Ritardata assunzione del lavoratore: risarcimento delle retribuzioni perdute
27 Aprile 2018
IL CASO Una donna partecipa ad un concorso pubblico, collocandosi al 625° posto in graduatoria tra gli idonei; avendo però diritto ad essere collocata nella graduatoria dei vincitori ex art. 12 l. 482/1968, essendo orfana di padre, propone ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, che lo accoglie. Chiede allora la condanna della società pubblica al risarcimento dei danni patiti a seguito della ritardata assunzione, quantificabili nella mancata retribuzione percepita. Il Tribunale di Roma accoglie la domanda e la Corte d'appello conferma la decisione. La Società ricorre dunque in cassazione con ricorso fondato su tre motivi.
LESIONE DEL DIRITTO ALLA RETRIBUZIONE O ALL'ASSUNZIONE? In particolare, con il quarto motivo di ricorso, la ricorrente lamenta violazione dell'art. 2043 c.c., sostenendo sia che l'attrice nella propria domanda non aveva allegato l'esistenza di un danno ingiusto, sia soprattutto che il danno patito in conseguenza della tardiva assunzione non era pari alle retribuzioni perdute , bensì poteva coincidere con tutti i pregiudizi, patrimoniali e non, che avrebbe potuto «costituire in ipotesi la ricaduta della violazione del diritto alla relativa assunzione». La ricorrente sostiene che sarebbe stato possibile liquidare il danno patito in misura pari alle retribuzioni perdute solo nel caso in cui l'attrice, al momento della domanda, fosse già stata titolare del diritto alla retribuzione. Diversamente, la donna avrebbe dunque patito solo la lesione del diritto all'assunzione, e non alla retribuzione.
GIUSTA LA LIQUIDAZIONE IN VIA EQUITATIVA La Suprema Corte precisa che il danno lamentato dall'attrice è stato giustamente liquidato in via equitativa, e ricorda come tale valutazione sia rimessa all'apprezzamento esclusivo del giudice di merito, e insindacabile in sede di legittimità. Aggiunge poi che, se la donna fosse stata inserita tempestivamente nella graduatoria del concorso, avrebbe percepito la retribuzione; pertanto ragionevole era stata la scelta di liquidarle il danno in misura pari a ciò che avrebbe percepito.
RISARCIMENTO DEL LUCRO CESSANTE La Cassazione dichiara inoltre che i precedenti richiamati dalla società ricorrente a sostegno della propria tesi sono espressione di orientamento minoritario e isolato, cui la Suprema Corte non ha voluto dare continuità. Ai fini della risarcibilità del danno in misura pari alle retribuzioni perdute, non deve necessariamente esserci una lesione del diritto alla retribuzione: la lesione del diritto è presupposto del danno, e non danno in sé. La Corte precisa che ai fini della risarcibilità non importa che il diritto leso dal fatto illecito fosse il “diritto all'assunzione”, e non il “diritto alla retribuzione” ; la lesione del primo diritto ha cagionato la perduta possibilità di guadagnare, ossia il lucro cessante, che deve essere commisurato alle retribuzioni perdute.
RIGETTO DEL RICORSO La Suprema Corte rigetta il ricorso ricordando il cospicuo orientamento giurisprudenziale che postula che «il datore di lavoro, che ritardi ingiustificatamente l'assunzione del lavoratore, è tenuto a risarcire il danno che questi ha subito durante tutto il periodo in cui si è protratta l'inadempienza datoriale, a far data dalla domanda di assunzione. Tale pregiudizio deve essere determinato, senza necessità di una specifica prova da parte del lavoratore, sulla base del complesso retributivo che il richiedente avrebbe potuto conseguire, ove tempestivamente assunto, salvo che il datore di lavoro adempia all'onere, interamente gravante su di lui, di provare che, nelle more, il lavoratore abbia avuto altra attività lavorativa» (ex multis, Cass. civ., Sez. Lav., n. 7858/2008 e Cass. civ., Sez. Lav. n. 15838/2002). |