Concorso di norme e criterio di specialità. Un caso di lesioni colpose causate da mancanza di cautele contro gli infortuni sul lavoro

Paolo Ghiselli
02 Maggio 2018

La Corte di cassazione è stata chiamata a decidere se tra le fattispecie di cui agli artt. 437 e 590 c.p. possa configurarsi un concorso apparente di norme. Come noto ...
Massima

In caso di concorso di norme penali che regolano la stessa materia il criterio di specialità richiede che, ai fini della individuazione della disposizione prevalente, il presupposto della convergenza di norme può ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le norme stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra le fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle.

Il caso

L'imputato era stato condannato dalla Corte d'appello di Torino per il reato di cui all'art. 590, commi 1, 2, 3 e 5, c.p., per avere, nella qualità di amministratore delegato di una società a responsabilità limitata, cagionato lesione colpose a una lavoratrice dipendente consistenti nello schiacciamento della mano sinistra.
In particolare, veniva contestata una condotta colposa descritta come conseguenza di negligenza, imprudenza, imperizia e in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (d.lgs. 81 del 2008, art. 70, comma 2), per aver consentito l'utilizzo di un macchinario sprovvisto di idoneo sistema di sicurezza che impedisse il contatto delle mani con la pressa utilizzata dai lavoratori.
All'imputato era stato altresì contestato il reato di cui all'art. 437 c.p. per aver dolosamente rimosso il sistema di sicurezza approntato nel macchinario.

La Corte d'appello di Torino, nel confermare la sentenza di primo grado, aveva assolto l'amministratore delegato da quest'ultimo reato perché il fatto non sussiste.
La difesa proponeva ricorso in Cassazione contro la sentenza della Corte d'appello che lo riconosceva colpevole del reato di lesioni colpose.

Con il primo motivo, lamentava un concorso apparente di norme tra l'art. 437 e l'art. 590 c.p. (aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica) e conseguentemente evocava la violazione del principio di specialità (art. 15 c.p.) e del ne bis in idem.

Con il secondo motivo, la difesa invocava la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza in relazione a profili di colpa generica e specifica.

La questione

La Corte di cassazione è stata chiamata a decidere se tra le fattispecie di cui agli artt. 437 e 590 c.p. possa configurarsi un concorso apparente di norme.
La difesa aveva evidenziato che l'imputato era stato assolto dall'ipotesi dolosa di cui all'art. 437 c.p. e, pertanto, non poteva essere condannato per l'ipotesi più lieve colposa prevista dall'art. 590 c.p.

Come noto, l'ordinamento positivo è ispirato, in materia di concorso apparente di norme, al principio di specialità, consacrato nell'art. 15 c.p. Tale principio postula che una determinata norma incriminatrice (speciale) presenti in sé tutti gli elementi costitutivi di un'altra (generale) oltre a quelli caratteristici della specializzazione. È stata rilevata la necessità che le due disposizioni appaiano come due cerchi concentrici, di diametro diverso, per cui quello più ampio contenga in sé quello minore e abbia, inoltre, un settore residuo destinato ad accogliere i requisiti aggiuntivi della specialità. L'esempio “geometrico” permette di comprendere quando possa trovare applicazione il principio di specialità, posto che la disposizione di legge speciale (il cerchio più grande) deroga alla legge generale (il cerchio più piccolo), salvo che sia diversamente stabilito (art. 15 c.p.).

Il principio di specialità postula una pluralità di norme regolatrici della stessa materia e la presenza in una di esse di elementi peculiari che valgano a differenziare l'impianto normativo e che, per la loro specificità, siano da ritenere prevalenti rispetto a quelli della norma concorrente, che resta esclusa od assorbita. Non sarebbe sufficiente ad escludere l'applicazione della norma concorrente un mero collegamento, poiché il criterio in parola richiede l'identità di materia.

La norma generale ha un'estensione più ampia rispetto alla norma speciale, ma il rapporto tra le due norme è tale per cui, ove la seconda mancasse, i casi che vi rientrano sarebbero riconducibili alla prima.

Con riferimento all'art. 15 c.p. la Corte di cassazione, Sezioni unite (sent. 28 aprile 2017 n. 20664) si è espressa in questi termini: «È noto che sul punto sussiste un ampio e risalente dibattito in dottrina tendente ad ampliare il concorso apparente di norme alle figure dell'assorbimento, della consunzione e dell'antefatto o postfatto non punibile: classificazioni ritenute tuttavia prive di sicure basi ricostruttive, poiché individuano elementi incerti quale dato di discrimine, come l'identità del bene giuridico tutelato dalle norme in comparazione e la sua astratta graduazione in termini di maggiore o minore intensità, di non univoca individuazione, e per questo suscettibili di opposte valutazioni da parte degli interpreti. In particolare, la loro applicazione quale criterio ermeneutico è stata ripetutamente negata dalla giurisprudenza delle Sezioni unite per la mancanza di riferimenti normativi che consentano un collegamento di tale ricostruzione alla voluntas legis. La giurisprudenza delle Sezioni unite risulta invece saldamente fondata sul criterio di specialità, individuato quale unico principio legalmente previsto in tema di concorso apparente […]».

Nella sentenza in esame, la Suprema Corte richiama il proprio orientamento sul criterio di specialità, il quale: «richiede che ai fini della individuazione della disposizione prevalente, il presupposto della convergenza di norme può ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le norme stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra le fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle (cfr. Sez. U. n 1235 del 28/10/2010 Cc. (dep. 19/01/2011), Giordano ed altri, Rv. 248864)».

Assume particolare importanza l'orientamento richiamato dalla Suprema Corte, che ha dovuto risolvere la questione del criterio di specialità in relazione a reati in materia fiscale e truffa aggravata ai danni dello Stato. Le Sezioni unite, chiamate a dirimere il contrasto all'interno della Corte di cassazione in relazione all'argomento prospettato, hanno analizzato attentamente le fattispecie coinvolte (artt. 2 e 8 d.lgs. 74/2000 e art. 640, comma 2, n. 1 c.p.), evidenziando peraltro lo specifico artifizio della frode fiscale costituito da fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. In conclusione, le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto secondo cui i reati in materia fiscale, disciplinati dalle norme sopra citate, sono speciali rispetto al delitto di truffa aggravata.

Dopo aver richiamato quanto sopra, procede alla disamina degli elementi differenziali tra il reato di rimozione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e le lesioni personali colpose, aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica, per precisare che si tratta di reati sostanzialmente differenti e l'uno non comprende l'altro.

Infatti, il reato di lesioni colpose richiede la colpa mentre il reato di cui all'art. 437 c.p. prevede il dolo, consistente nella coscienza e volontà di rimuovere gli impianti destinati a prevenire gli infortuni. Le due fattispecie si differenziano anche sotto il profilo dello schema legale tipico: il primo è un reato di pericolo, il secondo è un reato di evento. La Corte ricorda che in passato la condotta contraria all'obbligo di garantire la sicurezza ha costituito gli estremi del delitto di cui all'art. 437 c.p. nonché ulteriore elemento costituivo della colpa per inosservanza di leggi che connota il delitto di lesioni di cui all'art. 590 c.p. (cfr. Cass. pen., Sez. I, 29 ottobre 1993, n. 459).

Le soluzioni giuridiche

La Corte, nel ritenere che non sussista un concorso apparente di norme nel caso di specie e che, pertanto, non vi sia violazione del principio di specialità, conferma un precedente orientamento risalente nel tempo (cfr. Cass. pen., Sez. I, 29 ottobre 1993, n. 459). Anche in quel caso la Corte ha ritenuto sussistere il concorso formale di reati statuendo che: «In materia di prevenzione di infortuni, il datore di lavoro ha l'obbligo di garantire la sicurezza del posto di lavoro, sì che la condotta contraria, oltre che integrare gli estremi del delitto di cui all'art. 437 c.p., si atteggia anche ad elemento costitutivo della colpa per inosservanza di leggi che connota il delitto d lesioni di cui all'art. 590 c.p.».

Osservazioni

Con la sentenza in commento, la Corte ribadisce un principio di diritto già consolidato con riferimento alle modalità di applicazione del criterio di specialità, come evidenziato nella richiamata sentenza Corte di cassazione, Sezione unite, 28 ottobre 2010, n. 1235, Giordano ed altri.

Nell'affrontare il tema del principio di specialità, assume particolare rilievo la sentenza Corte di cassazione, Sezioni unite, 28 aprile 2017 n. 20664 che ribadisce: «nella materia del concorso apparente di norme non operano criteri valutativi diversi da quello di specialità previsto dall'art. 15 c.p.».

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