Domanda giudiziale di condanna al risarcimento del danno: il creditore può chiedere gli interessi ex art. 1284, comma 4, c.c.?
03 Maggio 2018
È necessaria la domanda di parte affinché il Giudice riconosca gli interessi ex art. 1284, comma 4 c.c. con decorrenza dalla domanda giudiziale ed in sede esecutiva può il creditore chiedere il pagamento di questi interessi anche se il giudice in sentenza ha riconosciuto genericamente solo gli interessi legali?
L'art. 17 del d.l. 12 settembre 2014 n. 132, modificato, in sede di conversione, dalla l. 10 novembre 2014, n. 162, ha introdotto il comma 4 dell'art. 1284 c.c., a mente del quale «se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali». La norma si applica ai procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione; e poiché la legge di conversione è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 10 novembre 2014 n. 261 con effetti dal giorno successivo, l'art. 1284 comma 4 si applicherà a tutti i giudizi promossi a partire dall'11 dicembre 2014. Ancora oggi, però, non sempre le parti chiedono espressamente la condanna del convenuto al pagamento dei suddetti interessi, limitandosi a richiedere gli interessi al tasso legale; ed anche i Giudici, accogliendo la domanda, non sempre riconoscono gli interessi legali al tasso stabilito dal comma 4 dell'art. 1284 c.c. Prima di chiarire se il Giudice possa condannare il debitore al pagamento degli interessi in questione indipendentemente da una espressa domanda, occorre fare una distinzione. Per la più consolidata giurisprudenza, «gli interessi, siano moratori, corrispettivi o compensativi, costituiscono un debito autonomo rispetto all'obbligazione pecuniaria cui si riferiscono, fondato su un fatto costitutivo proprio e diverso, sì che la loro attribuzione non può prescindere da una specifica domanda dell'interessato, in applicazione dei principi di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c.» (Cass. civ., sez. III, sent., 10 marzo 1995 n. 2814; Cass. civ., sez. II, sent., 19 settembre 2016 n. 18292). Viceversa, nel caso di liquidazione del danno da ritardato pagamento di un debito di valore, «gli interessi non costituiscono (come nelle obbligazioni pecuniarie) un autonomo diritto del creditore, bensì … svolgono una funzione compensativa, tendente a reintegrare il patrimonio del danneggiato quale era all'epoca del prodursi del danno» (Cass. civ. Sez. Un., sent., 5 aprile 2007 n. 8521). Conseguentemente - e coerentemente - la domanda al pagamento degli interessi dovrà ritenersi implicitamente contenuta nella richiesta di risarcimento del danno (Cass. civ., sez. III, sent., 21 dicembre 2015 n. 25615), ma non anche in quella di pagamento di un credito pecuniario. Tanto premesso, occorre adesso stabilire se il Giudice, qualora il creditore si limiti a chiedere genericamente gli interessi legali, possa riconoscergli quelli al tasso previsto dall'art. 1284 comma 4 c.c.. In linea di principio, «in tema di obbligazioni pecuniarie, costituiscono interessi legali non soltanto quelli stabiliti dall'art. 1284 c.c., ma anche qualsiasi interesse che, ancorché in misura diversa, sia previsto dalla legge» (Cass. civ., sez. II, sent., 4 luglio 2012 n. 11187). Muovendo da queste premesse, un Tribunale ha recentemente affermato - anche se al momento si tratta di un'isolata pronuncia - che il Giudice, alla luce del novellato art. 1284 c.c. e della sua natura speciale, sia tenuto, «pur a fronte di una domanda genericamente volta ad ottenere la condanna al pagamento degli interessi legali, senza altra specificazione, ad individuare la disciplina degli interessi concretamente applicabile alla fattispecie. Trattasi di un'operazione di qualificazione giuridica della domanda di esclusiva pertinenza dell'autorità giudicante, da orientare secondo il parametro lex specialis deroga lex generali» (Trib. Firenze, sez. III, 31 gennaio 2017). La questione si era posta, però, nell'ambito di un procedimento civile che aveva ad oggetto il pagamento di un'obbligazione pecuniaria. Quando la domanda ha ad oggetto la condanna del convenuto al risarcimento del danno, vi è da chiedersi, invece, non tanto se il Giudice possa riconoscere gli interessi stabiliti dal comma 4 dell'art. 1284 c.c. indipendentemente da una richiesta espressa, quanto se il creditore abbia il diritto di chiederli. Ebbene, tenuta in debita considerazione la natura degli interessi se il debito è di valore, sembra doversi preferire la soluzione negativa. In relazione a questi, la Cassazione ha affermato i seguenti principi: a) «gli interessi compensativi sulla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno (contrattuale o extracontrattuale) costituiscono una componente di quest'ultimo e, nascendo dal medesimo fatto generatore della obbligazione risarcitoria, devono ritenersi ricompresi nella domanda di risarcimento e possono essere liquidati d'ufficio» (Cass. civ., sez. I, sent., 15 febbraio 2017 n. 4028); b) «qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata per equivalente, con riferimento, cioè, al valore del bene perduto dal danneggiato all'epoca del fatto illecito, e tale valore venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione definitiva, è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del mancato guadagno, che questi provi essergli stato provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma. Tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l'attribuzione degli interessi, a un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso» (Cass. civ., Sez. Un., sent., 17 febbraio 1995 n. 1712); c) «la presunzione di danno da lucro cessante per ritardato pagamento nei debiti di valore è correlata esclusivamente all'impiego mediamente remunerativo del denaro, in ipotesi suscettibile di offrire un'utilitas superiore, in termini percentuali, al tasso di rivalutazione. Il riconoscimento di interessi costituisce in tale ipotesi una mera modalità liquidatoria, cui è consentito al giudice di far ricorso col limite costituito dall'impossibilità di calcolare gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data dell'illecito. Non gli è invece inibito di riconoscere interessi anche al tasso legale su somme progressivamente rivalutate; ovvero sulla somma integralmente rivalutata, ma da epoca intermedia; ovvero, sempre sulla somma rivalutata e con decorrenza dalla data del fatto, ma con un tasso medio di interesse, in modo da tener conto che essi decorrono su una somma che inizialmente non era di quell'entità e che si è solo progressivamente adeguata a quel risultato finale; ovvero, di non riconoscerli affatto, in relazione a parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria e dalla redditività media del denaro nel periodo considerato» (Cass. civ., sez. III, sent., 5 agosto 2002 n. 11712); d) «il ritardato adempimento dell'obbligo di risarcimento causa al creditore un danno ulteriore, rappresentato dalla perduta possibilità di investire la somma dovutagli e ricavarne un lucro finanziario, che va liquidato dal giudice in via equitativa, anche facendo ricorso ad un saggio di interessi (cd. interessi compensativi)…» (Cass. civ., sez. III, sent., 14 giugno 2016 n. 12140); e) «il risarcimento del danno da illecito aquiliano integra un debito di valore sicché, ove il giudice di merito abbia riconosciuto sulla somma capitale dovuta al danneggiato e liquidata nella sentenza di primo grado gli interessi compensativi al tasso legale, gli interessi per l'ulteriore danno da mancata tempestiva disponibilità dell'equivalente monetario del pregiudizio patito decorrono non dalla pubblicazione della decisione, ma dai singoli momenti nei quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero ad un indice medio» (Cass. civ., sez. III, sent., 15 giugno 2016 n. 12288). Dunque, se gli interessi compensativi, dovuti sull'ammontare del risarcimento per ristorare il danneggiato dell'ulteriore pregiudizio consistente nel ritardato pagamento (e dunque nel mancato godimento) di somme liquidate al valore attuale (e cioè al momento delle sentenza), costituiscono una componente del detto danno, tanto che possono essere liquidati d'ufficio e determinati ad un tasso che è stabilito dal Giudice secondo il proprio prudente apprezzamento tenendo conto di tutte «le circostanze obiettive e soggettive del caso» (e quindi ricorrendo anche - ma non necessariamente - all'interesse legale); e se questi interessi - al tasso stabilito dal Giudice - sono dovuti non dalla sentenza e neppure dalla domanda, bensì dal fatto illecito, a condizione - però - che essi siano calcolati non sulla somma rivalutata, bensì sugli importi devalutati alla data dell'evento e poi rivalutati anno per anno, dovrebbe ritenersi che il comma 4 dell'art. 1284 c.c. non possa applicarsi quando il debito è di valore e che dunque il Giudice, anche se il creditore lo richiedesse espressamente, non potrebbe accogliere la domanda. E ciò perché la norma in esame prevede un automatismo nel riconoscimento degli interessi legali dalla domanda ad un tasso maggiorato che non è compatibile con le finalità e le modalità di determinazione degli interessi compensativi nei debiti di valore. Può però accadere, ed è il secondo profilo del quesito, che il Giudice, liquidi semplicemente gli interessi legali senza nulla aggiungere e dunque senza specificare se questi interessi debbano essere, almeno con decorrenza dalla domanda, quelli stabiliti dal comma 4 dell'art. 1284 c.c. In questi casi il creditore potrebbe ugualmente esigere gli interessi maggiorati in sede di esecuzione del provvedimento giudiziario? Ribadito che la norma in esame dovrebbe applicarsi solo ai debiti di valuta, la risposta a questa domanda dovrebbe essere affermativa. In materia di crediti di natura professionale, ha recentemente stabilito la Cassazione che «in tema di esecuzione forzata fondata su titolo esecutivo giudiziale, ove il giudice della cognizione abbia omesso di indicare la specie degli interessi che ha comminato, limitandosi alla generica qualificazione degli stessi in termini di "interessi legali" o "di legge", si devono ritenere liquidati soltanto gli interessi di cui all'art. 1284 c.c., in ragione della portata generale di questa disposizione, rispetto alla quale le altre ipotesi di interessi previste dalla legge hanno natura speciale. Né può ritenersi consentito al giudice dell'opposizione all'esecuzione di procedere ad integrazione o correzione del titolo esecutivo, atteso che l'applicazione di una qualsiasi delle varie ipotesi di interessi legali, diversi da quelli previsti dal citato art. 1284 c.c., presuppone l'avvenuto accertamento degli elementi costitutivi della relativa fattispecie speciale, che può essere contestato solo attraverso l'impugnazione della decisione di merito, non essendo questa suscettibile di integrazione o correzione in sede esecutiva» (Cass. civ., sez. III, sent., 27 settembre 2017 n. 22457). Dunque, se è legale ogni interesse previsto dalla legge e se il tasso è quello stabilito dall'art. 1284 c.c. quando il Giudice ha genericamente fatto riferimento agli interessi legali, dovrebbe ritenersi che il creditore, il cui titolo sia costituito da una sentenza di condanna del debitore al pagamento di una determinata somma di denaro maggiorata genericamente degli interessi legali, possa pretendere quelli stabiliti dal comma 4 dell'art. 1284 c.c., che - alla luce della recente riforma - ha elevato a regola generale il diritto del creditore di pretendere gli interessi legali “maggiorati” con decorrenza dalla domanda giudiziale.
*Fonte: www.ridare.it |