Gratuito patrocinio e termine per presentare l'istanza di liquidazione del compenso

24 Aprile 2018

Il provvedimento in commento affronta la questione, attualmente assai controversa in giurisprudenza, dell'interpretazione dell'art. 83, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, introdotto dall'art. 1, comma 783, l. n. 208/205.
Massima

Dopo l'entrata in vigore dell'art. 83, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato conserva il diritto di presentare istanza di liquidazione del proprio compenso al giudice del procedimento in cui ha prestato la propria attività anche dopo la sua definizione, atteso che la norma suddetta non prevede una decadenza per la parte od una preclusione per il giudice.

Il caso

Un avvocato che ha assistito, nell'ambito di un giudizio di separazione personale, una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato solo a distanza di più di un mese dalla definizione del giudizio presenta istanza di liquidazione del compenso, ritualmente corredata da tutti i necessari documenti. Il Collegio però dichiara non luogo a provvedere sull'istanza, sulla scorta del rilievo che essa è stata depositata dopo il termine posto dall'art. 83, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, e cioè dopo la «pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta».

Avverso il provvedimento del Collegio, l'avvocato propone reclamo, nelle forme del procedimento sommario di cognizione.

La questione

Il provvedimento in commento affronta la questione, attualmente assai controversa in giurisprudenza, dell'interpretazione dell'art. 83, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, introdotto dall'art. 1, comma 783, l. n. 208/2015 (legge di stabilità per il 2016) che prevede che: «il decreto di pagamento è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta».

Le soluzioni giuridiche

Secondo un primo orientamento (Trib. Milano, 22 marzo 2016; Trib. Lamezia Terme, 23 settembre 2016) la norma citata al paragrafo precedentenon ha introdotto una ipotesi di decadenza dalla presentazione dell'istanza di liquidazione del difensore della parte non abbiente, bensì uno sbarramento temporale alla potestas decidendi del giudice del procedimento.

Secondo un altro indirizzo, al quale aderisce espressamente il tribunale di Reggio Emilia con la pronuncia in commento, anche dopo tale modifica normativa il difensore conserva la possibilità di presentare l'istanza di liquidazione anche dopo la definizione della fase del giudizio in cui ha prestato la propria attività, purchè, deve ritenersi, entro il termine ordinario di prescrizione del diritto al compenso.

Osservazioni

Quanto sostenuto dal giudice reggiano in ordine alle conseguenze della novella è pienamente condivisibile.

Deve infatti innanzitutto escludersi che essa, che da un lato ha esplicitato come la liquidazione presupponga una corrispondente previa istanza, abbia introdotto un onere per il difensore della parte ammessa al patrocinio erariale di depositare la richiesta di liquidazione entro la chiusura della fase, a pena di inammissibilità o di decadenza.

Tali conseguenze infatti non sono espressamente previste, risultando quindi palese la differenza rispetto all'istanza di liquidazione del compenso per l'ausiliario del giudice, per la quale l'art. 71 d.P.R. 115/2002 prevede che vada presentata “a pena di decadenza” entro il termine di cento giorni dal compimento delle operazioni (coincidente di norma con il deposito dell'elaborato peritale).

Esclusa la possibilità di una applicazione analogica di quest'ultima previsione e in mancanza dell'espressa menzione di conseguenze processuali anche per l'istanza di liquidazione del compenso dell'avvocato, deve ritenersi che, con l'art. 83, comma 3-bis, il legislatore ha semplicemente inteso raccomandare la liquidazione del compenso contestualmente alla definizione della fase, ribadendo però così quanto già poteva evincersi dal comma 2 del medesimo art. 83, ma senza realmente conseguire l'intento che si era prefisso, ovvero quello della accelerazione delle procedure di erogazione dei compensi a favore dei difensori delle parti ammesse al patrocinio statale.

A tali considerazioni va aggiunto che l'interpretazione qui criticata comporta che il difensore della parte ammessa, per ottenere il compenso, dovrebbe proporre un autonomo giudizio nei confronti dello Stato, che si concluderebbe, con tutta probabilità, con una condanna dello stesso alla rifusione delle spese, e quindi un iter maggiormente oneroso per l'amministrazione (per le medesime considerazioni cfr. Trib. Verona, 8 aprile 2016; Trib. Mantova, 22 settembre 2016).

Peraltro la nuova norma non prevede espressamente nemmeno l'esaurimento del potere decisorio del giudice, una volta conclusosi il giudizio, e comunque il suo riconoscimento implica di fatto l'introduzione di una decadenza per la presentazione dell'istanza.

A ben vedere l'indirizzo giurisprudenziale qui in esame applica al caso di specie i principi affermati dalla Corte di cassazione con riguardo alla liquidazione del compenso del CTU, anche nel giudizio senza parti ammesse al patrocinio erariale.

La Suprema Corte ha infatti ripetutamente affermato che il decreto di liquidazione del compenso al CTU non può essere emesso dopo che il giudizio nel quale il consulente ha espletato il mandato sia stato definito con sentenza che contenga la pronuncia sulle spese processuali.

É opportuno però chiarire che solo uno di quei precedenti (Cass. civ., sez. II, 31 marzo 2006, n. 7633) si riferiva all'ipotesi dell'istanza di liquidazione presentata dopo la pronuncia della sentenza giacchè altri (Cass. civ., sez. III, 3 luglio 2008, n. 18204 e Cass. civ., 22 luglio 2003, n. 11418) hanno riguardato l'ipotesi, ben diversa, in cui il giudice aveva provveduto sulla istanza dopo l'estinzione del giudizio.

In tutti quei casi si è detto che il CTU può comunque far valere il suo credito nei confronti delle parti mediante altro giudizio (ordinario o monitorio).

A prescindere da tali considerazioni ostano poi all'estensione dei principi sopra riportati al caso dell'istanza di liquidazione del compenso dell'avvocato successiva alla definizione del giudizio le medesime ragioni di economia processuale di cui si è detto. Anche tale soluzione infatti comporta che l'avvocato debba promuovere un autonomo giudizio nei confronti dello Stato per ottenere il compenso, con conseguenti maggiori oneri per lo stesso (così anche Trib. Paola, 14 ottobre 2016).

Ancora, è opportuno evidenziare come vi siano delle ipotesi in cui il giudice deve necessariamente liquidare il compenso a distanza di tempo dalla definizione del giudizio in cui l'avvocato della parte non abbiente ha svolto la sua attività. Si pensi al caso del compenso per il procedimento monitorio che non può essere liquidato prima del decorso del termine per proporre opposizione avverso di esso perché qualora ciò dovesse accadere dovrà essere valutata la temerarietà della difesa dell'opposto.

Ferme restando le predette conclusioni, è comunque opportuno che la liquidazione del compenso spettante all'avvocato della parte non abbiente avvenga, compatibilmente con il tipo di giudizio in cui è svolta l'attività da retribuire,contestualmente all'adozione del provvedimento che lo definisce, non solo per rispettare formalmente il dato normativo (ex art. 83, comma 2, d.P.R. 115/2002, «la liquidazione è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo»), ma soprattutto per consentire, nel caso di soccombenza della parte abbiente, la condanna della stessa in favore dello Stato ai sensi dell'art. 133, previa verifica che il presupposto di essa permane.

In tale prospettiva, qualora il giudice intendesse disporre accertamenti sulla situazione reddituale del beneficiato, dovrebbe avere l'accortezza di farlo con congruo anticipo rispetto al momento della decisione, per evitare di dover rinviare quest'ultima in attesa di conoscere l'esito di quelli.

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