Nulla la cessione di ramo d’azienda se sono trasferiti alcuni lavoratori dotati di know how e la loro attività viene modificata dal cessionario
26 Aprile 2018
Massima
“Ai fini della legittimità del trasferimento di una rete di lavoratori, ai sensi dell'art. 2112 c.c., occorre che la loro attività sia stabilmente coordinata ed organizzata in maniera tale da tradursi in beni e servizi ben individuabili e che tale attività sia trasferita nella sua interezza, essendo insufficiente il trasferimento del solo personale la cui attività lavorativa viene poi modificata presso il cessionario, alterandone l'originario know how”. Il caso
Due lavoratori denunciavano la nullità, inefficacia ed illegittimità della propria assegnazione ad un ramo di azienda oggetto di cessione, unitamente al loro contratto di lavoro, in favore di un soggetto cessionario, richiedendo l'accertamento della sussistenza senza soluzione di continuità del rapporto di lavoro con la società cedente.
In seguito al rigetto delle domande dei lavoratori da parte del giudice di primo grado, in sede di gravame veniva esclusa la configurazione di una cessione di ramo di azienda, essendo in difetto il requisito della preesistenza e stante la discontinuità della loro attività lavorativa presso la cessionaria, con la conseguenza del ripristino del rapporto di lavoro dei due lavoratori con la cedente.
La società cedente promuoveva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte di appello, sostenendo, in particolare, che fosse stato trasferito un autonomo ramo d'azienda, consistente in una rete professionale caratterizzata da un insieme di conoscenze generali e che l'attività lavorativa del personale ceduto, apprezzabile nella sua oggettività, fosse stata solo lievemente modificata presso la cessionaria. La questione
La pronuncia in commento esamina la legittimità del trasferimento, ai sensi dell'art. 2112 c.c., di un ramo di azienda caratterizzato da un elevato «contenuto umano» in presenza di una lieve modificazione dell'attività dei lavoratori con esso trasferiti. Le soluzioni giuridiche
Per giurisprudenza oramai consolidata ai fini della legittimità del trasferimento del ramo di azienda, così come inteso dall'art. 2112 c.c., nella formulazione novellata dall'art. 32 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, l'oggetto della cessione deve essere costituito da un'unità produttiva suscettibile di costituire un compiuto strumento di impresa. L'elemento costitutivo della cessione, dunque, deve essere l'autonomia funzionale del ramo ceduto, intesa quale sua capacità, già riscontrabile al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi. L'attitudine del ramo a svolgere una funzione od un servizio non deve necessitare di integrazioni di rilievo da parte del cessionario (cfr. Cass. 31 maggio 2016, n. 11247).
Il predetto carattere del ramo di azienda deve essere, ovviamente, preesistente al trasferimento, non essendo suscettibile di cessione una struttura produttiva creata appositamente in occasione del trasferimento ovvero identificata come tale dalle parti del negozio traslativo.
La descritta nozione di preesistenza rappresenta l'elaborazione giurisprudenziale del novellato art. 2112 c.c., modificato per superare le rigidità legate alla definizione di parte dell'azienda sorte nella vigenza del D.Lgs. n. 18/2001.
Va precisato, però, che il D.Lgs. n. 18/2001 richiedeva comunque come requisiti per l'identificazione della parte di azienda la sua preesistenza rispetto al trasferimento e la conservazione della propria identità nel trasferimento, con il dichiarato fine di evitare fenomeni di esternalizzazione di segmenti dell'attività aziendale.
La nozione di preesistenza, dunque, continua ad essere un elemento indefettibile del ramo di azienda così come concepito dall'attuale comma 5 dell'art. 2112 c.c. poiché, come ampiamente ribadito in giurisprudenza, si può conservare solo qualcosa che già esista, dovendosi categoricamente escludere la legittimità di espulsioni di frazioni, reparti o uffici non coordinati tra loro, unificati solo dalla volontà imprenditoriale e non dall'inerenza del rapporto ad un'entità economica dotata di autonomia e funzionalità in occasione del trasferimento (si vedano sul punto Cass. 26 luglio 2016, n. 15438; Cass. 28 settembre 2015, n. 19141; Cass. 12 agosto 2014 n. 17901; Cass. 15 aprile 2014 n. 8757; Cass. 4 dicembre 2012 n. 21711; Cass. 8 giugno 2009 n. 13171; Cass. 9 ottobre 2009 n. 21481).
La Suprema Corte, nella pronuncia in commento, ha verificato, per l'appunto, l'inerenza dell'oggetto della cessione ad una preesistente entità economica automa e funzionale, potendosi trasferirsi solo un gruppo di dipendenti dotati di particolari competenze stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, così da rendere le loro attività interagenti ed idonee a costituire un know how individuabile in una particolare specializzazione, apprezzabile al pari di un bene o un servizio (in senso conforme Cass. 7 marzo 2013, n. 5678; Cass. 23 luglio 2012, n. 10761).
Nella fattispecie in esame, oggetto del trasferimento non è stata l'intera organizzazione lavorativa, bensì solo la rete di alcuni informatori medico-scientifici, la cui attività lavorativa, tra l'altro, è stata modificata presso la cessionaria. È evidente che un tale trasferimento non poteva che essere qualificato come nullo, stante la modificazione della preesistente organizzazione del lavoro e l'alterazione conseguenziale dell'originario know how insito in tale organizzazione (in tal senso Cass. 3 agosto 2008, n. 5932; Cass. 16 ottobre 2006, n. 22125). Osservazioni
L'ormai diffusa “smaterializzazione” dei processi produttivi ha imposto alla giurisprudenza di vagliare la legittimità, ai sensi dell'art. 2112 c.c., di taluni negozi traslativi aventi ad oggetto essenzialmente il capitale umano. Non è infrequente, infatti, la traslazione di un'attività realizzata solo mediante l'impiego di un insieme di lavoratori all'uopo organizzati senza il supporto di un apparato strumentale.
La giurisprudenza prevalente, nel cui solco si pone la pronuncia in commento, ha avuto modo di affermare che tali negozi possono rappresentare dei validi trasferimenti ai sensi dell'art. 2112 c.c. solo a determinate condizioni.
In primo luogo, il ramo da cedere deve costituire un insieme di elementi produttivi organizzati dall'imprenditore per l'esercizio di un'attività che si presentino prima del trasferimento come una entità dotata di autonoma ed unitaria organizzazione, idonea al perseguimento dei fini di impresa e che conservi nel trasferimento la propria identità.
Sulla base surriferita condizione di preesistenza della autonomia e della funzionalità del ramo, nell'eventualità in cui l'attività da trasferire sia dall'alto contenuto umano (c.d. labour intensive) e dal significativo know how, deve essere nuovamente riscontrabile, all'esito del trasferimento, quell'unicum organizzativo idoneo a trasformare i singoli lavoratori in un'entità imprenditoriale utile alla produzione di beni e/o servizi.
La Suprema Corte, con tale decisione, ha voluto rimarcare che il requisito indefettibile della fattispecie legale di cui all'art. 2112 c.c. resta, in ogni caso, l'elemento dell'organizzazione, intesa come legame funzionale che rende le attività dei dipendenti appartenenti al gruppo interagenti tra di esse e capaci di tradursi in beni e servizi; diversamente, alterando l'organizzazione e scalfendo il know how, la vicenda traslativa sarebbe sussumibile nella cessione del contratto di lavoro, richiedente per il suo perfezionamento il consenso del contraente ceduto ex art. 1406 c.c. |