Le sopravvenienze da esdebitamento sono detassate solo parzialmente in presenza di perdite pregresse?

Giulio Andreani
08 Maggio 2018

L'art. 88, comma 4-ter, del TUIR stabilisce che non si considerano sopravvenienze attive le riduzioni dei debiti dell'impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo liquidatorio o di procedure estere equivalenti. Tuttavia...

L'art. 88, comma 4-ter, del TUIR stabilisce che non si considerano sopravvenienze attive le riduzioni dei debiti dell'impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo liquidatorio o di procedure estere equivalenti. Tuttavia “in caso di concordato di risanamento, di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del citato regio decreto n. 267 del 1942, pubblicato nel registro delle imprese, o di procedure estere a queste equivalenti, la riduzione dei debiti dell'impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all'articolo 84, senza considerare il limite dell'ottanta per cento, la deduzione di periodo e l'eccedenza relativa all'aiuto alla crescita economica di cui all'articolo 1, comma 4, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati di cui al comma 4 dell'articolo 96 del presente testo unico” (rilevano anche le perdite trasferite al consolidato nazionale di cui all'articolo 117 e non ancora utilizzate).

Il legislatore ha dunque previsto un diverso trattamento fiscale della riduzione dei debiti dell'impresa, a seconda che essa discenda da una procedura avente una finalità liquidatoria oppure di risanamento. Nella prima ipotesi, infatti, la riduzione dei debiti non costituisce in ogni caso sopravvenienza attiva ai fini fiscali e, quindi, non concorre alla formazione del reddito d'impresa imponibile; in presenza, invece, di un concordato preventivo in continuità ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.fall., oppure ancora di un piano attestato ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. d), l.fall. iscritto nel registro delle imprese, la riduzione dei debiti conseguita dal debitore costituisce sopravvenienza attiva - ai fini della determinazione del reddito d'impresa (l'OIC 12 classifica tra gli altri proventi finanziari i componenti positivi discendenti dalla ristrutturazione del debito) - per la parte che eccede (cumulativamente):

a) le perdite pregresse e di periodo di cui all'art. 84 (comprese le perdite trasferite al consolidato nazionale di cui all'articolo 117 e non ancora utilizzate), senza considerare il limite dell'ottanta per cento;

b) la deduzione di periodo e l'eccedenza relativa all'"ACE", disciplinata dall'art. 1, comma 4, del D.L. n. 201/2011;

c) gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati di cui all'art. 96, comma 4, TUIR.

Ne discende che, in caso di concordato di risanamento, di accordo di ristrutturazione dei debiti e di un piano attestato, in presenza di una perdita di periodo (o “coeva”), cioè maturata nel medesimo periodo d'imposta in cui si realizza la sopravvenienza da esdebitamento, quest'ultima è esclusa dalla formazione del reddito d'impresa per l'importo che eccede quello della perdita “coeva”. Per fare un esempio, assumendo che la riduzione dei debiti conseguente di un concordato preventivo in continuità omologato nel 2017 sia pari a 100 e che il risultato di tale esercizio sia costituito, senza considerare la sopravvenienza che deriva da tale riduzione, da una perdita di 40 (che è quindi una “perdita di periodo”), la riduzione dei debiti è esclusa dalla formazione del reddito d'impresa imponibile per 60 (= 100 - 40) e concorre a formarlo per la differenza di 40; sicché, per effetto della detassazione prevista dall'art. 88, comma 4-ter, secondo periodo, il reddito d'impresa risulta pari a zero, essendo tale la somma algebrica fra la sopravvenienza tassabile (40) e la perdita (= 40 – 40). Lo scopo della limitazione posta dal legislatore desumibile dalla norma (ed evidenziato dall'esempio) è dunque quello di non penalizzare, da un lato, l'attuazione delle procedure di risanamento escludendo la tassazione delle sopravvenienze, evitando, però, dall'altro lato, di attribuire all'impresa debitrice un ingiustificato vantaggio, come accadrebbe invece se la sopravvenienza fosse totalmente detassata, nel qual caso la perdita esistente potrebbe essere successivamente utilizzata per neutralizzare l'imposizione di redditi futuri. Infatti, in assenza di tale limitazione, con riguardo al caso dell'esempio che precede, la sopravvenienza sarebbe detassata integralmente e l'impresa debitrice, oltre a escludere tale provento dalla formazione del reddito imponibile, disporrebbe di una perdita di 40 utilizzabile per ridurre l'imposizione di redditi futuri, il che costituirebbe un beneficio privo di fondamento.

La disciplina delle sopravvenienze di cui trattasi è peraltro più complessa allorché l'impresa debitrice disponga di perdite pregresse, di eccedenze “ACE” e di eccedenze di interessi passivi riportate da esercizi precedenti, perché il legislatore, nell'estendere la limitazione in commento anche a tali situazioni, non ha considerato che:

  • le perdite pregresse maturate in un esercizio successivo al primo triennio di attività possono essere computate, ai sensi dell'art. 84, a riduzione del reddito in misura non superiore all'80% del reddito imponibile, intervenendo dunque dopo la determinazione del reddito d'impresa maturato nell'esercizio in cui l'esdebitamento acquista efficacia giuridica;
  • gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati di cui all'art. 96, comma 4, TUIR sono deducibili nel limite che trova capienza nell'eccedenza di R.O.L. maturato nel medesimo esercizio cui si riferisce la determinazione del reddito d'impresa; non sussistono invece limitazioni nell'utilizzo dell'ACE formatasi in tale periodo e nelle eccedenze di ACE formatesi negli esercizi precedenti, che per l'importo disponibile sono portate a riduzione del reddito d'impresa fino a concorrenza del suo ammontare.

All'assenza di coordinamento tra i citati artt. 84 e 96 del Tuir, da un lato, e il comma 4-ter dell'art. 88, dall'altro lato, il legislatore ha posto (parziale) rimedio attraverso la modifica apportata a quest'ultima norma con l'art. 13 del D.Lgs. n. 147/2015, con cui è stato precisato che l'eccedenza della riduzione dei debiti rispetto all'ammontare delle perdite pregresse di cui all'art. 84 deve essere determinata calcolando queste ultime “senza considerare il limite dell'ottanta per cento”. Pertanto, se la riduzione dei debiti è pari, ad esempio, a 120 e le perdite pregresse ammontano a 100, tale eccedenza è quantificata confrontando l'importo di 120 con quello di 100, dando luogo a una sopravvenienza non tassabile di 20 (= 120 - 100), e non con l'80 per cento di 100, nel qual caso l'eccedenza non tassabile sarebbe pari a 40 (= 120 - 80). Tuttavia la norma risultante dalla predetta modifica si presta - sotto il profilo letterale - a due possibili letture, poiché in base alla sua lettera la quota imponibile della sopravvenienza da esdebitamento può corrispondere (alternativamente):

1) all'ammontare integrale delle perdite pregresse disponibili (a nulla rilevando - a questo fine - i relativi limiti di utilizzo in compensazione dei redditi futuri), fermo restando l'impiego delle stesse nella misura dell'80 per cento del reddito imponibile ai fini della determinazione del reddito tassabile. Riprendendo l'esempio che precede, in base a questa lettura della norma, a fronte di una riduzione dei debiti di 120, l'eccedenza non tassabile ammonterebbe a 20 (= 120 – 100) e la quota tassabile della sopravvenienza attiva originerebbe un reddito per 100, il quale potrebbe essere compensato con le perdite pregresse solo nei limiti dell'importo di 80 e darebbe luogo quindi a un imponibile di 20;

2) all'ammontare integrale delle perdite pregresse disponibili (come nell'ipotesi 1), ma potendo utilizzare - a riduzione del reddito imponibile dell'anno in cui la sopravvenienza si manifesta - anche la quota delle perdite eccedente l'80 per cento del reddito tassabile di periodo, fino a concorrenza dell'intero ammontare della sopravvenienza attiva imponibile. Riprendendo l'esempio che precede, in base a questa lettura della norma, a fronte di una riduzione dei debiti di 120, l'eccedenza non tassabile ammonterebbe a 20 e la quota tassabile della sopravvenienza originerebbe un reddito d'esercizio per 100, il quale potrebbe però essere compensato integralmente per 100 e non darebbe quindi luogo ad alcuna imposizione.

Il calcolo della quota imponibile della sopravvenienza attiva è dunque uguale in entrambe le ipotesi; ciò che varia è la modalità di scomputo delle perdite pregresse di regola utilizzabili in misura limitata, che, secondo la tesi esposta sub 2), diventano utilizzabili in misura piena in questa particolare fattispecie.

In presenza di un testo della norma che può essere letto in due modi diversi occorre individuare la volontà del legislatore ricercando la ratio della disposizione di legge. Come detto, la ratio della norma in commento è quella di non penalizzare l'attuazione delle procedure di risanamento, grazie alla detassazione delle sopravvenienze da esse generate, evitando al contempo l'utilizzabilità futura di perdite fiscali, atte a neutralizzare di per sé la sopravvenienza attiva originata dalla riduzione dei debiti (sul punto si veda anche Assonime, circolare 14 giugno 2016, n. 17, secondo cui la filosofia di fondo della norma in esame è quella di voler concedere il beneficio della detassazione evitando al contempo l'utilizzo delle perdite ad abbattimento degli eventuali imponibili futuri), da cui discenderebbe per l'impresa debitrice un ingiustificato vantaggio. Questo scopo è pienamente soddisfatto soltanto operando secondo l'interpretazione indicata sub 2), poiché solo in tal modo si evita l'emersione di un reddito tassabile dovuto esclusivamente alle sopravvenienze da esdebitamento e si limita al tempo stesso la detassazione di queste ultime in presenza di perdite pregresse capienti, analogamente a quanto accade nel caso della contestuale sussistenza di una sopravvenienza e di una perdita di periodo.

Si assuma, per esempio, che siano pari a 100 sia la sopravvenienza da esdebitamento sia l'utile d'esercizio, che è quindi costituito dalla sopravvenienza stessa, e pari a 100 le perdite pregresse utilizzabili in misura limitata: in base alla tesi indicata sub 2), la sopravvenienza da esdebitamento non sarebbe esclusa in alcuna misura dalla formazione del reddito d'impresa (= 100 – 100 = 0) e il reddito d'impresa, pari a 100 (= 100 - 0), sarebbe interamente compensabile per 100 con le perdite pregresse (posto che in base a questa interpretazione sarebbe disattivato il limite dell'80% previsto dall'art. 84 del Tuir). Operando come indicato sub 2), il reddito imponibile finale risulterebbe dunque pari a zero e non sussisterebbero perdite pregresse riportabili in avanti (se non per la parte eccedente la sopravvenienza attiva detassata) e in tal modo si produrrebbe il medesimo effetto previsto per “neutralizzare” la perdita d'esercizio.

Operando secondo la tesi indicata sub 1), invece, resterebbe comunque assoggettata a imposizione una parte della sopravvenienza da esdebitamento. Riprendendo l'esempio precedente, infatti, le perdite pregresse potrebbero essere utilizzate solo nel limite dell'80% del reddito imponibile e, dunque, in misura pari a 80 (= 100 x 80%), rendendosi conseguentemente dovuta l'Ires sul reddito imponibile pari a 20 (= 100 - 80). La tesi prospettata sub 1) è dunque da escludere perché conduce a un risultato contrario alla ratio sottesa alla limitazione posta dal secondo periodo del comma 4-ter dell'art. 88, cui non può costituire valido rimedio il diritto di riportare in avanti le perdite pregresse non utilizzabili a compensazione del reddito dell'esercizio nel quale è sorto il bonus da esdebitamento, considerato che le imprese che ristrutturano i propri debiti in genere non producono redditi nei periodi immediatamente successivi e non sono quindi in grado di compensare finanziariamente l'onere della tassazione di una quota di sopravvenienza con un risparmio futuro.

Tuttavia il software predisposto dall'Agenzia delle Entrate per la compilazione della dichiarazione dei redditi non consente, nemmeno con riguardo alla particolare fattispecie di cui trattasi, di computare per intero a riduzione del reddito d'impresa, alla cui formazione ha concorso la quota di sopravvenienza attiva non detassata, le perdite pregresse utilizzabili in misura limitata secondo la regola generale di cui all'art. 84 del Tuir.

La corretta interpretazione di una norma non può però discendere dal software elaborato per la predisposizione della dichiarazione dei redditi, il quale, per quanto attiene all'utilizzo delle perdite pregresse, è stato probabilmente predisposto per tenere conto della regola generale prevista dal citato art. 84, che prevede l'impiego limitato di tali perdite, e non anche della deroga di tale disposizione implicitamente stabilità dal comma 4-ter dell'art. 88 del Tuir, che riguarda una fattispecie particolare.

Del resto solo l'interpretazione sopra indicata sub 2) produce i medesimi effetti in presenza sia di perdite di periodo sia di perdite pregresse, ed è evidente che non avrebbe senso prevedere effetti diversi a seconda del tipo di perdita utilizzabile, come accade adottando la tesi esposta sub 1). Né ha senso applicare la previsione legislativa che, con riguardo alla comparazione tra sopravvenienze e perdite pregresse, dispone di non considerare la limitazione dell'80%, solo a tale fase del procedimento di determinazione del reddito derivante dalle riduzioni dei debiti, e non anche alla successiva fase di cui all'art. 84, comma 4 ter, TUIR, avente a oggetto l'utilizzo delle perdite pregresse in compensazione del reddito originato dalle sopravvenienze attive.

E' in ogni caso necessario che le incertezze interpretative sopra indicate vengano risolte rapidamente, con una specifica precisazione dell'Agenzia delle Entrate o anche con un nuovo intervento legislativo, perché ne va anche della fattibilità e dell'attestazione dei piani di risanamento su cui il concordato preventivo e gli istituti di cui agli artt. 182-bis e 67 l.fall. si fondano.

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