art. 6, comma 2, lett. a), senza previa delibera assembleare (v. art. 120 CCI) - e per la costituzione di parte civile nei procedimenti per i reati di bancarotta, di cui all'art. 362 CCI; ne deriva l'abrogazione dell'attuale art. 2394-bis c.c., assorbito già oggi nell'art. 146 l.fall. (entrato in vigore dopo la riforma societaria del 2003) e “domani” in varie disposizioni del nuovo Codice (per le azioni proponibili dal curatore si v. ancora l'art. 2497 e l'art. 7, co. 5, della legge delega, oltre al futuro art. 260 CCI). Una precisazione merita il proposto art. 264 CCI, che estende le azioni di responsabilità del curatore, “in quanto compatibili, anche agli enti e imprenditori collettivi non societari e ai relativi componenti, ove illimitatamente e personalmente responsabili per le obbligazioni dell'ente e a coloro che, in base alle norme che li disciplinano, rispondono personalmente e illimitatamente delle obbligazioni dell'ente”, così risolvendo il problema posto dalle pronunce della Suprema Corte, ad es., in materia di consorzi (v. Cass., sez. I, 3.6.2010, n. 13465).

segue: norme prescrittive e sanzionatorie

B) Le norme prescrittive e sanzionatorie sono di notevole impatto sistematico e attengono a due tipologie di comportamento degli organi sociali (talune rivolte ai gestori, altre ai sindaci/revisori, mentre interrogativi pone il ruolo dell'assemblea e dei soci in detto ambito):

1) gli obblighi di azione degli amministratori e degli organi di controllo per la corretta "rilevazione e gestione" della crisi d'impresa (F. Di Marzio, La riforma delle discipline della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Giuffre, 2018, 15 ss.), con i conseguenti effetti pure sulla società;

2) i doveri di reazione e le relative responsabilità degli amministratori e degli organi di controllo, con le azioni esercitabili nei loro confronti in caso di omissione.

Il futuro art. 2476 conterrà un nuovo comma 5-bis, che esplicita la responsabilità degli amministratori verso i creditori delle società a responsabilità limitata (azionabile anche dal curatore) per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale, recependo l'orientamento prevalente della giurisprudenza (sin da Cass., Sez. I, 21.7.2010, n. 17121). Sembra però difettare il richiamo a quella nei confronti dei sindaci/revisori (finora generalmente non previsti nelle s.r.l.), i quali pur beneficiano dell'esonero dalla responsabilità solidale in caso di tempestiva segnalazione della crisi all'organismo di composizione (art. 17 CCI).

1) Passando in rapida rassegna le singole disposizioni “di azione” ci si imbatte subito nel nuovo fulcro dell'intero impianto normativo: il novellato art. 2086 - la cui rubrica é stata peraltro ridenominata “Gestione dell'impresa” - che da mera regola “gerarchica” dell'imprenditore individuale (qual è oggi) diventa il parametro di riferimento per tutte le imprese, anche societarie, in ordine all'approntamento del più adeguato assetto organizzativo da realizzare allo scopo di rilevare precocemente i segnali di crisi e di porvi tempestivo rimedio. L'individuazione del locus nel Capo I del Titolo II non è opera della legge delega (v. sopra, art. 14, lett. b), ma scelta discrezionale del testo attuativo per dimostrarne l'applicazione a tutte le imprese.

L'essenza della moderna regolazione della crisi ruota intorno a questo asse, che già regge l'intera disciplina delle s.p.a. (v. art. 2381, comma 5, vigente), essendo espressione del generale principio di corretta amministrazione (art. 2381, comma 3), valevole per tutte le forme gestorie.

Dalla creazione di un assetto organizzativo, ma anche amministrativo e contabile – per logica presupposizione e stretta connessione, seppur non menzionati – idoneo e coerente alla natura e alle dimensioni dell'impresa, si valuta sia la prospettiva della continuità aziendale (ex artt. 2423-bis e 2428 vig.), sia la prevedibilità delle difficoltà finanziarie e/o economiche che potrebbero investire la compagine nel breve o brevissimo termine.

Qui appare manifestarsi il collegamento auspicato tra governance societaria e crisi d'impresa, finora mancante nel diritto positivo (A. Rossi, La legge delega per la riforma delle discipline della crisi d'impresa: una prima lettura, Le Soc., 2017), che onera gli organi esecutivi di “attivarsi per l'adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” (criterio di cui all'art. 14, lett. b).

Si modificano, per l'effetto, anche le corrispondenti disposizioni sull'amministrazione delle società dell'art. 2380-bis, dell'art. 2409-novies (sul consiglio di gestione) similmente dell'art. 2475 (per le s.r.l.) e, infine, dell'art. 2257 (per le società di persone).

Lo stesso obbligo, riguardato dal punto di vista del monitoraggio - non della predisposizione e cura, propri degli amministratori -, ricade già oggi sul collegio sindacale, in base al chiaro disposto dell'art. 2403 (“vigila… sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile e sul suo concreto funzionamento”). L'art. 17 del CCI lo ribadisce aggiungendo l'obbligo di segnalazione anche a carico dei revisori, “ciascuno nell'ambito delle proprie funzioni e tenuto conto del tempestivo scambio di informazioni di cui all'art. 2409-septies”; essi, in sostanza, avranno l'obbligo di verificare che l'organo amministrativo valuti costantemente, nel caso assumendo idonee iniziative, se l'assetto organizzativo dell'impresa è adeguato, se sussiste l'equilibrio economico finanziario e qual è il prevedibile andamento della gestione, nonché di segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l'esistenza di fondati indizi della crisi.

In caso di omessa o inadeguata risposta, ovvero di mancata adozione nei successivi sessanta giorni delle misure ritenute necessarie, i predetti soggetti informano senza indugio l'organismo di composizione della crisi d'impresa. Persino le banche dovranno notiziare i sindaci, se esistenti, di ogni “variazione o revisione negli affidamenti” (art. 17, ult.co., CCI).

La riforma (art. 14, lett. g, della delega) interviene però a interpolare l'art. 2477, in materia di nomina obbligatoria dell'organo di controllo o del revisore nelle società a responsabilità limitata, imponendola (oltre che nelle ipotesi in cui la società sia tenuta alla redazione del bilancio consolidato e/o controlli una società obbligata alla revisione legale) nel caso in cui per due esercizi consecutivi la società superi almeno una delle soglie dimensionali di seguito indicate, riducendo quelle attualmente vigenti e, quindi, ampliando il numero di s.r.l. tenute alla nomina:

  • totale attivo dello stato patrimoniale superiore a 2 milioni di euro (dagli attuali 4,4 milioni);
  • ricavi delle vendite e delle prestazioni superiore a 2 milioni di euro (dagli attuali 8,8 milioni);
  • numero di dipendenti occupati in media durante l'esercizio superiore alle 10 unità (dalle attuali 50 unità).

Sicché anche le s.r.l. saranno in buona parte sottoposte ai suddetti controlli (con un non lieve incremento dei costi).

In caso d'inerzia dei soci, alla nomina del sindaco o del revisore provvederà “il tribunale su richiesta di qualsiasi soggetto interessato o su segnalazione del conservatore del registro delle imprese” (art. 14 lett. h) e l'obbligo cessa quando, per tre esercizi consecutivi, non sia superato alcuno dei citati limiti (lett. i).

Ulteriore fonte di obblighi (e conseguente responsabilità) si rinviene nel vigente art. 185 l.fall., confermato dalla riforma negli artt. 6, comma 2, lett. b) della delega e 123 CCI, relativamente all'attuazione della proposta concorrente di concordato preventivo approvata e omologata.

La disposizione della L. 155 si rivolge agli "organi della società", onerandoli di dare tempestiva esecuzione alla proposta definitiva. Saranno individuati di volta in volta i reali destinatari del precetto (gli amministratori ovvero i soci), a seconda dell'atto o dell'adempimento da compiere; in ipotesi di ostruzionismo il tribunale assegna al commissario giudiziale “i poteri spettanti all'assemblea ovvero del potere di sostituirsi ai soci nell'esercizio del voto in assemblea” con adeguate garanzie informative per i soci.

Per quanto concerne il compimento di operazioni straordinarie nell'ambito o in esecuzione del concordato preventivo - fusione, scissione e trasformazione della società, nonché aumento del capitale sociale con esclusione del diritto di opzione spettante ai soci -, il ricorso all'ordinaria disciplina del codice civile non risulta coerente con le esigenze della società in procedura, manifestate nel piano, né con le regole di questa: si pensi alla disciplina codicistica dell'opposizione dei creditori alla fusione e alla scissione, non coordinata con le norme che regolano l'approvazione della proposta concordataria e l'eventuale opposizione all'omologa del concordato.

Né pare conciliabile l'istituto del recesso del socio, perché da esso potrebbero derivare per la società oneri di rimborso non ammissibili in situazione di crisi.

Nella legge 155 il principio di cui all'art. 6, comma 2, lett. c), sancisce che:

  • l'opposizione dei creditori possa essere proposta solo in sede di controllo giudiziale sulla legittimità della domanda concordataria;
  • gli effetti delle operazioni siano irreversibili, anche in caso di risoluzione o di annullamento del concordato, salvo il diritto al risarcimento dei soci o dei terzi danneggiati, ai sensi degli artt. 2500-bis e 2504-quater;
  • non spetti ai soci il diritto di recesso in conseguenza di operazioni incidenti sull'organizzazione o sulla struttura finanziaria della società.

Pertanto la tutela dei creditori avverrà in sede concordataria, giusta il dettato del proposto art. 121 CCI, soltanto con le forme dell'opposizione all'omologa sia per ragioni di validità che di convenienza dell'operazione straordinaria. Ne deriva che nei confronti delle società non ancora (o non più) ammesse al c.p. le opposizioni dei creditori tornano a proporsi dinanzi al tribunale delle imprese competente.

Ricordiamo, infine, la non trascurabile novità che anche nella liquidazione giudiziale il curatore potrà, sostituendo l'assemblea, attribuirsi “i poteri per il compimento degli atti e delle operazioni riguardanti l'organizzazione e la struttura finanziaria della società, previsti nel programma di liquidazione” autorizzato; a soci, creditori e terzi è dato il rimedio del reclamo al tribunale (art. 7, comma 2, lett. e, della delega e 269 CCI).

2) Ma il principio direttivo più controverso, scaturito sempre dalle esigenze di monitoraggio della gestione e conducente alle ormai necessarie reazioni contro la mala gestio degli amministratori in merito alla mancata adozione degli strumenti concessi dalla legge per la regolazione della crisi, sembra essere quello di cui alla lett. f) dell'art. 14 della delega, che prevede l'estensione del procedimento di denunzia al tribunale per gravi irregolarità, di cui all'art. 2409, alle s.r.l., anche se prive dell'organo di controllo.

Quest'ultimo inciso solleva dubbi: in assenza del sindaco o del revisore, chi può denunciare le irregolarità degli amministratori?

Dato il silenzio del legislatore in proposito, non sarebbero legittimati i soci che raggiungono il 10% del capitale sociale, avendo ciascuno di essi la possibilità non solo di agire in responsabilità, ma anche di richiedere la revoca dell'amministratore (v. art. 2476). Tuttavia, fin dai primi commenti alla riforma delle società, è stata posta in evidenza la profonda differenza tra i due strumenti processuali: infatti, in un caso, il tribunale si limita a revocare l'amministratore, ma non può intervenire ulteriormente; mentre, nell'altro, può nominare un amministratore giudiziario con i compiti e i poteri previsti appunto dall'art. 2409 c.c.

Attribuire ai soci (col 10% del capitale) la facoltà di denunciare al tribunale le gravi irregolarità significa sicuramente dar loro un potere di reazione più completo ed incisivo rispetto alla semplice revoca dell'amministratore. E l'esercizio del rimedio risarcitorio dell'art. 2476 richiede un danno effettivo e non soltanto potenziale, cioè proprio quel pregiudizio che il procedimento di cui all'art. 2409 tende ad evitare. Rimosso poi in via d'urgenza l'amministratore, la nomina di quello nuovo compete pur sempre alla maggioranza (che ha espresso il revocato), che in ipotesi di disaccordo incorrerebbe nella fattispecie di impossibilità di funzionamento della società e dunque in una causa di scioglimento della stessa, ai sensi dell'art. 2484, primo comma, numero 3.

Si diceva che il legislatore delegante ha finalmente posto in capo agli amministratori l'obbligo di predisposizione di adeguati assetti organizzativi e all'organo di controllo (oltre che all'esecutivo) quello di tempestiva rilevazione e reazione alla crisi, a pena di responsabilità; tali doveri implicano poi l'attivazione delle segnalazioni incombenti sui sindaci e revisori ovvero sugli amministratori e sugli imprenditori in genere agli organismi istituiti ad hoc per l'avvio del procedimento di composizione assistita della crisi.

Trattasi di obblighi volti alla prevenzione e alla migliore gestione delle situazioni critiche di perdita della continuità aziendale, che se inosservati producono quei danni alla società e ai creditori che avrebbero potuto essere evitati (sui quali v., da ultimo, Cass. 20.4.2017, n. 9983; in dottrina, R. Rordorf, Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, Le Soc., 2013).

Com'è stato rilevato tempo fa dal medesimo presidente della commissione riformatrice, le responsabilità degli amministratori, cui si correlano naturalmente quelle degli organi di controllo, possono essere di triplice derivazione (in base all'art. 2486 vigente):

  • Per aver cagionato o aggravato la crisi
  • Per non aver percepito tempestivamente i sintomi di essa o non avervi prontamente reagito
  • Per aver malamente adoperato gli strumenti opportuni a fronteggiare la crisi (A. Patti, Crisi d'impresa e responsabilità degli amministratori, Fall., 2018).

Si tratta, all'evidenza, di comportamenti posti in essere nella fase crepuscolare della vita dell'impresa, giustamente rimarcata in dottrina quale terzo momento rilevante ai fini della valutazione delle condotte degli amministratori e dei sindaci e revisori: non più soltanto in termini “binari”, cioè nelle fasi di continuità o scioglimento – cui fa seguito l'obbligo alternativo della richiesta ai soci di ricapitalizzare o di liquidare/trasformare la società -, sibbene anche nel periodo di emersione dell'insolvenza prospettica, che poi corrisponde alla definizione di crisi accolta nel CCI (art. 2) come “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l'insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate” (sul significato del participio finale il dibattito si annuncia interessante).

Il superamento del modello binario in favore di uno tripartito – continuità/emersione della crisi/discontinuità – introduce invero al tema delle misure di allerta e a tutti gli strumenti innovativi della riforma in cantiere.

Ora è stata delegata al Governo la determinazione dei "criteri di quantificazione del danno risarcibile nell'azione di responsabilità promossa contro l'organo di amministrazione della società fondata sulla violazione di quanto previsto dall'articolo 2486" (art. 14 lett. e). Ben consapevole del contrasto dottrinale e giurisprudenziale intorno alla quantificazione del pregiudizio arrecato a società e creditori con l'illecita prosecuzione dell'attività pur dopo il verificarsi di una causa di scioglimento (danno all'integrità e alla consistenza del patrimonio sociale, su cui v. Cass. SU n. 9100/2015), la L. 155 ha posto la direttiva di fissare i criteri suddetti, specie per l'ipotesi frequente che siano mancanti o inattendibili le scritture contabili, con conseguente obiettiva difficoltà di ricostruire le conseguenze di specifici atti. In tali casi la bozza di decreto attuativo propone di applicare, nel nuovo 3° comma dell'art. 2486, la presunzione (relativa, ovviamente suscettibile di prova contraria) di corrispondenza del danno alla “differenza tra il netto patrimoniale al momento del verificarsi della causa di scioglimento della società e il netto patrimoniale al momento in cui è cessata la prosecuzione indebita dell'attività oppure è aperta la procedura di liquidazione”, con salvezza del potere di liquidazione equitativa del danno da parte del giudice (trattasi del “principio o congegno del netto”, che F. D'Alessandro, - Riv. dir. comm., 2014, pone come una delle funzioni del capitale sociale: anche come profilassi del dissesto.).

Tale soluzione, per la relazione accompagnatoria, risponde all'esigenza “espressa dalla legge delega” (?) di non rendere troppo ardua per l'attore la dimostrazione del danno subito dalla società, poiché in simili casi la difficoltà di prova deriva da comportamenti scorretti del convenuto, che non possono ulteriormente pregiudicare i danneggiati.

Da quanto precede si evince ancora una volta come le scelte imprenditoriali degli amministratori non siano più insindacabili (secondo la business judgement rule)ogni qualvolta le conseguenze negative siano riconducibili, almeno in parte, al difetto di organizzazione dell'impresa stessa; l'amministratore dovrà quindi curare di scegliere gli strumenti adeguati allo scopo prefissato (o che sarebbe da attendersi in un contesto di crisi) e l'organo di vigilanza dovrà verificarne la congruità. Benché i doveri sopra tratteggiati comportino l'applicazione di criteri e regole propri della scienza aziendalistica, questi assumono sicura valenza giuridica e, laddove si accerti che ex ante gli strumenti adottati (piani attestati, accordi o concordato) non erano quelli suggeriti dagli standard e dalle best practice invalsi in materia oppure non sono giunti a buon fine per mancanza dei presupposti, procurando ulteriore pregiudizio per la società e i creditori in termini di aggravamento del dissesto o di peggioramento delle condizioni patrimoniali, si configurerà piena responsabilità di entrambi gli organi.

Sempre sul versante sanzionatorio, si noti la proposta di soppressione dall'art. 2467, comma 1, dell'obbligo dei soci di restituire il rimborso dei finanziamenti ottenuto nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento; proposta leggibile all'art. 9 della bozza di decreto, ma non anche nella delega. Per cui il futuro testo dell'art. 265, comma 3, CCI dovrebbe diventare il seguente: “Il credito per il rimborso dei finanziamenti effettuati dai soci a favore della società nell'anno anteriore alla domanda che ha dato luogo all'apertura della liquidazione giudiziale è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori.

4. La disposizione di cui al terzo comma non si applica ai finanziamenti previsti dall'articolo 106”.

Ergo, l'obbligo di restituzione non sarebbe più statuito espressamente, ma è dedotto quale conseguenza della postergazione, a titolo di inefficacia. La relazione di accompagnamento alla proposta di d. lgs. sulle modifiche al codice civile afferma che l'eliminazione dal testo dell'art. 2467 dell'obbligo restitutorio “è conseguenza della trasposizione di tale norma in una sede più appropriata, ossia nell'emanando Codice della crisi e dell'insolvenza”; sembra tuttavia preferibile un coordinamento più chiaro sul punto, con il ristabilimento del dovere restitutorio.

segue: norme premiali

C) E' facile pronosticare che la radicale rivoluzione culturale imposta dalla riforma, se così verrà tradotta in legge, necessiti di un ampio periodo di decantazione allo scopo di permettere a tutti gli operatori – dagli imprenditori ai managers, fino ai sindaci e revisori - di studiarne regole ed implicazioni per poi adeguarvisi creando un mutato approccio alla crisi da parte di tutti (stakeholders compresi), senza i traumi che si verificherebbero qualora l'entrata in vigore fosse repentina, in un terreno imprenditoriale del tutto impreparato.

Ma la velocità di adattamento sarebbe tanto maggiore quanto più venissero implementate le misure premiali, apparendo insufficienti quelle oggi previste.

Invero, per i sindaci e i revisori, a fronte del progressivo allargamento delle ipotesi di responsabilità e al fine del riequilibrio del sistema, si introduce l'esonero da responsabilità di cui all'art. 4, lett. f), della L. 155, che si attiva, a beneficio dei sindaci – poi esteso ai revisori dall'art. 17, comma 3, CCI -, a seguito della loro segnalazione [ex art. 4, lett. c)] all'organismo e riguarda i fatti o le omissioni degli amministratori “successivi alla predetta segnalazione”.

Non basta la segnalazione all'amministratore, ciò che denota sfiducia da parte del legislatore nell'operato di entrambi gli organi sociali.

E' stato peraltro rilevato che, così posta, la norma mette praticamente nel nulla la novità della legittimazione all'apertura del procedimento di accertamento giudiziale dello stato di crisi o d'insolvenza ex art. 2, lett. d) (v. artt. 41-44 CCI), per la quale non si prevede un analogo meccanismo incentivante: sarà sempre preferibile per un collegio sindacale o un revisore legale ripararsi all'ombra della segnalazione ex art. 4, lett. c), piuttosto che affrontare le incertezze di un responsabile procedimento giudiziario attraverso il quale la società potrà trovare ingresso in una procedura di liquidazione giudiziale.

Le “misure premiali, sia di natura patrimoniale sia in termini di responsabilità personale”, in favore dell'imprenditore – da ritenere estese anche agli amministratori di società, pur nel silenzio della legge e del CCI - che abbia tempestivamente proposto l'istanza di composizione assistita (nei 3 mesi) “seguendone le indicazioni in buona fede”, ovvero domanda di accesso a una delle procedure regolatrici della crisi o dell'insolvenza (nei 6 mesi) “che non sia stata in seguito dichiarata inammissibile”, sono contemplate nell'art. 4, lett. h) e poi tradotte nell'art. 28 CCI.

In ordine al requisito della tempestività (art. 27 CCI), esso ricorre esclusivamente quando il debitore abbia proposto una delle predette istanze entro il termine di sei mesi dal verificarsi di determinati indici di natura finanziaria ivi indicati (3 mesi per l'istanza di OCC).

Gli incentivi sono cumulabili fra loro e includono:

  1. i. la causa di non punibilità per il delitto di bancarotta semplice e per gli altri reati previsti dalla odierna legge fallimentare, quando abbiano cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità ai sensi dell'attuale art. 219, comma 3, l.fall.;
  2. ii. un'attenuante ad effetto speciale (fino alla metà della pena) quando, a prescindere dalla speciale tenuità del danno, all'apertura della procedura concorsuale il valore dell'attivo inventariato od offerto ai creditori superi il quinto dell'ammontare dei debiti (così l'art. 28, comma 2, CCI);
  3. iii. una congrua riduzione degli interessi e delle sanzioni correlati ai debiti fiscali dell'impresa (del 50% nella procedura successiva alla composizione assistita: in pratica una “spinta gentile” a intraprenderla);
  4. iv. la proroga del termine fissato dal giudice per il deposito della proposta di concordato preventivo o dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, pari al doppio di quella che ordinariamente il giudice può concedere;
  5. v. l'inammissibilità di una proposta di concordato in continuità aziendale concorrente, se il professionista incaricato attesta che la proposta del debitore assicura il soddisfacimento dei creditori chirografari al 20%;
  6. vi. oltre all'esenzione dalla revocatoria di cui all'art. 67, comma 3, oggi riproposta all'art. 171 CCI con lievi modifiche (sulla decorrenza del termine a quo dal deposito della domanda di apertura della procedura nonché sulla ricomprensione della revocatoria ordinaria per talune esimenti soltanto.

In buona sostanza si è osservato da subito che fino ad oggi gli strumenti a disposizione degli organi di controllo erano solo “interni” tanto al diritto societario quanto alla compagine sociale, salvo il ricorso ex art. 2409 nei limitati casi previsti. Con la riforma muta totalmente la prospettiva e si volge all'esterno, istituendo l'organismo di composizione della crisi, cui vanno indirizzate le segnalazioni di cui agli artt. 17 e 18 (anche da parte dei creditori pubblici qualificati) e che, a sua volta, deve investire il PM della situazione di insolvenza del debitore che non sia comparso per l'audizione ovvero non abbia depositato l'istanza di composizione oppure la domanda di accesso ad una procedura concorsuale (art. 25 CCI).

L'acquisita centralità degli organi di controllo, anche nelle s.r.l., determinerà poi “a monte” un probabile conflitto con la proprietà e/o il management per il rischio di eccesso di cautela nelle segnalazioni: si porrà il dubbio se prevarrà un sentimento di “fedeltà” ai soci o piuttosto la l'inclinazione ad andare esenti da responsabilità, anche penali (con successive possibili ritorsioni dei soci per il nocumento cagionato dalla esteriorizzazione di una crisi non ancora esplosa, fino al “procurato allarme”).

Da qui soprattutto il conflitto ideologico fra principio di libera iniziativa economica e principio dell'utilità sociale dell'impresa, che viene lasciato ai teorici della materia.

La disciplina sui gruppi e l'affermazione di un “diritto societario della crisi”?

Al termine del non breve excursus normativo un semplice accenno all'innovativa disciplina dei gruppi di imprese nella crisi, secondo i principi direttivi dell'art. 3 L. 155/2017 (cfr. G. Scognamiglio, La disciplina del gruppo societario in crisi o insolvente. Prime riflessioni a valle del recente disegno di legge delega per la riforma delle procedure concorsuali, nonché L. Rovelli, Gruppi e insolvenza: alcune riflessioni sul disegno di legge delega per la riforma organica della crisi di impresa e dell'insolvenza, entrambi in AA.VV., le proposte per una riforma della legge fallimentare, a cura di M. Arato e G. Domenichini, GIUFFRE, 2017, 9 ss.): un tema da sempre avvertito e finalmente affrontato dal legislatore, il quale non è intervenuto sul codice civile, ma soltanto nel Codice della crisi e dell'insolvenza (introducendo poi la commissione i nuovi artt. 288/293-quinquies) per regolamentare fasi e aspetti principali del fenomeno, anche dal punto di vista procedurale.

Eppure i primi due criteri di delega prescrivono la definizione di gruppo di imprese, che avrebbe dovuto essere inserita nel codice civile, in quanto modellata sulla nozione di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 e seguenti e 2545-septies, “corredata della presunzione semplice di assoggettamento a direzione e coordinamento in presenza di un rapporto di controllo ai sensi dell'art. 2359”. Anche gli specifici obblighi di trasparenza e informazione sui legami di gruppo esistenti (di cui all'art. 3, comma 1, lett. b) avrebbe potuto trovare collocazione nel c.c., seppure siano previsti “in vista dell'assoggettamento a procedure concorsuali”.

Parimenti il principio volto a stabilire la “postergazione del rimborso dei crediti di società o di imprese appartenenti allo stesso gruppo, in presenza dei presupposti di cui all'art. 2467 del codice civile, fatte salve deroghe dirette a favorire l'erogazione di finanziamenti in funzione o in esecuzione di una procedura di concordato preventivo e di accordo di ristrutturazione dei debiti” sarebbe stato opportunamente da collocare nell'art. 2497-quinquies c.c., oltre che nel CCI per la parte derogatoria funzionale alle procedure (com'è oggi negli artt. 182-quater e 182-quinquies l.fall.).

Ad ogni modo, il dichiarato obiettivo del legislatore è di “assecondare una visione unitaria del gruppo, che permetta di affrontare in modo più efficiente il dissesto che coinvolge un'impresa economicamente unitaria, con un maggior coordinamento, i cui benefici effetti è dato apprezzare in particolare in contesti di risanamento aziendale. In tale prospettiva vengono superati gli ostacoli frapposti sino a ieri ai concordati di gruppo, prevedendosi una unitarietà degli organi e soprattutto la possibilità di depositare, con un unico fondo spese, un piano unitario di risoluzione della crisi del gruppo, all'interno del quale potranno essere contemplate “operazioni contrattuali e riorganizzative intragruppo funzionali alla continuità aziendale e al migliore soddisfacimento dei creditori” (Abriani).

In conclusione, il completamento del quadro della riforma concorsuale con la dettagliata regolamentazione della fase di emersione della crisi (quanto a comportamenti da adottare e connesse responsabilità dei vari attori) e con quella sui gruppi di imprese “in vista” dell'ingresso nelle procedure rappresenta “anche una significativa riforma societaria” perché raccorda le due discipline in modo armonico. Si introduce così un tema più ampio, di rilevantissima portata sistematica e interpretativa, oggetto di studio già oggi: con l'emanazione degli artt. 3, 4 e 14 della legge delega 155/2017 e della (probabile) bozza di decreto attuativo sulle modifiche al codice civile per taluni autori avrebbe trovato definitivo riconoscimento l'autonomia del cd. diritto societario della crisi (I primi a coniare la definizione in parola sono stati P. Montalenti, La gestione dell'impresa di fronte alla crisi tra diritto societario e diritto concorsuale, Riv. dir. soc., 4/2011, 821, e più convinto U. Tombari, Principi e problemi di “diritto societario della crisi”, Riv. Soc., 2013).

Se fino ad oggi l'esistenza delle sole disposizioni di cui agli artt. 182-quater, 182-quinquies e 182-sexies l.fall. avevano dato modo di ritenere che quel “diritto” non fosse “caratterizzato da norme aventi forti caratteristiche di contrapposizione con il cd. diritto societario comune” e, quindi, veramente autonomo, perché quelle norme “sembrano approntare i necessari adattamenti dell'organizzazione societaria alle specificità della gestione della crisi d'impresa” (G.B. Portale, Verso un “diritto societario della crisi”?, in Diritto societario e crisi d'impresa, a cura di U. Tombari, Torino, 2014); ora, con la legge delega e le proposte di decreti attuativi si varano “norme che prevedono la funzionalizzazione degli assetti organizzativi (anche) alla rilevazione tempestiva della crisi, il dovere di attivarsi per l'adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”(artt. 14 L. 155, e futuri 2086, 2380-bis, 2475 c.c.) nonché “i vari obblighi a carico degli organi sociali in forza delle misure protettive previste nell'ambito delle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi” (così P. Montalenti, Il diritto concorsuale tra passato e futuro: introduzione, relaz. al convegno di Courmayeur 23/24.9.2016, www.cnpds.it.,). Resta, tuttavia, da indagare se questo microsistema possa qualificarsi come diritto speciale o addirittura autonomo, cioè sottoposto a propri principi applicabili anche in via analogica ai casi non regolati (senza bisogno di ricorrere ai principi del diritto societario generale o di quello concorsuale) in virtù della cosiddetta autointegrazione (C. Ibba, Il nuovo diritto societario tra crisi e ripresa: profili introduttivi, www.rivistaodc.eu, 2016).

Di là dal problema esegetico, aperto per definizione, è il dato statistico che mostra come le s.r.l. iscritte al registro imprese siano oggi oltre 1.400.000 e le s.p.a. soltanto 40 mila; ad indicare che il mercato tende a costituire imprese di (medio-)piccole dimensioni. La disciplina anche della crisi dovrebbe allora tendere verso quel tipo sociale ed essere meno farraginosa. Invece la rigidità dei controlli e delle segnalazioni indotte dalla riforma in itinere, con la procedimentalizzazione dettagliata di tutto l'iter della crisi - e, in definitiva, la transizione della gestione della stessa dai tribunali alle camere di commercio (al contrario di quanto realizzato in Francia) -, sembra andare in una direzione opposta alla gravità delle difficoltà economico-finanziarie nelle quali ancora si dibatte la gran parte delle aziende e, dunque, alla flessibilità richiesta dal mercato, anche in materia di finanziamenti.

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