Il regime di «immunità reale» degli immobili del Vaticano e la giurisdizione del giudice italiano
30 Aprile 2018
Massima
Sussiste la giurisdizione del giudice italiano nella controversia promossa dalla Santa Sede nei confronti del conduttore di un locale ubicato all'interno di un immobile dotato del carattere della extraterritorialità. Il caso
Non solo i romani, ma immagino tutti i lettori avranno nella loro vita ammirato almeno una volta la facciata del Palazzo della Cancelleria, capolavoro cinquecentesco, appartenente alla Santa Sede (ossia, a dirla in modo sbrigativo, al Pontefice), edificato dal cardinal Riario, secondo la leggenda, con le vincite ottenute in una sola notte di gioco d'azzardo. Su un lato del Palazzo della Cancelleria c'è una porzione dell'immobile che l'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, la quale amministra i beni immobili della Santa Sede, ha concesso in locazione ad una società che vi ha installato la propria sede, non altrettanto santa, giacché il locale è adibito a ristorante, o qualcosa del genere. L'Amministrazione locatrice agisce in giudizio nei confronti della società conduttrice invocando la clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto di locazione: assume in particolare — dico a titolo di cronaca, perché non è questo il punto che ci interessa — che la conduttrice abbia pagato in ritardo canoni e oneri accessori. La conduttrice oppone una strenua difesa che, tuttavia, a tutta prima, non appare solidissima: e cioè sostiene, in buona sostanza, che il giudice italiano non ha giurisdizione, dal momento che l'immobile locato, ove essa conduttrice ha la propria sede, è situato all'estero, alla stregua della previsione contenuta nei Patti Lateranensi. La questione
Qual è il regime giuridico degli immobili vaticani collocati al di fuori del ristretto perimetro della Città del Vaticano? Possono essere considerati quali immobili situati all'estero con tutto quanto ne consegue in ordine alla sussistenza della giurisdizione del giudice italiano? Le soluzioni giuridiche
Il tribunale capitolino provvede alla ricostruzione della disciplina applicabile al Palazzo della Cancelleria e ne trae la conseguenza del rigetto della tesi sostenuta dalla società conduttrice, volta a dimostrare l'insussistenza della giurisdizione del giudice italiano. Osserva la sentenza che, secondo tale società, l'immobile costituirebbe «territorio dello Stato Vaticano», al quale spetterebbe pertanto la giurisdizione in ordine alle controversie che lo concernono, e ciò ai sensi dell'art. 5 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (la legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), secondo cui la giurisdizione italiana non sussiste rispetto ad azioni reali aventi ad oggetto beni immobili situati all'estero, nonché in applicazione della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, ratificata in Italia con legge 21 giugno 1971, n. 804, art. 2, secondo cui le persone aventi il domicilio nel territorio di uno Stato contraente sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti agli organi giurisdizionali di tale Stato, ed art. 16, secondo cui, indipendentemente dal domicilio, hanno competenza esclusiva in materia di diritti reali immobiliari i giudici dello Stato contraente in cui l'immobile si trova. Ed invero, sempre secondo la società conduttrice, il Palazzo della Cancelleria sarebbe situato all'estero perché rientrante tra gli immobili considerati dall'art. 16 dei Patti Lateranensi, i quali «non saranno mai assoggettati a vincoli o ad espropriazioni per causa di pubblica utilità, se non previo accordo con la Santa Sede, e saranno esenti da tributi sia ordinari che straordinari tanto verso lo Stato quanto verso qualsiasi altro ente». Ma il tribunale, dopo aver osservato che la menzionata società è soggetto di diritto privato italiano, ha facile gioco nel sottolineare due aspetti: - per un verso che il Palazzo della Cancelleria, proprio alla luce dei Patti Lateranensi, non è un immobile situato all'estero, ma è un immobile situato in Italia, e non nella Città del Vaticano, quantunque sottoposto ad un regime di cd. extraterritorialità, il quale si riassume nel riconoscimento delle immunità proprie delle sedi diplomatiche, immunità peraltro correlate alla destinazione dell'immobile alla collocazione di un organismo istituzionale della Santa Sede, o, comunque, allo svolgimento delle sue attività istituzionali, e dunque certo insussistenti rispetto ad un locale destinato ad un'attività commerciale di ristorazione; - per altro verso che l'azione intentata nei confronti della società conduttrice non è un'azione reale, ma un'azione contrattuale. Osservazioni
L'esattezza della soluzione adottata dal tribunale di Roma trova riscontro nella giurisprudenza della Suprema Corte, dalla quale si desume che il difetto di giurisdizione, peraltro limitato alla sola giurisdizione esecutiva, concerne gli immobili che sono funzionali allo svolgimento di attività istituzionali dello Stato estero: ma, certo, l'immunità dalla giurisdizione non può essere invocata da chi svolge un'attività commerciale in un immobile pure dotato di extraterritorialità, per di più in una situazione in cui è lo Stato estero ad agire in giudizio dinanzi al giudice italiano, e non il giudice italiano ad interferire con la sovranità dello Stato estero. In materia di locazione non è raro imbattersi, infatti, nel problema della extraterritorialità, il che, per la verità, accade in frangenti assai diversi da quello con cui si è cimentato il Tribunale di Roma: il problema sorge, in particolare, quando si tratta di agire per lo scioglimento di un contratto di locazione di un immobile destinato a sede diplomatica. Nell'interrogarsi se in tal caso sussista la giurisdizione, la giurisprudenza di legittimità, muovendo dalla tradizionale distinzione tra atti di imperio, oggetto di immunità, e atti di gestione, esclusi dall'immunità, dà, in linea di principio, una risposta positiva, operando, però, una ulteriore distinzione tra giurisdizione di cognizione e di condanna, sottratte all'immunità, e giurisdizione esecutiva, soggetta all'immunità. La Suprema Corte, in particolare ha osservato che la norma consuetudinaria di diritto internazionale sulla immunità giurisdizionale degli Stati esteri e degli enti pubblici operanti nell'ordinamento internazionale, che si suole indicare con il noto brocardo in par parem non habet iurisdictionem e alla quale, per precetto costituzionale (art. 10 Cost.), si conforma il nostro ordinamento, riguarda, nella sua connaturale genericità ed indeterminatezza, solo i rapporti che rimangono del tutto estranei all'ordinamento interno, o perché quegli Stati o enti agiscono in altri Paesi, come soggetti di diritto internazionale, o perché agiscono come titolari di una potestà di imperio nell'ordinamento di cui sono portatori e nell'ambito del proprio territorio. Se invece lo Stato o l'ente straniero agisce indipendentemente dal suo potere sovrano, ponendosi alla stregua di un privato cittadino, nei suoi confronti la giurisdizione di altri Stati non può essere esclusa giacché esso svolge la sua attività come soggetto dell'ordinamento dello Stato del foro; e non ricorrono in tale caso quelle ragioni per cui lo Stato del foro debba astenersi non solo da ogni apprezzamento alla stregua delle proprie norme giuridiche, ma anche da ogni valutazione concreta effettuata mediante atti giurisdizionali (Cass. civ., Sez. Un., 30 maggio 1990, n. 5091; Cass. civ., Sez. Un., 18 ottobre 1993, n. 10294; Cass. civ., Sez. Un., 18 maggio 1992, n. 5937; Cass. civ., Sez. Un., 15 luglio 1987, n. 6171; Cass. civ., Sez. Un., 19 ottobre 1984, n. 5274; Cass. civ., Sez. Un., 18 ottobre 1982, n. 5399). Ne discende, ad esempio, che ben può essere instaurato il procedimento per convalida di sfratto nei confronti dello Stato estero, salvo che l'ordinanza di convalida — ovvero l'ordinanza di rilascio o la sentenza definitiva di condanna al rilascio, nel caso che il procedimento non trovi il suo esito fisiologico per l'opposizione dell'intimato — non potrà, poi, essere utilizzata per intraprendere l'azione esecutiva di rilascio nelle forme disciplinate dagli artt. 605 ss. c.p.c.. Neppure la sottrazione all'azione esecutiva del bene appartenente allo stato estero o all'organizzazione internazionale, tuttavia, è assoluta, ma regolata dal menzionato principio della cosiddetta «immunità ristretta», consolidatasi nel diritto internazionale consuetudinario, sicché, in base a tale principio l'esenzione dei beni degli Stati stranieri e degli enti pubblici che operino per il perseguimento dei fini degli Stati, da misure esecutive nell'ordinamento del foro, è circoscritta ai beni impiegati nell'esercizio di funzioni sovrane o destinati a scopi pubblici dei medesimi Stati stranieri, non estendendosi ai beni che siano adoperati per attività imprenditoriale (Cass. civ., Sez. Un., 13 maggio 1993, n. 5425). |