Vedute e luci

Massimo Ginesi
08 Maggio 2018

La disciplina delle luci e delle vedute è dettata dagli artt. 900-907 c.c., nell'àmbito della più generale normativa in tema di proprietà, ed è volta a definire le caratteristiche delle diverse aperture, gli obblighi da rispettare nella costruzione di manufatti rispetto a quelle esistenti e quelli invece relativi alla creazione di nuove vedute. Si tratta di principi che, all'interno del condominio, trovano particolare declinazione sia con riguardo alle fattispecie che possono venire in esame sia, soprattutto, con riguardo alla specifica applicabilità della normativa in tema di distanze. Tale ultimo profilo risente di un orientamento interpretativo diffuso e consolidato nella giurisprudenza di legittimità, che ritiene la normativa condominiale di natura speciale rispetto a quella sulle distanze e, dunque, applicabile solo ove non entri in conflitto con le esigenze specifiche e le peculiarità dell'edificio in condominio.
Inquadramento

Le luci sono aperture che consentono il passaggio di luce e aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino mentre le vedute invece, sono aperture consentono l'affaccio e di avere una visione diretta sulla proprietà altrui; la distinzione è delineata dall'art. 900 c.c. che richiama, quale elemento qualificante della veduta, la facoltà dell'inspicere e prospicere, caratteristiche che - aldilà delle dimensioni e delle caratteristiche - valgono a qualificare la natura del varco (Cass. civ., sez. II, 7 aprile 2015, n. 6927).

Così sono state ritenute vedute tutte quelle aperture che consentono per destinazione naturale e usuale di affacciarsi e guardare sul fondo del vicino, mentre tale caratteristica non può essere ravvisata per quei varchi che - pur potendo consentire occasionalmente l'affaccio - sono tuttavia destinati ad altra funzione, quale la botola di accesso a un lastrico (Cass. civ., sez. II, 5 giugno 2012, n. 9047).

I tratti distintivi

Le luci, proprio per la loro natura, sono unicamente destinate a fornire una fonte di aerazione o illuminazione ma non devono consentire l'affaccio; per tale ragione, non vedono limiti quanto alle distanze. La legge detta tuttavia una disciplina assai stringente sulle caratteristiche fisiche dell'apertura, che deve avere posizione e e accorgimenti da assicurare l'inidoneità del varco all'affaccio (art. 901 c.c.), così come è sempre assicurato al proprietario del fondo su cui si aprono le luci il diritto di esigere che le stesse, ove non siano conformi a legge, siano ricondotte alla previsione normativa (art. 902 c.c.).

Tali caratteristiche rendono libera la facoltà del vicino di aprire luci nel proprio muro, mentre se il muro è comune dovrà sussistere il consenso di entrambi i confinanti (art. 903 c.c.); la sussistenza di luci su un muro non impedisce al vicino di costruirvi in aderenza (art. 904 c.c.).

Di tutt'altro respiro appare, invece, la disciplina delle vedute che, costituendo un significativo vincolo a carico del fondo su cui si aprono, nei cui confronti costituiscono una vera e propria servitù (Cass. civ., sez. II, 20 giugno 2017, n. 15244), vedono definita con grande rigore sia la facoltà di aprire vedute sul fondo confinante - facoltà che sottostà all'obbligo di rispetto di una specifica distanza (diversa a seconda che si tratti di vedute dirette oppure oblique, artt. 905 e 906 c.c.), sia la possibilità di costruire ove già esistano vedute, con la previsione, anche in tal caso, di un obbligo di distanza, differenziata a seconda della natura della veduta (art. 907 c.c.).

Colui che intende aprire una veduta diretta sul fondo del vicino dovrà osservare una distanza dal confine di un metro e mezzo (avuto riguardo al bordo più vicino all'altrui proprietà della struttura che consente l'affaccio) e di settantacinque centimetri se l'affaccio è solo obliquo. Il precetto non si applica se i fondi sono separati da una via pubblica.

Chi intenda invece costruire ove già sussista legittimamente una veduta, dovrà osservare la distanza di tre metri se tale veduta sia diretta e, ove sia anche obliqua, dovrà osservarsi tale distanza anche dai lati della apertura da cui si esercita l'affaccio.

Ovviamente chi voglia vedere applicata tale normativa dovrà fornire prova di aver acquisito, a titolo originario o negoziale, il correlativo diritto di servitù di veduta (Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 2017, n. 4192).

Condominio e distanze: un rapporto travagliato

L'applicazione della disciplina in tema di luci e vedute in ambito condominiale deve contemperarsi con la sussistenza di una realtà edificatoria assai diversa rispetto all'ipotesi di meri fondi confinanti appartenenti a proprietari diversi, sulla quale il legislatore del 1942 ha modellato la normativa codicistica, pur risultando tali precetti astrattamente applicabili anche alle unità poste nell'edificio multipiano.

Sotto il profilo della applicabilità concreta invece si è consolidato nella giurisprudenza di legittimità un orientato che lascia all'interprete non poche difficoltà operative: la Suprema Corte da ormai molti anni afferma che la disciplina generale in tema di distanze deve cedere il passo alla speciale disciplina del condominio, così che dovrà essere disapplicata laddove finisca per vanificare l'effettiva valenza delle norme particolari relative alle cose comuni (Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2010, n. 22092).

A tal fine si è osservato che il giudice deve porre in atto una comparazione fra le esigenze e i diritti degli altri partecipanti alla comunione, verificando che l'iniziativa del singolo sia avvenuta nell'esercizio dei poteri e nel rispetto dei limiti stabiliti dall'art. 1102 c.c. a tutela degli altri comproprietari, così che deve ritenersi legittima l'opera da costui realizzata, seppure senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti fra proprietà contigue, che trovano applicazione nel condominio solo ove la relativa osservanza sia compatibile con la struttura dell'edificio condominiale (Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2017, n. 5196; Cass. civ., sez. II, 3 marzo 2014, n. 4936; Cass. civ., sez. II, 18 marzo 2010, n. 6546; Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2004, n. 7044; contra, Cass. civ., sez. II, 11 luglio 2011, n. 15186).

In evidenza

Le norme sulle distanze legali sono applicabili anche nei rapporti tra i condomini di un edificio quando siano compatibili con l'applicazione delle norme particolari relative alle cose comuni, ma in caso di contrasto prevale, quale diritto speciale, la disciplina che regola la comunione, nel consentire la più intensa utilizzazione dei beni comuni in funzione del godimento della proprietà esclusiva, purché il condomino non alteri la destinazione del bene e non ne impedisca l'altrui pari uso.

L'applicazione dei principi in tema di distanze, ove ritenuti compatibili con la natura condominiale dell'edificio, riguarda sia i rapporti fra condomini che l'eventuale apertura di vedute su aree comuni, la cui condominialità non esime dal rispetto dell'art. 905 c.c. (Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 2008, n. 12989; Cass. civ., sez. II, 20 giugno 2000, n. 8397).

Si è anche ritenuto che in condominio le luci siano sottratte alla facoltà del vicino di chiuderle, potendo essere acquisito per usucapione il diritto a mantenerle (Cass. civ., sez. II, 14 maggio 1990, n. 4117).

Vedute e abbattimento barriere architettoniche

La compatibilità della disciplina prevista dagli artt. 905-907 c.c. per le distanze dalle vedute con la realtà condominiale trova ulteriore limite nella normativa in tema di abbattimento delle barriere architettoniche, atteso che l'intero impianto della l. 13 gennaio 1989, n. 13 - nell'attuare il precetto costituzionale della funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.) - espressamente prevede la compressione del diritto soggettivo di proprietà in favore del diritto diffuso alla salute e alla solidarietà sociale; in particolare l'art. 3 della legge sulle barriere prevede che le opere volte all'abbattimento delle barriere architettoniche possano essere realizzate in deroga alle distanze , «anche per i cortili e le chiostrine interne ai fabbricati o comuni o di uso comune a più fabbricati» e, tuttavia, al secondo comma si statuisce che «è fatto salvo l'obbligo di rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 del codice civile nell'ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune».

A tal proposito, la giurisprudenza di legittimità ha più volte osservato che in tema di condominio l'installazione di un ascensore, da parte di uno o più condomini, su parte del cortile o di un muro comune, al fine dell'eliminazione delle barriere architettoniche, deve considerarsi opera indispensabile ai fini dell'accessibilità dell'edificio e della reale abitabilità dell'appartamento; tale attività deve pertanto essere ricondotta ai poteri previsti dall'art. 1102 c.c. senza che, ove siano rispettati i limiti di uso delle cose comuni stabiliti da tale norma, rilevi la disciplina dell'art. 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, neppure per effetto del richiamo ad essa operato nell'art. 3, comma 2, della 9 gennaio 1989, n. 13, che non trova applicazione in ambito condominiale (Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2014, n. 14809).

Si è ancora evidenziato che l'art. 3, comma 2, della l. n. 13/1989 deve ritenersi applicabile solo all'ipotesi in cui venga in rilievo un fabbricato distinto da quello comune e non un'unità immobiliare ubicata nell'edificio comune (Cass. civ., sez. II, 3 agosto 2012, n. 14096).

La violazione dell'art. 907 c.c. avrà dunque rilevo non già in quanto dato formale ma solo laddove la sua violazione, per la natura della costruzione effettuata e la corrispondente compressione del diritto di veduta, integri i parametri di divieto previsto dall'art. 1102 c.c., ossia il pregiudizio irrimediabile ed intollerabile del concorrente diritto altrui, sia sulla proprietà individuale che su quella comune (Cass. civ., sez. II, 24 luglio 2012 n. 12930).

Balconi e vedute

Il balcone, per le sue caratteristiche costruttive, è manufatto che tipicamente consente la veduta diretta e obliqua; si è osservato che le vedute che si esercitano dal balcone sono diverse a seconda delle varie posizioni in cui è possibile guardare sul fondo del vicino: è sufficiente per aversi veduta diretta che da uno dei lati del balcone sia possibile affacciarsi e guardare sul fondo altrui (Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2012, n. 8015).

Ne deriva che, a mente dell'art. 907 c.c. (e fatta salva la valutazione di compatibilità), le costruzioni debbano mantenersi alla distanza di tre metri da ogni lato del balcone.

Si è tuttavia ritenuto che la realizzazione di veranda che rimanga inscritta nella proiezione del balcone sovrastante non incida, limitandola, sulla veduta che si esercita dallo sporto superiore e dunque non rientri nella previsione dell'art. 907 c.c., atteso che tale norma non attribuisce la possibilità di esercitare dalla soletta o dal parapetto del balcone una inspectio o prospectio obliqua verso il basso e contemporaneamente verso l'interno della sottostante proprietà (Cass. civ., sez. II, 11 luglio 2011, n. 15186, contra, Cass. civ., sez. VI, 27 marzo 2014, n. 7269).

Casistica

CASISTICA

Ascensore

L'installazione di un ascensore, al fine dell'eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata da un condomino su parte di un cortile e di un muro comuni, deve considerarsi indispensabile ai fini dell'accessibilità dell'edificio e della reale abitabilità dell'appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell'art. 1102 c.c., senza che, ove siano rispettati i limiti di uso delle cose comuni stabiliti da tale norma, rilevi, la disciplina dettata dall'art. 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, neppure per effetto del richiamo ad essa operato nell'art. 3, comma 2, della l. 9 gennaio 1989, n. 13, non trovando detta disposizione applicazione in àmbito condominiale (Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2014, n. 14809; Cass. civ., sez. II, 3 agosto 2012, n. 14096)

Balconi

- Qualora il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale esegua opere sui propri beni facendo uso anche di beni comuni, indipendentemente dall'applicabilità della disciplina sulle distanze, è necessario che, in qualità di condomino, utilizzi le parti comuni dell'immobile nei limiti consentiti dall'art. 1102 c.c. (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata che aveva accolto la domanda di riduzione in pristino del balcone di una veranda ricostruito senza rispettare l'allineamento verticale con gli altri balconi in quanto le opere dovevano ritenersi eseguite in violazione dell'art. 1102 c.c., causando una sensibile riduzione all'ingresso di luce ed aria nella proprietà inferiore e nella chiostrina) (Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2017, n. 5196).

- In tema di condominio negli edifici, le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, a condizione, tuttavia, che siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni; propriamente, in ipotesi di contrasto, la norma speciale in materia di condominio prevale e determina l'inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze; in tal guisa, ove il giudice constati il rispetto dei limiti tutti di cui all'art. 1102 c.c., deve ritenersi legittima l'opera - eventualmente una canna fumaria posta in aderenza al muro perimetrale e a ridosso del terrazzo a livello di proprietà di un determinato condomino - quantunque realizzata in violazione delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà esclusive, distinte e contigue ( Cass. civ., sez. II, 3 marzo 2014 n. 4936).

Canna fumaria

In tema di condominio negli edifici, le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, a condizione, tuttavia, che siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni; propriamente, in ipotesi di contrasto, la norma speciale in materia di condominio prevale e determina l'inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze; in tal guisa, ove il giudice constati il rispetto dei limiti tutti di cui all'art. 1102 c.c., deve ritenersi legittima l'opera - eventualmente una canna fumaria posta in aderenza al muro perimetrale e a ridosso del terrazzo a livello di proprietà di un determinato condomino - quantunque realizzata in violazione delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà esclusive, distinte e contigue (Cass. civ., sez. II, 3 marzo 2014, n. 4936).

Vedute retroverse

L'ordinamento non tutela le vedute retroverse o a uncino ma limita la tutela alle vedute, dirette, oblique e laterali, esercitabili per l'arco massimo di 180 gradi. Tuttavia, ciò ha un significato in relazione al punto dal quale si esercita la veduta, e tale punto può essere diversamente orientato a seconda che l'apertura sia una finestra o un balcone. Allorché si tratti di balcone, ben può verificarsi che la veduta obliqua eventualmente esercitabile da uno dei suoi affacci laterali sia retroversa rispetto alla parete in cui è situato il balcone; ma non per questo è illegittima, posto che la qualificazione della veduta va fatta non con riferimento alla posizione dei fondi, bensì all'orientamento di ogni possibile affaccio (Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 2011 n. 220).

Lastrico

In tema di condominio, ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, purché non alteri la destinazione della cosa comune e consenta un uso paritetico agli altri condomini. Ne consegue che l'installazione di una ringhiera (o parapetto) su di un lastrico solare che permetta di affacciarsi su spazi condominiali - nella specie, cortili comuni destinati a dare aria e luce agli appartamenti sottostanti che vi prospettano - costituisce esercizio del diritto di proprietà e non di quello di servitù, per cui non trovano applicazione le norme che disciplinano le vedute su fondi altrui (art. 905 c.c.), bensì quelle che consentono al condomino di servirsi delle parti comuni per il miglior godimento della cosa, senz'altro limite che l'obbligo di rispettare la destinazione, di non alterare la stabilità e il decoro architettonico dell'edificio e di non ledere i diritti degli altri condomini (Cass. civ., sez. II, 16 luglio 2004, n. 13261).

Cortili

- Allorché si verifica la separazione tra la proprietà di un cortile (o di un altro bene rientrante in astratto tra quelli che si presumono comuni ai sensi dell'art. 1117 c.c.) e la proprietà delle unità immobiliari di un edificio, i rapporti tra tali distinte proprietà vanno disciplinati non già secondo l'art. 1102 c.c., sibbene secondo la normativa dei rapporti di vicinato, cioè dei rapporti tra proprietà contigue separate; per cui, vanno rispettate le distanze legali, tranne che sussista un titolo derogativo, con la conseguenza che, mentre il proprietario esclusivo del cortile è obbligato a rispettare le aperture esistenti all'atto della separazione, i proprietari delle singole unità immobiliari non possono creare nuove vedute sul cortile (Cass. civ., sez. II, 14 luglio 1981, n. 4605).

- In tema di condominio, ai sensi dell'art. 1102, comma 1, c.c., ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, purché non alteri la destinazione della cosa comune e consenta un uso paritetico agli altri condomini. L'apertura di finestre ovvero la trasformazione di luce in veduta su un cortile comune rientra nei poteri spettanti ai condomini ai sensi dell'art. 1102 c.c. tenuto conto che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, ben sono fruibili a tale scopo dai condomini, cui spetta anche la facoltà di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in tema di luci e vedute, a tutela dei proprietari dei fondi confinanti di proprietà esclusiva (Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2010, n. 13874).

Vedute e litisconsorzio

La domanda di eliminazione delle vedute aperte sul muro perimetrale comune deve essere proposta nei soli confronti del proprietario delle vedute stesse e non nei confronti di tutti i condomini del fabbricato sul quale le vedute si aprono (Cass. civ., sez. II, 20 luglio 1999, n. 7745).

Sottotetto e abbaini

Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune, può aprire su esso abbaini (nella specie dotati di balconi) e finestre - non incompatibili con la sua destinazione naturale - per dare aria e luce alla sua proprietà, purché le opere siano a regola d'arte e non pregiudichino la funzione di copertura propria del tetto, né ledano i diritti degli altri condomini sul medesimo (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva affermato la legittimità delle opere, rilevando che non era stata fornita alcuna prova di un impedimento a un diverso utilizzo del tetto da parte dei condomini, né di un particolare preesistente uso del tetto stesso incompatibile con le opere eseguite, le quali mantenevano protette le parti sottostanti e non arrecavano pregiudizio al deflusso delle acque meteoriche) (Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2006, n. 17099).

Vedute singole e comuni

All'interno del condominio, sussiste un diritto di veduta dei singoli condòmini ed un diritto di veduta comune: la legittimazione attiva nel primo caso spetta non all'amministratore a nome del condominio ma esclusivamente ai singoli condomini (Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2016, n. 1549).

Muro comune

In tema di condominio, gli interventi sul muro comune - come l'apertura di una finestra o di vedute, l'ingrandimento o lo spostamento di vedute preesistenti, la trasformazione di finestre in balconi - sono legittimi, dato che tali opere non incidono sulla destinazione del muro bene comune ai sensi dell'art. 1117 c.c. e sono l'espressione del legittimo uso delle parti comuni. Tuttavia, nell'esercizio di tale uso vanno rispetti i limiti contenuti nell'art. 1117 c.c. consistenti nel non pregiudicare la stabilità e il decoro architettonico dell'edificio, nel non menomare o diminuire sensibilmente la fruizione di aria o di luce per i proprietari dei piani inferiori, nel non impedire l'esercizio concorrente di analoghi diritti degli altri condomini, nel non alterare la destinazione a cui il bene e preposto e nel rispettare i divieti dell'art. 1120 c.c. In particolare, l'apertura di finestre su area di proprietà comune e indivisa tra le parti costituisce opera inidonea all'esercizio di un diritto di servitù di veduta, sia per il principio nemini res sua servit, che per la considerazione che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, sono ben fruibili a tale scopo dai condomini, cui spetta, pertanto, anche la facoltà di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in tema di luci e vedute, a tutela dei proprietari dei fondi confinanti di proprietà esclusiva, con il solo limite, posto dall'art. 1102 c.c., di non alterare la destinazione del bene comune o di non impedirne l'uso da parte degli altri comproprietari (Cass. civ., sez. II, 3 gennaio 2014, n. 53).

Aperture lucifere

Le aperture lucifere che si trovano all'interno di un edificio condominiale o comunque all'interno di un complesso immobiliare integrante una proprietà condominiale (nella specie porta a vetri collocata tra una chiostrina di proprietà esclusiva ed una scala di proprietà condominiale che da quella riceva luce), a differenza di quelle che si aprono su un fondo aperto altrui ed alle quali fa riferimento l'art. 900 c.c., sono prive di quella connotazione di precarietà e mera tolleranza che caratterizza le luci contemplate negli articoli da 901 a 904 c.c. con la conseguenza che sono sottratte alla disciplina disposta da tali norme e che in ordine ad esse è ipotizzabile, in favore di chi ne beneficia, la possibilità di acquisto della relativa servitù per usucapione o per destinazione del padre di famiglia e così la tutela possessoria dello stato di fatto su cui si basa l'eventuale esistenza della servitù medesima (Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1990, n. 4117).

Parapetti e vedute

Per configurarsi gli estremi di una veduta ai sensi dell'art. 900 c.c., conseguentemente, soggetta alla regole di cui ai successivi artt. 905 e 907 c.c. (distanze per l'apertura di vedute), è necessario che le c.d. inspectio et prospectio in alienum, vale a dire le possibilità di “affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente”, siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza (respinta, nella specie, la richiesta di arretramento della costruzione del vicino alla distanza legale di almeno tre metri rispetto al parapetto perimetrale del lastrico solare, a tutela dell'esercizio del diritto di veduta, atteso che il muretto perimetrale del terrazzo era risultato essere alto soltanto cm. 90 e, quindi, insufficiente per garantire un affaccio sicuro) (Cass. civ., sez. II, 5 novembre 2012, n. 18910).

Guida all'approfondimento
Cendon, Proprietà e diritti reali, Torino, 2011;Bianca, Diritto civile, 6, La proprietà, Milano, 1999;Figone, Luci e vedute, voce Dig. civ., XI, Torino, 1994;Albano, Luci e vedute, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990;Bigliazzi Geri, Diritti reali, in Il sistema giuridico italiano, Torino, 1988;Natucci, La tipicità dei diritti reali, Padova, 1982;De Martino, Beni in generale. Proprietà (artt. 810-956), in Commentario al codice civile diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1976;Lojacono, Luci e vedute, in Enc. dir., XXV, Milano, 1975;Palazzo, Massimario generale delle luci e vedute, Napoli, 1961.

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