Riqualificazione del licenziamento e diritto all'indennità di mancato preavviso anche in difetto di esplicita domanda

03 Maggio 2018

La giusta causa e il giustificato motivo soggettivo di licenziamento costituiscono mere qualificazioni giuridiche di condotte ugualmente idonee a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, incidendo soltanto sulla decorrenza degli effetti e sul diritto o meno al preavviso, tanto che la riqualificazione operata dal giudice non fa venir meno la legittimità del recesso diversamente qualificato dal datore di lavoro.
Massima

“La giusta causa e il giustificato motivo soggettivo di licenziamento costituiscono mere qualificazioni giuridiche di condotte ugualmente idonee a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, incidendo soltanto sulla decorrenza degli effetti e sul diritto o meno al preavviso, tanto che la riqualificazione operata dal giudice non fa venir meno la legittimità del recesso diversamente qualificato dal datore di lavoro.
Nelle più ampie pretese economiche collegate dal lavoratore al licenziamento asseritamente privo di giusta causa è ricompresa quella, di minore entità, del preavviso spettante nel caso in cui ricorra un giustificato motivo soggettivo, non essendo sul punto necessaria una specifica domanda giudiziale.
L'inclusione di una condotta tra le ipotesi di licenziamento per giusta causa previste dal CCNL di settore non vincola il giudice, tenuto ad accertare la ricorrenza in concreto di una causa che non consente la prosecuzione del rapporto e la proporzionalità tra sanzione ed infrazione.”

Il caso

Il direttore del punto vendita di una nota azienda di abbigliamento veniva sanzionato con il licenziamento in tronco per essersi reso responsabile di diverse irregolarità di gestione (pratica di sconti non autorizzati alla clientela, realizzazione di fittizie operazioni di cassa per far ottenere riduzioni di prezzo a certi clienti, ecc.).

Impugnato il licenziamento, il Tribunale lo aveva riqualificato come licenziamento per giustificato motivo soggettivo e, dichiarato risolto il rapporto, aveva condannato il datore al pagamento di diciotto mensilità di retribuzione ex co. 5 dell'art. 18 St. Lav.

La Corte d'Appello confermava l'operata riqualificazione ma osservava che ciò non valeva a rendere illegittimo il recesso datoriale e, dunque, applicabile la tutela di cui al co. 5 dell'art. 18, così pronunciando condanna del lavoratore a restituire l'indennità risarcitoria liquidata dal primo giudice.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore, sostenendo la spettanza della tutela risarcitoria ogni qual volta il giudice accerti che non ricorrano la giusta causa o il giustificato motivo soggettivo così come addotti dal datore e, in subordine, il riconoscimento del diritto all'indennità di mancato preavviso.

Il datore di lavoro ha proposto ricorso incidentale, dolendosi che la Corte territoriale abbia violato l'art. 2119 c.c. per non aver tenuto conto che il comportamento contestato al lavoratore fosse ricompreso tra quelli che il CCNL di settore espressamente sanzionava con licenziamento disciplinare in tronco.

La questione

Le questioni di interesse affrontate dalla Cassazione con la ordinanza in commento sono le seguenti:

1) se la riqualificazione di un licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo comporti l'illegittimità del recesso così come originariamente operato dal datore;

2) se, operata la mera riqualificazione del recesso senza dichiarazione di illegittimità, la domanda di pagamento dell'indennità risarcitoria ex co. 5 dell'art. 18 contenga l'implicita domanda di pagamento dell'indennità di mancato preavviso;

3) se il giudice sia vincolato dall'inclusione di una certa condotta tra quelle che il CCNL ritiene sanzionabili con il licenziamento senza preavviso oppure debba sempre accertare il rapporto di proporzionalità tra sanzione e infrazione.

Le soluzioni giuridiche

• Al primo quesito la Suprema Corte ha dato risposta negativa, sulla scorta dell'affermazione che giusta causa e giustificato motivo soggettivo costituiscono mere qualificazioni giuridiche di condotte del lavoratore ugualmente idonee a legittimare il recesso datoriale dal rapporto, nell'un caso con effetto immediato e nell'altro con preavviso.

Sostiene la Suprema Corte che, in funzione delle diverse tutele apprestate dall'art. 18 St. Lav., come modificato dalla “Legge Fornero”, il giudice debba oggi procedere ad un giudizio “bifasico”:

  1. prima accertare l'esistenza di un fatto che consenta la risoluzione del rapporto di lavoro, integrando una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo;
  2. in caso di esclusione, stabilire anche il grado di divergenza della condotta datoriale dal modello legale o contrattuale legittimante, al fine di individuare la tutela (reintegratoria o meramente risarcitoria) concretamente applicabile.

Tale giudizio resta indifferente sia alla qualificazione che del recesso abbia inteso dare il datore, sia all'eventuale riqualificazione fatta dal giudice, perché se il fatto contestato è comunque idoneo a condurre alla risoluzione del rapporto, il licenziamento è pur sempre legittimo.

La Suprema Corte ha così confermato un orientamento consolidato, secondo cui “È ammissibile … la conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, in quanto le dette causali del recesso datoriale costituiscono mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l'uno con effetto immediato e l'altro con preavviso. Ne consegue che il giudice - senza incorrere in violazione dell'art. 112 c.p.c. - può valutare un licenziamento intimato per giusta causa come licenziamento per giustificato motivo soggettivo qualora, fermo restando il principio dell'immutabilità della contestazione, e persistendo la volontà del datore di lavoro di risolvere il rapporto - attribuisca al fatto addebitato al lavoratore la minore gravità propria di quest'ultimo tipo di licenziamento.” (così Cass. sez. lav., 9 giugno 2014, n. 12884; vedi anche Cass. sez. lav., 10 agosto 2007, n. 17604).

• La soluzione della seconda questione è strettamente consequenziale alla prima: se il giudice può riqualificare il licenziamento in tronco in licenziamento con preavviso in base ad un giudizio di minore gravità dell'inadempimento del lavoratore, a quest'ultimo spetteranno le indennità connesse alla differente qualificazione del recesso, ancorchè non esplicitamente domandate, in base al principio che - ferma la causa petendi - nella domanda con petitum più ampio è sempre ricompresa quella con petitum ridotto.

Anche su tale tematica la Suprema Corte ha confermato il proprio precedente consolidato orientamento (cfr. Cass. sez. lav., 19 dicembre 2006, n. 27104).

• La terza questione costituisce un classico nella materia dei licenziamenti per inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore o “disciplinari”, involgendo la tematica della vincolatività delle previsioni del c.d. codice disciplinare contenuto nel CCNL di settore.

Anche sul punto la decisione in commento si è posta nel solco della tradizione, ribadendo che le previsioni della contrattazione collettiva di condotte integranti ipotesi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo hanno carattere meramente esemplificativo e non privano il giudice del potere-dovere di valutare la reale entità e gravità del comportamento addebitato al dipendente, nonché il rapporto di proporzionalità tra sanzione ed infrazione, anche quando riscontri l'astratta corrispondenza di quel comportamento alla fattispecie tipizzata contrattualmente, occorrendo sempre che la condotta sanzionata sia riconducibile alle nozioni legali di cause legittimanti (cfr. da ultimo Cass. sez. lav., 5 aprile 2016, n. 8826).

Osservazioni

Com'è noto, giustificato motivo soggettivo e giusta causa di licenziamento rappresentano differenti varianti di gravità dell'inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro, inadempimento che deve essere “notevole” nel primo caso - art. 3 della L. n. 604/1966 -, e tale che “non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto” nel secondo caso - art. 2119 c.c. -.

In dottrina e giurisprudenza è ricorrente l'affermazione che la giusta causa richieda una grave mancanza del lavoratore non solo nel suo contenuto oggettivo - ossia con riguardo all'interesse aziendale leso o messo in pericolo, alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni espletate -, ma anche nella sua portata soggettiva e, quindi, con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato posto in essere, ai modi, ai suoi effetti e all'intensità dell'elemento volitivo dell'agente (cfr., tra le tante, Cass. sez. lav., 1° marzo 2011, n. 5019).

Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è con preavviso; quello per giusta causa, facendo venire irrimediabilmente meno il rapporto di fiducia che è alla base del contratto di lavoro, abilita il datore a recedere hic et nunc dal rapporto.

Il venir meno del rapporto fiduciario può dipendere anche da condotte estranee alla prestazione lavorativa, persino appartenenti alla sfera privata del lavoratore quando, per la particolarità della prestazione o la speciale qualità del prestatore o le peculiari caratteristiche dei fruitori, esse siano idonee a riverberare i propri effetti negativi sul rapporto fiduciario con il datore, facendo legittimamente dubitare dell'esattezza delle prestazioni future (cfr. Cass. sez. lav., 17 febbraio 2015, n. 3136).

In tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la novella della L. n. 92/2012 in materia di tutele contro i licenziamenti illegittimi ha portato ad una doppia ipotesi:

  1. quella in cui il giudice accerti l'insussistenza materiale o giuridica del fatto legittimante addotto dal datore;
  2. quella della mera esclusione della gravità dell'inadempimento, con previsione nella prima ipotesi della tutela reintegratoria, nella seconda soltanto di quella risarcitoria.

Nella seconda ipotesi è importante la qualificazione giuridica del fatto posto alla base del recesso datoriale: ferma restando l'immutabilità del fatto storico contestato, la riqualificazione da parte del giudice è sempre possibile. Allo stesso modo il giudice deve sempre procedere ad una autonoma valutazione della gravità del fatto accertato e della proporzionalità del licenziamento, anche quando il recesso sia espressamente previsto come sanzione disciplinare dal CCNL, che in materia ha valenza meramente esemplificativa (cfr. Cass. sez. lav., 12 febbraio 2016, n. 2830).

In conclusione, dopo le modifiche introdotte dalla L. n. 92/2012, il giudice investito dell'accertamento della legittimità di un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo deve:

1) in primis stabilire se il fatto contestato sussista materialmente e giuridicamente (cfr. Cass. sez. lav., 26 maggio 2017, n. 13383), e non sia stato espressamente sottratto all'area delle sanzioni espulsive dalla contrattazione collettiva;

2) in caso positivo, individuare l'esatta causale del recesso, in base alla gravità dell'inadempimento ed ai suoi riverberi sul rapporto fiduciario;

3) valutare in concreto la proporzionalità al fatto accertato della sanzione espulsiva applicata dal datore, anche prescindendo dalle previsioni solo esemplificative del CCNL;

4) in ipotesi di semplice riqualificazione da giusta causa a giustificato motivo soggettivo del fatto legittimante il licenziamento al suo esame (già risultato sussistente come realtà fenomenica, giuridicamente rilevante e di gravità tale da meritare la sanzione espulsiva), deve rigettare l'impugnativa, riconoscendo al lavoratore il solo diritto all'indennità di mancato preavviso, ex art. 2119 c.c.

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