Per la CGUE l’ammissione al concordato obbliga alla rettifica della detrazione IVA

Fabio Gallio
Filippo Greggio
07 Maggio 2018

La sentenza della Corte di Giustizia del 22 febbraio 2018, resa nella causa C-396/16, ha chiarito i presupposti per la rettifica della detrazione IVA inizialmente operata, nelle ipotesi di ammissione a un concordato preventivo che comporti una riduzione definitiva delle obbligazioni del debitore nei confronti dei suoi creditori.
Il quadro normativo e la Corte di Giustizia

La sentenza della Corte di Giustizia del 22 febbraio 2018, resa nella causa C-396/16, ha chiarito i presupposti per la rettifica della detrazione IVA inizialmente operata, nelle ipotesi di ammissione a un concordato preventivo che comporti una riduzione definitiva delle obbligazioni del debitore nei confronti dei suoi creditori.

Nel caso specifico, i giudici europei sono stati chiamati in causa dalla Suprema Corte della Repubblica di Slovenia in quanto vi era un contrasto tra la tesi sostenuta dall'amministrazione fiscale slovena, secondo la quale il debitore avrebbe dovuto rettificare l'imposta originariamente detratta, ed il debitore stesso, per il quale invece tale rettifica non doveva essere effettuata.

Infatti, secondo la parte privata, l'omologazione della procedura di concordato preventivo di cui aveva beneficiato non costitutiva un evento tale da comportare un mutamento degli elementi presi in considerazione per determinare l'importo delle detrazioni.

La Corte europea, accogliendo le doglianze della parte erariale, ha sancito che la riduzione delle obbligazioni di un debitore risultante dall'omologazione definitiva di un concordato costituisce un mutamento degli elementi presi in considerazione per determinare l'importo delle detrazioni e non costituisce un caso di operazione totalmente o parzialmente non pagata che non dà luogo a una rettifica della detrazione operata inizialmente, allorché tale riduzione è definitiva, circostanza che spetta, tuttavia, al giudice del rinvio verificare.

La Corte di Giustizia ha emesso la sentenza partendo da un'analisi degli articoli 90, 184, 185 e 186 della Direttiva CE n. 112 del 28 novembre 2006.

In particolare, l'articolo 90 della direttiva IVA così dispone:
«1. In caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l'operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri.
2. In caso di non pagamento totale o parziale, gli Stati membri possono derogare al paragrafo 1
».

L'articolo 184 di tale direttiva così recita: «La detrazione operata inizialmente è rettificata quando è superiore o inferiore a quella cui il soggetto passivo ha diritto».

L'articolo 185 di detta direttiva prevede quanto segue:
«1. La rettifica ha luogo, in particolare, quando, successivamente alla dichiarazione dell'IVA, sono mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l'importo delle detrazioni, in particolare, in caso di annullamento di acquisti o qualora si siano ottenute riduzioni di prezzo.
2. In deroga al paragrafo 1, la rettifica non è richiesta in caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate, in caso di distruzione, perdita o furto debitamente provati o giustificati, nonché in caso di prelievi effettuati per dare regali di scarso valore e campioni di cui all'articolo 16. In caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate e in caso di furto gli Stati membri possono tuttavia esigere la rettifica
».

L'articolo 186 della direttiva IVA dispone quanto segue:
«Gli Stati membri determinano le modalità di applicazione degli articoli 184 e 185».

Dopo essersi soffermati sulle principali norme d'interesse per il caso di specie, i giudici europei ricordano che l'articolo 90, paragrafo 1, della direttiva IVA, che riguarda i casi di annullamento, di recesso, di risoluzione, di non pagamento totale o parziale o di riduzione del prezzo successiva al momento in cui l'operazione viene effettuata, obbliga gli Stati membri a ridurre la base imponibile e, quindi, l'importo dell'IVA dovuta dal soggetto passivo ogni volta che, successivamente alla conclusione di un'operazione, una parte o la totalità del corrispettivo non viene percepita dal soggetto passivo

Ma, mentre l'articolo 90 di tale direttiva disciplina il diritto di un fornitore di ridurre la base imponibile ogniqualvolta, successivamente alla conclusione di un'operazione, non riceve il corrispettivo previsto o riceve solo una parte dello stesso, l'articolo 185 di detta direttiva disciplina la rettifica delle deduzioni inizialmente operate dall'altra parte della stessa operazione.

Pertanto, questi due articoli della Direttiva rappresentano le due facce di una stessa operazione economica e dovrebbero essere interpretati in modo coerente.

Quindi, nel caso in cui venga accertato che le obbligazioni del debitore sono state ridotte in modo che la parte corrispondente dei crediti dei fornitori di quest'ultimo è divenuta definitivamente irrecuperabile, sarebbe necessario anche per il soggetto sottoposto alla procedura concorsuale tenere conto di tale rettifica.

Del resto, secondo la Corte di Giustizia, dalla lettura congiunta degli articoli 184 e 185, paragrafo 1, della direttiva IVA, risulterebbe che quando, a causa del mutamento di uno degli elementi inizialmente assunti per il calcolo delle detrazioni, si renderebbe necessaria una rettifica, il relativo calcolo dovrebbe far sì che l'importo delle detrazioni eseguite corrisponda a quello che il soggetto passivo avrebbe avuto diritto di operare se tale mutamento fosse stato considerato inizialmente.

Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte di Giustizia, era pacifico che l'omologazione definitiva di un concordato aveva ridotto le obbligazioni di un acquirente nei confronti dei suoi fornitori.

Di conseguenza, l'omologazione definitiva del concordato per effetto del passaggio in giudicato del relativo provvedimento determina (anche) la riduzione delle somme dovute a titolo di IVA, posto che risultano modificati gli elementi presi in considerazione per determinare l'importo delle detrazioni.

Ciò troverebbe conferma nel principio di neutralità dell'IVA, il quale, attraverso il regime delle detrazioni, consente agli anelli intermedi della catena di distribuzione di dedurre dalla loro base imponibile gli importi pagati da ciascuno al proprio fornitore a titolo di IVA sull'operazione corrispondente e di restituire così all'amministrazione fiscale la parte dell'IVA che corrisponde alla differenza tra il prezzo al quale ciascuno ha fornito la merce al suo acquirente e il prezzo da lui pagato al suo fornitore.

Parimenti la Corte di giustizia ha chiarito che la riduzione delle obbligazioni del debitore nei confronti dei relativi creditori determinata dall'omologazione del concordato preventivo costituisce un'ipotesi di rettifica della detrazione diversa da quella prevista per le “operazioni totalmente o parzialmente non pagata”, per la quale sussiste la facoltà (e non l'obbligo) da parte dello Stato membro di pretendere la rettifica.

La conseguenza è che la società debitrice che ha beneficiato del concordato preventivo omologato in via definitiva deve restituire all'Erario la parte di IVA originariamente portata in detrazione, ma non più dovuta ai fornitori.

La normativa italiana

Nella legislazione italiana le variazioni dell'IVA dovuta all'Erario sono regolate dall'art. 26 del D.P.R. n. 633/1972.

In particolare, il secondo comma sancisce che è possibile operare una variazione in diminuzione quando un'operazione, per la quale sia stata emessa fattura e sia stata registrata secondo gli artt. 23 e 24 del DPR n. 633/72, venga meno o se ne riduca l'ammontare imponibile a causa della dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, oppure in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, oppure per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'art. 182-bis legge fallimentare, ovvero di un piano attestato ai sensi dell'art. 67, terzo comma, lettera d), l.fall., pubblicato nel registro delle imprese o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente.

Il terzo comma prevede, tra l'altro, che gli eventi sopraindicati possano verificarsi in dipendenza di un sopravvenuto accordo fra le parti. In tali casi, la variazione deve essere registrata entro un anno dall'effettuazione dell'operazione imponibile.

Relativamente alle procedure concorsuali, la suddetta disposizione risponde ad esigenze equitative ed è volta a consentire al cedente del bene o al prestatore del servizio di recuperare, attraverso il meccanismo della variazione in diminuzione in conseguenza dell'insolvenza del debitore, l'imposta versata anticipatamente all'Erario.

Va a questo punto ricordato che la Legge di Stabilità 2016, commi 126 e 127, con efficacia dal primo gennaio 2017, aveva riscritto integralmente il testo dell'art. 26 del D.P.R. 633/1972 innovando profondamente la procedura inerente la “variazione IVA” da operare in caso di mancato pagamento da parte del cessionario/committente assoggettato ad una procedura concorsuale.

In particolare, era stata introdotta la possibilità, per il cedente/prestatore, di emettere la nota d'accredito IVA, oltre il periodo dell'anno, a partire dalla data in cui il cessionario/committente fosse stato assoggettato ad una procedura concorsuale. In questo modo, il cedente non era più costretto ad attendere l'accertamento dell'infruttuosità della relativa procedura per recuperare l'intero importo dell'IVA.

In sostanza, tale criterio permetteva al creditore di recuperare l'imposta addebitata in via di rivalsa al verificarsi di una circostanza che comunque sanciva, in modo ufficiale e inequivocabile, lo stato di crisi del debitore e, quindi, la ragionevole certezza che in tutto o in parte il credito insoluto non sarebbe stato pagato senza, però, attendere l'esito dell'insinuazione allo stato passivo dello specifico credito ovvero l'effettivo realizzo dell'attivo concordatario e quindi l'esecuzione del piano con i relativi riparti.

Infatti, la variazione in diminuzione, secondo la nuova disposizione, avrebbe potuto essere effettuata a partire dalla sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (così paragrafo 22 della Circolare dell'Agenzia delle Entrate del 30 dicembre 2014, n. 31/E). Il nuovo disposto normativo avrebbe dovuto applicarsi alle procedure concorsuali instaurate successivamente al 31 dicembre del 2016.

Tuttavia, tale modifica normativa è stata abrogata dall'art. 1, comma 567, lett. d), della L. n. 232/2016, a decorrere dal 1° gennaio 2017 e, pertanto, non è mai entrata in vigore. In senso critico a tale intervento legislativo, si rinvia alla Circolare Assonime n. 1 del 25 gennaio 2017.

Conseguentemente, a seguito della mancata entrata in vigore della nuova normativa, la nota di variazione può essere emessa solo quando è definitivamente accertata l'infruttuosità della procedura concorsuale.

In via generale, vale la pena d‘osservare che, in base all'attuale previsione dell'art. 26 secondo comma DPR 633/72, la suddetta circostanza si verifica allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l'esecuzione collettiva sul patrimonio dell'imprenditore viene meno, interamente o parzialmente, per l'insussistenza di somme disponibili per la relativa soddisfazione una volta ultimata la ripartizione dell'attivo.

Ad ogni buon conto, in via preventiva devono sussistere due presupposti: il primo di tipo oggettivo, dato dal mancato pagamento del credito a causa di procedure concorsuali a cui è stato assoggettato il debitore; il secondo di tipo soggettivo, dato dalla partecipazione del creditore alla procedura, ossia per quanto attiene al fallimento, al concorso per effetto dell'ammissione allo stato passivo; per il concordato preventivo, l'inserimento del creditore nell'elenco dei creditori.

Al fine di individuare il momento in cui tale circostanza si verifica, è necessario rifarsi ai chiarimenti forniti in passato dall'Amministrazione finanziaria nella Circolare del 17 aprile 2000, n. 77/E.

In particolare, per quanto riguarda i concordati preventivi, l'Agenzia delle Entrate ha precisato che occorre far riferimento non solo al passaggio in giudicato del decreto di omologazione del concordato che, ai sensi dell'art. 181 della legge fallimentare, chiude la procedura concordataria, ma anche al successivo adempimento degli obblighi che il debitore concordatario ha assunto in sede di concordato nei confronti del ceto creditorio.

Secondo l'Agenzia delle Entrate, nel caso di mancato adempimento della proposta concordataria, ovvero nel caso in cui, in conseguenza di comportamenti dolosi, venga dichiarato il fallimento del debitore, la rettifica in diminuzione può essere eseguita solo dopo che il piano di riparto dell'attivo sia divenuto definitivo ovvero, in assenza di un piano, a chiusura della procedura fallimentare. Il condizionamento della legittimità dell'emissione della nota di variazione in diminuzione all'esito infruttuoso delle procedure concorsuali ha sollevato dei dubbi (cfr. P. Centore, Le note di variazione IVA a seguito di procedure concorsuali rimaste infruttuose, in Corriere Tributario, 2010, 2352 e ss.) circa la conformità dell'art. 26 del DPR n. 633/1972 alla normativa comunitaria, atteso che in tal modo viene esclusa la rilevanza di ogni altra ipotesi nella quale si verifichi la perdita, totale o parziale, del corrispettivo, sia perché continua a posticiparsi ad un termine - a priori indefinibile - il momento in cui poterla emettere.

E' intervenuta recentemente la Corte di Giustizia con la sentenza del 23 novembre 2017, causa C-246/16, con la quale sono state messe in discussione le regole oggi previste nel nostro ordinamento per l'emissione delle note di variazione in diminuzione, in caso di mancato pagamento totale o parziale del corrispettivo.

La Corte di Giustizia infatti ha stabilito che uno Stato membro non può prevedere che, a fronte del mancato pagamento del corrispettivo, la detrazione dalla base imponibile IVA sia subordinata al verificarsi dell'infruttuosità di una procedura concorsuale la cui durata può superare anche i dieci anni.

Secondo i giudici comunitari, in presenza di una “probabilità ragionevole” che l'obbligazione di pagamento non venga adempiuta da parte del debitore sottoposto alla procedura concorsuale, la riduzione della base imponibile dovrebbe essere possibile anche senza attendere che il relativo credito diventi definitivamente irrecuperabile.

Ciò porterebbe alla conclusione che la rettifica IVA, secondo il diritto dell'UE, potrebbe essere effettuata anche prima dell'infruttuosità della procedura concorsuale se la stessa è ultradecennale, in quanto tale termine potrebbe causare al creditore delle problematiche (anche in termini di svantaggi competitivi) di liquidità.

Peraltro, la Corte di Giustizia ha precisato che spetta al contribuente fornire la prova per dimostrare la probabile durata prolungata (addirittura ultradecennale) del mancato pagamento, rimettendo agli Stati la previsione delle modalità con le quali dovrà essere fornita tale prova.

Va anche rilevato però che il termine ultradecennale indicato dalla Corte di Giustizia (che si è pronunciata su una fattispecie in cui trovava applicazione la disciplina fallimentare precedente alla riforma del 2005) risulta “ridimensionato” alla luce delle modifiche legislative alla legge fallimentare introdotte dagli artt. 6 e 7 del D.l. 83/2015, convertito con L. n. 132/2016, applicabili ratione temporis ai fallimenti dichiarati successivamente al 27 giugno 2015.

In particolare, l'art. 104-ter, secondo e terzo comma, l.fall., prevede l'obbligo per il curatore di indicare nel programma di liquidazione il termine di realizzo dell'attivo che non potrà eccedere comunque i due anni dal deposito della sentenza dichiarativa del fallimento, salvo la sussistenza di specifiche e motivate ragioni che giustificano la richiesta di un termine maggiore per il realizzo di alcuni determinati cespiti. Il mancato rispetto dei termini previsti nel programma di liquidazione costituisce causa di revoca del curatore.

Ai sensi dell'art. 118 secondo comma l.fall. la pendenza di eventuali contenziosi non impedisce la chiusura dei fallimenti, posto che il curatore può mantenere la legittimazione processuale anche nei successivi gradi di giudizio.

Quindi è evidente che le suddette modifiche legislative determinano una (notevole) riduzione delle tempistiche di chiusura delle procedure fallimentari, con la conseguenza che le note di variazione IVA verrebbero emesse ai sensi dell'art. 26 DPR n. 633/72 in termini decisamente più brevi rispetto all'orizzonte temporale ultradecennale al quale ha fatto riferimento la Corte di Giustizia.

Alcuni effetti della variazione in diminuzione in capo alla procedura

Nel sistema delineato dall'attuale formulazione dell'art. 26, secondo comma, D.P.R. n. 633/1972, se si riduce l'importo di un'operazione imponibile, la nota di variazione viene emessa al fine di adeguare l'imposta al corrispettivo effettivamente incassato; pertanto il cedente o prestatore del servizio può portare in detrazione l'Iva, nella misura esposta nella nota di variazione, mentre la controparte è tenuta a ridurre in pari misura la detrazione che aveva effettuato, riversando l'imposta in eccedenza all'Erario.

Infatti, l'art. 26, quinto comma, DPR n. 633/1972 prevede che, laddove il cedente/prestatore si avvalga della facoltà di emettere una nota di variazione in diminuzione, il cessionario/committente, che ha già contabilizzato l'operazione nel registro Iva degli acquisti, è tenuto a registrare la corrispondente variazione in aumento, salvo il suo diritto alla restituzione di quanto pagato a titolo di rivalsa.

L'art. 1, comma 567, lett. d), della Legge n. 232 del 2016 ha abrogato la norma che escludeva tale obbligo in caso di procedure concorsuali.

Ne consegue che gli organi della procedura sono tenuti ad annotare nel registro IVA la corrispondente variazione in aumento; tale adempimento, tuttavia, non determina l'inclusione del relativo credito IVA vantato dall'Amministrazione nel riparto finale, ormai definitivo, “ma consente di evidenziare il credito eventualmente esigibile nei confronti del fallito tornato in bonis”. Per quanto sopra, non sussistendo il debito a carico della procedura, il curatore fallimentare non è tenuto ad ulteriori adempimenti (così Risoluzione dell'Agenzia Entrate del 12 ottobre 2001 n. 155/E).

Tali principi trovano applicazione anche nell'ambito del concordato preventivo, quale procedura concorsuale alternativa al fallimento.

Dato che la nota di variazione è afferente l'IVA non riscossa dal creditore per un credito sorto prima dell'avvio della procedura concorsuale, la registrazione della predetta nota non comporterebbe per il debitore che ha avuto accesso alla procedura concordataria successivamente omologata l'insorgenza di un debito verso l'Erario.

Ciò in quanto l'operazione imponibile originaria cui la nota di variazione si riferisce è stata posta in essere prima e fuori dalla procedura concordataria, e come tale subisce gli effetti estintivi tipici del concordato preventivo.

Diversamente, si avrebbe una deroga all'efficacia liberatoria della procedura, da ritenersi ingiustificata in relazione alle norme che dispongono l'estinzione di ogni debito sorto anteriormente all'inizio della procedura medesima.

Pertanto, la società in concordato non è obbligata a riversare l'Iva a debito indicata nelle note di variazione che dovesse eventualmente ricevere (così Risoluzione dell'Agenzia delle Entrate del 17 ottobre 2001, n. 161/E).

In definitiva, il debitore concordatario non è tenuto a rettificare “in aumento” il documento ricevuto, ferma la detrazione dell'imposta già operata a seguito della registrazione della fattura di acquisto. Per cui, il debitore registra la nota di variazione ricevuta nel registro IVA degli acquisti, senza che questo abbia riflessi sul piano dichiarativo.

In conclusione

Come si è già esposto precedentemente, è stata abrogata la normativa che prevedeva la possibilità, per il cedente/prestatore, di emettere la nota d'accredito IVA, oltre il periodo dell'anno, a partire dalla data in cui il cessionario/committente fosse stato assoggettato ad una procedura concorsuale. Con essa, è stato abrogato anche il comma 6 dell'art. 26 che prevedeva l'obbligo in capo al cessionario/committente in procedura concorsuale di registrare la corrispondente variazione in aumento, salvo il suo diritto alla restituzione di quanto pagato a titolo di rivalsa (art. 1, comma 567, lett. d), della Legge n. 232/2016).

Pertanto, sembrerebbe che il legislatore italiano, con tale abrogazione, si sia avvalso della facoltà di evitare tale versamento ai sensi del comma 2 dell'art. 185 della Direttiva CE n. 112 del 28 novembre 2006.

In merito a questa problematica, è bene evidenziare che l'Agenzia delle Entrate, in occasione di Telefisco 2018, ha risposto ad un apposito quesito sostenendo che laddove il cedente/prestatore si avvalga della facoltà di emettere una nota di variazione in diminuzione, gli organi della procedura sono tenuti ad annotare nel registro IVA la corrispondente variazione in aumento. Tuttavia tale incombente non determina l'inclusione del relativo credito IVA vantato dall'amministrazione finanziaria nel riparto finale ormai definitivo (e quindi a versare l'imposta a debito), in quanto lo scopo di tale adempimento sarebbe solo quello di evidenziare il credito eventualmente esigibile nei confronti del fallito tornato in bonis (cfr. Risoluzione A.E. n. 155/2001 e n. 161/2001).

Tale risposta, da un lato conferma che non ci sarebbe alcun obbligo di versamento; dall'altro lato, invece, farebbe sorgere il dubbio se, relativamente alle previsioni di pagamento dei creditori formulate nelle proposte concordatarie relative a piani di concordato in continuità aziendale ex art. 186-bis l.fall. ovvero negli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.fall. e nei piani attestati ex art. 67, terzo comma, lett. d), l.fall. i cui piani prevedano la prosecuzione dell'attività d'impresa, si debba procedere al versamento dell'IVA.

Pertanto, non è così chiaro se la sentenza della Corte di Giustizia del 22 febbraio 2018, causa C-396/16, riferita ad un caso riguardante la Repubblica di Slovenia, può avere ricadute anche nel nostro ordinamento, considerata peraltro la portata dichiarativa delle sentenze dei giudici comunitari, volta a chiarire l'interpretazione delle disposizioni UE onde assicurare l'uniforme applicazione del diritto dell'Unione Europea tra gli Stati membri.

Se così fosse, diverrebbe obbligatoria, a seguito dell'omologazione del concordato e del conseguente effetto esdebitatorio, la rettifica della detrazione relativamente alla quota parte di debito verso i creditori stralciata in forza della procedura, non configurandosi un caso di ”operazioni totalmente o parzialmente non pagate”. Conseguentemente, sussisterebbe l'obbligo in capo alla società che ha beneficiato del concordato preventivo (omologato) di restituire all'Erario la quota parte di IVA originariamente portata in detrazione, ma non corrisposta ai creditori.