Mancata accettazione della moneta elettronica: quale sanzione?

Saverio Capolupo
09 Maggio 2018

La legge delega, nel prevedere l'obbligatorietà dell'installazione del POS e l'obbligo di accettare in pagamento carte di debito e carte di credito, demanda al Governo l'individuazione della sanzione applicabile.Tale soluzione non è praticabile in quanto in palese contrasto con il principio di legalità di cui all'art. 23 della Costituzione, ripreso per le sanzioni amministrative, dall'art. 1 della Legge n. 689/1981. È necessario, pertanto, un intervento urgente sulla norma primaria per evitare che si resti sul piano dei meri annunci con evidente premio per gli evasori ma anche con innegabili riflessi negativi nella lotta al riciclaggio ed al contrasto al finanziamento al terrorismo internazionale.Fino a quanto non si verificherà tale intervento non sarà possibile irrogare alcuna sanzione.
La previsione normativa

La lotta all'evasione fiscale è sostenuta unanimemente da tutte le forze politiche e dall'intera collettività se non altro a seguito dei tanti annunci fatti negli ultimi anni. Che trattasi, però, solo di annunci lo dimostra l'esame del quadro giuridico di riferimento che, al riguardo, fornisce un'ampia dimostrazione a causa di norme contraddittorie, vistose lacune (solo in parte colmate dall'Agenzia delle Entrate e dal giudice tributario), di norme in bianco, cioè di semplici previsioni senza che sia prevista a carico dei trasgressori alcuna conseguenza giuridica.

Un esempio, al riguardo, può essere rinvenuto nell'art. 15, comma 4, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, modificato, da ultimo, dalla Legge n. 208/2015.

La citata norma prevede, infatti che, a decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionale, sono tenuti ad accettare anche i pagamenti effettuati attraverso carte di debito e carte di credito.

La disposizione, da un lato, esclude la sussistenza dell'obbligo nei casi di oggettiva impossibilità tecnica; dall'altro, fa salve le disposizioni del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 in materia di contrasto al riciclaggio ed al finanziamento al terrorismo internazionale.

Tale previsione è anche conseguenza delle indicazioni degli Organismi comunitari che, in diverse occasioni, hanno incentivato il pagamento delle transazioni commerciali con moneta elettronica, in particolare con carte di debito e carta di credito.

Inoltre, ha previsto l'estensione dell'obbligo di accettazione dei pagamenti, oltre che con carte di debito (c.d. bancomat), originariamente già previsto, anche mediante carte di credito.

In precedenza la materia è stata regolata con decreto del Ministro dell'economia e delle Finanze 24 gennaio 2014.

Per completezza va anche ricordato che tali modalità di pagamento sono state estese ai dispositivi di controllo di durata della sosta, anche senza custodia del veicolo, ubicati nelle aree individuate previa deliberazione della giunta comunale e destinata al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere sulla base delle tariffe definite dal ministero competente.

Una delega senza criteri

La richiamata disposizione delega al potere esecutivo di disciplinare, con decreto, le modalità, i termini e l'importo delle sanzioni amministrative pecuniarie, anche in relazione ai soggetti interessati.

Con il menzionato provvedimento si intendeva sostituire la precedente disciplina che, pur prevedendo l'obbligo del possesso da parte dei soggetti beneficiari degli strumenti in grado di consentire il pagamento tramite carta di debito, non prevedeva alcuna sanzione in caso di mancata installazione del POS ovvero di mancata accettazione della moneta elettronica.

Tale obiettivo è certamente lodevole ove si consideri che l'Italia, pur collocandosi nelle prime posizioni per la quantità possesso di carte di debito e carte di credito possedute, vede gravemente capovolta la sua posizione per quanto concerne il loro utilizzo per saldare gli acquisti di beni e servizi.

La mancanza di una espressa sanzione, come era ampiamente prevedibile, ha inevitabilmente determinato, la mancata applicazione dello specifico obbligo.

La rilevanza della tracciabilità

La tracciabilità dei flussi finanziari si pone come momento centrale sia per la lotta al riciclaggio sia per la repressione dell'evasione fiscale.

Ne consegue che, grazie anche all'innovazione tecnologica, uno degli effetti derivanti dalla trasformazione digitale, che si pone come pilastro di rinnovamento delle infrastrutture tecnologiche, riguarda i pagamenti e comporta la riduzione delle transazioni in contanti a favore di quelle elettroniche.

È di tutta evidenza che l'incremento dei pagamenti con moneta elettronica all'interno di ciascun Paese, proprio per la tracciabilità dei flussi finanziari, agevoli, almeno in parte, l'emersione dell'economia sommersa con evidenti benefici sia per la riduzione della pressione fiscale sia per garantire una reale correttezza della concorrenza.

Ne consegue che il vuoto legislativo si pone in aperta contrapposizione con le numerose iniziative per incentivare l'utilizzo di strumenti di pagamento alternativi al contante, sia a livello europeo che nazionale, tanto da fissare, da ultimo, in euro 1.000 il limite massimo di accettazione dei pagamenti in contanti.

L'attuazione della delega, il cui ritardo, già di per sé, sarebbe molto significativo, dovrebbe mirare a favorire l'utilizzo di strumenti di pagamento elettronici, in continuità con le indicazioni degli organismi internazionali (GAFI, OCSE, Banca Mondiale) che, da tempo, stanno ponendo in essere consistenti sforzi per promuovere lo sviluppo di un mercato concorrenziale dei servizi di pagamento nonché di pervenire ad una regolamentazione che, minimizzando al massimo ipotetici effetti distorsioni della concorrenza, abbia riguardo anche ai costi connessi all'attuazione dell'obbligo della istallazione del POS, per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di debito e carte di credito.

La lotta al riciclaggio ed il contrasto alla evasione ed elusione fiscale non può prescindere dalla tracciabilità dei flussi finanziari. In tal ottica, l'attuazione della direttiva (UE) 2015/849, del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015, relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo internazionale, segna certamente un significativo passo avanti.

Indubbiamente, nel nostro ordinamento sono state apportate significative modifiche alla vigente disciplina del settore, allineando la normativa nazionale alle più recenti disposizioni introdotte dall'Unione Europea e dalle raccomandazioni GAFI.

Ma una efficace applicazione della norma primaria necessita, secondo uno schema tutto italico, della normativa di attuazione demandata ai Ministri competenti per materia o addirittura alle strutture dell'amministrazione pubblica (e, nel caso specifico, all'Agenzia delle entrate).

In tale ottica occorre, purtroppo, rilevare che restano ancora taluni profili da disciplinare, preferibilmente con norme primarie, in quanto i danni prodotti dal riciclaggio e dall'evasione, nonostante siano fenomeni ampiamente noti da sempre, richiedono una revisione degli strumenti giuridici disponibili per un più rigoroso contrasto alla crescente diversificazione del mercato criminale.

Nei menzionati comparti non servono gli annunci né le promesse. Sono necessari norme chiare, di agevole applicazione, che non consentono plurime interpretazioni, inattaccabili sotto l'aspetto delle garanzie costituzionali, soprattutto a favore dei contribuenti.

D'altra parte, sebbene si registri una convergenza pressoché totalitaria di tutti i Paesi ad economia avanzata, il fenomeno è ancora lontano se non dall'essere completamente debellato, quanto meno dal ricondurlo entro limiti non pregiudizievoli per lo sviluppo dell'economia legale.

Di qui la necessità di procedere all'adeguamento della disciplina interna agli orientamenti degli Organismi sovranazionali per introdurre misure che consentano di migliorare il sistema di prevenzione e contrasto.

È stata salutata positivamente in sede di applicazione della IV Direttiva antiriciclaggio l'introduzione nel nostro ordinamento “dell'approccio basato sul rischio" in quanto non rappresenta soltanto una scelta metodologica rimessa esclusivamente alla volontà dei soggetti preposti al ripristino della legalità, bensì lo strumento fondamentale per consentire, attraverso il processo di valutazione, l'adozione di procedure e strumenti in grado di riconoscere e mitigare il rischio stesso e, quindi, calibrare, in termini anche di efficienza ed economicità, oltre che di perequazione fiscale, la selezione dei contribuenti da controllare.

È parimenti evidente, però, quantunque le indicazioni comunitarie costituiscano una rilevante e qualificata base comune, che le specificità dei singoli Stati Membri nonché di quelli aderenti agli Organismi internazionali impongono, a livello di ciascun Paese, la individuazione di misure specifiche che tengano conto dei rischi – variamente diversificati da Paese a Paese – cui sono esposti al fine di adeguarle alle proprie caratteristiche.

Detto criterio vale soprattutto per l'Italia dove, notoriamente, non solo il tasso di evasione è molto alto ma anche le metodologie evasive ed elusive si presentano con connotazioni del tutto particolari anche per effetto della “genialità” di taluni soggetti.

Il tentativo di individuare una sanzione

Come già accennato, nonostante siano trascorsi alcuni anni dall'originaria previsione normativa, allo stato, manca ancora una sanzione (chiaramente amministrativa pecuniaria e/o accessoria) sia carico dei soggetti che non installano il POS sia in caso di rifiuto di pagamenti con moneta elettronica.

Le cause di tale carenza non possono essere certamente imputate ai Ministeri chiamati a dare attuazione alla delega bensì alla mancanza di principi e criteri direttivi da parte della legge delega o, meglio, alla delega in bianco contenuta nella norma primaria.

Di qui la domanda spontanea quanto doverosa: superficialità da parte degli estensori del provvedimento oppure dolosa carenza in modo che, da un lato, si traggono i benefici dell'effetto annuncio; dall'altro, non si scontentano alcune categorie che, in termini di etica fiscale, lasciano molto a desiderare.

Non occorrono, invero, particolari giri di parole per comprendere che l'adozione del provvedimento assume particolare rilievo nella misura in cui la previsione di specifiche sanzioni comminate in caso di mancata accettazione di pagamenti tramite carta di debito e carta di credito consente di rendere effettivo ed efficace tale obbligo.

Purtroppo, la norma primaria, nel rinviare al decreto attuativo la predisposizione della disciplina in materia di modalità, termini e importo delle sanzioni amministrative pecuniarie, anche in relazione ai soggetti interessati, non ha fornito criteri e limiti specifici quali: importo minimo massimo, indicazione dell'autorità competente ad irrogare la sanzione, procedure applicabili.

L'incostituzionalità della delega

Ora, se l'obiettivo di una efficace lotta al riciclaggio, all'evasione e all'elusione fiscale va incentivata attraverso la completa perimetrazione del quadro giuridico di riferimento, anche mediante la sua omogeneizzazione, il suo conseguimento deve, però, necessariamente essere realizzato con l'adozione di provvedimenti rispettosi, sotto l'aspetto formale e sostanziale, dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico.

L'assenza di un'esplicita previsione legislativa di taluni parametri necessari per la individuazione degli elementi essenziali ai fini della individuazione della sanzione da irrogare ha fatto ipotizzare come unico riferimento normativo “assimilabile” al rifiuto di accettazione di pagamenti con carte di debito e carte di credito la condotta considerata dall'art. 693 c.p. e conseguente applicazione, in via estensiva, della sanzione ivi prevista.

Tale norma, depenalizzata per effetto dell'articolo 33, comma 1, lettera a), della Legge 24 novembre 1981, n. 689, dispone che “chiunque rifiuta di ricevere, per loro, monete aventi possono dallo Stato, è punito con la sanzione amministrativa fino a € 30”.

Trattasi di uno sforzo interpretativo certamente apprezzabile nell'ottica di dare attuazione ad una delega finalizzata ad introdurre le auspicate misure di contrasto a comportamenti evasivi ampiamente diffusi, che va valutato, però, sotto molteplici aspetti: compatibilità con i principi costituzionali, idoneità di una sanzione di trenta euro a creare una effettiva e credibile deterrenza, soprattutto laddove si consentisse la definizione immediata con conseguenti effetti premiali fino a ridurla ad un terzo, ecc.

La risposta, purtroppo non può che essere negativa laddove la prospettata ipotesi venga esaminata con l'art. 1 della Legge n. 689/1981, e l'art. 23 della Costituzione.

Relativamente alla prima disposizione, come principio generale nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione.

Inoltre, le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati.

La giurisprudenza, anche amministrativa, ha avuto modo più volte di precisare che allorché, con la Legge n. 689/1981, il legislatore ha dettato una disciplina unitaria per tutte le sanzioni amministrative, mutuando la maggior parte delle norme generali dai principi generali del diritto penale, ha sancito, all'art. 1, il principio di legalità, secondo il quale nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione, ancorché abbia considerato un solo aspetto della irretroattività e cioè quello della norma incriminatrice che sia entrata in vigore successivamente alla commissione dell'illecito.

La formulazione del richiamato art. 1 rafforza, non solo l'applicazione del principio di legalità ma anche quello del divieto dell'applicazione dell'analogia in materia di sanzioni (penali ed amministrative) di cui all'art. 1 del codice penale.

Per quanto concerne la seconda può essere sufficiente sintetizzare l'orientamento della Corte Costituzionale che più volte si è espressa in ordine alla portata dell'art. 23.

La giurisprudenza della Corte, invero, ha fornito una interpretazione della nozione di “prestazione patrimoniale imposta” in senso estensivo prevedendo che il carattere della riserva di legge è rispettato anche in assenza di una espressa indicazione legislativa dei criteri, dei limiti e controlli sufficienti a delimitare l'ambito di discrezionalità dell'amministrazione, purché gli stessi siano desumibili in qualche modo quali, ad esempio, destinazione della prestazione, carattere del sistema procedimentale, funzionamento dell'autorità competente, ecc.

Invero, se è incontestabile che la riserva di legge di cui al citato art. 23 ha carattere relativo, con conseguente riconoscimento di significativi margini di regolazione delle fattispecie, non relega la legge sullo sfondo, né può costituire giustificazione sufficiente per un rapporto con gli atti amministrativi concreti ridotto al mero richiamo formale ad un prescrizione normativa in bianco, genericamente orientata ad un principio-valore, senza una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell'azione amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini.

Il rispetto del principio di legalità, quindi, esige la preventiva determinazione di sufficienti criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa richiedendo, in particolare, che la concreta entità della prestazione imposta sia desumibile chiaramente dagli interventi legislativi che riguardano l'attività dell'amministrazione, fattispecie che non si verifica certamente nel caso in esame.

In conclusione

Il permanere del vigente quadro di riferimento rende giuridicamente impossibile l'attuazione della delega sia per i cennati principi costituzionali sia per l'applicazione, in analogia, della sanzione prevista dall'art. 693 c.p.

Va anche esternata un'ultima considerazione riguardante il profilo monetario delle carte di debito e di credito. La norma penale (depenalizzata) richiama le “monete aventi corso legale”. È pacifico che le carte di debito e di credito, pur essendo uno strumento di pagamento, incentivato ed accettato, non possono essere considerate, sul piano strettamente giuridico, monete aventi corso legale.

Ne consegue che laddove il legislatore, come è auspicabile, voglia effettivamente obbligare gli esercenti attività d‘impresa ed i professionisti ad installare il POS ed accettare in pagamento la moneta elettronica, deve modificare la legge delega.

In particolare, è necessario specificare quantomeno il tipo di sanzione (pena pecuniaria amministrativa), l'entità (misura fissa o minima e massima) ed un chiaro richiamo alle norme procedimentali.

Frattanto, per la mancata installazione del POS e per il rifiuto di pagamenti con carte di debito e carte di credito non può essere irrogata alcuna sanzione.

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